Covid: dall’11 febbraio inizia una nuova fase con lo stop all’obbligo di mascherina all’aperto

Da ieri, 11 Febbraio, abolito l’obbligo di mascherine all’aperto e riaperte le discoteche. Questa la prima tappa di un percorso  delineato dal governo che dovrebbe terminare entro la data del 15 giugno prossimo, quando scadrà l’obbligo vaccinale per gli over 50.

Da ieri, 11 febbraio, stop alle mascherine all’aperto, tranne che in caso di assembramento (fonte: triesteallnews.it)

Via le mascherine all’aperto, ma attenzione agli assembramenti

Inizia una nuova fase, che parte proprio dall’abolizione della mascherina all’aperto. Bisognerà, però, sempre portarle con sé e metterle in caso di assembramenti o situazioni dove non sia possibile stare a distanza dalle altre persone.

I dati sulla pandemia sono finalmente confortanti. Sembra che, nonostante le drammatiche cifre raggiunte durante questi mesi, la situazione epidemiologica stia migliorando davvero. Però, per ora, come consigliato dagli esperti è giusto guardare con ottimismo agli attuali miglioramenti, seppur ancora timidi.

Il vaccino è stata la nostra più grande arma contro questo virus e continuerà ad esserlo ancora, infatti si pensa a un richiamo annuale. Il nostro organismo sarebbe pronto a convivere con la malattia, senza che questa, costituisca nella maggior parte dei casi, un pericolo insormontabile. Quindi sarebbe giunto il momento di voltare pagina, seppur con cautela.

«Siamo verso l’uscita ma dobbiamo avere cautela, continuare con i comportamenti prudenti» ha dichiarato il ministro Roberto Speranza.

Questa decisione è carica anche di significato simbolico, testimonia una virata concreta verso la fine delle restrizioni. L’introduzione delle mascherine all’aperto è una misura che era stata deliberata con il decreto del 13 ottobre del 2020, dall’allora premier Giuseppe Conte.

L’obbligo di indossare le mascherine al chiuso, invece, rimarrà ancora fino al 31 marzo, data in cui è stata fissata la fine dello stato di emergenza.

Il testo del provvedimento enuncia:

«Fino al 31 marzo 2022 è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private».

Rimangono, comunque, esenti dall’obbligo: i bambini di età inferiore ai sei anni; le persone con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina, nonché le persone che devono comunicare con un disabile che e non possono fare uso del dispositivo; tutte le persone mentre svolgono attività sportiva.

«Oggi finalmente lanciamo via l’obbligo delle mascherine all’aperto nell’attesa di farlo presto anche al chiuso. Gli ospedali non sono più in affanno per il Covid e si vede una luce all’orizzonte sempre più forte. Torniamo alla vita che abbiamo sempre fatto prima del Covid.».

Bassetti invita all’ottimismo (fonte: profilo Instagram ufficiale di Matteo Bassetti)

Queste le parole del direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti, scritte sui suoi profili social, in merito alla disposizione del governo. Ha pubblicato una foto che lo ritrae come forse non ci saremmo facilmente aspettati: lo si vede, infatti, lanciare in aria proprio una mascherina, accompagnata da altre parole: «Finiamola di pensare alla positività Covid come l’anticamera del patibolo». L’infettivologo ha infatti ricordato ancora una volta il grande aiuto che ci hanno dato i vaccini: «Hanno depotenziato gli effetti gravi di questo virus. Bisogna tornare a uscire a cena, a viaggiare, a divertirsi, a ballare e a pensare al futuro in maniera positiva. Viva la vita!».

 

In Campania l’obbligo resta

Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, è contrario a questa disposizione. Lo ha dichiarato in una diretta, nella stessa giornata di ieri.

Quando si passeggia in una strada commerciale, come si fa a distinguere l’assembramento dal non assembramento? È più semplice indossarla, visto che è obbligatoria sui mezzi di trasporto, nei locali al chiuso e nei negozi. Quindi, è preferibile fare un gesto di prudenza ancora per qualche settimana, saltare un po’ il periodo di Carnevale e mantenerci tranquilli per evitare di far riaccendere il contagio.

De Luca, dunque, ha predisposto un allungamento dell’obbligo delle mascherine all’aperto, di ancora una settimana. La preoccupazione nasce dal fatto che la Campania è la regione con maggiore densità di popolazione e gli assembramenti possono essere molto più frequenti che altrove, rischiando di pregiudicare il miglioramento della situazione.

 

Ripartono le discoteche e si lavora sulle capienze, anche per gli impianti sportivi

L’altra importante novità riguarda le discoteche. A lungo si è discusso sul ritorno in pista e finalmente è arrivato il momento. Ieri, 11 febbraio, insieme alla disposizione sulle mascherine è arrivato il momento della riapertura delle piste da ballo. Dopo numerose lamentele da parte dei proprietari delle discoteche, che hanno risentito più a lungo delle restrizioni, questo fine settimana si torna a ballare.

Ovviamente vi sono delle regole: potrà entrare solo chi è in possesso di green pass rafforzato, quindi chi si è sottoposto a tre dosi di vaccino o chi è guarito dal covid; la mascherina dovrà esser tenuta nelle discoteche al chiuso, ma non vi sarà l’obbligo in pista, mentre si balla. Nelle discoteche all’aperto si potrà tornare senza dispositivi di protezione. Vi sono dei limiti di capienza, non superiore al 75% per le strutture all’aperto e 50% al chiuso.

Si sta lavorando sui limiti di capienza anche per gli impianti sportivi, in collaborazione con la sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali, per attuare un percorso graduale fino alla completa riapertura degli impianti sia all’aperto che al chiuso:

«Si lavora a un primo allargamento, a partire dal primo marzo, che porterà al 75% e al 60% il limite delle capienze rispettivamente all’aperto e al chiuso. Per poi proseguire con le riaperture complete, qualora la situazione epidemiologica continuasse il suo trend di calo.».

(fonte: theworldnews.net)

Super green pass ora illimitato

Diverse le ipotesi riguardo la validità del Super Green Pass. Come suddetto, per ora non è prevista dal governo l’ipotesi di una quarta dose, in accordo secondo quanto sostenuto dagli esperti, che raccomandano, invece, un richiamo annuale per il futuro. La situazione di copertura di chi si è sottoposto alla terza dose è equiparata a quella di coloro che sono guariti dal Covid dopo il completamento del ciclo vaccinale primario.

Il green pass rafforzato, dunque, ora è considerato illimitato.

La copertura delle vaccinazioni ha fatto stabilire che agli studenti nella fascia 12-18 anni, il cui tasso di vaccinazione è intorno all’80%, potrà essere evitata la Dad. Quest’ultima verrà attivata solo per i non vaccinati della scuola secondaria, a partire dal secondo contagio in classe, e, inoltre, la quarantena, in caso di stretto contatto con un positivo, è stata dimezzata da 10 a 5 giorni.

Anche negli altri Paesi europei si sta andando verso le riaperture totali, in alcuni casi in maniera pure più spedita. In Francia, ad esempio, si pensa all’abolizione del green pass tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, come dichiarato dal ministro della salute francese, mentre le mascherine da questo mese sono obbligatorie solo sui mezzi pubblici e nei luoghi in cui non è previsto obbligo Super Green Pass, anche se l’attenzione rimane alta. Gabriel Attal ha dichiarato: «C’è un inizio di miglioramento negli ospedali e ci sono proiezioni che possono farci sperare che entro la fine di marzo o l’inizio di aprile la situazione negli ospedali sarà sufficientemente tranquilla da permetterci di revocare il pass vaccinale».

La discussione in merito rimane aperta in Italia e, secondo le prime valutazioni, la certificazione verde dovrebbe esser usata almeno fino a metà giugno, data in cui è fissata la scadenza dell’obbligo vaccinale.

 

Rita Bonaccurso

Perché ci spaventa dire la parola “addio”

Ascolto consigliato: “Don’t know how to say goodbye” , The Pigeon Detectives

Associamo la parola “addio” a diverse sensazioni ed eventi consequenziali tra loro. Ma non riusciamo a pronunciarla. Mi spiego meglio: noi proviamo il sentimento dell’addio, quella struggente fitta che colpisce stomaco e testa, a volte ci fa scendere la pressione, apre il nostro condotto lacrimale, ma non accettiamo il fatto che stia accadendo che vi sia una separazione, una divisione, e non dirlo non ci fa realizzare l’evento. Di conseguenza somatizzandolo sentiamo la mancanza di qualcosa, ma perché non riusciamo a distaccarcene ammettendolo? Perché è così difficile pronunciare la parola “addio”? Certo, forse questa può risultare un’analisi più lessicale che concettuale, ma è anche vero che altre lingue affrontano le nostre stesse “frustrazioni”:

Come dire “addio”
Come dire “arrivederci”

Dire ad alta voce la parola “addio”, ammettendolo a noi stessi e agli altri è difficile da affrontare. In questi giorni di fine semestre, l’erasmus è incorniciato dentro questa dimensione malinconica e surreale di saluti che sanno bene essere gli ultimi per un bel po’ di tempo. Guardarsi negli occhi con la consapevolezza che l’abitudine di vedersi ogni giorno svanirà, non apre la possibilità all’addio di concretizzarsi.

La paura di dire addio

Il sentimento atavico dell’angoscia ed il vuoto che ci pervade come conseguenze di una separazione, riemergono nel nostro equilibrio quando questo viene sconvolto.

“L’attaccamento” è un concetto usato in psicologia per esprimere l’insieme di comportamenti, pensieri, emozioni orientati alla ricerca della vicinanza, della protezione e del conforto da parte di una figura privilegiata. La teoria dell’attaccamento studia i processi attraverso i quali si costruiscono quei modelli interni da cui dipenderà come ci rapportiamo nei legami intimi, ossia come ci rappresentiamo l’altro, come viviamo noi stessi, le nostre aspettative, le nostre paure. Tali schemi, che si costruiscono nel bambino piccolissimo (tra i 7 e i 15 mesi) agiscono al di là della consapevolezza e organizzano le informazioni relative ai rapporti affettivi, determinando cosa portiamo all’attenzione, che significato diamo agli eventi, che emozioni ci suscitano, che comportamenti adottiamo in risposta. Lo stile di attaccamento rispecchia l’unicità delle aspettative di ciascun individuo riguardo alla disponibilità degli altri per la soddisfazione del bisogno di protezione, vicinanza e condivisione –  sostiene lo psicoterapeuta Giacomo Del Monte

L’attaccamento nel 21esimo secolo è ancora più frequente con una forza minore, quasi distribuito in molte più cose (ci attacchiamo agli oggetti più banali, a pensieri aleatori, a sensazioni che una storia di Instagram ci rievoca riguardandola in archivio – ah, questi maledetti ricordi dei social network!) e per quanto possa sembrare che l’importanza che diamo a ciò che ci è più caro non sia sufficiente, al contrario, siamo bombardati dall’idea di dover mantenere legami ed è questa che ci manda in confusione, senza permettere all’ago della bilancia di fare il suo lavoro. Anche semplicemente pronunciando quelle cinque lettere, la coscienza si orienta obiettivamente verso una soluzione che ritiene giusta per la guarigione. Sì, alla fine perdere l’attaccamento, e quindi affrontare una separazione, è parte di un percorso patologico obbligato, la cui fine si verifica nel momento in cui torniamo ad avere fiducia in noi stessi, ed alla nostra capacità di vivere senza quella presenza nella nostra esistenza.

Una privazione simile l’abbiamo tutti affrontata in questo periodo di isolamento, quanta negatività abbiamo subito dalle circostanze e dai nostri pensieri influenzati da esse?

“Privaci del contatto umano e iniziamo a disintegrarci. Ecco perché l’isolamento è una tortura” ha commentato Robert W. Fuller in un articolo sullo Psycology Today.

Procedendo con una prima analisi del comportamento degli umani contemporanei in questa situazione, si può dire che abbiamo affrontato due diversi “addii”: i primi a inizio quarantena, quando abbiamo sentito di dover salutare la vita che fino al giorno prima procedeva nello stesso modo, rendendoci conto che era ogni singolo giorno ad essere unico per se’; i secondi quando la quarantena è finita, e abbiamo detto addio a quei lombrichi che costretti a stare in pigiama tutto il giorno si dilettavano tra impasti e workout. Quanta mancanza percepiamo di queste versioni di noi stessi? É possibile che riescano a convivere? Abbiamo avuto la possibilità di conoscerci, riscoprirci, ma la conseguenza “produttiva” è stata quella di lasciar andare ciò che doveva andare, e che prima bloccavamo per la paura di ammettere il distacco?

Il cambiamento 

Accettare il cambiamento è il fulcro di questo flusso di coscienza: ammettere a noi stessi che si sta per verificare, e confermarlo con la parola “addio”, spezza le catene che rifiutiamo di toccare. Un addio rappresenta la disintegrazione di un’identità che la nostra psiche ha bisogno di mantenere salda, con la vana presunzione che la strada nuova è meglio non affrontarla se la confort zone della vecchia è ancora agibile. Avete presente quando gli anziani raccontano più volte lo stesso aneddoto, la stessa storia? Cercano di tirare le fila della loro identità che il cambiamento che hanno attraversato, di oltre 70 anni, ha fatto in modo che si perdesse lungo il cammino però, la loro ostinata convinzione che pronunciare ad alta voce quel pensiero lo renda reale, allevia le sofferenze della separazione. La nostra avversione agli addii è un’avversione al cambiamento, unica costante della nostra esistenza.

La liberazione di un addio

Allora perché, a differenza della “meglio gioventù”, non spostiamo la nostra concentrazione su ciò che di diverso ci aspetta, portando con noi il meglio di quel che ci lasciamo alle spalle? Attenzione: non sto sottovalutando l’importanza di dire “addio”, anzi, al contrario, dire “addio” è una cosa seria e ci sono tanti addii per quante esperienze viviamo e proprio perché è così, non va dimenticato che, anche se fa male, è necessario. Dobbiamo sapere cosa lasciamo, da cosa ci separiamo per poterci connettere a qualcosa di nuovo. Se dentro di noi sentiamo che qualcosa è finita e ha avuto modo di far brillare la sua luce, salutarla per sempre non fa di noi persone apatiche o superficiali, penso che faccia di noi persone attente e rispettose dell’esperienza che ci è capitata.

 

E come dice Winnie the Pooh “Quanto sono fortunato ad avere qualcosa che rende difficile dire addio.”

 

 

Giulia Greco

 

Immagine in evidenza: Anselmo Bucci, L’addio

 

In quarantena tutti pazzi per la cucina: perché? Risponde la psicologia

Ammettiamolo: anche noi abbiamo cucinato qualcosa durante la quarantena. Oppure siamo rimasti sorpresi nel vedere che tante persone si sono cimentate nella realizzazione di ricette complesse. Ci hanno provato anche quelli che sapevano solo riscaldare il latte! Ma perché tutti (o quasi) sentono il bisogno di cimentarsi nella cucina durante l’isolamento forzato? La psicologia ci risponde.

 

Partiamo da un presupposto…

Cucinare non è solo una necessità ma anche un rituale che ha una funzione sociale e psicologica. La cucina (soprattutto in Sicilia) è parte integrante dell’identità dei popoli e dei singoli. La condivisione del pasto è un momento di socializzazione, chiedere il piatto preferito dell’altro diventa motivo di conversazione. Addirittura “smascherare” un vegano ci porta a discutere. L’essere umano e il cibo sono legati in maniera indissolubile.

Cucinare ci consente di essere concentrati su un compito specifico, grazie all’ attenzione selettiva. Così ci troviamo focalizzati nel qui” ed ora” (come avviene nella meditazione mindfullness). Escludiamo, cioè, dal nostro campo di coscienza momentaneo tutto il resto. Infatti, le notizie sul numero delle vittime, le previsioni circa la situazione economica, gli ammonimenti dei medici ecc vengono momentaneamente ignorati. Ciò significa che siamo totalmente sommersi nell’ esperienza che stiamo vivendo.

Inoltre, cucinando  si attiva il nostro locus of control interno. Esso è il processo tramite il quale la persona ritiene di poter gestire gli eventi che riguardano la propria vita. Ciò sta ad indicare che, di fronte alla precarietà di questo momento storico, cerchiamo di salvaguardaci. Come? Auto-inducendoci un senso di calma e di prevedibilità tramite la messa in atto del rituale del cucinare.

La “danza dei fornelli” è la versione evoluta della “danza della pioggia”! Gli antichi cercavano di controllare gli eventi soprannaturali con il rito. Noi, invece, tentiamo di gestire le emozioni  negative (ansia, rabbia, frustrazione) legate a questa quarantena imposta (e quindi non controllabile, come la pioggia).

Per cucinare una ricetta dobbiamo “stick to the plan

Ovvero “attenerci al piano” come dice lo chef Gino D’Acampo. Bisogna usare specifici ingredienti, metodi e tempi per ciascun piatto. Seguire un piano già predefinito è uno dei pochi elementi certi in questo periodo e ci aiuta a ridurre l’ansia e a favorire il buon umore. Oltre alla concentrazione, mettiamo in atto processi di pianificazione per tutti i processi da eseguire. A volte può capitare di non avere a disposizione tutti gli ingredienti necessari o di voler apportare delle modifiche alla ricetta. In questi  casi facciamo appello alla flessibilità cognitiva, la quale ci consente di essere creativi e di cambiare le carte in tavola. Per il nostro cervello diventiamo dei piccoli artisti anche quando cambiamo la quantità del sale!

Se cuciniamo da soli creiamo un legame con noi stessi. Cioè? Semplicemente ci percepiamo maggiormente, ci confrontiamo con le nostre abilità e comprendiamo meglio le nostre preferenze. Se, invece, cuciniamo in compagnia rinforziamo i legami con gli altri. Cucinare con una persona cara significa condividerci del tempo, svolgere un lavoro di squadra per la riuscita della ricetta, collaborare per adottare le strategie migliori. Praticamente alleniamo la nostra abilità di team working (una delle varie skills richieste dagli annunci di lavoro). E ancora, cucinare per qualcuno significa prendersene cura. Possiamo preparare un pasto per amore, affetto, vicinanza, per dimostrare che ci siamo e che non siamo passivi nel rapporto.

Cucinare vuol dire impegnarsi concretamente nella trasformazione del prodotto. Sviluppiamo le nostre capacità di tolleranza alla frustrazione (quando la ricetta non riesce come dovrebbe) e l’abilità del pazientare (i risultati non sono immediati). Quando cuciniamo,infatti, siamo sia attori che pubblico. Attori perché interveniamo direttamente nell’ atto e ne siamo protagonisti, pubblico perché osserviamo dall’esterno come si evolve il nostro lavoro.

Cucinare, in questo momento, assume anche una valenza collettiva

Lo facciamo tutti perché ci sentiamo parte di un unico gruppo (quello degli isolati) e funge da collante sociale. Anche se non possiamo vederci fisicamente, siamo tutti legati da questo filo invisibile. Attuare un rituale collettivo (cucinare, cantare dal balcone, condividere i tik tok ecc) ci aiuta a sopravvivere socialmente (sostiene il nostro senso di appartenenza). Condividere le foto delle nostre prelibatezze è un modo per dire che facciamo le stesse cose. Svolgere le stesse attività significa appartenere ad un gruppo e non esserne esclusi, quindi non rimanere da soli. Questi elementi sono centrali per un animale sociale, come l’essere umano.

cervello con alimenti

Le aree cerebrali maggiormente coinvolte mentre cuciniamo

-Corteccia prefrontale dorso laterale (pianificazione, working memory,controllo attenzionale, astrazione, comportamento strategico, flessibilità cognitiva);

-Corteccia prefrontale ventrale (controllo delle risposte emotive e dei processi decisionali);

-Corteccia cingolata anteriore (controllo della motivazione,inibizione di stimoli interferenti);

-Corteccia somatosensoriale (memoria delle informazioni provenienti dai sensi: gusto, olfatto ecc.);

-Sistema limbico (memoria delle emozioni provocate dai sensi).

Che aspetti? Corri a cucinare!

Chiara Fraumeni

Nuove misure e limitazioni a Messina: ordinanza spiegata punto per punto

È con l’ordinanza 144 che il Comune di Messina recepisce le nuove disposizioni nazionali per il contenimento del Covid-19.

Il documento è stato presentato nella diretta dell’altro ieri, 14 marzo, alla presenza degli assessori Dafne Musolino e Alessandra Calafiore.

Questa volta si è trattato di un’integrazione e un perfezionamento di molte delle misure già adottate.

L’obiettivo è infatti di garantire maggiore sicurezza, contenimento della diffusione e per rendere giustizia all’efficacia di una quarantena già estesa fino al 3 maggio.

L’ordinanza spiega dettagliatamente e per punti tutti i settori di interesse. Di seguito le categorie:

facebook.com/delucasindacodimessina/

Spostamenti

Gli spostamenti sono ancora consentiti solo ed esclusivamente per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità. A tal proposito è necessario essere muniti di autocertificazione valida.

I soggetti positivi al virus hanno l’obbligo di non lasciare la propria abitazione.

Posso spostarmi in una seconda casa o in una casa vacanza?

No, non è possibile effettuare questo genere di spostamenti. È anche fatto divieto di trasferimento in comuni diversi da quello di residenza se non per comprovati motivi.

Posso uscire a fare sport in solitaria?

L’ordinanza riporta, al punto e, il divieto assoluto di passeggio e attività fisica in luogo pubblico.

Sono consentite solo le “passeggiate terapeutiche” per i soggetti diversamente abili accompagnati dai familiari.

Eventi sociali e luoghi pubblici

Il documento riporta le misure già adottate in precedenza ribadendo la sospensione assoluta di manifestazioni sportive, spettacoli, eventi in ogni luogo, pubblico o privato.

L’obiettivo è limitare l’assembramento di persone.

Cinema, teatri, sale giochi e scuole di ballo restano chiusi.

Le cerimonie civili e religiose sono sospese, funerali compresi.

Parchi e ville rimarranno chiusi.

Strutture sanitarie

Gli accompagnatori di pazienti al pronto soccorso non possono sostare nelle sale d’attesa.

Sono vietate le visite dei familiari presso qualsiasi struttura ospedaliera.

Alimentari e ristorazione

Si era già appreso della sospensione di servizi di ristorazione (bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) ma ci sono importanti novità.

È stata precisata la possibilità da parte di questi esercizi commerciali di effettuare il servizio di consegna a domicilio, nel rispetto delle norme igieniche.

Tale provvedimento è stato attuato visti i risultati positivi ottenuti nelle aree di maggior contagio, in cui il servizio a domicilio ha limitato di molto la diffusione.

Gli esercizi alimentari dovranno rispettare le seguenti regole:

-apertura dal lunedì al sabato

-con orario di apertura dalle 7 alle 18

Altre attività commerciali

Tornano a riaprire i negozi di elettronica, gli ottici, le ferramente, le cartolerie, le librerie e le lavanderie. Questi devono rimanere aperti solo dalle 8 alle 14.

Rimangono sospese le attività di centri estetici e parrucchieri.

Chiusura domenicale

Sono esclusi dalla chiusura domenicale soltanto le farmacie.

 

Angela Cucinotta

Lo sviluppo cognitivo in quarantena: i videogames

Come ormai sappiamo tutti, l’economia italiana sta affrontando un periodo inaspettato e mai vissuto prima.

Quasi tutte le piccole e grandi industrie sono messe alle corde e cercano una soluzione per uscire anche economicamente da questo tunnel.

Tuttavia, una delle poche economie che tende a non fermarsi, in Italia come nel resto del mondo, è quella legata ai videogiochi.

In Cina, in cui il peggio sembra essere ormai passato, c’è stato un incremento del 39% nel solo mese di febbraio riguardanti i download di app dedicate al mondo dei videogiochi per smartphone e dispositivi portatili. L’app store si è visto aumentare del 62% il traffico da scaricamento per giochi mobile.

La quarantena obbliga tutti a restare in casa ed i videogiochi vengono visti come un ottimo passatempo.

Inoltre, come spiega Ray Chambers, Ambasciatore dell’Oms per la strategia globale“L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo in risalto l’efficace potere terapeutico dei videogiochi in questo periodo”, spiegando che essi, in particolar modo quelli con accesso online, permettono alle persone di distrarsi e di restare a contatto nonostante la quarantena.

#PlayApartTogether è l’hashtag lanciato dall’OMS in collaborazione con le maggiori industrie di giochi.

 

E’ stato riscontrato scientificamente che i videogiochi fanno molto bene al nostro cervello.

I videogiocatori infatti sono in grado di ottimizzare l’utilizzo delle proprie risorse mentali (percezione, attenzione e memoria) per risolvere problemi o prendere decisioni in tempi rapidi.

Questi miglioramenti si hanno in quanto spesso nelle realtà virtuali si è soggetti a dover compiere più azioni nello stesso lasso di tempo o in una rapida successione.

Molti gamers possiedono una capacità elevata nell’identificare rapidamente un singolo oggetto, in un contesto estremamente popolato di fonti di distrazione, e di seguirlo con lo sguardo anche in presenza di elementi visivamente molto simili.

Anche sul piano lavorativo i videogiochi possono portare dei vantaggi, soprattutto in ambiti in cui è richiesto un alto livello di attenzione, una buona coordinazione mano-occhio, un’ottima memoria operativa e processi decisionali accelerati.

A proposito di ciò, due ricerche hanno rivelato che la gran parte dei giovani chirurghi con un passato o presente da giocatori seriali mostrano abilità superiori rispetto ai colleghi che non hanno esperienze virtuali.

I videogiochi sono uno strumento terapeutico per il trattamento di molti disturbi legati alle abilità visive e cognitive.

Uno studio effettuato nel 2010, dimostra che l’attività videoludica può rivelarsi un mezzo molto efficace nel trattamento dell’ambliopia (occhio pigro).

Molti dei pazienti coinvolti in questa sperimentazione sono stati sottoposti ad una terapia a base di action game ad alto tasso di dinamismo, ottenendo benefici eccezionali e raggiungendo, in alcuni casi, il recupero completo delle funzionalità compromesse dalla malattia.

Un altro studio eseguito dall’esperto in psicobiologia, Sandro Franceschini, ha addirittura confermato che i videogiochi possono essere usati efficacemente nel trattamento della dislessia mettendo in risalto come i bambini coinvolti nell’esperimento dimostrassero miglioramenti più importanti rispetto a quelli ottenuti con le metodiche di base.

L’intrattenimento digitale può offrire un importante contributo anche nel limitare il declino mentale causato dall’invecchiamento.

È stato dimostrato che l’attività videoludica può contribuire al mantenimento di flessibilità cognitiva, livello d’attenzione, memoria operativa e ragionamento astratto, andando quindi ad influire positivamente sulla qualità di vita degli anziani.

I giovani giocatori, invece, sono dotati di migliori capacità di concentrazione, buona memoria, analisi e giudizio ragionato. Senza dimenticarci che essendo usati da grande parte dei ragazzi, essi rappresentano un importantissimo fattore di inclusione.

L’altra faccia della medaglia: i Gaming Disorders

Ovviamente tutti questi vantaggi si raggiungono se si gioca responsabilmente e senza esagerare. Se, invece, si passano intere giornate davanti al mondo virtuale, subentrano numerosi svantaggi fino a parlare di Gaming Disorder (dipendenza da videogiochi).

Nonostante ad oggi, vista la situazione causata dal Covid-19, è stato fatto un piccolo passo indietro, l’OMS ha inserito il Gaming Disorder tra i disturbi mentali riconosciuti dall’ente internazionale.

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la dipendenza dal gioco consiste in comportamenti continui e ricorrenti che prendono il sopravvento su altri interessi della vita, in quanto si tende a dare priorità al gioco.

Tutto ciò ovviamente può portare disagi sia in famiglia sia a livello professionale.

L’obiettivo dell’OMS è quello di trovare terapie adeguate per la cura di questa dipendenza. Ovviamente quando si arriva a parlare di ciò, ci si riferisce a casi veramente molto gravi.

In conclusione non si può non dire che collegarsi virtualmente un paio di ore al giorno può rivelarsi un toccasana per chiunque.

In questo periodo così difficile, oltre ai gamers, molti di noi si stanno ritrovando a dissotterrare quella Nintendo o quella Playstation piena di polvere, rivivendo emozioni rinchiuse nei giochi virtuali che preferivamo da bambini.

Roberto Cali’

Bibliografia:

https://www.everyeye.it/articoli/speciale-i-videogiochi-fanno-dannatamente-bene-vostro-cervello-dice-scienza-39847.html

https://www.journalofplay.org/sites/www.journalofplay.org/files/pdf-articles/7-1-article-video-games.pdf

https://www.semanticscholar.org/paper/The-impact-of-video-games-on-training-surgeons-in-Rosser-Lynch/c4fed15b73fc12cb8e71a7f8400568416ff90e07

https://openarchive.ki.se/xmlui/handle/10616/44614

https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.1001135

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0960982213000791

https://icd.who.int/dev11/l-m/en#/http%3a%2f%2fid.who.int%2ficd%2fentity%2f1448597234

Coronavirus, il Sud chiede aiuto e Conte risponde: “entro il 15 aprile 400 milioni per buoni spesa”

Domenica 29 Marzo, stiamo per entrare oramai nella terza settimana di quarantena, quella che doveva essere l’ultima settimana e portarci al 3 Aprile, deadline che, neanche a dirlo, dovrà slittare a data da destinarsi. Purtroppo le misure restrittive varate dal Governo non hanno ancora raccolto i frutti sperati: la curva dei contagi (oltre 92 mila in Italia) e dei morti (superata ieri la triste soglia dei 10 mila), non ne vuole sapere di appiattirsi, ma che – secondo gli esperti – deve ancora raggiungere il suo picco.

In un momento del genere, però, quando l’incertezza e la paura iniziano a prendere il sopravvento, molte famiglie non sanno se temere più un potenziale contagio o le conseguenze di “rimanere a casa” per un periodo prolungato e non poter lavorare. Infatti l’ansia, per molti, è quella di non arrivare a sostenere economicamente questa pandemia già dal prossimo mese.

Coronavirus, la GEOGRAFIA dell'epidemia: il Sud resta ai margini ...

 

Le preoccupazioni maggiori arrivano dal fragile e debole Sud. A tal proposito è intervenuto ieri con un intervista sulle pagine di Repubblica, il Ministro per il Sud e la Coesione sociale Giuseppe Provenzano il  quale ha gridato al rischio della tenuta democratica al Sud. Un allarme circostanziato dalle immagini dei supermercati assaltati in Sicilia e delle persone che perdono la testa perché non possono ritirare 50 euro.

“Ora dobbiamo mettere i soldi nelle tasche degli italiani a cui fin qui non siamo arrivati. Questa è la priorità del decreto di Aprile. […] Liquidità anche per le famiglie, per chi ha perso il lavoro e non ha tutele“. Pensa anche all’estensione del reddito di cittadinanza dicendo: “Per chi ha perso il lavoro dev’esserci una cifra equa rispetto alla cassa integrazione: 1000-1100 euro al mese. In tutti gli altri casi dev’essere un compenso che garantisca la dignità”. Quando invece gli viene chiesto se a Sud è più facile che la criminalità organizzata approfitti dell’emergenza risponde:

Già nella crisi precedente le cosche hanno fornito liquidità che mancava. Tocca alle istituzioni offrire l’alternativa. La tenuta democratica si esercita così. Vale al Sud ma, me lo lasci dire, il discorso riguarda tutta Italia”.

 

Covid-19 Sicilia, ressa al supermercato: “Non volevano pagare ...

Su quest’ultima affermazione si è speculato molto negli ultimi giorni (forse anche più del dovuto), non sottolineando invece un altro dato allarmante che dilania soprattutto il “Mezzogiorno”: secondo l’ultimo rapporto Istat, infatti, sono circa 3,7 milioni gli irregolari in Italia, con quasi l’80% del fenomeno concentrato al Meridione. L’Istituto ha inoltre sottolineato come 200 miliardi del Pil arrivino proprio dall’economia sommersa. Dunque la chiusura dei negozi avrebbe mandato in  crisi una larga fetta di lavoratori in nero ma anche di artigiani e liberi professionisti.

Ieri sera però, in conferenza stampa il premier Conte ha lanciato agli italiani un’ancora di salvezza attraverso Dpcm, con lo stanziamento di 4,3 miliardi del Fondo solidarietà ai Comuni con l’aggiunta di un ulteriore anticipo di 400 milioni per buoni spesa destinati solo alle famiglie più bisognose.

Siamo al lavoro per azzerare la burocrazia, stiamo facendo l’impossibile. Vogliamo mettere tutti i beneficiari della Cassa integrazione di accedervi subito, entro il 15 aprile, e se possibile anche prima”. (Republica)

A tal proposito esulta il sindaco di Napoli Luigi De Magistris per la decisione del governo di anticipare 400 milioni di euro – 6 dei quali destinati al capoluogo partenopeo – «vincolati» all’emissione di buoni spesa, da poter spendere negli esercizi commerciali, così da sostenere materialmente chi ha delle difficoltà e non spegnere il motore dell’economia.

Santoro Mangeruca 

#iorestoacasa: Guida di sopravvivenza pt.5

Il surrealismo della situazione odierna continua a lasciarci in bilico senza certezze su come si evolverà il nostro futuro.

Per sopravvivere all’eccesso di tempo libero già vi abbiamo consigliato serie tv, giochi da tavolo, libri, film e videogiochi.

Oggi diamo uno sguardo verso alcuni titoli di quella che viene considerata la Nona Arte: il fumetto.

Ancora oggi c’è un alone di incomprensione verso una delle forme di intrattenimento che (grazie anche all’esplosione cinematografica correlata) risulta essere tra le più seguite ed usufruite tra quelle a nostra disposizione.

Il mondo del fumetto è più vasto e vario di quanto chiunque di noi possa immaginare (sia esso americano, giapponese, italiano, francese, belga etc…), dando la possibilità di avere letture vicine al nostro modo di essere, o, al nostro modo di pensare su questo o quell’argomento.

Ma, soprattutto, ci dà la possibilità di farci trovare una storia, sia essa fantasiosa o molto prossima alla nostra realtà, che possa (veicolata da personaggi caratterizzati nei più minimi particolari e da disegni che resteranno impressi nella nostra mente) farci riflettere su noi stessi ed emozionarci come mai avremmo creduto possibile.

Eccovi alcuni validissimi esempi del genere, nell’ormai consueto format giorno per giorno.

Lunedì    

Rocky Joe (1968-1973): il manga (fumetto giapponese) sul pugilato più famoso ed importante di sempre, scritto da Asao Takamori e illustrato da Tetsuya Chiba, consta di 13 volumi, editi da Star Comics.

Uno dei quartieri più poveri di Tokyo fa da cornice all’incontro che cambierà per sempre la vita del protagonista Joe, ossia quello con un ormai ex allenatore di box Danpei Tange, che vedrà in lui le potenzialità per diventare un astro nascente della disciplina.

Un viaggio umano fatto di redenzione, tormenti, coraggio, ma soprattutto di scelte che porteranno ad un finale intensissimo che eleva l’opera a capolavoro del genere.

 

Joe Yabuki – Fonte: Stay Nerd

 

Martedì

Monster (1994-2001): il capolavoro massimo del mangaka (fumettista giapponese) per eccellenza, Naoki Urasawa.

Completo in Italia in 9 volumi edito ad opera di Planet Manga.

Un colpo fortissimo sferrato contro tutto il marcio che alberga nella mente degli uomini.

Il dottor Tenma, famosissimo e stimatissimo chirurgo, si troverà ad andare contro gli ordini del suo primario quando preferirà operare un bambino a discapito del sindaco, il quale morirà sotto i ferri per colpa di un altro chirurgo molto meno capace.

Il nostro protagonista verrà conseguentemente sempre più allontanato dalla cerchia dei medici più influenti fino a quando un evento non gli sconvolgerà ulteriormente la vita.

Un’efferata carneficina e la scomparsa del bambino precedentemente salvato da Tenma, porteranno quest’ultimo ad essere il fulcro di tutte le domande che si porrà il lettore e che troveranno man mano risposta in un frenetico susseguirsi di colpi di scena.

 

 

Il dott. Tenma – Fonte: La Valdichiana

 

Mercoledì

Gen di Hiroshima (1973-1974): uno dei masterpiece del fumetto mondiale scritto e disegnato da Keiji Nakazawa.

Completo in Italia in 3 volumi edito ad opera di Hikari Edizioni.

L’autore ci narra le vicende da lui realmente vissute: l’orrore della strage di Hiroshima visto dagli occhi di un bambino, viene trasposto su carta senza alcun tipo di censura o riguardo verso la sensibilità del lettore, ma tende comunque a sensibilizzarlo verso quello che è stato una dei più grandi crimini contro l’umanità della nostra storia.

 

La copertina del primo volume – Fonte: Amazon.it

 

Giovedì

The Killing Joke (1988): Alan Moore ai testi e Brian Bolland ai disegni, creano un’opera senza tempo.

Volume unico edito in Italia ad opera di Rw Lion.

Risulta oltremodo difficile sviluppare una storia in poche pagine, non per Alan Moore che in meno di 70 riesce a descrivere perfettamente il rapporto intricato tra il cavaliere oscuro e la sua nemesi per eccellenza, Joker.

Una narrazione compatta e mai lenta che scorre tra le dita voltando ogni pagina, così come fa il sopraggiungere di una risata dopo una barzelletta.

 

La storica copertina del volume – Fonte: Wikipedia

 

Venerdì

Marvels (1994): Kurt Busiek e Alex Ross innovano il concetto di supereroe.

Volume unico edito in Italia ad opera di Panini Comics.

Tramite il grande schermo abbiamo amato le avventure dei supereroi di casa Marvel, ma il team sopracitato è riuscito a creare un nuovo punto di vista per il genere supereroistico, quello del comune essere umano.

Attraverso il punto di vista del fotografo Phil Sheldon, ci vengono narrate alcune vicende di queste “meraviglie” e di come esse abbiano influenzato la vita del suddetto protagonista, sia nel bene che nel male.

 

La copertina del N. 1 – Fonte: MangaMania

 

Sabato

All Star Superman (2005-2008): Grant Morrison e Frank Quitely creano la storia per eccellenza del supereroe per eccellenza.

Volume unico edito in Italia ad opera di Rw Lion.

L’azzurrone ci ha sempre abituati a grande eroismo con le sue azioni, ed ora che è arrivata la fine per lui, è più eroico di quanto sia mai stato.

Una malattia dovuta all’assorbimento di troppi raggi solari porterà la vita di Superman a un capolinea in breve tempo.

E’ così che decide di mettere a posto tutte le cose lasciate in sospeso attraverso dialoghi  toccanti e profondi tra i quali spicca quello con il suo principale antagonista Lex Luthor, Superman si congeda dal suo compito portato avanti per tutti quegli anni.

 

La copertine del volume – Fonte: RW Edizioni

 

Domenica

We3 (2004): Lo stesso team creativo di All Star Superman crea una graphic novel (romanzo grafico) con una narrazione e un’impostazione delle tavole mai viste prima.

Volume unico edito in Italia ad opera di Rw Lion.

Un cane, un gatto e un coniglio.

Sembra l’inizio di una fiaba, in realtà è un percorso che questi tre poveri animali trasformati in armi dovranno affrontare attraverso la crudeltà dell’uomo e di quanto quest’ultimo non si faccia scrupoli utilizzando qualsiasi mezzo pur di raggiungere il suo scopo.

 

La copertina del volume – Fonte: Amazon.it

 

 

 

Giuseppe Catanzaro

 

 

L’insostenibile fragilità dell’essere

Se per alcuni #andràtuttobene, per altri è già andato tutto male. Il Sars-Cov-2 monopolizza l’attenzione di tutto il mondo, non si parla d’altro perché non si può parlare d’altro, non ci si riesce. E’ entrato nelle nostre vite partendo dall’essere un lontano focolaio in una città cinese all’essere il protagonista della pandemia del ventunesimo secolo. 

Giorgio De Chirico – Piazza d’Italia

Castelli di sabbia

Queste giornate di quarantena rivoluzionano i concetti di tempo, ora dilatato e fin troppo governabile, e di distanza, da un metro l’uno dall’altro al blocco aereo.

Un’evenienza simile non l’avevamo mai vissuta, e nemmeno i nostri genitori. L’esperienza più simile a questa possiamo averla letta al più in qualche libro di fantascienza, vista in un film post-apocalittico, giocata in un videogame.

L’idea di quel mondo,  l’unico che abbiamo potuto vivere fino all’inizio della pandemia, si sgretola come un castello di sabbia sotto i colpi della realtà. Lo avevamo costruito immaginandolo sotto controllo: non potevamo immaginarlo diversamente. 

Lo abbiamo posto sul binario dritto e ad unica direzione del progresso, proiettato al futuro, pieno di cuscinetti che avrebbero attutito le cadute, impedito le situazioni più esasperate. Certo, sapevamo delle guerre ancora in corso, della crisi economica, del riscaldamento globale, delle previsioni negative per il futuro: eravamo più o meno coscienti di queste realtà, lontane, non tangibili, ripetute; erano lì ed in qualche modo avremmo risolto. Ancora niente aveva fatto crollare il nostro castello.

Giorgio De Chirico – Il trovatore

Mani, cuore, polmoni

E’ stata la cosa paradossalmente più naturale a farci scoprire qual è il vero comune denominatore dell’uomo e delle strutture sociali che ha creato: la fragilità.

Il virus ci ricorda che abbiamo un corpo e che dipendiamo da quello. Ce ne dimentichiamo continuamente finché non ci ammaliamo: siamo fatti di carne, di ossa, di liquidi. Per respirare abbiamo bisogno di polmoni, ma non quei polmoni che vediamo nelle immagini, bensì quelli che puoi toccare, che possono riempirsi di ossigeno o toglierci il respiro. Siamo fatti di mani che si toccano, di una bocca ed un naso che possono contagiare mortalmente con un bacio. In un mondo in cui il silenzio è una patologia, sommersi da notizie, drogati di stimoli, diamo per scontato di essere vivi perché c’è un cuore che batte ed un respiro più o meno costante.

Lo senti il movimento dell’aria che entra nel torace? Senti come si muove? Abbiamo bisogno di questo, niente di astratto. Eppure, anche se non ci pensiamo, abbiamo un timer di circa due minuti di vita rimanente, ogni volta che respiriamo si resetta.

Fare i conti con la fragilità dell’essere al mondo non è facile. In realtà non ne facciamo esperienza vera finché non siamo interessati in prima persona. Si tratta, in questo momento, solo di un rapporto molto più vicino, un rapporto obbligato che dobbiamo saper instaurare per rispettare restrizioni da quarantena e saper bilanciare per non impazzire. Un rapporto con l’essere che, parafrasando il titolo del noto romanzo di Milan Kundera, può risultare insostenibile.

Miti da sfatare

Oltre la fragilità individuale stiamo osservando la fragilità collettiva, di tutto quel mondo che credevamo indistruttibile, monolitico; quel mondo che sarebbe cambiato solo per non far cambiare nulla. Eppure le borse crollano, le aziende chiudono, si prevede un periodo di recessione economica globale. Nel frattempo i Governi si muovono scoordinati, impacciati, in maniera asincrona, i contagi aumentano, le vittime pure.

L’Unione Europea non ha saputo mostrarsi compatta contro la pandemia, lusso che non poteva concedersi vista la crisi d’identità che l’attanaglia ormai da qualche anno. Qualora non dovesse riuscire ad essere il cemento tra i vari Paesi, metterebbe a rischio la sua esistenza e la tenuta della democrazia nei singoli Stati. Per quanto possa sembrare al lettore un pensiero già sentito e risentito, ora bisogna coglierne il rischio concreto.

Il Sistema Sanitario Nazionale italiano è l’unico castello di sabbia ad aver dimostrato di poter reagire efficacemente, ma lotta oltre il proprio limite. Da tempo eravamo a conoscenza dell’inadeguatezza delle strutture, della carenza del personale, dei fondi insufficienti; oggi gran parte dei pazienti muoiono senza essere mai entrati in terapia intensiva per mancanza di posti.

Credevamo, forse, che per quanto fosse fragile, questo castello avrebbe continuato a reggere? O forse lo avremmo piacevolmente buttato giù noi in favore di una privatizzazione della sanità?

La fragilità con cui oggi facciamo i conti è quindi sia individuale sia collettiva.

Giorgio De Chirico – Ettore e Andromaca

Be fragile, be strong

Per quanto riguarda la prima fragilità, quella individuale, il periodo di isolamento può essere sfruttato in modo terapeutico. La noia è neurologicamente salutare. Finora abbiamo vissuto sovrastimolati da una moltitudine non fisiologica di input esterni che inducono in noi una condizione nota come hyperarousal (iperveglia). Una quantità di stimoli tale da poterli vivere solo in modo passivo, ai quali non seguono output di rielaborazione, di idee, di creatività. Sapersi fermare è utile a saper camminare, sia in senso letterale sia in senso figurato.

Imparare a stare con se stessi, a sopportare i propri pensieri, le proprie contraddizioni, a rivalutare le proprie scelte: è questo che la solitudine ci offre. Saper stare soli è prerogativa fondamentale del saper stare insieme. Mi rendo conto di quanto questo possa suonare moralistico, ma chi lo scrive lo fa per convincere se stesso ad iniziare a farlo.

La seconda fragilità, quella collettiva, sarà la risultante dei vari lavori interiori che i suoi componenti riusciranno a compiere. Quando il mondo vincerà la pandemia – perché sì, vinceremo – niente sarà più lo stesso. Si tratterà di un vero e proprio dopo guerra: lo scenario economico è catastrofico, quello umano imprevedibile. In base a quanto ed al modo in cui lo Stato e le Organizzazioni Internazionali riusciranno a far fronte a questa crisi post-critica potremo vedere minacciata la tenuta dei Governi.

Con uno sguardo più ottimistico, però, possiamo ipotizzare una straordinaria sincronizzazione emotiva di massa, medicina all’individualismo improduttivo dei tempi moderni.

Potremo riscoprire progetti e sogni comuni. Una sanità che sia pubblica ed efficiente, un’attenzione cruciale all’ambiente, un’economia al passo con il mondo, una politica dai toni adeguati e dai contenuti rilevanti. La nostra fragilità è la chiave di lettura del momento per il futuro. Accettiamola.

Antonio Nuccio

 

#iorestoacasa: Guida di sopravvivenza pt.2

Ormai da diversi giorni ci troviamo in una situazione che nessuno di noi aveva mai vissuto: bloccati in casa dobbiamo intrattenerci in più modi possibili, e noi di UniVersoMe cercheremo di darvi quante più alternative in questo periodo di quarantena.

C’è chi preferisce leggere un buon libro, chi guardarsi un film e chi divorare puntate su puntate di svariate serie tv o rispolverare qualche gioco tavolo.

Ma c’è anche chi preferisce intrattenersi tramite i videogiochi ,sia con un ottimo single player immergendosi in atmosfere dalle più disparate sfumature (fantasy, gotico, steampunk); sia con dei titoli multiplayer per restare in contatto con più amici possibili e passare delle ore in compagnia cercando di dimenticarsi per un po’ il forzato isolamento casalingo.

Ecco alcuni nostri consigli a riguardo, giorno per giorno!

Lunedì

God of War (2018): l’ultima monumentale fatica di Santa Monica Studio è stata reinventare uno dei franchise più importanti di sempre esclusivi di casa Sony.

Impresa non facile dato il più che incerto God of War : Ascension che aveva lasciato ben più di una preoccupazione per il futuro della serie; preoccupazione che è stata totalmente spazzata via con quello che da molti viene ritenuto il capolavoro per eccellenza di questa generazione video ludica tanto da vincere il premio come miglior gioco dell’anno nel 2018 (ps4).

Una narrazione in crescendo e con climax continui, la grafica mozzafiato, l’ambientazione open map viva e pulsante che permea mitologia scandinava da tutti i pori e un gameplay compatto ma mai monotono rendono l’esperienza del giocatore unica e soddisfacente in ogni suo aspetto. Alla fine, avremo l’ansia e la voglia di poter giocare al prossimo capitolo date dai due sbalorditivi e perfettamente calzanti cliffhanger (finali in sospeso).

Kratos e Atreus – Fonte: NerdPlanet

Martedì

Rainbow Six Siege (2015): l’ormai quinquennale titolo di casa Ubisoft non smette mai di sorprendere.

Sparatutto tattico 5vs5 (quasi esclusivamente online), si ritrova ad essere oggi uno dei titoli multiplayer più gettonati in assoluto, grazie al suo alto tasso di competitività, a uno shooting (sistema di sparo) fluido e soprattutto al suo essere un unicum nel mondo degli shooter.

 

Gli operatori di Rainbow in azione – Fonte: Tom’s Hardware

Mercoledì

Sekiro: Shadows Die Twice (2019) : From Software divenuta famosa nel 2011 grazie a Dark Souls, dopo la saga dei suddetti souls e l’ottimo Blooborne, decide di osare e cambiare notevolmente il suo modo di creare un gioco.

Sekiro a differenza degli altri progetti di casa From, prettamente strutturati sul più classico dei giochi di ruolo, è stato concepito come gioco action non più basato su un personaggio totalmente personalizzabile e con struttura parametrica (  parametri intesi come forza, vita, stamina ecc…) bensì su un personaggio predefinito.

Attraverso un gameplay ricco e variegato, l’ambientazione del feudalesimo giapponese condita con la solita vena fantasy che contraddistingue questa software house regala al giocatore una sfida molto impegnativa, ma quanto mai appagante per chi riesce a superare i vari ostacoli che il gioco pone sul suo cammino.

Lupo contro uno dei boss – Fonte: VideoGamer Italia

Giovedì

Call of Duty Modern Warfare (2019): il reboot di uno dei capitoli della serie sparatutto più famosa di sempre fatto ad opera di Activision e Infinity Ward.

Il classico gameplay della serie, dinamico e frenetico condito con la più recente modalità battle royale Warzone, fornisce divertimento costante anche al giocatore più casual.

Soldato degli alleati – Fonte: GameIndustry.it

Venerdì

The Last of Us remastered (2014): Uno dei capisaldi di sempre del videogioco, ad opera di Naughty Dog, originariamente rilasciato per ps3 nel 2013.

Costruita con la più classica delle cornici dell’ apocalisse zombie, la storia di quest’opera riesce a demolire tutti i clichè relativi a questo tipo di contesto per far sublimare i rapporti tra i personaggi e le loro varie caratterizzazioni.

Accompagnano il tutto una grafica di tutto rispetto nonostante sia un gioco della vecchia generazione e un gameplay leggermente statico ma più che funzionale per tutto il corso del gioco.

 

Ellie e Joel – Fonte: Games-EvoSmart

Sabato

Read Dead Redemption 2 (2018): Il gioco che ha cambiato per sempre e in modo radicale il concetto di open world, il tutto creato dalla Rockstar Games.

Dopo l’enorme successo del primo capitolo uscito su ps3 nel 2010 non era facile replicarlo, ma Rockstar Games è riuscita nell’impresa di surclassarlo.

E ci sono riusciti grazie ad un mondo western riprodotto fedelmente in ogni suo aspetto, a personaggi la cui profondità farebbe invidia a quelli di serie tv e film, a un gameplay perfettamente sviluppato in ogni suo aspetto, dalle sparatorie alla caccia e soprattutto a una storia e una narrazione che tengono col fiato sospeso: fino al gran finale che colpisce con veemenza l’emotività del giocatore.

 

Arthur Morgan nel mondo di gioco – Fonte: Want

Domenica

Monster Hunter World (2018): una delle serie di punta della Capcom mancava su console fissa da diversi anni, ed è tornata col botto, migliore di quanto sia mai stata.

Il gameplay più variegato di sempre unito all’imponenza e alla cura nei minimi dettagli dei mostri da cacciare invogliano sempre di più il giocatore a esplorare sia le varie aree di gioco, sia sé stesso per capire al meglio quali strategie e quale equipaggiamento sia più adatto a sé stesso e alla missione da affrontare.

 

I cacciatori contro un mostro – Fonte: Red-Bull

Insomma, con questa puntata della nostra guida abbiamo accontentato anche gli amanti dei videogiochi.

Stay tuned, a breve per le altre parti con le varie forme di intrattenimento!

                                                                                                                                                                                                                                                      Giuseppe Catanzaro

#iorestoacasa: libri e film messinesi da (ri)scoprire

In questi giorni di quarantena in cui siamo costretti a stare distanti, noi di UniVersoMe cerchiamo comunque di starvi un po’ più “vicini”. Tutti hanno dovuto riorganizzare le loro vite, le loro giornate; c’è chi guarda serie tv, chi legge, chi ancora improvvisa palestre in casa. Oggi anche noi abbiamo voluto darvi alcuni consigli e idee per impegnare il vostro tempo nel migliore dei modi.

La particolarità? Abbiamo scelto di dare risalto alle personalità messinesi contemporanee e vi proponiamo quindi libri e film di autori, registi ed attori messinesi. Scopriteli insieme a noi!

Per chi vive sulle tartarughe, Leonardo Mercadante

Nel primo libro che vogliamo consigliarvi, l’autore analizza la curiosità, la capacità di preoccuparci del prossimo, l’empatia propria dell’infanzia. Al centro della storia è appunto un bambino che riflette sul mondo dei grandi, ponendo domande e cercando continuamente risposte. “Se siamo tutti nel mondo, e ogni cosa è sopra qualcos’altro, il mondo dov’è?”.

Fonte: Edizioni Smasher

Ma nel mondo degli adulti non sembra esserci molto spazio per il protagonista e le sue risposte lo portano in un mondo parallelo fantastico. Qui, attraverso metafore e fantasia viene affrontato quello che è in fondo il processo a cui va incontro l’umanità intera: un’umanità che si pone delle domande, si affida a sacerdoti e scienziati e alle loro verità. “[…]Spesso la fiducia è un salto nel buio. Ma dove si trova allora il confine tra pensiero libero e fiducia nell’altro, tra sano individualismo ed egoismo? E quando la fiducia nell’altro diventa invece un delegare le proprie responsabilità per non occuparsene più?”.

Storia di un bambino qualunque dunque, con le sue domande quantomeno attuali, ma anche la storia di tutte le altre persone che vivono in questo pianeta, la mia, la tua, una storia di fiducia e di potere, di autonomia e libertà.

L’autore ha inoltre proposto un’iniziativa: ha deciso di regalare 7 copie del libro a chiunque donasse una quota agli ospedali messinesi per l’emergenza del Coronavirus, sottolineando quanto sia importante cercare tutti di fare il possibile nel nostro piccolo.

Risa, Michele Ainis

In questo periodo di riflessione forzata, Risa sembra fare al caso nostro. E’ un racconto breve, a tratti autobiografico, dal quale il lettore (in particolare il lettore messinese) sarà magneticamente attratto.

Centrale è il tema del viaggio del protagonista Diego, di ritorno a Messina dopo tanti anni passati a dirigere il suo ufficio giudiziario in Pianura Padana. Tornato in città, si troverà dinnanzi un luogo sconosciuto, irreversibilmente cambiato, come cambiati erano i ricordi della gente che lo abitava.

Tramite la lente dei suoi personaggi, l’autore racconterà con espressioni oniriche ed immagini surreali i misteri di Risa, che altro non è che “Messina rigirata all’incontrario; la Messina che c’era e che non c’è più”. Un non luogo, capace di ingoiare persone, interi palazzi e persino i più cari ricordi.

Un libro, o meglio, un’immersione in apnea e ad occhi aperti, per scrutare i misteri di una città annegata nella mente dei suoi abitanti. Una breve lettura, che dura giusto il tempo di riaffiorare in superficie.

Due amici, Spiro Scimone e Franco Sframeli (2002)

Per gli appassionati di teatro, questa pellicola non sarà una sorpresa: Franco Sframeli e Spiro Scimone sono infatti due grandi del palcoscenico messinese, che nel lontano 2002 si sono messi in proprio anche nel mondo del cinema, ottenendo applausi e premi alla Mostra del Cinema di Venezia.

Locandina del film – Fonte: trovacinema.it

Questo particolarissimo film racconta la storia di due siciliani emigrati al nord, in una città qualunque con un grande fabbrica. Nunzio è un operaio dal carattere semplice e ingenuo, che soffre di una fastidiosa e persistente tosse causata dalle polveri industriali. Pino invece è un killer solitario, scostante e chiuso in sé stesso.

Da questo strano duo di personaggi origina un’opera teatraleggiante, dall’atmosfera surreale e dai dialoghi (in dialetto messinese) che tanto ricordano il teatro di Beckett.

Insomma, una chicca che forse in pochi conoscevate, ma da recuperare subito.

La risalita di Colapesce, Giuseppe Staiti

Chiudiamo con due vecchie conoscenze della nostra rubrica. Abbiamo visto come, soprattutto in questo momento, abbiamo bisogno di un po’ di evasione dalla realtà. E il libro del giovane scrittore messinese, già intervistato da noi durante la presentazione, si inserisce perfettamente in questo articolo: tra mito e modernità, Giuseppe dà una nuova chiave di lettura della tradizione.

Se già vi abbiamo suggerito il libro, non possiamo che rinnovare l’invito, anche a chi aveva perso la prima puntata.

«Pupara sono» Per la poesia di Jolanda Insana, Giuseppe Lo Castro e Gianfranco Ferraro

Può mancare un libro di poesie nella nostra lista di consigli?

Ovviamente no, a maggior ragione se della nostra Jolanda e se contiene tantissimo altro materiale inedito, disegni e saggi. Poco tempo fa vi raccontavamo come fossimo venuti a conoscenza dell’eclettica poetessa messinese.

Giulia Greco – Libreria Colapesce, Messina 2020

Siamo certi che Jolanda non si sarebbe fatta prendere dallo sconforto in questi tempi difficili, ma ci avrebbe regalato qualche brano o qualche poesia tragica, ma allo stesso tempo carica di speranza.

Facciamoci coraggio a vicenda, anche se a distanza e nelle nostre case: e, perché no, in compagnia di un buon libro o di un buon film tutti al messinese!

Emanuele Chiara, Cristina Lucà, Salvatore Nucera