Dagli studenti per gli studenti: Brains wide open, QI ed età del potenziamento

In un mondo in continuo sviluppo, l’intelligenza (dal verbo latino intelligere che significa comprendere, percepire) è il miglior strumento che l’uomo ha in suo possesso.
Sulla base di cosa si può definire un soggetto intelligente? E soprattutto, come allenarsi per esserlo di più?

Indice dei contenuti

Lo sviluppo del primo test di intelligenza

Qui noi separiamo intelligenza e istruzione trascurando quest’ultima nei limiti del possibile.
Non sottoponiamo il soggetto ad alcun test in cui possa avere successo per mezzo dell’apprendimento mnemonico, di fatto non rileviamo neanche la sua incapacità di leggere, se si presenta il caso; è solo il suo livello di intelligenza naturale che viene preso in considerazione”

Binet

L’affermazione sopracitata introduce in maniera esplicita l’obiettivo che ha mosso lo psicologo francese Binet a prendere le distanze da una commissione di esperti, incaricata dal governo francese di sottoporre a visita psichiatrica tutti i bambini, così da confinare i ”ritardati” in istituti per malati mentali.
Binet, infatti, riteneva la formazione di classi di recupero molto più efficace.
Il problema era: come misurare l’intelligenza ai fini dell’individuazione dei bambini non in grado di esercitare facoltà comuni a tutti gli altri?

Il test

Binet ha inserito in un test i compiti che i bambini brillanti erano in grado di svolgere e lo ha somministrato a diverse classi con l’obiettivo di rendere il test accessibile anche ad altri psicologi, così che potesse essere utilizzato al fine di calcolare il fattore g con una semplice formula:

età mentale ÷ età cronologica x 100

Con età mentale si specifica il grado di sviluppo dell’intelligenza.
Risulta però fondamentale considerare che dopo il primo decennio di vita, l’intelligenza si sviluppa molto più lentamente fino a stabilizzarsi. Dunque, per risalire al dato ricercato, è opportuno calcolare il quoziente di deviazione, mediante la seguente formula:

punteggio individuale ÷ punteggio medio 

Il punteggio medio è ottenuto dalle persone della stessa età del soggetto di cui vogliamo trovare il fattore g.

Falsi miti sui “geni tormentati”

Come osservabile nel grafico, il 68% della popolazione possiede un QI compreso tra i valori di 85 e 115.
Cosa accade se viene calcolato un punteggio al di sotto o al di sopra di oltre 15 punti del valore medio?
Si presentano soggetti ipodotati ( definiti disabili intellettivi) o iperdotati.
I soggetti iperdotati sono stati spesso oggetto di numerose rappresentazioni cinematografiche (basti pensare a “Beautiful mind”, un classico nella storia del cinema) che li hanno descritti come persone brillanti, creative, spesso incomprese, dunque affette da una certa forma di psicopatologia. Anche sui bambini gifted (bambini con specifiche abilità, superiori alla media, in determinati campi) ricorre lo stereotipo di “bambino genio” a cui la natura ha assegnato un dono.
Molti psicologi hanno contrariamente dimostrato che in realtà i soggetti con iperdotazione cognitiva tendono ad adattarsi e ad essere meno predisposti a malattie fisiche e mentali mentre, coloro che hanno un QI di 15 punti in meno rispetto alla media, a 20 anni hanno un rischio del 50% in più di essere affetti da schizofrenia, disturbi della personalità etc.

La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario. Ognuno di noi è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.

Einstein

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Intelligenza tra natura e cultura

L’idea che l’intelligenza sia in un certo senso legata alla biologia risale a Platone che, pur avendo una formazione prettamente filosofica, basata sullo studio dell’anima più che della mente, sosteneva che gli individui possiedono strutture necessarie al mondo sensibile basate su forme apprese prima della nascita in un iperuranio.
Con l’avvento della psicologia ed il suo continuo progresso, le ricerche neuropsicologiche registrano un aumento del numero di geni coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza. Infatti, sono 40 i nuovi geni identificati da un gruppo di ricercatori della Vrije Universiteit di Amsterdam e del King’s College di Londra. Tuttavia, questi geni sono coinvolti in numerosi altri processi, dunque risulta inappropriato parlare di geni dell’intelligenza, capacità che si dimostra sempre più essere il prodotto di una complessa serie di interazioni.

Condivisione genetica

Ma le persone con geni in comune, hanno QI simili?
Sebbene i membri di una stessa famiglia condividano tra di loro i geni, come due fratelli o due gemelli dizigoti che condividono il 50% dei geni e gemelli monozigoti che ne condividono il 100%, è però anche vero che vivono l’ambiente e le esperienze (molto più influenti dei geni sullo sviluppo dell’intelligenza) in modo diverso, capaci di plasmare l’individuo e renderlo più o meno stimolato verso lo sviluppo e l’allenamento di determinate facoltà cognitive. 

L’intelligenza non è immutabile nel tempo

Contro coloro che, erroneamente, ritengono che la nostra intelligenza sia influenzata esclusivamente dai geni e dunque   la ritengono immutabile, si pone la registrazione di un dato non poco importante definito effetto Flynn, che registra l’aumento del punteggio medio del QI di circa 30 punti in più rispetto ad un secolo fa (provato da uno stesso test usato sulla popolazione, ma in tempi differenti).
Questo dipende probabilmente dall’inizio di un periodo storico, che ha avuto inizio con la rivoluzione industriale, in cui la vita sottopone l’uomo a problemi sempre più simili a quelli che compongono i test d’intelligenza.
Non soltanto quella collettiva, ma anche l’intelligenza individuale ha un proprio sviluppo: è tra l’adolescenza e la mezza età che questa raggiunge il suo massimo potenziamento per poi declinare nella vecchiaia, probabilmente per il rallentamento dei processi neurali nell’elaborazione delle informazioni.

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Verso la creazione di superuomini

L’intelligenza può sicuramente essere accresciuta per mezzo del denaro (infatti appartenere ad uno status socioeconomico basso concorre, ad esempio, ad essere esposti a tossine ambientali che possono danneggiare lo sviluppo cerebrale, non poter accedere a diete e cure mediche ottimali) e dell’istruzione. E’ stato osservato, difatti, che quando l’inizio degli studi di un bambino viene ritardato da guerre, epidemie o mancanza di insegnati qualificati è notevole il declino del QI.
Negli ultimi anni, inoltre, sono stati condotti degli esperimenti per la produzione di farmaci che potrebbero migliorare i processi psicologici sottostanti alle prestazioni intellettive, ma che possono avere effetti collaterali e portare all’abuso.
Gli scienziati, attraverso la manipolazione dei geni che rendono possibile lo sviluppo dell’ippocampo (area in cui ha sede la trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine), hanno ”creato” dei topi transgenici più ”intelligenti”. Da ciò hanno dedotto che nei mammiferi è possibile il potenziamento genetico dell’intelligenza e della memoria.
Quanto però sarebbero sicure per l’essere umano queste tecniche? Quanto costerebbero? Chi potrebbe averne accesso? Ma soprattutto, i miglioramenti apportati verrebbero utilizzati per il bene comune o si formerebbe una casta di superuomini con il mondo nelle mani?
Sono queste le domande che dobbiamo porci e a cui dobbiamo trovare una risposta, andando incontro alla cosiddetta Età del Potenziamento.

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Laura Sciuto

Bibliografia

https://www.stateofmind.it/2016/03/quoziente-intellettivo
https://festivalpsicologia.it/argomenti/bambini-iperdotazione-cognitiva
https://www.psichepedia.it/index.php/la-percezione/404-percezione-teoria-innatista-ed-empirista
https://www.stateofmind.it/2015/04/effetto-flynn-intelligenza/#:~:text=Flynn%20ha%20rilevato%20che%20nel%20corso%20del%20secolo%20scorso%2C%20il,stato%20denominato%20appunto%20Effetto%20Flynn.
Fonte principale: Manuale di Psicologia Generale di D.Schacter, D.Gilbert, M.Nock, D.Wegner.

Studiare medicina: sogno o incubo? La depressione tra gli studenti

Fin dai tempi antichi lo studio della medicina ha sempre affascinato l’uomo.
Chi riusciva a comprendere il complesso meccanismo del corpo umano era osannato e paragonato quasi a un dio, intoccabile e indiscusso.
Oggi la figura del medico, pur ridimensionata, è ancora importante dal punto di vista sociale.
Non stupisce, dunque, che siano in molti covare il desiderio di poter vestire un giorno il camice bianco.
Sia per un riscatto sociale che la professione sembra poter dare, sia per una effettiva passione per queste materie così affascinanti.
A volte però il sogno di una vita può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Orari massacranti, privazioni, rinunce ai propri hobby per non restare indietro con gli esami e lo stress accumulato dallo studio per superare i test di ingresso creano un cocktail esplosivo. Tutto ciò nuoce alla salute mentale di molti ragazzi e anche i più appassionati possono ritrovarsi in un limbo: bloccati tra l’amore per ciò che studiano è l’ansia per una meta che sembra non arrivare mai.

Cosa dicono gli esperti

Uno studio che ha coinvolto varie università americane mostra risultati allarmanti.
L’obiettivo era stimare la percentuale di studenti che manifestavano una sindrome depressiva o intenzioni di suicidio tramite questionari e interviste.
Gli studiosi hanno preso in considerazione studenti di medicina provenienti da ben 43 Paesi diversi.
Il 27,2% di questi studenti presentava sintomi depressivi, che sono rimasti invariati durante il periodo degli studi (quindi sia durante i primi anni che negli anni successivi, quelli in cui si studiano materie prettamente cliniche e, magari, più stimolanti).
Per quanto riguarda invece il pensiero ricorrente al suicidio, si attestava all’11 % con 24 Paesi partecipanti.
Inoltre fu dimostrato che chi presentava depressione durante gli anni dell’università tendeva a portare dietro questi segni anche una volta conseguita la laurea, con gravi ripercussioni sulla produttività lavorativa.

La pressione sociale

I giovani si trovano dunque stretti in una morsa: da una parte le aspettative della famiglia e della società, dall’altra il senso di inadeguatezza nei confronti dei colleghi.
La competizione gioca un ruolo fondamentale, e lo studente può arrivare anche a compiere gesti estremi, sotto il peso delle materie accumulate.
Molto spesso si sentono infatti notizie di ragazzi che si tolgono la vita perché non riescono ad affrontare le difficoltà universitarie.


In questo mondo che è sempre di corsa, alcuni non trovano spazio per dedicarsi alla salute mentale, che viene trascurata a lungo.
Altre motivazioni a questa alta prevalenza della depressione negli studenti di medicina potrebbero essere i frequenti contatti con la malattia e la morte, che raramente lasciano indifferente chi è alle prime armi.

Una possibile soluzione

È importante riconoscere al più presto le avvisaglie della depressione e intervenire con delle sedute di psicoterapia, mirate a individuarne la causa.
Anche la sensibilizzazione dei giovani sull’approccio a questa patologia potrebbe essere un ottimo punto di inizio per sradicare il problema.
Tuttavia il primo ostacolo da abbattere è senza dubbio il pregiudizio.
I taboo che ancora girano intorno a chi soffre di questa malattia pregiudicano l’adesione a qualunque tipo di trattamento, con risvolti a volte tragici.
Si spera quindi che un giorno tali barriere possano essere abbattute, per migliorare la permanenza dei giovani all’università.

Maria Elisa Nasso

Derek, Meredith e Grey’s Anatomy: perché metterlo in play

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Ci sono serie tv e serie tv: drammatiche, ironiche, comiche, sanguinolente; corte, lunghe, che durano dai 20 ai 120 minuti.

Ma una serie tv, per tenerti davvero incollato alla sedia e farti perdere il senso del tempo e dello spazio, deve avere una trama coinvolgente e sconvolgente, una trama che ti lasci sempre con il fiato sospeso, almeno quel tanto che basta per dirti: ’’ok, dormirò in un altro momento’’ e farti così rimettere play sul tuo sito di streaming.

Una di queste serie è Grey’s Anatomy. Al bando gli scettici che dicono che è solo un’enorme cavolata, più lunga di Beautiful e troppo distante dalla realtà: quando inizi a guardarla non puoi più farne a meno. Io, da fan numero uno, sono riuscita a convertire un sacco di persone e a farle diventare tossicodipendenti da Grey’s Anatomy.

Grey’s Anatomy è una serie televisiva statunitense trasmessa dal 2005. È un medical drama incentrato sulla vita della dottoressa Meredith Grey, una tirocinante di chirurgia nell’immaginario Seattle Grace Hospital di Seattle. Il titolo di Grey’s Anatomy gioca sull’omofonia fra il cognome della protagonista, Meredith Grey, e Henry Gray, autore del celebre manuale medico di anatomia Gray’s Anatomy (Anatomia del Gray). Seattle Grace (poi Seattle Grace Mercy West e, ulteriormente, Grey Sloan Memorial Hospital) è invece il nome dell’ospedale nel quale si svolge la serie. I titoli dei singoli episodi sono spesso presi da una o più canzoni.

Tra personaggi che vanno e vengono, che nascono e muoiono, Grey’s Anatomy riesce a lasciare veramente un segno. Durante la progressione della trama, che si svolge in 12 stagioni per un totale di 268 episodi, ognuno di noi può trovare una citazione, una situazione, un momento in cui riconoscersi. Ed io, da studentessa in Medicina, posso dire che (a parte qualche caso assolutamente irreale) è anche molto vicina alla realtà medica. I gesti, i protocolli, il lessico, infatti, sono assolutamente presi dal campo.

Tutti conosciamo Meredith e Derek, sappiamo la loro storia d’amore e chi come me è da 11 anni che sta appresso a loro e ci ha perso cuore, lacrime e vita, sa che non sono solo ‘’Meredith e Derek’’: sono due personaggi pieni di umanità, che fanno e dicono cose che tutti noi abbiamo fatto e detto, anche e soprattutto le peggiori. È questo il segno che contraddistingue tutti i personaggi della serie, dal più importante al meno: l’umanità. Sono esseri umani a 360°, con i difetti e i pregi, con l’egoismo, i sogni, la cattiveria, la gentilezza, la bontà, la forza e la debolezza, le paure e il coraggio.

Ed, a parte l’intramontabile ‘’prendi me, scegli me, ama me’’, il sesso e la tequila, ci vuole poco a capire che Shonda Rimes (l’autrice) voleva andare oltre a tutto questo e insegnare ad accettare argomenti che ancora sono, per la società, tabù.

È una serie tv che vuole insegnare la speranza, il rischio e la speranza che può derivare dal rischio. Che non tutto è come sembra, che una coppia perfetta può spesso scoppiare ma questo non esclude il fatto che si può andare realmente avanti, a qualsiasi età. Che puoi sempre conoscere una persona, che essa sia maschio o femmina.

Vuole abbattere i muri dell’omofobia. Tra i personaggi principali abbiamo una coppia lesbica costituita da una donna omosessuale ed una bisessuale, vuole far capire alle persone che non c’è niente di strano nella transizione, che i transgender sono persone come noi in corpi nei quali stanno troppo stretti.

Vuole insegnare che non esistono barriere di tipo religioso, che la scienza e la religione possono coesistere e convivere, che essere ateo non è sinonimo di essere vuoto. Insegna il perdono, l’amicizia, la lealtà, la sana competizione e quella che ti porta a impazzire perché parte da basi sbagliate.

Tra gli argomenti principali troviamo anche temi molto attuali quali l’adozione e l’inseminazione artificiale. Viene anche approfondito l’argomento ‘’psicoterapia’’, cercando di trasmettere il messaggio che prendere consapevolezza dei propri problemi e affrontarli con qualcuno che può realmente aiutarti non è una vergogna ma un segno di coraggio.

E che, a prescindere da tutto, negli ospedali si fa tanto sesso e ci sono davvero tantissimi fighi e fighe.

Elena Anna Andronico