Pulp Fiction: la strada che porta al nulla

 

Pulp Fiction, un gangster movie in cui i dialoghi sovrastano le armi. Voto UVM: 5/5

 

È con la schermata seguente che Quentin Tarantino decide di aprire il suo secondo film, cambiando la sua vita e quella di tutto il cinema. Pulp Fiction è stato scritto da Tarantino e Roger Avary nel 1993 e solo un anno dopo è arrivato nelle sale di tutto il mondo. Oggi questo cult compie 30 anni ed è tornato in sala in una versione restaurata in 4k.

Frame di “Pulp Fiction” (1994) di Quentin Tarantino. Produzione: Miramax. Distribuzione: Cecchi Gori Distribuzione.

IL CONCETTO DI “CINEMA” PER TARANTINO

Tarantino si nutriva di cinema, ne conosceva ogni sfaccettatura, ed è per questo che ha deciso di mettere insieme quelle poche cose che possedeva: follia, amore e passione, per creare qualcosa di mai visto prima.

Parlare di Pulp Fiction significa essere disposti a cambiare la visione di ciò che noi credevamo fosse “cinema”.
Non esiste più un buono, un brutto o un cattivo ma solo uno sporco e deplorevole cerchio della vita, ricco di crudeltà, violenza ed erotismo.

PULP FICTION: LA TRAMA È COSÌ IMPORTANTE?

Se dovessimo utilizzare una semplice visione oggettiva potremmo classificare Pulp Fiction come un “gangster movie” che cavalca la stessa onda (più romanzata) dell’opera prima di Tarantino: Le iene. Questa visione però è eccessivamente limitante; l’atmosfera gangster è solo il contorno di questo dipinto.

Il film racconta 6 eventi tutti concatenati fra loro e caratterizzati da dialoghi intriganti, riflessivi, divertenti e soprattutto PULP!

Tutte le azioni svolte dai nostri personaggi sono messe in secondo piano. Sono le parole, infatti, ad influenzare i protagonisti (e il pubblico) più che le loro singole gesta, talvolta estreme e grottesche.

Frame di “Pulp Fiction” (1994) di Quentin Tarantino. Produzione: Miramax. Distribuzione: Cecchi Gori Distribuzione.

PERCHÉ LO CHIAMIAMO CULT?

Perché un film confusionario, senza una vera trama e politicamente scorretto è diventato l’emblema dei film cult?

Non esiste una vera risposta, non vi è un significato ovvio che fa di Pulp Fiction una pietra miliare del nostro cinema. Ciò che ha permesso a questo film di spiccare il volo e rubare la scena a tutti gli altri film sono stati i dettagli maniacali e impercettibili che Tarantino ha inserito all’interno della pellicola.

Lo spettatore riesce ad entrare dentro lo schermo, venendo ipnotizzato da qualcosa che con fatica riesce a capire, poiché invisibile all’occhio umano. E anche alla quarta o quinta visione questo film “sputa” dettagli da far accapponare la pelle. Ogni minimo particolare è capace di procurare un “orgasmo visivo” e perpetuo. Per non parlare poi delle scene iconiche entrate nella storia come “Ezechiele 25.17” o il Twist di Vincent e Mia.

Parallelamente alle scene diventate storiche vi sono poi delle imponenti colonne sonore che oggi riconducono tutte a questo film come Misirlou di Dick Dale, You never can tell di Chuck Berry e molte altre…

Frame di “Pulp Fiction”(1994) di Quentin Tarantino. Produzione: Miramax. Distribuzione: Cecchi Gori Distribuzione.

LE MARIONETTE DI QUENTIN TARANTINO

Il talento del nostro regista si fonde in maniera osmotica con la potenza espressiva dei nostri attori. L’impulsività di Ringo e Yolanda (Tim Roth e Amanda Plummer), la divertente stupidità di Vincent Vega (John Travolta), la sadica ironia di Jules Winnfield (Samuel L. Jackson), la sensualità e l’insoddisfazione di Mia Wallace (Uma Thurman) e la determinazione di Butch Coolidge (Bruce Willis) riescono a dare vita ad una messa in scena che raffigura perfettamente il niente.

Proprio così, i nostri attori riescono a dare significato ad un film che non porta a niente, nessun obiettivo, nessun messaggio morale, nessuna investigazione sull’ambito sociale ma vero e proprio intrattenimento strategico ed intelligente.

PULP FICTION È IL FILM PERFETTO?

Cosa può portare un film ad essere considerato perfetto? Ogni risposta sarebbe superflua, non esiste veramente un film perfetto. Ciò che caratterizza Pulp Fiction è l’intelligenza e lo studio che c’è dietro ad ogni scena, ripresa, inquadratura o dialogo. Tarantino dimostra che per quanto gli studi di formazione possano essere importanti, la passione batterà sempre ogni manuale.

È con Pulp Fiction che Quentin ci permette di andare oltre i canoni classici del cinema: l’arte non necessita di un teorema o un postulato ma solo di amore e, questo, ci dimostra Tarantino, non viene insegnato in accademia ma nasce dentro ognuno di noi.

«Ezechiele 25,17. Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te.»

 

di Pierfrancesco Spanò

Goodbye, Eri: tra narrazione e memoria

Goodbye, Eri
“Goodbye, Eri” di Tatsuki Fujimoto – Voto UVM: 5/5

 

Goodbye, Eri è un volume unico scritto e disegnato da Tatsuki Fujimoto, già autore di altri fortunati manga come Fire Punch o il più famoso Chainsaw man, e pubblicato in Italia nel 2023 dalla casa editrice Star Comics.

L’autore e le sue passioni

Il fumettista, nato a Nikaho nel 1993, è un grande appassionato sia del disegno, che coltiva sin da bambino frequentando i corsi a cui prendevano parte anche i suoi nonni, sia di cinema, tanto orientale quanto occidentale, e nelle sue opere non mancano riferimenti visivi tanto ad un’arte quanto all’altra: basti pensare che già nell’opening dell’anime Chainsaw man, tratto dalla sua serie più recente, è presente un riferimento a Pulp Fiction di Quentin Tarantino, regista amato da Fujimoto, e pochi anni fa l’autore ha pubblicato un altro volume unico, Look Back, interamente dedicato al suo amore per il disegno.

Goodbye, Eri
Cover “Goodbye, Eri”

Lo stile

Proprio lo stile di disegno merita qualche parola a parte. Fujimoto presenta uno stile particolare e molto caratteristico, impossibile da confondere: grezzo, graffiato, all’apparenza semplice e superficiale, ma molto complesso. Uno stile già presente nel suo Chainsaw man, divenuto famoso anche per questo disegno così particolare, e riproposto in Look Back. Ma lo stile si riconosce anche per l’espressività che sa imprimere ai volti: i sorrisi sono dolci e scaldano il petto del lettore, così come i pianti che vengono raffigurati non solo con le classiche lacrime, ma anche con vere e proprie smorfie che rendono grotteschi i personaggi, e un discorso analogo vale per le altre emozioni, che Fujimoto sa bene come rendere in maniera realistica, quasi straniante, personalmente.

Da sottolineare poi i perfetti intervalli tra scene con battute anche molto serrate, e vignette vuote e senza una parola, quasi contemplative, preparatorie per qualche colpo di scena o per una reazione dei personaggi a qualcosa che è appena successo, e che fanno tenere anche a noi lettori il fiato sospeso, mentre ammiriamo le tavolo del fumettista.

Goodbye, Eri
Tavola “Goodbye, Eri”.

Punto di vista…

Già nella sua premessa Goodbye, Eri potrebbe stranire: una madre gravemente malata chiede al figlio di registrare col cellulare ogni momento fino alla di lei morte. E così fa Yuta, il nostro protagonista, che accumulerà numerosissime ore di filmato che poi monterà in uno strano film per una mostra scolastica. Purtroppo però, il lavoro non verrà apprezzato da nessuno, e Yuta pensa di farla finita, salvo poi incontrare la sola persona che sembra aver visto del buono nel suo lavoro: l’Eri che compare sin dal titolo.

Inizia così la storia del rapporto tra i due adolescenti, che noi lettori vedremo sempre dal punto di vista del cellulare di Yuta, come viene lasciato intendere già dallo stile di disegno e di disposizione delle vignette: sempre strisce orizzontali, alle volte anche sfocate, proprio come se stessimo filmando tenendo in orizzontale il cellulare.

…e punti di vista

Ma tramite le innumerevoli ore di registrazioni dal cellulare noi non conosciamo tutta la realtà, ma solo il punto di vista di chi quelle registrazioni le monta e le riordina, ossia lo stesso Yuta: lui è il regista assoluto, è lui che ha il potere di superare la linea che c’è tra la realtà effettiva e la memoria, il come vogliamo ricordare qualcuno e la persona reale. Yuta ci narra così quello che è il suo punto di vista, filtrato dal cellulare, e diverso tanto da altri punti di vista quanto dall’effettiva realtà.

E in fondo, l’arte in generale non è proprio questo, cioè narrazione di un punto di vista che è sempre personale ed interiore? Forse è proprio questo quello che, tra una citazione e l’altra che i cinefili si divertiranno a cogliere, e gli altri a scoprire, voleva ricordarci Fujimoto.

 

Alberto Albanese

Samuel L. Jackson: 75 anni di grande cinema!

Cinefilo o meno, sicuramente sarà capitato a tutti almeno una volta di vedere Samuel L. Jackson in una delle sue fantastiche interpretazioni! L’attore, con una filmografia che conta più di centoventi pellicole, ha spesso sorpreso il pubblico con i suoi personaggi, divenendo ormai un tassello della storia del cinema contemporaneo. Con l’avvicinarsi del suo settantacinquesimo compleanno non ci resta che guardare indietro e ammirare la sua carriera.

Samuel L. Jackson: dove tutto ebbe inizio

Samuel Leroy Jackson nasce a Washington il 21 dicembre del 1948, vivendo la propria infanzia solo con la madre e i nonni materni, per via dell’alcolismo del padre. Dopo essersi laureato al Morehouse college ad Atlanta, inizia la sua carriera nel cinema. In questi primi anni, oltre a comparire in qualche spot pubblicitario e a lavorare con la Negro Ensemble, una compagnia teatrale di cui ha fatto parte anche Morgan Freeman, ottiene le sue prime parti in alcune note pellicole, quali Il principe cerca moglie di John Landis.

Ezechiele 25:17: la pluridecennale collaborazione con Tarantino

Jackson
Samuel L. Jackson nel ruolo di Jules in Pulp Fiction. Fonte: variety.com

Successivamente alla partecipazione in importanti opere cinematografiche come Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese e Jurassic park di Spielberg, Samuel L. Jackson trova il suo regista del cuore, con il quale lavorerà in moltissime pellicole. Stiamo parlando di Quentin Tarantino! Che si tratti del protagonista o di un personaggio secondario, Quentin sembra trovare sempre spazio per Jackson nelle sue storie. Ad ogni modo, il ruolo che ha reso l’attore così famoso è il personaggio di Jules in Pulp fiction. Il film, uno dei più noti del regista al grande pubblico, racconta le vicende di due gangster, Jules e Vincent, di un pugile e della moglie di un boss della malavita, Mia Wallace: le storie di questi personaggi finiranno per intrecciarsi in un continuo alternarsi di azione, violenza e comicità.

Altre pellicole di Tarantino che hanno visto Jackson nel ruolo del protagonista sono Jackie Brown, dove interpreta Ordell Robbie, un mercante d’armi, e The hateful eight. Samuel L. Jackson riveste anche dei ruoli secondari in Django Unchained e in Kill Bill- volume 2.

Nick Fury nel MCU e Mace Windu in Star wars

Samuel L. Jackson si afferma da subito per la propria bravura come attore e versatilità nell’interpretazione dei personaggi. Jackson riesce a passare da Jules al maestro jedi Mace Windu con una spontaneità inaudita. La trilogia di Star wars a cui l’attore ha preso parte è un prequel nella serie cinematografica: queste sono le ultime tre pellicole della saga ad essere dirette dall’ideatore del franchise George Lucas.

Negli ultimi anni Jackson è entrato a far parte di un nuovo grande universo, il Marvel Cinematic Universe, nei panni del direttore dello S.H.I.E.L.D.  Nick Fury, un temibile ed impavido agente con un occhio solo. Pur non essendogli stato garantito (ancora) un film o uno show da solista, Fury è un personaggio molto presente in diverse pellicole del MCU, specialmente negli Avengers, fino a Endgame, e in Captain Marvel.

Samuel L. Jackson nei panni del maestro Mace Windu in Star Wars. Fonte: movieweb.com

Spike Lee: il riadattamento americano di Oldboy

Da non dimenticare, nella filmografia di Samuel L. Jackson, è anche la collaborazione con il regista afroamericano Spike Lee. L’attore, soprattutto durante la prima parte della sua carriera, ha infatti preso parte a vari film del regista premio Oscar. Fra i tanti ricordiamo Aule turbolente (School Daze), primo musical diretto da un regista afroamericano, Jungle Fever del 1991, e il più recente Oldboy (2013). Quest’ultimo, remake del film di Park Chan-wook uscito nel 2003 e basato sull’omonimo manga Old Boy, vanta un cast del tutto eccezionale con Elizabeth Olsen, Rami Malek e lo stesso Samuel L. Jackson.

Purtroppo per Samuel e per il resto della banda però, il film-remake di Spike Lee non è riuscito a competere con il cult del 2003 elogiato, tra l’altro, dal sopra citato Quentin Tarantino: “il film che avrei voluto fare io”.

L’alienante (e alienato) Oldboy del 2013 è un film profondamente politico, – come del resto tutta la filmografia di Spike Lee, – in cui tutto si svolge in un “nonluogo”. Politico perché la storia del protagonista si presta benissimo alla parabola americana di quel periodo, tra crisi sociale e governativa. Un “nonluogo” poiché lo spettatore, provando a riconoscere l’America tra i protagonisti della pellicola, rimarrà deluso nell’apprendere che questa potrà essere vista solamente in poche e fredde immagini di telegiornale. Difatti, l’America non c’è. E la sua “crisi”, mostrata solo di riflesso, finisce per rendere il film un mero “exploitation”. Un falsario firmato Spike Lee.

Samuel L. Jackson in Oldboy. Fonte: thefilmgordon.com

Jackson: il sodalizio di una grande star di Hollywood

Samuel L. Jackson ha dato tutto il suo talento a Hollywood, e continua a darlo nonostante i suoi quasi 75 anni d’età. Nel 2022 l’Academy Awards lo ha voluto premiare con quello che forse è il premio più prestigioso a cui un attore può aspirare: l’Oscar alla carriera. Si tratta della prima statuetta che l’attore ottiene dall’Academy, che si va ad aggiungere al premio BAFTA come miglior attore non protagonista in Pulp fiction e a tante candidature sfortunata ai Golden Globe e agli Oscar. Non ci resta che augurargli buon compleanno per il 21 dicembre e ringraziarlo per il grande cinema che ci ha regalato!

Ilaria Denaro

Domenico Leonello