Guerra ucraina: le due potenze ai conti con i “proiettili all’uranio impoverito”

La guerra in Ucraina procede e l’Occidente, determinato, protrae i suoi aiuti a Kiev. Il Regno Unito, in particolare, ha deciso per l’invio di un nuovo, letale tipo di equipaggiamento: i proiettili all’uranio impoverito. Vediamo ora le loro caratteristiche, quindi perché possono essere parecchio incisivi e pericolosi, tanto per chi li utilizza quanto per chi ne subisce l’impiego.

Le ambiguità dei proiettili “speciali”

Riporta le informazioni L’Indipendente. Il 20 marzo, durante un’audizione alla Camera dei Lord, la baronessa Annabel Goldie, viceministra della Difesa, ha dichiarato:

Assieme a uno squadrone di carri armati pesanti da combattimento Challenger 2 manderemo anche le relative munizioni, inclusi proiettili perforanti che contengono uranio impoverito poiché altamente efficaci per neutralizzare tank e blindati moderni russi

Un annuncio importante per tutto il mondo, che dal conflitto sovietico è preso in causa. Scioccante per chi conosce la natura di questi mezzi, provocante forse più sgomento che gioia. Perché c’è una cosa che la baronessa ha omesso; cioè che l’impatto delle pallottole genera la diffusione di microparticelle di uranio, sì impoverito, ma diversamente radioattivo, per le persone e le cose circostanti gli spari.

La storia dei proiettili all’uranio impoverito

La storia vede i proiettili all’uranio impoverito protagonisti degli assalti occidentali in Iraq, in Kuwait e nei Balcani. E fu proprio all’epoca dei fatti, nel 2001, che Carla del Ponte, allora procuratrice capo del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, definì “crimine di guerra” l’utilizzo di quegli strumenti.

Invece oggi? Per il motivo succitato, il dibattito internazionale sulla fruizione delle armi all’uranio impoverito è più che mai vivo, e queste munizioni non sono ancora state messe al bando. Solo un ristretto numero di paesi, tra cui il Regno Unito, impiega questi mezzi senza considerare i danni ambientali e fisici che possono generare.

D’altronde, pochi studi riescono efficacemente a dimostrare il legame consequenziale tra proiettili e malattie da essi scaturite; perché pochi studi sono stati condotti in merito e la correlazione non è semplice da dimostrare. Dulcis in fundo: non esistono trattati restrittivi a proposito.

Proiettili. Fonte: PxHere

La notizia incattivisce il Cremlino

Alla luce di quanto scritto, si spiegano le reazioni di Putin e del suo ministro della Difesa Sergei Shoigu alle parole della Goldie. «La Russia sarà costretta a reagire alle forniture occidentali di munizioni all’uranio» ha affermato il Presidente, mentre il membro del governo ha definito oramai «a pochi passi» lo scontro nucleare.

Tutto questo è avvenuto nel momento in cui il Capo del Cremlino e il Presidente cinese Xi Jinping si trovavano a Mosca per un dialogo, bigotto, su “negoziati e piani per la pace”. Un dialogo basato su dodici punti redatti dall’amministrazione di Jinping.

I dodici obiettivi di Xi Jinping

Di seguito elencati i dodici obiettivi, qui concentrati in brevi frasi, contenuti nel piano “per la pace” del Presidente Xi Jinping:

  1. Rispettare la sovranità di tutti i paesi.
  2. Abbandonare la mentalità della guerra fredda.
  3. Cessare le ostilità.
  4. Riprendere i colloqui di pace.
  5. Risolvere la crisi umanitaria.
  6. Protezione dei civili e dei prigionieri di guerra (POW).
  7. Mantenere sicure le centrali nucleari.
  8. Riduzione dei rischi strategici.
  9. Facilitare le esportazioni di grano.
  10. Stop alle sanzioni unilaterali.
  11. Mantenere stabili le catene industriali e di approvvigionamento.
  12. Promuovere la ricostruzione postbellica.

Gabriele Nostro

Tragedia in Ucraina, precipita un elicottero e muore il ministro Monastyrsky

È passato quasi un anno dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, meglio nota anche sul fronte putiniano come “operazione speciale”, (con l’invasione di Kiev , il 24 febbraio 2022). Il suo obiettivo iniziale era quello di proteggere le minoranze russofone del Donbass e della Crimea (regioni contese dal 2014 con l’Ucraina). Ma l’irrefrenabile Putin è andato ormai oltre, nonostante le sanzioni occidentali tentino di frenarne la corsa. Gli ucraini in quest’ultimi mesi sono riusciti a riconquistare circa metà dei territori persi dall’inizio dell’invasione, “ma questo non basta!”.                

I raid russi hanno invaso molte città ucraine, distruggendo la vita di molti innocenti. Le vittime civili dall’inizio “dell’operazione” sono state circa 6.702 (sulla base di una stima dell’Onu) e molti altri sono feriti. Pochi giorni fa un attacco missilistico ha colpito un palazzo nella città di Dnipro, provocando la morte di 29 persone.

Ieri, invece, un elicottero è precipitato nella città di Brovary (nella regione di Kiev), provocando la morte di 18 persone, di cui tre sono bambini. Tra le vittime anche il ministro degli Interni ucraino, Denys Monastyrskyil suo vice Yevhen Yenin e il segretario di Stato del Ministero degli affari interni, Yuriy Lubkovich.

Cosa è accaduto? Le cause sono ancora poco chiare

Nella città di Brovary, un elicottero è caduto nei pressi di un asilo e di un edificio residenziale. Al momento della tragedia, bambini e dipendenti dell’istituto erano all’asilo. Tutti sono stati evacuati ma ci sono vittime!

L’incidente è stato così reso noto dal governatore di Kiev, Oleksiy Kuleba. Secondo i media locali 9 dei morti si trovavano a bordo del velivolo, che apparteneva ai Servizi di emergenza statali ucraini. Gli altri probabilmente erano persone del posto, che come nella ‘normale quotidianità’ accompagnavano i propri figli all’asilo. In ospedale sono stati portati altrettanti feriti, tra cui molti bambini. Secondo la BBC il tempo era buio e nebbioso al momento dell’incidente, alcuni testimoni hanno riferito che prima sembrerebbe esserci stata un’esplosione a bordo e poi “il velivolo ha volteggiato più volte in aria e solo dopo è caduto”.

Una mattina nera” afferma il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky “una terribile tragedia”. Così dichiara al forum economico di Davos

Questo non è un incidente perché è dovuto alla guerra. La guerra ha molte dimensioni non solamente sul campo di battaglia. In guerra non ci sono incidenti, questi sono tutti risultati della guerra. 

Il ministro Monastyrsky aveva 42 anni ed era uno dei membri più attivi del governo ucraino. Informava il pubblico sulle vittime civili dei bombardamenti russi. Uomo chiave dello sforzo bellico per la deputata Maria Mezentseva,“era una persona disponibile, amichevole, patriottica”. Per anni spalla destra del presidente Zelensky  “fin dal primo giorno dall’inizio della sua campagna elettorale”. Il primo ministro ucraino, Denys Shymhal, ritiene che sia stata “una grande perdita per la squadra del governo e per l’intero Stato”.

Il ministro degli interni Monastyrsky e le immagini della tragedia, Fonte: Fanpage

Il Servizio di sicurezza ucraino, insieme alla Polizia nazionale, è stato incaricato per scoprire le circostanze dell’accaduto. Verranno coinvolti specialisti dell’aviazione, le ricerche sui dettagli della tragedia richiederanno però del tempo. Tra le ipotesi dello schianto per ora ci sono:

  1. violazione delle regole di volo;
  2. malfunzionamento tecnico dell’elicottero;
  3. azioni intenzionali per distruggere un veicolo.

Dagli USA arriva il cordoglio del presidente americano Biden. in una nota afferma che “la brutalità della Russia ci convince sempre più ad aiutare gli ucraini”. John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana dichiara che

La difesa anti-aerea rimane una priorità per l’Ucraina. Stiamo cercando di fare avere alle forze di Kiev il più vasto mix possibile di sistemi di difesa anti-aerea, in modo che abbiano opzioni e possano ‘stratificare’, si dice in questo caso.

Anche il ministro degli interni tedesco, Nancy Faeser, ha offerto a Kiev l’aiuto di Berlino nelle indagini sulle cause dell’incidente. Ursula von der Leyen, presidente della commissione europea, attraverso un tweet parla di un “Ucraina devastata dalla guerra. Siamo in lutto con voi”.

I bambini stanno pagando le conseguenze del conflitto

La tragedia di ieri è arrivata nello stesso giorno in cui gli ucraini denunciavano che dall’inizio dell’invasione i russi hanno rapito 14.000 bambini.

Secondo la tesi del consigliere presidenziale per i diritti, Daria Herasymchuk, solo 125 dei bambini scomparsi sono riusciti a “tornare a casa”. Ieri dopo l’ennesima tragedia, il portavoce dell’Unicef per l’Italia, Andrea Iacomini, ha affermato che “l’Onu è profondamente addolorata nell’apprendere dell’incidente”. Aggiungendo che

È davvero un episodio che lascia sgomenti e senza parole. La guerra deve finire, i bambini pagano sempre prezzi troppo alti!

Putin nel frattempo punta ad una “vittoria inevitabile”

Intanto Mosca ha deciso di aumentare le proprie forze armate arrivando a circa 1,5 milioni entro il 2026. La Russia sembra prepararsi per un forte scontro con l’Occidente. In risposta al nono pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea, ha esteso la lista nera dei funzionari europei ai quali è vietato l’ingresso in Russia. Putin ha presentato alla Duma una proposta di legge per cancellare i trattati internazionali del consiglio d’Europa nei confronti della Russia, che nel marzo 2022 è uscita da quest’organizzazione. Dichiarando in uno dei suoi colloqui che per lui:

la vittoria è garantita. Ci sono diverse cose che non sono mai andate via, che sono alla base della nostra vittoria. Sono l’unità e la solidarietà del popolo russo, dalle molteplici etnie. Sono il coraggio e l’eroismo dei nostri soldati impegnati nelle operazioni militari speciali e in prima linea. E naturalmente il lavoro del nostro settore militare e industriale.

Per Putin “la vittoria è inevitabile”, Fonte: Sky TG24

Sergej Lavrov, ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, afferma che “i colloqui con Zelensky per ora sono fuori discussione”. Per il ministro, Zelensky “si è imposto contro qualsiasi negoziato con il governo russo”. Per cercare di rompere la forte coalizione occidentale, sembrerebbe anche che in conferenza stampa abbia parlato dell’Italia, di una “Roma traviata dagli USA”. Si è chiesto come sia stato possibile che proprio l’Italia, con la quale credeva di andare d’accordo, si sia trasferita nel campo dei leader delle azioni e della retorica anti-russa?

Mi piacciono gli italiani, sono molto simili ai Russi. Ai Russi piace il modo di vivere italiano. Non riesco a vederli come gente che costruisce muri e barriere. L’atteggiamento di scontro con la Russia è stato imposto dall’Europa.

Da una parte cerca sicuramente di blandirci, ma dall’altra veniamo presentati come un paese minore che subisce le imposizioni altrui. Non sono di certo queste dichiarazioni plausibili, come non è accettabile che ancora si possa parlare di questa guerra! Bisognerebbe porre una fine!

Marta Ferrato

Guerra in Ucraina: Nato intransigente sulle annessioni della Russia e le minacce nucleari di Putin

Il conflitto Russia-Ucraina iniziato 7 mesi fa con l’invasione russa del territorio ucraino non intravede al momento una fine, bensì una coltre densa di minacce nucleari e incessanti attacchi incombono sul Paese che continua la sua controffensiva nel nord-est, cercando di riprendersi altri territori occupati dalla Russia. Quest’ultima venerdì scorso ha annunciato l’annessione tramite referendum di quattro regioni ucraine, gesto che la comunità internazionale non ha esitato nel definire illegittimo e assurdo.

Ciononostante, nelle ultime 48 ore le forze ucraine hanno guadagnato terreno significativo nel nord-est dell’Ucraina, intorno a Lyman, e nella regione di Kherson, a sud. Questo significa che la Russia non ha più il pieno controllo di nessuna delle quattro regioni dell’Ucraina che affermava di aver annesso la scorsa settimana.

Referendum annessione. Fonte: Euronews

La condanna dei “referendum farsa”

Lunedì 3 ottobre il Parlamento russo, la Duma, ha ratificato l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina nelle quali si sono svolti quelli che la comunità internazionale ha definito ”referendum farsa”. Lo ha annunciato il presidente della camera bassa del Parlamento russo Vyacheslav Volodin. Le regioni in questione sono Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, che insieme rappresentano circa il 18 per cento del totale del territorio ucraino.

Di fronte ad un simile risvolto, i capi di Stato di nove Paesi europei membri della Nato (Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Romania e Slovacchia) hanno fermamente sostenuto che non riconosceranno l’assorbimento delle quattro regioni da parte della Russia. Nella stessa dichiarazione congiunta sostengono poi il percorso verso l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica e invitano tutti i 30 Paesi membri a intensificare gli aiuti militari a Kiev, esprimendo così piena solidarietà all’Ucraina:

“Ribadiamo il nostro sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina e non riconosciamo e non riconosceremo mai i tentativi della Russia di annettere il territorio ucraino”, si legge nella nota congiunta.

Il segretario generale NATO, Stoltenberg. Fonte: Agenzia Nova

A chiarire ulteriormente le posizioni intransigenti della Nato le parole del segretario generale, Jens Stoltenberg, durante una conferenza a Bruxelles:

“Le regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia sono ucraine, così come lo è la Crimea”, ha detto.

“Putin è il principale responsabile di questa guerra e il principale attore che deve fermare il conflitto. Se la Russia fermerà il conflitto, ci sarà la pace, se l’Ucraina si arrenderà, smetterà di esistere come una nazione indipendente”, sottolineando che “la Nato non è in guerra con la Russia, il nostro obiettivo adesso è continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo, per metterla in condizione di difendersi dall’aggressione della Russia”.

Putin minaccia sul nucleare

“Il popolo ha fatto una scelta netta. Ora i loro abitanti diventano nostri cittadini per sempre”, ha esordito Putin al termine dei referendum. Il non riconoscimento del risultato dei referendum, e delle conseguenti annessione, da parte della comunità internazionale potrebbe aumentare il rischio di utilizzo di armi nucleari: quella del presidente Putin è infatti una retorica tanto ripetitiva quanto pericolosa e imprudente. Un qualsiasi uso di armi nucleari avrebbe conseguenze gravi per la Russia e cambierebbe la natura del conflitto, come fatto esplicitamente sapere dal segretario generale della Nato Stoltenberg, nel corso di un’intervista al programma “Meet the press” su Nbc.

Il messaggio che la Nato e gli Alleati della Nato mandano alla Russia è atto a far capire che, nonostante l’organizzazione non faccia parte del conflitto, una guerra nucleare non può essere vinta e mai deve essere combattuta; anche perché l’Ucraina – in quanto nazione indipendente e sovrana in Europa – ha pienamente diritto di difendersi da un’aggressione di guerra. Pertanto, sarebbe impensabile assecondare le minacce di Vladimir Putin sull’impiego di testate atomiche tattiche per proteggere i nuovi confini autoproclamati per mezzo di annessioni stabilite a tavolino.

Numeri da paura nei bilanci di vittime

Dopo aver riconquistato nel fine settimana Lyman, città chiave dell’Ucraina orientale, le forze ucraine hanno continuato la loro controffensiva spingendosi fino alla regione di Luhansk.
Divisioni russe nella regione settentrionale di Kherson e sul fronte di Lyman erano in gran parte composti da unità che erano state considerate tra le principali forze di combattimento convenzionali della Russia prima della guerra, come riportato in precedenza dall’Istituto per lo studio della guerra. Dunque, il fatto che l’esercito russo abbia riconosciuto che le forze di Kiev hanno sfondato le linee di difesa nella regione di Kherson rappresenta la loro più grande svolta nella regione dall’inizio della guerra. Una mappa del Financial Times evidenzia i progressi delle truppe ucraine.

Ma qualche recente successo delle truppe ucraine non basta per chiudere un occhio su un bilancio di vittime, feriti e sfollati che continua a crescere di settimana in settimana: dal 24 febbraio si contavano già ad agosto almeno 5 mila civili uccisi, di cui più di 300 minori e circa 6,6 milioni di rifugiati.

Strage di civili. Fonte: Il Mattino

Sarà un inverno difficile per l’Europa

Lunedì, una settimana dopo le esplosioni e la rottura del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico (causate da almeno due esplosioni con centinaia di chili di esplosivo, secondo i governi di Danimarca e Svezia), la guardia costiera svedese ha dichiarato che la fuoriuscita di gas dal Nord Stream 1 si è interrotta, mentre il gas continua a fuoriuscire in parte dal Nord Stream 2, con il metano che sale in superficie. La multinazionale russa Gazprom ha tuttavia affermato che i flussi di gas potrebbero essere presto ripresi nel filone B del gasdotto Nord Stream 2.

Sabotaggio gasdotto NordStream. Fonte: TGCom24

Ma non basta chiudere una voragine per risolverne un’altra altrettanto seria: secondo David Petraeus, ex direttore della CIA, l’Europa avrà un inverno difficile perché ci saranno pochissimi flussi di gas naturale. Ma ciononostante lo supererà, anche perché il generale statunitense non crede che sulle questioni del sostegno all’Ucraina si creerà una divisione tale da causare scontri interni: la coesione europea è cruciale più che mai.
Intanto Zelensky ha affermato che eventuali negoziati ci saranno solamente in una fase finale, mentre un imminente risultato diplomatico è alquanto improbabile, dal momento che lo stesso presidente ha comunicato venerdì che l’Ucraina avrebbe accettato colloqui di pace solo “con un altro presidente della Russia“. E per ora Putin, nonostante le recenti proteste contro la mobilitazione, risulta essere ben saldo al potere.

Verso la cronicizzazione del conflitto

Il conflitto in Ucraina è solo la punta dell’iceberg in un mare più ampio in cui Stati Uniti e Russia si confrontano per ragioni strategiche vitali: per Washington si tratta di mantenere l’Europa nella sua sfera di influenza a tutti i costi, usando la crisi per recidere quanti più legami economici possibili tra i paesi dell’UE e il suo rivale russo; nel caso di Mosca, i combattimenti alle sue porte si stanno estendendo sempre più verso est da quando, da oltre vent’anni, la NATO minaccia in un modo o nell’altro di inghiottire l’Ucraina.

Tutto ciò indica non la fine imminente del conflitto, bensì una sua cronicizzazione, probabilmente ben oltre il prossimo inverno del 2022-2023. E anche se la mediazione della Turchia potesse portare ad un ormai improbabile cessate il fuoco, si concretizzerebbe piuttosto, nella migliore delle ipotesi, in una fragile tregua, vale a dire senza la firma di una pace veramente duratura.

Gaia Cautela

 

Russia in “default tecnico”: il Paese non potrà pagare le sue obbligazioni, ma non per una mancanza di soldi

La Russia è in default, da oggi, lunedì 27 giugno. Uno schiaffo morale al Paese e il suo leader, Vladimir Putin, ma, stando alle parole degli esperti, si tratta di un fatto simbolico, più che di un vero e proprio problema, almeno per ora. È stato, per questo, definito “default tecnico”.

La Banca Centrale russa a Mosca (fonte: ANSA)

I precedenti

Un altro avvenimento analogo, nella storia della Russia, si è verificò nel 1918, per la prima volta, quando il governo sovietico si rifiutò di ripagare le somme accumulate dagli zar.

Un altro default, ma interno, si registrò nel 1998, quando il rublo andò in crisi e la Federazione russa dovette dichiararsi inadempiente verso il debito interno. All’epoca, annunciò una moratoria sul rimborso del debito contratto con gli investitori esteri.

Quello attuale era stato annunciato già ieri sera, domenica 26 giugno, in corrispondenza della fine dei 30 giorni scattati il 27 maggio, un “periodo di grazia”, entro cui la Russia avrebbe dovuto pagare due bond. Alcuni avvocati sostengono, però, che il Paese abbia tempo fino alla fine del giorno lavorativo successivo, quindi fino a stasera, per pagare.

Il suddetto mancato pagamento corrisponde a 100 milioni di dollari di interessi sulle due obbligazioni – una in dollari e l’altra in euro – in scadenza nel 2026 e nel 2036, i due bond di cui sopra. Sostanzialmente, la Russia risulta inadempiente nei confronti dei suoi creditori e degli investitori che detengono le sue obbligazioni internazionali.

 

 

Mosca sostiene di aver già i pagamenti per cui è stata dichiarata inadempiente

Il Cremlino ha rilasciato dichiarazioni che preannunciano una probabile complicazione di tale situazione:

«Le accuse di default della Russia sono illegittime, il pagamento in valuta estera è stato effettuato a maggio».

Il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, negli scorsi giorni si era già espresso in merito: «Chiunque può dichiarare quello che vuole e può provare ad attaccare alla Russia qualsiasi etichetta. Ma chiunque capisca la situazione sa che non si tratta in alcun modo di un default».

Dunque, la Russia nega l’inadempienza nei pagamenti per cui è stato dichiarato il default. Prima, però, bisogna chiarire le modalità in cui questo è scattato: il default tecnico non è dovuto alla mancanza di denaro da parte del debitore (la Russia), ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori internazionali.

Mosca sostiene di aver sempre effettuato tutti i pagamenti a cui doveva adempiere, anche se, negli ultimi tempi, in rubli anziché nelle valute previste dai contratti, proprio per l’impossibilità di farlo. Da qui a fine anno, sui circa 40 miliardi di titoli denominati in valuta estera, circa 1 o 2 miliardi di dollari di pagamenti.

I mercati non hanno ancora ricevuto alcuna dichiarazione ufficiale, sulla nuova condizione per la potenza russa, ma, non avendo gli investitori esteri ricevuto le somme spettanti entro la scadenza prestabilita, il default è comunque scattato, appunto, tecnicamente.

Ma a chi compete decretare ufficialmente il fallimento di un qualsiasi Stato sovrano? Di solito sono le agenzie di rating maggiori. Il caso russo è unico nel suo genere, poiché le agenzie sono state impossibilitate a intrattenere rapporti con il Paese, per via delle sanzioni impostegli per aver scatenato il conflitto con l’Ucraina.

 

Un default “artificiale”, architettato dall’Occidente

Prima di arrivare a tal punto, era stato proposto alla Russia di emettere debito nominato in dollari, ma essa si rifiutò. Proprio la decisione degli Stati Uniti, di non rinnovare, successivamente alla suddetta proposta, la “licenza speciale” per cui, fino alla fine di maggio e nonostante le sanzioni già applicate, era concesso alla Russia di continuare come sempre a pagare le obbligazioni verso gli investitori americani, è stato determinante per la dichiarazione di default.

La Russia si era difesa con l’utilizzo di conti correnti doppi e la richiesta di pagamenti in rubli, per i titoli di Stato. In ogni caso, il Paese sostiene, non essendovi una reale impossibilità a procedere come finora ai pagamenti, per la gran disponibilità di denaro che comunque affluisce nelle sue casse, che questo sia un default “artificiale”, architettato dall’Occidente e legato alle sanzioni da esso imposte.

Essendo uno scenario mai verificatosi prima, quantomeno non nelle stesse modalità, ancora non si sa cosa possa accadere dopo, quali possano essere i risvolti per l’economia russa.

Potrebbe accadere che gli obbligazionisti verso cui Mosca è inadempiente potrebbero unirsi e formulare una dichiarazione congiunta oppure, al contrario, attendere per monitorare l’evoluzione del conflitto in Ucraina.

Attualmente il Paese non può, inoltre, chiedere dei prestiti internazionali. Però, pare non ne abbia bisogno, considerati i ricchi introiti per il gas e il petrolio. Si può prendere ad esempio che il Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita, “Crea”, stima che la Russia abbia ricavato 70 miliardi di euro dalla vendita di petrolio e gas, soltanto nei primi 100 giorni dall’inizio della guerra

Comunque, non si hanno certezze su ciò che accadrà, la situazione risulta senza precedenti sin dalle sue premesse anomale: il default russo, infatti, comporterebbe l’esclusione per il Paese dai mercati finanziari in seguito alla perdita di fiducia per i mancati pagamenti, ma la Russia, di fatto, è già stata tagliata fuori dai rapporti con i Paesi occidentali per gli effetti delle sanzioni per la guerra.

Alcuni, sostengono che si debba attendere che un tribunale si esprima ufficialmente, su richiesta degli investitori, visto che nessun’altra dichiarazione, neanche dalle agenzie internazionali di rating, è arrivata.

 

Rita Bonaccurso

 

 

Vladimir Putin e l’infondato paragone con lo zar Pietro il Grande

Lo scorso giovedì si è tenuta a Mosca l’inaugurazione di una mostra dedicata allo Zar Pietro I in occasione dei 350 anni dalla sua nascita. Il Presidente russo Vladimir Putin ha partecipato, esprimendosi in merito alla figura di Pietro detto “il Grande”. Nelle sue dichiarazioni però trova spazio un paragone storico. Un rimando alla situazione politica di tre secoli fa al fine di “giustificare” l’operazione militare in Ucraina:

«Pietro il Grande ha guidato la Grande guerra del Nord per 21 anni. Poteva sembrare che fosse in guerra con la Svezia, che le stesse togliendo qualcosa. Ma non le stava togliendo nulla. Stava riprendendo il controllo. Quando fondò la nuova capitale, nessuno dei paesi europei riconobbe quel territorio come appartenente alla Russia. Tutti lo consideravano svedese. Ma gli slavi avevano vissuto da sempre lì insieme ai popoli ugro-finnici. […] Lui stava solo riconquistando quelle terre e rafforzando il potere. Ora tocca anche a noi riconquistare e rafforzarci».

Questo parallelismo, forte ma per larga parte infondato, non è altro che l’ennesimo tentativo di propaganda russa atto a far credere che esista un motivo storico e culturale dietro l’aggressione senza scrupoli nei confronti dell’Ucraina.

Vladimir Putin alla mostra in onore di Pietro I. Fonte: lastampa.it

Propaganda russa: dalla denazificazione al “rebranding”

Di operazioni propagandistiche di questo tipo ne si possono notare molte dall’inizio del conflitto. La linea comunicativa che lega tutto è evitare in qualsiasi modo di parlare di guerra. Per attenersi a ciò sono stati utilizzati diversi espedienti divulgativi da parte degli esperti di comunicazione vicini a Putin. La cosiddetta operazione di “denazificazione” dell’Ucraina è l’esempio più eclatante. In merito a ciò si è espresso nei giorni scorsi l’arcivescovo di Kiev che ha dichiarato:

«Oggi l’obiettivo della Russia in Ucraina è la cosiddetta ”denazificazione”. In realtà, invece, si tratta del genocidio del popolo ucraino apertamente dichiarato in concrete istruzioni. Oggi mi appello a tutti gli intellettuali del mondo di non tacere».

Tuttavia, nell’ultimo periodo, sembra che qualcosa stia cambiando. Ne ha parlato l’ex speechwriter di Putin, Abbas Gallyamov, esponendo la teoria del “rebranding” del conflitto. Secondo Abbas, infatti, in un momento di «stallo politico e militare» la propaganda sta mutando. A Mosca vi è infatti una quasi totale cancellazione dei rimandi allo scontro mentre, nei territori ucraini conquistati, l’intenzione sarebbe quella di instaurare un senso di attaccamento alla Russia. Esemplare in tal senso quanto accaduto a Mariupol, dove la scritta monumentale all’ingresso della città è stata ridipinta con i colori della bandiera russa.

Il monumento ridipinto. Fonte: espansionetv.it

Perché il paragone con Pietro il Grande non ha fondamento

Basterebbe informarsi sulla figura di Pietro I per capire a pieno quanto sia del tutto imparagonabile a Vladimir Putin. Lo zar, infatti, sin dai suoi primi passi da capo dell’Impero russo si distinse dai suoi predecessori per una caratteristica in particolare: l’attenzione nei confronti dell’Occidente. Molti furono i viaggi e le avventure di Pietro in Europa. Spinto dal fascino che provava nei confronti di una civiltà tanto diversa dalla sua, egli cercò di assorbire quanto osservato, al fine di attuare una profonda rivoluzione una volta rientrato in Russia. Non è stato casuale infatti che l’impero zarista, sotto la guida di Pietro I, andò in contro ad un profondo cambiamento in merito alla cultura e ai costumi.

Pietro il Grande. Fonte: biografieonline.it

Infine per ciò che riguarda le operazioni belliche di Pietro il Grande, in particolare la conquista della Svezia, non possiamo non considerare il contesto storico in cui egli viveva. L’errore che spesso viene commesso da chi (come in questo caso Putin) si rifà al passato per giustificare le proprie scelte è appunto la decontestualizzazione. Nel narrare le gesta dei grandi conquistatori della storia ci si deve sempre interrogare sulle circostanze entro le quali tali gesta venivano compiute. Nel caso specifico dell’annessione della Svezia da parte di Pietro I non possiamo non considerare che egli divenne zar nel 1682 e che operò a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, un periodo caratterizzato dalla grande ascesa di alcuni imperi, come quello zarista; un periodo in cui la forma di governo democratica come la conosciamo oggi non esisteva.

Se è quindi vero che spesso guardare alla storia aiuta, bisogna sempre ricordare che la ciclicità di essa non è una scienza esatta e che isolare una figura dallo scenario storico è uno degli errori più grandi che si possa commettere.

Francesco Pullella

 

 

Il Donbass dipende da Severodonesk: la città si divide a metà tra i combattimenti

La guerra in Ucraina ha ormai superato i cento giorni: soprattutto durante gli ultimi si sono verificati diversi eventi chiave per le sorti del conflitto, da cui lo Stato aggredito non sembra poterne uscire facilmente illeso. Infatti, durante gli ultimi giorni di maggio, l’esercito russo si è impegnato a completare la propria avanzata sulla regione del Donbass, entrando a Severodonetsk, città ucraina che oggi è rimasta l’ultimo grosso centro nella regione orientale di Luhansk.

Il Donbass al centro della seconda fase del conflitto

La conquista di Severodonetsk comporterebbe un importante vantaggio militare per la Russia, che potrebbe chiudere la cosiddetta “seconda fase” del conflitto per concentrare le proprie forze sulla conquista di altre regioni orientali dell’Ucraina, come Kramatorsk e Slovyansk. Inoltre, sarebbe già una prima vittoria da presentare al pubblico russo, in attesa di risultati da più di cento giorni. Secondo la rivista online Formiche, quanto ottenuto dall’esercito russo sarebbe dovuto ad una diversa gestione dello strumento militare russo, grazie alla quale «in queste ultime settimane il centro di gravità delle operazioni nel Donbass è rappresentato non solo dalla conquista della regione in senso stretto, quanto piuttosto dalla cattura, eliminazione o accerchiamento del dispositivo militare ucraino impiegato nella regione».

Mil.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons – Il generale russo Aleksandr Dvornikov

Sempre secondo la rivista, l’eliminazione delle forze ucraine dispiegate nel Donbass lascerebbe Kyiv senza le proprie unità migliori ed avrebbe delle ripercussioni sul morale dell’esercito ucraino.

Severodonesk resiste

In sostanza – continua Formiche –  la difesa di Severodonesk e Lysychansk risulta cruciale per l’Ucraina. Ed infatti, la città del Luhansk si trova adesso divisa a metà, con una controffensiva ucraina che è riuscita, dapprima, a recuperare il 70% della città, per poi ritrarsi fino al 50%. Secondo il governatore della regione, Serhiy Gaidai, nei prossimi cinque giorni ci potrebbero essere nuovi e più potenti attacchi russi e la situazione potrebbe cambiare ancora.

Grande preoccupazione per i civilicirca 15mila – rimasti bloccati nella città e impossibili da evacuare per via dei continui bombardamenti. Si teme, in particolare, che un assedio prolungato come quello verificatosi a Mariupol possa comportare una strage per quanti rimasti bloccati nella città.

Anche in caso di conquista, però, il destino dei civili rimasti non è positivo: secondo quanto riportato da Il Post, la russificazione delle città ucraine conquistate (come Kherson) si sta svolgendo all’insegna delle violenzeintimidazioni e degli stupri di guerra.

Il Presidente ucraino Zelensky ha affermato di essersi recato a Lysychansk e Soledar, in una visita estremamente vicina al fronte su cui si sta svolgendo una delle battaglie più intense del conflitto e, soprattutto, un caso raro in cui il Presidente varca i confini di Kyiv.

Ukrainian Presidential Press Service/ Reuters

Nuovi bombardamenti su Kyiv

Intanto, domenica mattina, Kyiv si è svegliata con dei nuovi bombardamenti (provenienti presumibilmente da sud) da parte di Mosca. Secondo il sindaco di Vitali Klitschko non ci sono feriti gravi, ma una persona è stata ricoverata in ospedale. Secondo ANSA, i missili avrebbero colpito una fabbrica nella zona orientale della capitale ucraina.

Immagini del fumo nero scaturito dal bombardamento sono girate sul web, con alcune testimonianze di civili che si trovavano nei paraggi.

https://twitter.com/TpyxaNews/status/1533333902273691648?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1533333902273691648%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_c10&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.ilpost.it%2F2022%2F06%2F05%2Fbombardamento-kiev-giugno%2F

Intanto il Regno Unito si prepara ad inviare lanciarazzi a gittata di 80 km a Kyiv. La notizia è stata criticata dal Presidente russo Putin, che ha affermato che la consegna di nuove armi avrebbe il solo obiettivo di «estendere il conflitto».

Resta incerto il destino dei negoziati, dopo la notizia di alcuni incontri segretissimi tra vertici Ue, Usa e Uk per cercare un punto di svolta e, possibilmente, la fine del conflitto. Tra le questioni discusse negli incontri, anche il piano in quattro punti proposto dall’Italia, il cui contenuto era stato reso noto il mese scorso dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Resta ferma, secondo quanto sostenuto dal Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, «l’insindacabilità della liberazione del Donbass».

Valeria Bonaccorso

 

50 giorni dall’invasione in Ucraina: le parole di Zelensky. Si stringe la morsa russa su Mariupol

Il 14 aprile ha segnato il cinquantesimo giorno di conflitto dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, lo scorso 20 febbraio. Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha commentato la ricorrenza affermando che nessuno pensava che il popolo ucraino avrebbe resistito così a lungo, «ma non sapevano quanto sono coraggiosi gli ucraini, quanto amano la libertà». Zelensky si è poi soffermato sull’eroismo del suo popolo:

«Siete diventati tutti eroi. Tutti, uomini e donne ucraini che hanno resistito e non si arrendono. E che vinceranno, che riporteranno la pace in Ucraina. Ne sono sicuro».

Intanto, il conflitto continua tra tentativi di de-escalation dell’Unione Europea, che pensa anche ad un embargo graduale sul petrolio russo (da discutere, però, al termine delle Presidenziali francesi), e tra una Finlandia che preme sempre più per l’adesione alla NATO. Il ministro finlandese per gli Affari europei Tytti Tuppurainen ha affermato, infatti, che il rapporto con la Russia sarebbe cambiato in seguito alle ultime azioni della Federazione, che – continua – sarebbero un «campanello d’allarme per tutti noi».

Mariupol sempre più in difficoltà

Peggiora la situazione a Mariupol, ormai rasa al suolo e accerchiata dalle truppe russe, che hanno preso il controllo della parte centrale della città, dividendo le forze ucraine al porto da quelle che si trovano nel quartiere industriale a est. I combattimenti si stanno concentrando soprattutto intorno all’acciaieria Azovstal, nel porto. Un vice comandante separatista russo avrebbe descritto alla TV di Stato russa l’acciaieria come: «la fortezza dentro la città».

Dentro l’acciaieria si nasconderebbe il cosiddetto Battaglione Azov, che rappresenta uno dei principali obiettivi di Putin.

Inoltre, il consiglio comunale della città di Mariupol afferma che gli occupanti russi hanno iniziato a riesumare i cadaveri sepolti nei cortili dei blocchi residenziali. Lo scrivono i funzionari su Telegram, citati dalla Bbc. A Mariupol ci sarebbero, secondo Kiev, 13 forni crematori mobili e le autorità cittadine sospettano che i russi stiano cercando di coprire i crimini di guerra. (ANSA)

(fonte: dailynews.ansneed.com)

Il caso dell’incrociatore russo affondato

Giovedì sera l’incrociatore russo “Moskva” è affondato mentre veniva rimorchiato, dopo aver perso stabilità a causa dei danni subiti dallo scafo durante un incendio avvenuto a bordo ore prima. Questa la versione ufficiale del Ministero della Difesa russo, che imputerebbe l’incidente, appunto, ad un incendio. Tuttavia, la controparte ucraina afferma di aver affondato l’incrociatore con due missili “Neptune” antinave.

Ad ogni modo, per ora nessuna delle due versioni sembra essere stata verificata. L’incrociatore “Moskva” era una delle navi più importanti di tutta la flotta russa, e l’affondamento è considerato da molti un duro colpo per l’esercito russo, sia dal punto di vista militare che simbolico.

Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha detto che cinque navi da guerra russe che si trovano nel Mar Nero settentrionale si sarebbero spostate verso sud, lontano dalle coste ucraine, poche ore dopo l’affondamento dell’incrociatore. Secondo diversi esperti militari potrebbe essere una conferma della versione ucraina: allontanandosi dalle coste ucraine le navi russe potrebbero voler prevenire un altro possibile attacco.

Tra l’altro, questa mattina a Kyiv sono stati confermati i bombardamenti di una fabbrica di sistemi missilistici antiaerei a lungo e medio raggio e di missili antinave.

(L’incrociatore Moskva. Fonte: analisidifesa.it)

Mosca blocca un giornale indipendente. Nell’ambasciata russa a Washington una lotta tra proiettori

Venerdì l’agenzia russa delle comunicazioni ha bloccato l’accesso nel paese al sito in lingua russa del Moscow Times, giornale online indipendente, per un articolo pubblicato dal sito il 4 aprile in cui si raccontava che alcuni agenti delle forze speciali russe si sarebbero rifiutati di combattere in Ucraina. L’agenzia ha giudicato la notizia falsa, procedendo a bloccare l’accesso al sito.

Intanto, è diventato virale un video pubblicato su Twitter che ritrae la bandiera ucraina proiettata sulle mura dell’ambasciata russa di Washington, opera di un piccolo gruppo di attivisti, a cui sembra che i funzionari dell’ambasciata abbiano provato a “porre rimedio” inseguendola con un altro proiettore. La didascalia del tweet recita: «Il gatto e il topo».

https://twitter.com/benjaminwittes/status/1514422654152982529?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1514422654152982529%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_c10&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.ilpost.it%2Fflashes%2Fambasciata-russa-bandiera-ucraina-washington%2F

Biden contro Mosca: «è un genocidio»

Negli ultimi giorni il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha accusato la Vladimir Putin di essersi macchiato di genocidio nei confronti della popolazione civile ucraina, in seguito all’ennesimo blocco dei corridoi umanitari in varie parti del paese mercoledì scorso. Inoltre, Kyiv ha affermato di star raccogliendo prove per dimostrare l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito russo.

Il Presidente Biden ha anche affermato – riporta il Daily Mail – di essere pronto per una visita ufficiale a Kyiv. Sembrerebbe che nelle ultime ore si stia decidendo su una visita da parte di un membro dell’Alta amministrazione americana. L’impegno del Presidente nei confronti della situazione ucraina sembra auspicare anche ad una rimonta nei sondaggi, che vedono a favore di Biden solo un 33%.

Valeria Bonaccorso

L’Unione Europea taglia sul carbone russo. Si pensa ad embargo anche su petrolio e gas

Ieri sera, durante una riunione dei suoi ambasciatori, l’Unione Europea ha approvato il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tra queste spicca l’approvazione dell’embargo al carbone russo. Si tratta di una misura presa in considerazione e auspicata già settimane fa, ma che arriva in seguito alle pressioni derivanti dai sospetti di crimini di guerra perpetrati negli ultimi tempi in Ucraina dall’esercito russo. Così ha commentato la proposta la Presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen «che – aggiunge – costerà circa quattro miliardi di euro l’anno».

La proposta della Commissione prevedeva, inoltre, il divieto a navi ed autotrasportatori russi di entrare nei territori dell’Unione, con alcune eccezioni per determinati prodotti agricoli, aiuti umanitari ed energetici. Quest’ultimo punto è stato accolto nel pacchetto definitivo di sanzioni, cui si aggiunge l’incremento di personalità russe inserite nella black list europea e ulteriori divieti dal valore di circa 15,5 miliardi.

La prima stilettata all’energia russa

L’embargo sul carbone rappresenta un primo colpo all’energia russa, ossia il punto più discusso in materia di sanzioni. L’Unione Europea (ed in particolare l’Italia, assieme alla Germania) ha una forte dipendenza dalle fonti di energia importate dalla Russia, soprattutto dal suo gas naturale e dal petrolio. Ma gli ultimi eventi – ed in particolare il massacro di civili verificatosi a Bucha – hanno compattato la linea UE verso l’inasprimento delle sanzioni. Chiarisce la Presidente della Commissione Von Der Leyen:

Queste atrocità non possono e non rimarranno senza risposta.

D’altronde, lo stesso Premier italiano Draghi ha aperto alla possibilità di un embargo (oltre che sul carbone) sul gas russo, con un già “rinomato” quanto criticato aut-aut:

Preferite la pace o il condizionatore acceso?

Ma ad ogni modo – chiarisce il Premier – sarà l’Unione a decidere. Una linea, quella dell’Esecutivo, sempre più certa sul da farsi, a discapito delle voci di diverse aree del Parlamento che invitano alla negoziazione, anziché alle sanzioni e all’invio di armi a favore della difesa ucraina.

E l’embargo sul carbone trova l’accordo anche della Germania, che fino ad ora si era duramente opposta (assieme all’Ungheria di Orbán) allo stop collettivo di tutte le importazioni di energia russa. Il Ministro della Finanza tedesco Christian Lindner aveva infatti suggerito di considerare separatamente petrolio, carbone e gas, poiché la velocità per la sostituzione dei fornitori potrebbe variare.

Ed infatti, opponendosi ancora aspramente all’embargo sul gas, ha affermato:

Ci troviamo davanti ad un criminale di guerra, è chiaro che dobbiamo porre fine ai legami economici con la Russia il prima possibile, ma il gas non potrebbe essere sostituito nel breve periodo. Farebbe più male a noi che a loro.

(fonte: au.sports.yahoo.com)

Stop all’energia russa sì, ma quando?

Corre veloce la Francia, che col suo Ministro dell’Economia Bruno Le Maire, si ritiene «pronta ad uno stop alle importazioni non solo di carbone, ma anche di petrolio russo». Ed aggiunge:

La realtà è che bloccare le importazioni di petrolio dalla Russia è la cosa che le farebbe più male.

Tuttavia, anche La Maire riconosce l’importanza di un intervento a livello comunitario, più che nazionale. «Importante convincere anche gli altri Stati membri».

Peraltro, lo stop a tutte le importazioni energetiche da Mosca non è tra i piani a breve termine dell’Unione. Né lo stop immediato al carbone: la Germania ha infatti ottenuto di posticipare di quattro mesi l’entrata in vigore del divieto, in modo tale da realizzare il piano nazionale per l’indipendenza dal carbone russo entro l’estate. «Se rimandassimo indietro quelle navi [che trasportano carbone] rischieremmo di non averne abbastanza», ha detto di recente il vicecancelliere tedesco Robert Habeck. (Il Post)

Ad ogni modo, testate come EuroNews hanno immaginato le possibili conseguenze di uno stop alle forniture di gas russo: tra le soluzioni proposte, quella di ricorrere al gas naturale liquefatto importato dagli Stati Uniti.

Sostituire il carbone russo e ridurre le emissioni

È possibile che tagliare il carbone russo non faccia poi così male: dopotutto – afferma Bloomberg – già prima delle sanzioni le compagnie energetiche europee faticavano a trovare il suddetto carbone, anche per via delle banche che ne negavano i finanziamenti. Nota il centro di studi Bruegel, poi, che le importazioni di carbone a livello europeo erano calate drasticamente dai 400 milioni di tonnellate nel 1990 ai 136 milioni nel 2020.

Sostituire il carbone russo non sarà difficile, ma sarà più costoso: i principali esportatori sono infatti Australia Indonesia, Paesi molto più distanti dall’Europa rispetto dalla Russia. Si tratterà di aumentare i costi di spedizione.

(fonte: balkaninsight.com)

Infine, si tenga a mente l’impegno delle varie città europee verso la decarbonizzazione, uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2050 per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Secondo un report della Commissione Europea, gli edifici europei sarebbero responsabili di circa il 40% delle emissioni comunitarie e del 36% delle emissioni di gas serra.

Ottimizzare l’efficienza energetica rappresenta, quindi, la chiave per l’obiettivo “zero emissioni”: secondo Caterina Sarfatti, direttrice dell’azione della C40 Climate Leadership Group, permetterebbe anche di risolvere il crescente problema della povertà energetica in Europa. Politico ha delineato una serie di azioni che aiuterebbero nel raggiungimento di tale scopo a livello cittadino.

Valeria Bonaccorso

Russia-Ucraina: la situazione dopo quasi un mese dall’inizio del conflitto

Nella notte tra il 23 ed il 24 Febbraio le forze russe hanno invaso il territorio Ucraino. Un mese di attacchi aerei, bombardamenti e cruenti battaglie che non accennano a placarsi. Continuano ad essere insufficienti gli sforzi da parte di Zelensky (che di recente ha parlato in video-collegamento con Palazzo Chigi) per risolvere per via diplomatica lo scontro. La guerra, inoltre, sta mettendo in dura crisi l’Occidente sia per ciò che concerne l’economia ma anche (e soprattutto) l’equilibrio politico internazionale. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno sin da subito condannato l’operato di Putin ma, se da una parte, uno dei personaggi politici europei rilevanti come il Presidente francese Macron continua a cercare un punto d’incontro con Mosca attraverso dei colloqui diretti ad evitare ulteriori danni, d’altra parte il Presidente statunitense Joe Biden continua a rilasciare dichiarazioni e critiche molto dure nei confronti del Presidente russo Vladimir Putin.

L’accusa di Biden

«Putin valuta l’uso di armi chimiche e biologiche»

Queste le parole del Presidente degli Stati Uniti dopo aver aggiunto che in questo momento la Russia si troverebbe «con le spalle al muro». Mosca ha subito smentito queste affermazioni e tramite un comunicato del Ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore statunitense John Sullivan. La tensione tra le due parti sembra crescere. Peraltro, il portavoce del Cremlino Dmitrj Peskov, di recente intervistato alla CNN, alla domanda su un possibile attacco nucleare da parte della Russia ha risposto:

«Solo in caso di minaccia all’esistenza della Russia stessa»

Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino. Fonte: ansa.it

Nel suo lungo intervento – documentato dalla giornalista Christiane Amanpour – si è potuto capire quanto l’attacco russo sia stato organizzato nei minimi dettagli. Queste le parole di Peskov:

«L’operazione procede secondo i piani»

Per quel che riguarda la durata ha aggiunto:

«Nessuno pensava che un’operazione militare speciale in Ucraina avrebbe richiesto un paio di giorni»

Tali dichiarazioni, così chiare e dirette, lasciano trasparire un’inquietante sicurezza da parte del governo di Vladimir Putin.

Il numero dei soldati russi caduti durante la guerra

Apparsi e poi spariti dopo pochi minuti, il dato che chiariva il numero dei soldati russi deceduti sul campo di battaglia era stato pubblicato su un tabloid pro-Putin. 9861 sembrerebbero essere i morti e 16153 i feriti. Il giornale, dopo aver cancellato la notizia, ha parlato di attacco hacker. Ingenti le perdite per Mosca, che secondo alcune fonti sarebbe sull’orlo di una crisi sanitaria, con la maggior parte dei posti letto occupati dai feriti di guerra. In alcuni ospedali sono stati sospesi i servizi medici essenziali per la popolazione.

Immagine dal campo di battaglia. Fonte: lanotiziagiornale.it

Problemi al fronte per i soldati russi

«Tutti abbiamo visto i soldati russi che saccheggiavano i supermercati»

Il portavoce del Pentagono John Kirby descrive così la condizione dei militari russi al fronte. Nelle ultime ore, infatti, si parla di come le «forze di Kiev stiano riguadagnando terreno» e probabilmente ciò è dovuto alle numerose difficoltà logistiche che sta affrontando l’esercito di Mosca, tra cui appunto la reperibilità del cibo.

Mariupol: la distruzione della città

L’elevato numero di combattenti russi deceduti testimonia quanto la voglia di arrendersi da parte dell’Ucraina sia veramente poca, ma soprattutto fa prendere atto di come, in situazioni come questa, sia difficile trovare un vinto o un vincitore ma solamente distruzione e morte su entrambi i fronti. Basti pensare alla città di Mariupol, continuamente presa di mira dall’esercito russo che ha iniziato a bombardarla quasi ininterrottamente. Un comune che – secondo i dati – prima dell’attacco contava ben 480.000 abitanti, adesso – secondo la BBC – vede il numero di persone scendere a circa 300.000. Le condizioni di vita dei cittadini rimasti sono disperate, privati dei beni di prima necessità, costretti a vivere senza acqua corrente né riscaldamento. Mettendo a confronto le immagini risalenti a più di un mese fa – prima dell’inizio del conflitto armato – con quelle attuali si fatica a trovare somiglianze. Il sindaco Vadym Boychenko ha affermato che ormai ben l’80% degli edifici della città sarebbe andato distrutto. In seguito, ha definito la sua città come una «nuova Hiroshima», ennesimo paragone con scenari bellici che credevamo ormai essere di esclusiva pertinenza storica e che invece, purtroppo, non sembrano più lontani nel tempo, bensì quanto mai attuali.

Immagini dal satellite: Mariupol prima e dopo i bombardamenti. Fonte: fanpage.it

Francesco Pullella

 

Zelensky in video-collegamento con Palazzo Chigi, ma non tutti sono presenti

Ospitato nelle scorse settimane, tramite collegamento video, al Parlamento Europeo, a Berlino, Londra, Washington, Ottawa e Gerusalemme, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky è atteso oggi a Palazzo Chigi. Un viaggio virtuale per il mondo, iniziato il 1° marzo, per chiedere aiuti per il suo Paese, dilaniato dal conflitto con la Russia.

 

Zelensky in collegamento con il Parlamento tedesco qualche giorno fa (fonte: evenpolitics.com)

Le polemiche e gli assenti

L’incontro con il Parlamento italiano è stato preceduto dalla polemica. Alcuni parlamentari, nelle scorse ore, avevano annunciato la loro assenza al Parlamento stamattina, in segno di protesta contro il premier Draghi, accusandolo di non essersi confrontato con il governo prima di prendere la decisione di accettare l’incontro:

«Il Parlamento è stato zittito da Draghi. – ha detto il senatore Crucioli – È inaccettabile che non sia previsto un dibattito o una interlocuzione tra i parlamentari, per prendere una risoluzione con voto rispetto a quello che il presidente Zelensky ci dirà. Parlerà solo il presidente del consiglio Draghi nella casa del Parlamento italiano e solo lui potrà tirare le somme ed esprimere la posizione del Paese, senza nessun dibattito democratico.».

Mattia Crucioli, ora nel gruppo di Alternativa, sostiene che, accettare di ascoltare le richieste che Zelensky da tempo fa al mondo, ancora una volta e in questa modalità, equivalga a schierarsi a favore delle scelte, in termini di guerra, dell’Ucraina e dunque contro la Russia, abbandonando una netta neutralità, almeno a livello teorico.

«Noi siamo contro l’invio delle armi, che, oltre ad essere contrario al nostro ordinamento, butta solamente benzina sul fuoco. E oltre alle questioni etiche, la nostra neutralità avrebbe evitato il rischio di una escalation militare e avrebbe permesso alla diplomazia, anche italiana, di fare la sua parte nel velocizzare le trattative per la pace.».

Ricevere il presidente significa, così, secondo alcuni, assecondare la sua linea d’azione, non vista di buon occhio, per le incessanti richieste di intervento nella dinamica della guerra rivolte al resto del mondo, come, ad esempio, con l’istituzione della no fly zone o l’invio di truppe. Se accontentato decreterebbe lo scoppio di una terza guerra mondiale.

L’incontro in agenda è visto, a detta di alcuni, come un “evento mediatico” svilente per il Parlamento, “un comizio tra il presidente Zelensky e Draghi, senza possibilità di interazione alcuna.”

Oltre il gruppo Alternativa, la pensano così, e avevano già dichiarato di aderire all’“ammutinamento” di stamane, il leghista Simone Pillon, Enrica Segneri del M5S, Emanuele Dessì, passato al PD e reduce da una trasferta in Bielorussia, e Gianluigi Paragone, leader di Italexit. Preannunciate anche due assenze tra le file di Forza Italia, quelle di altri parlamentari prima eletti con il Movimento 5 Stelle: Veronica Giannone e di Matteo Dall’Osso.

Quest’ultimo aveva pronunciato parole scottanti: “Sono orientato a non esserci, si dà visibilità solo a una parte. Anche Putin in Aula? Chi lo chiede fa bene”.

Ospitare Zelensky e non ascoltare quello che magari avrebbe da dire Putin, qualora gli venisse fatto e accettasse un invito, sarebbe una via più democratica, a quanto sembra, ascoltando le dichiarazioni di alcuni politici italiani.

Anche il presidente della Camera, Roberto Fico, si è espresso duramente sulla questione, dimostrando anche lui malcontento: l’Italia non dovrebbe affatto inviare armi, di cui il più recente convoglio è partito proprio stamattina dall’aeroporto civile di Pisa, tra altre critiche, per essere stato inserito sotto la dicitura di “aiuti umanitari”. Attenersi strettamente aun ruolo super partes”, promuovendo l’azione della diplomazia e la ricerca della pace immediata, per il presidente è l’unica cosa da fare.

 

Il “tour” per il mondo del presidente ucraino sta abbassando il sentiment nei suoi confronti?

Tutto ciò avviene all’indomani di una drastica svolta al Parlamento Ucraino: dopo la sospensione di 11 partiti e forze parlamentari, che non erano allineati al nazionalismo più oltranzista.

La stretta politica ha dato forza ai sospetti di chi già non apprezzava la linea di difesa di Zelensky, non disposto a ottenere la pace a tutti i costi, non fin quando questa prevedrà la cessione di anche solo una parte dei territori ucraini alla Russia, come proposto da quest’ultima in occasione degli scontri a Mariupol.

Negli scorsi giorni, inoltre, il presidente Ucraino, in collegamento con Gerusalemme, durante il suo intervento ha usato espressioni shock, che hanno scandalizzato molti, soprattutto il presidente israeliano. Ha paragonato quanto sta succedendo in Ucraina alla soluzione finale usata dalla Germania nazista contro il popolo ebreo.

«La nostra gente ora vaga per il mondo. Questa guerra totale vuole distruggere la nostra terra, la nostra cultura, i nostri figli» ha sbraitato Zelensky.

Queste parole non hanno suscitato sentimento positivo, anzi hanno scatenato critiche e proteste a Gerusalemme e Tel Aviv. Il presidente israeliano Naftali Bennett ha, infatti, dichiarato:

«Non credo che l’Olocausto dovrebbe essere paragonato a nessun altro evento. È stato un evento unico nella storia umana, con uno sterminio di un popolo metodico e su scala industriale in camere a gas. Un evento senza precedenti».

Zelensky, alla dura risposta ricevuta, ha controbattuto, dicendo che l’Ucraina scelse di salvare gli ebrei 80 anni fa. “Ora è tempo che Israele faccia la sua scelta“, ha proseguito. Bennett, però, non ci sta a paragonare Putin a Hitler, la guerra in Ucraina alla Shoa, anzi, ha ritenuto il paragone particolarmente oltraggioso.

Il presidente israeliano Bennett non ammette paragoni tra Ucraina e Shoa (fonte: lastampa.it)

Nonostante questo, Zelensky non si arrende, continuando a lottare per la sua causa. La pace a tutti i costi, per ora, non è una scelta contemplata, anche se è stata, nelle ultime ore, avanzata l’ipotesi di indire un referendum tramite il quale avere un riscontro dalla popolazione ucraina sulla linea adottata dal suo governo e quella da adottare in futuro.

 

Rita Bonaccurso