Pulp Fiction: la strada che porta al nulla

 

Pulp Fiction, un gangster movie in cui i dialoghi sovrastano le armi. Voto UVM: 5/5

 

È con la schermata seguente che Quentin Tarantino decide di aprire il suo secondo film, cambiando la sua vita e quella di tutto il cinema. Pulp Fiction è stato scritto da Tarantino e Roger Avary nel 1993 e solo un anno dopo è arrivato nelle sale di tutto il mondo. Oggi questo cult compie 30 anni ed è tornato in sala in una versione restaurata in 4k.

Frame di “Pulp Fiction” (1994) di Quentin Tarantino. Produzione: Miramax. Distribuzione: Cecchi Gori Distribuzione.

IL CONCETTO DI “CINEMA” PER TARANTINO

Tarantino si nutriva di cinema, ne conosceva ogni sfaccettatura, ed è per questo che ha deciso di mettere insieme quelle poche cose che possedeva: follia, amore e passione, per creare qualcosa di mai visto prima.

Parlare di Pulp Fiction significa essere disposti a cambiare la visione di ciò che noi credevamo fosse “cinema”.
Non esiste più un buono, un brutto o un cattivo ma solo uno sporco e deplorevole cerchio della vita, ricco di crudeltà, violenza ed erotismo.

PULP FICTION: LA TRAMA È COSÌ IMPORTANTE?

Se dovessimo utilizzare una semplice visione oggettiva potremmo classificare Pulp Fiction come un “gangster movie” che cavalca la stessa onda (più romanzata) dell’opera prima di Tarantino: Le iene. Questa visione però è eccessivamente limitante; l’atmosfera gangster è solo il contorno di questo dipinto.

Il film racconta 6 eventi tutti concatenati fra loro e caratterizzati da dialoghi intriganti, riflessivi, divertenti e soprattutto PULP!

Tutte le azioni svolte dai nostri personaggi sono messe in secondo piano. Sono le parole, infatti, ad influenzare i protagonisti (e il pubblico) più che le loro singole gesta, talvolta estreme e grottesche.

Frame di “Pulp Fiction” (1994) di Quentin Tarantino. Produzione: Miramax. Distribuzione: Cecchi Gori Distribuzione.

PERCHÉ LO CHIAMIAMO CULT?

Perché un film confusionario, senza una vera trama e politicamente scorretto è diventato l’emblema dei film cult?

Non esiste una vera risposta, non vi è un significato ovvio che fa di Pulp Fiction una pietra miliare del nostro cinema. Ciò che ha permesso a questo film di spiccare il volo e rubare la scena a tutti gli altri film sono stati i dettagli maniacali e impercettibili che Tarantino ha inserito all’interno della pellicola.

Lo spettatore riesce ad entrare dentro lo schermo, venendo ipnotizzato da qualcosa che con fatica riesce a capire, poiché invisibile all’occhio umano. E anche alla quarta o quinta visione questo film “sputa” dettagli da far accapponare la pelle. Ogni minimo particolare è capace di procurare un “orgasmo visivo” e perpetuo. Per non parlare poi delle scene iconiche entrate nella storia come “Ezechiele 25.17” o il Twist di Vincent e Mia.

Parallelamente alle scene diventate storiche vi sono poi delle imponenti colonne sonore che oggi riconducono tutte a questo film come Misirlou di Dick Dale, You never can tell di Chuck Berry e molte altre…

Frame di “Pulp Fiction”(1994) di Quentin Tarantino. Produzione: Miramax. Distribuzione: Cecchi Gori Distribuzione.

LE MARIONETTE DI QUENTIN TARANTINO

Il talento del nostro regista si fonde in maniera osmotica con la potenza espressiva dei nostri attori. L’impulsività di Ringo e Yolanda (Tim Roth e Amanda Plummer), la divertente stupidità di Vincent Vega (John Travolta), la sadica ironia di Jules Winnfield (Samuel L. Jackson), la sensualità e l’insoddisfazione di Mia Wallace (Uma Thurman) e la determinazione di Butch Coolidge (Bruce Willis) riescono a dare vita ad una messa in scena che raffigura perfettamente il niente.

Proprio così, i nostri attori riescono a dare significato ad un film che non porta a niente, nessun obiettivo, nessun messaggio morale, nessuna investigazione sull’ambito sociale ma vero e proprio intrattenimento strategico ed intelligente.

PULP FICTION È IL FILM PERFETTO?

Cosa può portare un film ad essere considerato perfetto? Ogni risposta sarebbe superflua, non esiste veramente un film perfetto. Ciò che caratterizza Pulp Fiction è l’intelligenza e lo studio che c’è dietro ad ogni scena, ripresa, inquadratura o dialogo. Tarantino dimostra che per quanto gli studi di formazione possano essere importanti, la passione batterà sempre ogni manuale.

È con Pulp Fiction che Quentin ci permette di andare oltre i canoni classici del cinema: l’arte non necessita di un teorema o un postulato ma solo di amore e, questo, ci dimostra Tarantino, non viene insegnato in accademia ma nasce dentro ognuno di noi.

«Ezechiele 25,17. Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te.»

 

di Pierfrancesco Spanò

Goodbye, Eri: tra narrazione e memoria

Goodbye, Eri
“Goodbye, Eri” di Tatsuki Fujimoto – Voto UVM: 5/5

 

Goodbye, Eri è un volume unico scritto e disegnato da Tatsuki Fujimoto, già autore di altri fortunati manga come Fire Punch o il più famoso Chainsaw man, e pubblicato in Italia nel 2023 dalla casa editrice Star Comics.

L’autore e le sue passioni

Il fumettista, nato a Nikaho nel 1993, è un grande appassionato sia del disegno, che coltiva sin da bambino frequentando i corsi a cui prendevano parte anche i suoi nonni, sia di cinema, tanto orientale quanto occidentale, e nelle sue opere non mancano riferimenti visivi tanto ad un’arte quanto all’altra: basti pensare che già nell’opening dell’anime Chainsaw man, tratto dalla sua serie più recente, è presente un riferimento a Pulp Fiction di Quentin Tarantino, regista amato da Fujimoto, e pochi anni fa l’autore ha pubblicato un altro volume unico, Look Back, interamente dedicato al suo amore per il disegno.

Goodbye, Eri
Cover “Goodbye, Eri”

Lo stile

Proprio lo stile di disegno merita qualche parola a parte. Fujimoto presenta uno stile particolare e molto caratteristico, impossibile da confondere: grezzo, graffiato, all’apparenza semplice e superficiale, ma molto complesso. Uno stile già presente nel suo Chainsaw man, divenuto famoso anche per questo disegno così particolare, e riproposto in Look Back. Ma lo stile si riconosce anche per l’espressività che sa imprimere ai volti: i sorrisi sono dolci e scaldano il petto del lettore, così come i pianti che vengono raffigurati non solo con le classiche lacrime, ma anche con vere e proprie smorfie che rendono grotteschi i personaggi, e un discorso analogo vale per le altre emozioni, che Fujimoto sa bene come rendere in maniera realistica, quasi straniante, personalmente.

Da sottolineare poi i perfetti intervalli tra scene con battute anche molto serrate, e vignette vuote e senza una parola, quasi contemplative, preparatorie per qualche colpo di scena o per una reazione dei personaggi a qualcosa che è appena successo, e che fanno tenere anche a noi lettori il fiato sospeso, mentre ammiriamo le tavolo del fumettista.

Goodbye, Eri
Tavola “Goodbye, Eri”.

Punto di vista…

Già nella sua premessa Goodbye, Eri potrebbe stranire: una madre gravemente malata chiede al figlio di registrare col cellulare ogni momento fino alla di lei morte. E così fa Yuta, il nostro protagonista, che accumulerà numerosissime ore di filmato che poi monterà in uno strano film per una mostra scolastica. Purtroppo però, il lavoro non verrà apprezzato da nessuno, e Yuta pensa di farla finita, salvo poi incontrare la sola persona che sembra aver visto del buono nel suo lavoro: l’Eri che compare sin dal titolo.

Inizia così la storia del rapporto tra i due adolescenti, che noi lettori vedremo sempre dal punto di vista del cellulare di Yuta, come viene lasciato intendere già dallo stile di disegno e di disposizione delle vignette: sempre strisce orizzontali, alle volte anche sfocate, proprio come se stessimo filmando tenendo in orizzontale il cellulare.

…e punti di vista

Ma tramite le innumerevoli ore di registrazioni dal cellulare noi non conosciamo tutta la realtà, ma solo il punto di vista di chi quelle registrazioni le monta e le riordina, ossia lo stesso Yuta: lui è il regista assoluto, è lui che ha il potere di superare la linea che c’è tra la realtà effettiva e la memoria, il come vogliamo ricordare qualcuno e la persona reale. Yuta ci narra così quello che è il suo punto di vista, filtrato dal cellulare, e diverso tanto da altri punti di vista quanto dall’effettiva realtà.

E in fondo, l’arte in generale non è proprio questo, cioè narrazione di un punto di vista che è sempre personale ed interiore? Forse è proprio questo quello che, tra una citazione e l’altra che i cinefili si divertiranno a cogliere, e gli altri a scoprire, voleva ricordarci Fujimoto.

 

Alberto Albanese

Samuel L. Jackson: 75 anni di grande cinema!

Cinefilo o meno, sicuramente sarà capitato a tutti almeno una volta di vedere Samuel L. Jackson in una delle sue fantastiche interpretazioni! L’attore, con una filmografia che conta più di centoventi pellicole, ha spesso sorpreso il pubblico con i suoi personaggi, divenendo ormai un tassello della storia del cinema contemporaneo. Con l’avvicinarsi del suo settantacinquesimo compleanno non ci resta che guardare indietro e ammirare la sua carriera.

Samuel L. Jackson: dove tutto ebbe inizio

Samuel Leroy Jackson nasce a Washington il 21 dicembre del 1948, vivendo la propria infanzia solo con la madre e i nonni materni, per via dell’alcolismo del padre. Dopo essersi laureato al Morehouse college ad Atlanta, inizia la sua carriera nel cinema. In questi primi anni, oltre a comparire in qualche spot pubblicitario e a lavorare con la Negro Ensemble, una compagnia teatrale di cui ha fatto parte anche Morgan Freeman, ottiene le sue prime parti in alcune note pellicole, quali Il principe cerca moglie di John Landis.

Ezechiele 25:17: la pluridecennale collaborazione con Tarantino

Jackson
Samuel L. Jackson nel ruolo di Jules in Pulp Fiction. Fonte: variety.com

Successivamente alla partecipazione in importanti opere cinematografiche come Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese e Jurassic park di Spielberg, Samuel L. Jackson trova il suo regista del cuore, con il quale lavorerà in moltissime pellicole. Stiamo parlando di Quentin Tarantino! Che si tratti del protagonista o di un personaggio secondario, Quentin sembra trovare sempre spazio per Jackson nelle sue storie. Ad ogni modo, il ruolo che ha reso l’attore così famoso è il personaggio di Jules in Pulp fiction. Il film, uno dei più noti del regista al grande pubblico, racconta le vicende di due gangster, Jules e Vincent, di un pugile e della moglie di un boss della malavita, Mia Wallace: le storie di questi personaggi finiranno per intrecciarsi in un continuo alternarsi di azione, violenza e comicità.

Altre pellicole di Tarantino che hanno visto Jackson nel ruolo del protagonista sono Jackie Brown, dove interpreta Ordell Robbie, un mercante d’armi, e The hateful eight. Samuel L. Jackson riveste anche dei ruoli secondari in Django Unchained e in Kill Bill- volume 2.

Nick Fury nel MCU e Mace Windu in Star wars

Samuel L. Jackson si afferma da subito per la propria bravura come attore e versatilità nell’interpretazione dei personaggi. Jackson riesce a passare da Jules al maestro jedi Mace Windu con una spontaneità inaudita. La trilogia di Star wars a cui l’attore ha preso parte è un prequel nella serie cinematografica: queste sono le ultime tre pellicole della saga ad essere dirette dall’ideatore del franchise George Lucas.

Negli ultimi anni Jackson è entrato a far parte di un nuovo grande universo, il Marvel Cinematic Universe, nei panni del direttore dello S.H.I.E.L.D.  Nick Fury, un temibile ed impavido agente con un occhio solo. Pur non essendogli stato garantito (ancora) un film o uno show da solista, Fury è un personaggio molto presente in diverse pellicole del MCU, specialmente negli Avengers, fino a Endgame, e in Captain Marvel.

Samuel L. Jackson nei panni del maestro Mace Windu in Star Wars. Fonte: movieweb.com

Spike Lee: il riadattamento americano di Oldboy

Da non dimenticare, nella filmografia di Samuel L. Jackson, è anche la collaborazione con il regista afroamericano Spike Lee. L’attore, soprattutto durante la prima parte della sua carriera, ha infatti preso parte a vari film del regista premio Oscar. Fra i tanti ricordiamo Aule turbolente (School Daze), primo musical diretto da un regista afroamericano, Jungle Fever del 1991, e il più recente Oldboy (2013). Quest’ultimo, remake del film di Park Chan-wook uscito nel 2003 e basato sull’omonimo manga Old Boy, vanta un cast del tutto eccezionale con Elizabeth Olsen, Rami Malek e lo stesso Samuel L. Jackson.

Purtroppo per Samuel e per il resto della banda però, il film-remake di Spike Lee non è riuscito a competere con il cult del 2003 elogiato, tra l’altro, dal sopra citato Quentin Tarantino: “il film che avrei voluto fare io”.

L’alienante (e alienato) Oldboy del 2013 è un film profondamente politico, – come del resto tutta la filmografia di Spike Lee, – in cui tutto si svolge in un “nonluogo”. Politico perché la storia del protagonista si presta benissimo alla parabola americana di quel periodo, tra crisi sociale e governativa. Un “nonluogo” poiché lo spettatore, provando a riconoscere l’America tra i protagonisti della pellicola, rimarrà deluso nell’apprendere che questa potrà essere vista solamente in poche e fredde immagini di telegiornale. Difatti, l’America non c’è. E la sua “crisi”, mostrata solo di riflesso, finisce per rendere il film un mero “exploitation”. Un falsario firmato Spike Lee.

Samuel L. Jackson in Oldboy. Fonte: thefilmgordon.com

Jackson: il sodalizio di una grande star di Hollywood

Samuel L. Jackson ha dato tutto il suo talento a Hollywood, e continua a darlo nonostante i suoi quasi 75 anni d’età. Nel 2022 l’Academy Awards lo ha voluto premiare con quello che forse è il premio più prestigioso a cui un attore può aspirare: l’Oscar alla carriera. Si tratta della prima statuetta che l’attore ottiene dall’Academy, che si va ad aggiungere al premio BAFTA come miglior attore non protagonista in Pulp fiction e a tante candidature sfortunata ai Golden Globe e agli Oscar. Non ci resta che augurargli buon compleanno per il 21 dicembre e ringraziarlo per il grande cinema che ci ha regalato!

Ilaria Denaro

Domenico Leonello

Altri 60 di questi, Brad Pitt!

William Bradley Pitt, megli noto come Brad Pitt, nasce a Shawnee (Oklahoma) il 18 Dicembre del 1963 dai coniugi Bill Pitt (dirigente di trasporti) e Jane Etta Hillhouse (consigliere scolastico).

Dopo una brillante carriera da atleta nell’adolescenza, decise di frequentare l’Università del Missouri in giornalismo e grafica pubblicitaria. Abbandonò il mondo universitario a pochi esami dalla laurea per seguire il suo sogno di recitare nei film di Hollywood. Prima di iniziare a recitare ha fatto gavetta lavorando come autista per spogliarelliste in limousine, il trasportatore di frigoriferi e addirittura travestendosi da pollo per promuovere una catena di ristoranti.

Le serie tv come trampolino di lancio

Ad aiutare la sua ascesa nel mondo dello spettacolo sono state principalmente delle parti prese in varie soap opera quali Destini (1987), Dallas (1987), 21 Jump street e Genitori in blue jeans (1987-1989). Raggiunge il successo nel ’91 nel film Thelma e Louise. Al contrario nel 2001 la sua comparsa in Friends (episodio 10 della stagione 8) permise alla serie stessa di sfruttare la popolarità raggiunta dall’attore. Qui Brad interpretò la parte di un ex compagno di liceo di Ross e Rachel (Jennifer Aniston) che ha un conto in sospeso con loro.

Amori, divorzi e Mr. & Mrs. Smith

Le riprese del film Mr. & Mrs. Smith sono iniziate il 21 giugno 2004 e si sono concluse il 15 dicembre 2004. Qui Pitt ha conosciuto l’attrice Angelina Jolie con il quale inizierà una relazione. Questo portò alla fine del matrimonio durato 5 anni tra Pitt e la Aniston. Infatti nel gennaio 2005 i due annunciarono la loro separazione e a dicembre dello stesso anno il divorzio.

Mr. & Mrs. Smith è un film del 2005 diretto da Doug Liman. Brad Pitt e Angelina Jolie interpretano rispettivamente John e Jane Smith. I coniugi Smith sono una coppia in crisi che confessano i loro problemi coniugali all’analista, omettendo però che entrambi sono delle spie che lavorano per agenzie rivali. Entrambi ignorano la doppia vita dell’altro, ma un giorno durante una missione i due coniugi finiscono per identificarsi. Le rispettive organizzazioni gli ordinano allora di eliminarsi a vicenda, ma il conflitto domestico a colpi di pistola non porterà altro che al rinnovato desiderio tra i due.

Il film che ha fatto incontrare e innamorare Angelina Jolie e Brad Pitt, soprannominati i Brangelina, è diventato un cult per essere stato il calcio di inizio della storia d’amore più bella di Hollywood degli ultimi vent’anni il cui finale però è stato drammatico con la separazione nel 2016.

La scena della sparatoria finale ha permesso a entrambi di vincere un MTV Movie Award per il miglior combattimento.

Il curioso caso di Benjamin Button

Il curioso caso di Benjamin Button è un film del 2008 diretto da David Fincher, basato sull’omonimo racconto breve del 1922 di Francis Scott Fitzgerald. La storia inizia nel 1860, anno di nascita del protagonista Benjamin Button. Il bambino nasce con l’aspetto di un anziano, e viene addirittura paragonato ad un ultraottantenne. Il padre Thomas Button, vergognatosi dell’aspetto inquietante del figlio, lo abbandona davanti ad una casa di riposo. Il bambino è, trovato da Queenie e Tizzy Weders che, nonostante siano disorientati dal suo aspetto, decidono di adottarlo. Il piccolo Benjamin, così chiamato dai nuovi genitori, trascorre la sua infanzia intrappolato nel corpo di un uomo anziano. La cosa strana che gli accade è che invece di crescere, più passa il tempo e più Benjamin ringiovanisce; egli è infatti, un uomo fuori dal comune che non riesce ad integrarsi con nessuna generazione.

L’interpretazione di Brad gli è valso il premio per i Critics’ Choice Movie Award e 3 nomination come miglior attore sia per gli Oscar sia per i Golden Globe.

Brad Pitt : Vi presento Joe Black

 

Susan (Claire Forlani) e La Morte (Brad Pitt) in una scena di Vi presento Joe Black. Fonte: Wired

Cosa succederebbe se sapeste tutto della vita e aveste raggiunto ogni soddisfazione dalla vita? Succede che arriva La Morte a voler conoscere il segreto della felicità. Questo è quello che succede a William “Bill” Parrish (interpretato da Anthony Hopkins), un magnate delle comunicazioni che viene avvicinato dalla Morte stessa. Ciò che ha permesso a questa entità di arrivare al mondo terreno è stato mettere fine alla vita di un uomo (interpretato da Brad Pitt) che si era innamorato della figlia di Bill, Susan, impossessandosi del suo corpo. Seppur la storia non lo dia a vedere, la narrazione ha note dolci e romantiche. Il rapporto tra La Morte e Susan che non sa cosa sia l’amore, permette a entrambi di collidere e conoscere un mondo che entrambi non avevano mai provato.

Questo film è valso a Brad una nomination ai Golden Globe e una al Saturn Ward, vincendo solo quest’ultima.

C’era una volta a… Hollywood

In questa ultima pellicola il nostro Brad non interpreta il protagonista, ma il suo migliore amico. Rick Dalton, interpretato da Leonardo Di Caprio, è un attore d’altri tempi e nel 1969 la sua carriera non riesce a decollare. Rick è grande amico del suo stuntman, Cliff Both (recitato dal nostro Brad) e anche lui non riesce a trovare lavoro dopo alcuni atti illeciti e i sospetti su di lui per la morte di sua moglie. In questo film di Quentin Tarantino la chimica tra Di Caprio e Pitt è stata elogiata dalla critica come “una presenza magnetica” quando si trovano insieme. Oltretutto la parte di Pitt riesce ad essere sia un punto di riferimento per il personaggio di Rick Dalton, ma anche l’artefice di alcune sue sventure. Riesce ad essere sia carismatico ma anche misteriosamente inquietante per la questione della moglie defunta. Per alcuni critici è sembrata la migliore interpretazione di Pitt in assoluto data la complessità del personaggio.

Questa interpretazione è valsa al nostro sex symbol il premio Oscar, il Golden Globe, il BAFTA e il Critics Choice Award come miglior attore non protagonista.

Per Brad Pitt i 60 sono i nuovi 20!

In questo articolo vi abbiamo riportato alcuni dei film più di successo dell’attore che hanno segnato la vita e la carriera dell’attore; se ne potrebbe parlare di molti altri, quali Fight Club di David  Fincher o il più recente Babylon di Damien Chazelle. Ora però ci limiteremo ad omaggiare l’attore per i 60 anni che compirà questo 18 Dicembre. Ci auguriamo che anche in questa sua nuova fase della vita sappia stupirci con nuovi ruoli che vadano fuori dagli schemi del suo passato. Tanti auguri Brad!

Salvatore Donato,

Carmen Nicolino

CVLT: l’album di Salmo e Noyz Narcos è “a prova di morte”

 

CVLT
Costruire immagini con parole e musica non è per nulla semplice ma con CVLT i due rapper ci riescono benissimo. – Voto UVM: 4/5

 

Tarantino li invidierebbe e i Club Dogo non riuscirebbero a fare niente di meglio. È davvero questa la presentazione che merita il nuovo lavoro di Salmo e Noyz Narcos?

CVLT è un disco nudo e crudo, ricco di citazioni cinematografiche e produzioni ricercate. Un joint album con un immaginario a cavallo tra l’horror dei b-movie e il pulp-splatter alla Tarantino.

Il fil rouge del disco? Una scia di sangue dall’inizio alla fine!

Il flow crepuscolare di Salmo e Noyz Narcos: uno specchio generazionale

Non mancano di certo gli “esercizi di stile” by lebonwski, che per questo disco indossa anche i panni di producer. Con Luciennn dà vita a CRINGE, seconda traccia dell’album, e a MIRACOLO, di sicuro il pezzo più intimista di CVLT.

“Indosso l’universo, ma mi sta stretto”. (Salmo in MIRACOLO)

Il testo incoraggia ad abbracciare la vulnerabilità e a valorizzare ogni giorno come se fosse l’ultimo, riconoscendo anche le sfide che possono ostacolare il proprio cammino.

E mentre Salmo riflette sulla sua esistenza e sui suoi errori, incoraggiando gli altri a non aver paura di cadere, Noyz Narcos ci ricorda quanto faccia male vivere nel passato e nella bellezza dei ricordi, arrivando addirittura a smettere di pensare al presente.

“Per me sbagliare è un lusso, altroché / Se cado, non rialzarmi, sdraiati fianco a me”. (Salmo in MIRACOLO)

L’amore atipico di CVLT

Sono pochi i featuring dell’album ma di certo tutti meritano almeno un ascolto. A cominciare da quello con Coez e Frah Quintale per MY LOVE SONG 2, sequel di uno dei brani più famosi della discografia di Noyz Narcos. Una ballata cruda che racconta dello stesso amore di cui ci parlava Salmo in Black Widow e Noyz Narcos in My Love Song.

Altro featuring che racconta di un amore atipico è quello con Kid Yugi per la title track. CVLT (prodotto da Sine e Salmo) è un viaggio in macchina tra trombe e atmosfere desertiche messicane, grappa invece che caffè, diamanti rubati, e tanto tanto “gangster love”. A metà tra Gangster Story (Bonnie and Clyde) diretto da Arthur Penn e Dal tramonto all’alba, film di Robert Rodriguez.

“Si, prendi tutti i soldi e scappa via da qui, lontano dai guai / Avere tutto non mi basta, io con lei, come Bonnie e Clyde”. (Salmo in CVLT)

Visivo e cinematografico

Costruire immagini con parole e musica non è per nulla semplice, ma Salmo e Noyz Narcos, con la loro ultima fatica, ci riescono benissimo. Sono tanti gli elementi narrativi che rendono l’album così interessante.

A cominciare dal chiaro omaggio al regista Quentin Tarantino e al suo film, Grindhouse – A prova di morte con il brano GRINDHOUSE che si apre proprio con un dialogo presente all’interno dell’omonimo film:

“Cazzo, fa veramente paura”
“Sì, volevo qualcosa di impressionante. La paura tende a impressionare”
“Ed è sicura?”
“No, è più che sicura, è a prova di morte”

Sono, invece, i Blues Brothers ad aprire NIGHTCRAWLERS, penultima traccia di CVLT, prodotta da Luciennn:

“Abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio, e portiamo tutt’e due gli occhiali da sole”

Visivo e cinematografico anche perché CVLT non è un semplice album. Quello di Salmo e Noyz Narcos è un esperimento che mette insieme due universi: musica e cinema. E non solo per tutti i riferimenti che è possibile trovare all’ascolto, ma perché l’album è anche un cortometraggio!

Scritto e diretto da Dario Argento…

Il corto inizia con un dialogo tra Noyz e Salmo, che si confrontano su come si debba preparare una buona carbonara. Tutto ciò rimanda al cinema di Tarantino (aridaje!), con i suoi ritmi incalzanti e lo stile ricco di dialoghi, a volte anche piuttosto surreali.

Giunti alla villa “psyco” del regista, i protagonisti vengono accolti da un maggiordomo che li conduce in una sala cinematografica. Ed è qui che Noyz Narcos e Salmo vengono brutalmente uccisi, a colpi di David di Donatello e coltellate, su ordine del maestro del cinema horror.

L’atmosfera che avvolge la scena è quella tipica dei film di Dario Argento. Tra giochi di luce e musica inquietante, il cortometraggio ci offre un’esperienza visiva coinvolgente, in cui la realtà sembra essere distorta e alterata: proprio come nel cinema perturbante.

CVLT – A prova di morte

Anche se il disco sembra essere stato scritto (nel senso positivo del termine) sotto effetto di sostanze che nemmeno Johnny Depp e Benicio del Toro in Paura e delirio a Las Vegas, dobbiamo prenderlo per quel che è: un continuo omaggio alla cultura cinematografica e ai film di genere con cui sono cresciuti i due rapper.

Volevano fare qualcosa di impressionante, per citare nuovamente Grindhouse di Tarantino, e ci sono riusciti.

 

Domenico Leonello

Ricordando Godard: il regista che ha influenzato Tarantino

Critico, cineasta e agitatore politico. È così che ricordiamo Jean-Luc Godard morto all’età di 91 anni, in Svizzera, facendo ricorso al suicidio assistito.

Non era malato, era soltanto esausto. (Da una fonte vicina al regista citata da Libération)

Nato a Parigi il 3 dicembre 1930, è stato tra i più significativi autori cinematografici della seconda metà del Novecento. Esponente di rilievo della Nouvelle Vague, dal suo primo lungometraggio, À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro), è diventato un punto di riferimento per molti registi statunitensi della New Hollywood e, più recentemente, per autori come Quentin Tarantino. In particolare, sono stati due i film di Godard che hanno influenzato il regista nella realizzazione del suo cult, Pulp Fiction: Vivre sa vie e Bande à part. Quest’ultimo, una vera e propria esperienza cinefila, ha inoltre ispirato il regista statunitense nel dare il nome alla sua casa di produzione: A Band Apart.

Non va dimenticato nemmeno l’amore sconfinato e l’ammirazione che Bernardo Bertolucci provava nei confronti di Godard. La splendida sequenza del film sopracitato Bande à part girata al Louvre, dove tre ragazzi corrono come forsennati lungo gli immensi spazi del museo verrà ripresa molti anni dopo dal regista italiano nel suo film The Dreamers – I sognatori, dove i protagonisti Eva Green, Louis Garrel e Michael Pitt ripetono la corsa proprio al Louvre identificandosi in Franz, Arthur e Odile, tre giovani spensierati che girano per Parigi con una vecchia SIMCA decappottabile e passano le giornate tra un corso d’inglese e un bistrot dove bere qualcosa e fantasticare sul loro futuro.

E Godard, che girava due o tre film all’anno, era l’autore che ci rappresentava meglio, con la sua severità un po’ calvinista e la sua capacità di tenere il mondo e quel che scorreva intorno nell’incavo delle sue mani. (Il regista italiano Bernardo Bertolucci)

Da grande critico a grande regista

Ma prima di diventare il cineasta che oggi tutti conoscono, Godard fu un grande critico. Risale al 1950 il suo primo articolo sulla Gazette du Cinéma, intitolato Joseph Mankiewicz, a cui seguiranno molte recensioni. La più impegnata è quella su L’altro uomo di Alfred Hitchcock pubblicata per Cahiers du cinéma.

Solo dopo aver abbandonato l’attività di critico cinematografico e dopo una serie di cortometraggi, arriva il suo primo lungometraggio À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro): che diverrà il vessillo della Nouvelle Vague francese. Il film, che è stato girato in sole quattro settimane e con un budget limitato, ottiene il premio Jean Vigo e dà inizio al primo periodo della filmografia godardiana. All’interno di questa sua prima opera sono già presenti quelle “trasgressioni” ai modelli narrativi tradizionali che la Nouvelle Vague utilizzerà per distanziarsi dal cosiddetto “cinema di papà” che per oltre sessant’anni anni Godard attaccò prima come critico e poi come regista: montaggio sconnesso, attori che si rivolgono direttamente al pubblico, sguardi in macchina. Evidente risulta anche la cinefilia di Godard, che cita ossessivamente i film statunitensi di genere degli anni Cinquanta.

Il cinema copia la vita. Sai cosa diceva Jean Renoir? Bisognerebbe dare onorificenze alla gente che fa i plagi.” (Godard durante un’intervista)

 Adieu Godard!

Il regista appartiene anche alla storia della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia dov’è stato più volte premiato. In particolare, nel 1982, ottenendo il Leone d’oro alla carriera. E nel 1983, quando la Giuria internazionale presieduta da Bernardo Bertolucci ha premiato col Leone d’oro il suo Prénom Carmen.

Oggi anche il presidente francese, Emmanuel Macron, ha espresso il suo rammarico per la morte del regista tramite un tweet:

Nel cinema francese, fu come un’apparizione. Poi, ne divenne un maestro. Jean-Luc Godard, il più iconoclasta fra i registi della Nouvelle Vague, aveva inventato un’arte assolutamente moderna, intensamente libera. Perdiamo un tesoro nazionale, uno sguardo da genio.

Addio a Jean-Luc Godard. Per molti un maestro ma anche un padre, un amico, un confidente, un amante, un guardiano dell’anima e del pensiero. Uno dei più grandi rivoluzionari della storia del cinema. Addio, addio e grazie di tutto. Grazie per averci insegnato a vedere il cinema nella realtà!

Ora ho delle idee sulla realtà, mentre quando ho cominciato avevo delle idee sul cinema. Prima vedevo la realtà attraverso il cinema, e oggi vedo il cinema nella realtà. (Da un’intervista del 1964)

Domenico Leonello