Tutto sul Festival di Venezia 2024

Dai blockbuster di Hollywood al grande cinema d’autore: al Festival di Venezia una selezione che spazia dai generi più diversi tra avanguardia e tradizione.

La storica kermesse Veneziana, al Lido dal 28 agosto al 7 settembre, ha appena visto concludersi la sua 81esima edizione.

“La Mostra possiede ancora il potere oracolare di leggere la realtà in atto e captare ciò che arriva domani”

Così il nuovo Presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco ci presenta un festival che nonostante la sua longevità, non dimentica mai di guardare al futuro e alle evoluzioni di un’industria così sensibile all’innovazione.

Questo “viaggio nel tempo” parte proprio dal film di pre-apertura della premiazione. L’Oro di Napoli (1954) restaurato, tripudio di nomi storici della settima arte, porta la firma di Vittorio De Sica. Con questo titolo, è stata inaugurata la sezione Venezia Classici, vinta invece dalla restaurazione di Ecce Bombo di Nanni Moretti.

Mercoledì 28 agosto si è poi tenuta la tradizionale cerimonia di apertura in Sala Grande : la madrina Sveva Alviti assegna il Leone d’Oro alla carriera a Sigourney Weaver e Peter Weir (The Truman Show e L’Attimo Fuggente). Quest’anno la giuria è stata presieduta dall’attrice francese Isabelle Huppert.

Le pellicole Fuori Concorso al Festival di Venezia

Il 28 agosto, Tim Burton (Edward Mani di Forbice, Alice in Wonderland) è tornato col seequel del cult di Halloween per eccellenza: Beetlejuice Beetlejuice (5 settembre 2024, Warner Bros). Cast stellare per una commedia del grottesco adatta a tutta la famiglia: ritornano Michael Keaton, Winona Ryder, Catherine O’Hara, mentre Jenna Ortega, Monica Bellucci e Willem Dafoe si presentano al pubblico con personaggi inediti.

Da sinistra Jenna Ortega, Winona Ryder, Tim Burton, Monica Bellucci, Michael Keaton e Willem Defoe – Beetlejuice Beetlejuice (2024) Tim Burton/Warner Bros.

Riflettori puntati anche sull’accoppiata Ocean dei Pitt-Clooney, che tornano all’azione con un thriller/ action comedy tutto americano: Wolfs – Lupi solitari di Jon Watts (19 settembre, Eagle Pictures), presentato sul tappeto rosso del Lido domenica 1 settembre.

La walk of fame del Festival di Venezia 81: i film In Concorso

Grande affluenza di divinità hollywoodiane: stiamo parlando di Lady Gaga e Joaquin Phoenix, protagonisti del prodotto più atteso di questa stagione cinematografica: Joker: folie à Deux di Todd Philips (2 ottobre, Warner Bros). Pubblico italiano in delirio: fan in fila per giorni di fronte alla Sala Grande per vederli approdare al Lido e sfilare sul red carpet lo scorso 4 settembre.

L’imperdibile Angelina Jolie il 29 agosto ha riportato in vita la regina del bel canto durante i suoi ultimi giorni nella Parigi degli anni ’70. Il biopic Maria (1 gennaio, The Apartment Pictures) diretto da Pablo Larrain e scritto da Steven Knight (Spencer, Peaky Blinders), vede figurare anche il nostro Pierfrancesco Favino.

In corsa per il Leone d’Oro anche Luca Guadagnino all’acme della sua carriera. Queer (Frenesy Film, Fremantle) è un’idea che ha coltivato per ben 35 anni: basata sull’omonimo libro di Burroughs, vede protagonisti  Drew Starkey e un Daniel Craig in odore di nomination all’Oscar.

Festival di Venezia
Pedro Almodòvar vince il Leone d’oro per The Room Next Door – La stanza Accanto (2024) Pedro Almodòvar/Warner Bros.

Leone d’oro per Almodòvar

Premio per il miglior film a La Stanza Accanto, votato all’unanimità e accolto da una standing ovation di 17 minuti. La prima opera in lingua inglese della carriera di Almodóvar che coinvolge due stelle internazionali come Tilda Swinton e Julianne Moore (5 dicembre, Warner Bros) . Basato sul romanzo What are you going through di Sigrid Nunez e presentato alla mostra il 2 settembre, esso ribadisce l’eutanasia come diritto fondamentale di poter scegliere dignitosamente cosa fare della propria vita.

“Il film parla di una donna agonizzante in un mondo agonizzante […] ogni essere umano deve essere libero di scegliere questo momento con dignità: non è un problema politico bensì un problema umano.”

Swinton è Martha, una corrispondente di guerra affetta da un cancro terminale, e Moore è Ingrid, scrittrice di fama che resta al fianco dell’amica fino alla fine. Almodóvar calibra i sentimenti, c’è partecipazione ma non pesante disperazione, i colori accesi sono limitati ai costumi di scena. La sua tendenza barocca si fa da parte per dare un messaggio di umanità e di speranza, d’amore incondizionato basato su generosità e accoglienza.

Leone D’Oro – 81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

I Grandi Premiati:

  • Gran premio della Giuria all’italiana Maura Delpero con Vermiglio (Rai Cinema)
  • Leone d’argento per la miglior regia a Brady Corbet per The Brutalist
  • Coppa Volpi alla miglior attrice per Nicole Kidman in Babygirl e al miglior attore a Vincent Lindon per The Quiet Son
  • Premio Osella alla migliore sceneggiatura per Murilo Hauser e Heitor Loreg con I’m Still Here
  • Premio speciale della giuria a Dea Kulumbegashvili con April
  • Premio Mastroianni al miglior interprete esordiente per Paul Kircher in Leurs Enfants Après Eux

Da Hollywood a Cinecittà

La schiera di cineasti italiani in gara, forse mai come quest’anno,  è stata così varia: Gianni Amelio con Campo di battaglia (5 settembre), Giulia Louise Steigerwalt con Diva Futura e Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza , con Toni Servillo e Elio Germano (10 ottobre), tutte produzioni Rai Cinema.

La pellicola di chiusura della Mostra è stata anch’essa italiana. Pupi Avati chiude le danze con la presentazione di un horror gotico: L’Orto Americano (Minerva Pictures, Rai Cinema), ultima proiezione del 7 settembre.

                                                                                     Carla Fiorentino

Drive-Away Dolls: le tante facce dell’America

Drive-Away Dolls è poco impegnativo, ma al tempo stesso intrattenente. Voto UVM: 4/5

Drive-Away Dolls è un film del 2024 diretto da Ethan Coen, che insieme al fratello Joel, ha vinto a suo tempo ben 4 Oscar. Nel cast spiccano i nomi di attrici emergenti nei ruoli principali, come Margaret Qualley, già presente in lungometraggi più rinomati come Povere creature! e C’era una volta a… Hollywood, Geraldine Viswanathan e Beanie Feldstein, ma anche quelli di personalità più famose al pubblico come Pedro Pascal, Matt Damon e Miley Cyrus, che con i loro personaggi compongono la cornice della trama e legano i pezzi di questa tra loro. La pellicola presenta una comicità surreale e a tratti pungente, dove si trattano non solo temi romantici e erotici, ma anche di spessore sociale.

Fonte: ew.com

Drive-Away Dolls: la trama

L’ambientazione dove si apre il film è la Philadelphia del 1999, dove la comunità queer in America è più in ascesa.

Nella primissima scena vediamo dei loschi individui uccidere un goffo personaggio (Pedro Pascal) e derubarlo di una valigetta, senza che ci vengano forniti ulteriori dettagli. Subito dopo viene presentata una delle due protagoniste: Jamie (Margaret Qualley) è una ragazza dallo spiccato accento texano che ama divertirsi e passare la notte con altre ragazze. Proprio per questo Sukie (Beanie Feldstein), la sua ragazza, la scarica e la caccia dal suo appartamento.

Jamie si ritrova così senza una fissa dimora, ospite dell’altra protagonista Marian (Geraldine Viswanathan), un’altra ragazza omosessuale che però è molto introversa e non ha una relazione da anni. Marian è in procinto di partire per Tallahassee, in Florida, per incontrare la zia e Jamie decide di accompagnarla. Per arrivarci, le due decidono di noleggiare un’auto, incominciando così un viaggio verso il profondo sud degli Stati Uniti, dove la mentalità è molto più conservatrice e tradizionalista.

Contemporaneamente tre criminali, che si dirigono per pura coincidenza a Tallahassee, vanno a ritirare una macchina, la stessa che si trova in mano alle protagoniste, ma che in realtà era destinata ai tre.

Jamie, sempre in cerca di avventure e di posti da visitare lungo la costa orientale, prende il viaggio come una gita, allungando il tragitto che doveva in realtà durare un giorno. Lungo le varie fermate, le due imparano pian piano a conoscersi sempre meglio, con Marian che fa fatica a uscire dal suo guscio. I tre scagnozzi hanno intanto iniziato a cercare la macchina, irrompendo a casa di Sukie che rivela loro l’identità di chi c’è alla guida. La macchina infatti nasconde al suo interno la valigetta della prima scena e un altro carico non ben specificato.

Le esperienze di Ethan Coen e le particolarità nel montaggio

Il regista viene da una carriera costruita fianco a fianco con il fratello Joel, con il quale ha vinto un Oscar nel 1998 per Fargo alla miglior sceneggiatura originale e altre tre statuette nel 2008 per Non è un paese per vecchi all’esordio per miglior film, oltre che per miglior regia e miglior sceneggiatura non originale. La stretta collaborazione che ha caratterizzato i loro film non è però presente in Drive-Away Dolls, dove Ethan Coen collabora con la moglie Tricia Cooke realizzando un film che non rappresenta l’apice della sua carriera, ma che sicuramente ha degli aspetti positivi.

Ethan Coen e la moglie Tricia Cooke al loro primo film insieme. Fonte: ciakmagazine.it

Lungo la pellicola appaiono flashback relativi al passato di Marian, mostrando il suo primo approccio all’omosessualità. Trip allucinogeni ripresi da Il Grande Lebowski spezzano il racconto colpendo lo spettatore, ma riescono ad ottenere un senso solamente verso la fine del film, risultando così un po’ sconnessi. Solamente una storia completa darà senso a queste scene, che sono anch’esse flashback.

L’unicità oltre gli stereotipi

La rappresentazione delle minoranze all’interno dell’opera è sicuramente un aspetto da menzionare, in quanto non sono più rappresentate da personaggi caratterizzati appositamente per quello e che cercano continuamente di emanciparsi, ma sono giustamente rappresentate come una semplice normalità che aiuta tantissimo lo spettatore ad entrarci in empatia.

La moltitudine di esperienze omosessuali che le protagoniste vivono e le varie sfaccettature della complessa e variegata società americana fanno capire come ognuno sia unico nel suo genere e ciò rende il film intrigante fino all’ultima scena, dove Jamie e Marian, dopo aver affrontato delle esperienze uniche che le hanno inevitabilmente legate, hanno capito di sentirsi a proprio agio l’una con l’altra e si dirigono insieme alla zia di Marian, abbiente donna di colore, in Massachusetts, dove il matrimonio tra donne è consentito.

Il film funziona oltre che per la sua velocità anche grazie alla presenza scenica di Margaret Qualley che riesce a rendere Jamie protagonista in ogni situazione. La Universal Pictures, per la distribuzione nei cinema, ha tristemente deciso di portare il film in Italia senza il doppiaggio nella lingua, ma aggiungendo solamente i sottotitoli. Questo però non lo rende un film non alla portata di tutti, anzi è perfetto per farsi quattro risate con gli amici senza momenti di noia totale.

Giuseppe Micari

Dolan e il suo cinema “arcobaleno” per uscire dall’opacità

“Vorrei vivere in un film di Wes Anderson” cantavano, nel lontano 2010, I Cani, progetto musicale indie-pop nato dal cantautore e produttore romano Niccolò Contessa. Ma al giorno d’oggi, forse, e senza rischiare di essere troppo prolissi, alcuni preferirebbero poter dire: “Vorrei vivere in un film di Xavier Dolan. Quest’ultimo, un regista francese classe ‘89, colpevole a soli 26 anni di essersi aggiudicato la Palma D’Oro al Festival di Cannes con Mommy, commettendo così un vero e proprio parricidio estetico.
In quell’occasione, infatti, Dolan non solo si aggiudicò il Premio della giuria in ex-aequo con Adieu au Langage del padre della Nouvelle Vague, Jean-Luc Godard, ma dopo aver vinto il premio, il giovane regista affermò durante una conferenza stampa: “Le opere di Godard non sono film che mi interessano”.

Fu proprio con queste parole che l’enfant prodige del cinema francese iniziò la sua carriera. E ne passerà di tempo fino a quando Dolan farà un film che potrà mettere d’accordo la critica. Con l’uscita di La mia vita con John F. Donovan (2018), sulle pagine del Guardian si scriveva di lui:

“Dolan esplora ancora una volta temi importanti per se stesso e per il suo lavoro, ma senza curarsi troppo di capire se il pubblico troverà il suo film interessante, coinvolgente o almeno coerente”.

Ma quindi perché dovremmo voler vivere dentro un film di Dolan?

Semplicemente perché il suo mondo, contrariamente a quello di Godard, non è mai troppo opaco, con personaggi misteriosi e irrazionali e narrazioni poco comprensibili. Quello di Dolan è un mondo di continue sfocature e messe a fuoco, di primi piani a effetto, di attenzione maniacale su tutti i dettagli anche sui più minuziosi. Un mondo in cui tutto questo fa da contraltare ad una quotidianità quasi cinematografica.
E poi, Dolan viene criticato semplicemente perché nei suoi film ci parla di lui, della sua omosessualità e di come sia difficile viverla ed esprimerla senza sentirsi inadeguati in un mondo, – forse più vicino a Godard che a lui – troppo opaco per comprendere a pieno una tale sincerità.

Si è festeggiata proprio ieri, mercoledì 17 maggio, la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Ed è grave che ancora oggi molte persone LGBTIQ+ siano costrette a subire discriminazioni, abusi e violenze. È proprio in un mondo così, in cui l’omofobia è l’odio dei pochi che non sanno amare, che ognuno sente il bisogno di trovare il proprio “inno d’amore”. E perché non cercarlo proprio nel cinema, in film come il recente Stranizza d’amuri di Giuseppe Fiorello che nel raccontarci un tragico evento accaduto nella Sicilia degli anni ‘80, il delitto di Giarre, è riuscito a farci riflettere sul fatto che, nonostante il tempo trascorso, l’omofobia resta un problema ancora attuale.

Saremmo, forse, tutti più felici?

Cosa significherebbe immedesimarci in personaggi come Laurence Alia, professore universitario di letteratura francese che comunica alla compagna il proprio desiderio di intraprendere un percorso di transizione e diventare donna? E ancora, come ci comporteremmo se fossimo al posto di Frédérique, la compagna di Laurence? Decideremmo anche noi di restare accanto alla persona amata?

Laurence Anyways e il desiderio di una donna…, il film in questione, presentato al Festival di Cannes nel 2012 e che ha fatto ottenere a Dolan proprio la Queer Palm, è solo uno dei tantissimi esempi che potremmo fare guardando la filmografia del regista. E per Dolan forse il cinema sarà un modo per raccontare la sua vita ma di sicuro – e mi rivolgo alla critica – è anche un modo per farci capire che siamo tutti diversi, siamo tutti vittime di tabù e ruoli predefiniti, compreso lui, ma a volte per uscire da un mondo un po’ troppo opaco basta davvero poco.

Domenico Leonello
Caposervizio UniVersoMe

 

*Articolo pubblicato il 18/05/2023 sull’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

Non è colpa nostra: Liberazione Queer+ Messina dice NO alla violenza

Forse Messina non diventerà il paradiso per i diritti LGBTQIA+, ma c’è chi cerca di sdoganare la convinzione che, anche per una città come la nostra, che nulla ha da invidiare alle altre città d’Italia, non si possa arrivare ad un’apertura mentale tale da accettare la natura d’altri.

Ma andiamo per ordine, cercando di spiegare il tutto.

LGBT(QIA+) Chi sono? Liberazione Queer+ Messina , cos’è?

LGBT(QIA+) è un acronimo che sta per L lesbiche, G gay, B bisex, T trans\transgender, Q queer, I intersex, A asessuali.

Una lista lunghissima, direte, ma c’è il + perché sono disposti ad accoglierne altre.

Questa è una lunga storia che possibilmente andremo ad approfondire più-in-là.

©GiuliaGreco, Messina 2020

Liberazione Queer+ Messina è il collettivo messinese che riunisce le soggettività della comunità LGBTQIA+, che lotta contro l’omobitransfobia e per la liberazione sessuale.

Queer è un termine comprensivo di tutte le identità sessuali e di genere “diverse” dalla “norma” della società: non etero, non cis o non binarie, e tutte le persone che per i loro corpi la maggioranza esclude, discrimina o finge non esistano. È una parola “potente” perché nasce come un insulto (in inglese era come dire “frocio”), ma la comunità dei queer se ne è appropriata e ha deciso di usarla per sé.

Se ancora non riuscite a trovare una quadra, tranquilli, è normale, anche io ho avuto un attimo di confusione.

Sono un sacco di parole e sembra tutto molto complicato, ma poi la spiegazione vien da se: Queer è un’ identità liberatoria perché significa tante cose eterogenee che uniscono insieme persone molto diverse tra loro. Come delle sfumature, che sono tantissime, e giusto per inserire due frasi fatte, direi : “Che mondo sarebbe senza sfumature” o ancora “Il mondo è bello perché è vario”.

©GiuliaGreco, Messina 2020

Niente di più semplice, se solo questa visione fosse vista e accettata da tutti.

Durante il Community Talk LGBTQ+, organizzato dal collettivo Liberazione Queer+ Messina ieri pomeriggio presso la sede di CMdB, è emerso che le persone omosessuali, bisessuali, genderfluid e via dicendo esistono da sempre, è solo che ora che stanno cercando una voce e vogliono essere rispettate, non negate, specialmente nella nostra città.

Il problema, in parole povere, è che l’ignoranza (letteralmente “mancanza di conoscenza” ) porta alla violenza.

Riportando le stesse parole utilizzate dal collettivo: “Nella nostra città la violenza omolesbobitransfobica è preoccupantemente diffusa ma ugualmente silenziata: passano sotto silenzio atti di bullismo, aggressioni e minacce, ma anche e soprattutto discriminazioni e stereotipi che avvolgono tutta la nostra quotidianità. Dopo alcuni fatti di victim blaming che ci hanno colpito da vicino, abbiamo deciso che è arrivata l’ora di affrontare la questione.

E l’hanno affrontata eccome, pure piuttosto bene.

©GiuliaGreco, Messina 2020

Dopo il Community Talk infatti, la Libreria- Caffè letterario Colapesce ha ospitato l’AperInchiesta, un evento che si è svolto sotto forma di domande davanti ad un aperitivo.

Ad ogni tavolo, oltre che all’aperitivo, sono stati forniti penna e post-it. Un cartellone appeso al muro diviso in quattro colonne: violenza in famiglia, violenza a scuola\lavoro, discriminazioni e stereotipi, strumenti e proposte di tutela.

In un range di tempo di circa 15 minuti, ogni membro del tavolo, nel caso in cui fosse stato vittima di violenza di una delle caselle, doveva scrivere nel post-it il singolo evento in forma anonima; allo scadere del tempo venivano raccolt i post-it e attaccati al cartellone.

©GiuliaGreco, Messina 2020

Anche se i post-it non sembravano molto stabili, le frasi scritte sopra, al contrario, erano molto forti.

Lo stereotipo è violento

Sei troppo maschio per essere gay

Bisessualità=confusione

Gli strumenti e le proposte di tutela hanno impegnato molti post-it (vedi post-it che si incollano male, ndr), tra queste: “sensibilizzazione al di fuori della comunità per fornire supporto“.

©GiuliaGreco, Messina 2020

Tra i termini infiniti imparati ieri sera, ne ho trovato uno anche per me.

Alleati: eterosessuali cis che sposano la causa e difendono e supportano i loro conoscenti e amici queer, perché perfino loro non sono proprio sicuri che tutti dobbiamo per forza essere etero, bianchi, sposati, riproducibili e ugualmente abili. Se vuoi essere un* buon alleat*, intervieni quando senti commenti omofobi; partecipa alle manifestazioni, ma senza togliere spazio per esprimersi alle persone queer, e difendi il loro diritto di esistere come esiti tu.

Cristina Geraci