Domani è un altro giorno

Il 30 ottobre 1938 lo sceneggiato radiofonico “La guerra dei mondi” di Orson Welles generò la fuga di un
discreto numero di cittadini e un notevole disordine cittadino. Cosa aveva di tanto spaventoso da provocare una  reazione tale?

L’adattamento del romanzo di H.G. Wells d’inizio secolo interruppe bruscamente il consueto programma di
musica serale con una serie di comunicati che ricalcavano i toni del giornale radio. Questi riportavano notizie in tempo reale di creature aliene appena atterrate in una fattoria del New Jersey, dando aggiornamenti continui circa la natura ostile della loro visita.

La guerra dei mondi. Wikipedia

La magistrale interpretazione di Welles stesso, mista al carattere di attendibilità e contemporaneità attribuita
all’informazione via radio dagli ascoltatori, ebbe conseguenze decisamente inaspettate anche per il suo
ideatore, il quale scrisse il giorno seguente all’amico Peter Bogdanovich: «Furono le dimensioni della reazione ad essere sbalorditive. Sei minuti dopo che eravamo andati in onda le case si svuotavano e le chiese si riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava gli abiti per strada. Cominciammo a renderci conto, mentre stavamo distruggendo il New Jersey, che avevamo sottovalutato l’estensione della vena di follia della nostra America.»

Riportando questo episodio alla vostra attenzione non è mia intenzione avvalorare quelle teorie che propongono la comunicazione di massa come un “potentissimo mezzo per inoculare qualsiasi tipo di messaggio”. Il mio interesse scaturisce dalla diffusione, negli ultimi giorni, di alcune foto su Facebook che ritraggono supermercati lombardi letteralmente svuotati a seguito dell’annuncio di alcuni casi di coronavirus in Italia.  A questi si aggiungono i video personali pubblicati da molti utenti attivi ed i contenuti semplicemente ricondivisi da tutti, me compreso. Che essi abbiamo un contenuto sarcastico, divulgativo, politico poco importa, una volta postati entrano nello stesso sistema contribuendo ad alimentare le conoscenze della comunità intera.

Il Resto del carlino

Questi “atomi di cultura”, brevi e dal linguaggio informale, risultano sempre più interessanti per gli utenti rispetto alla trattazione tecnico-scientifica dei format televisivi o delle comunicazioni istituzionali, imponendosi come punto di partenza per un acceso dibattito online ed offline. Proprio in questi giorni, nella nostra città, possiamo assistere a qualcosa di simile grazie all’impatto che ha avuto il video dell’infermiere del policlinico, successivamente sospeso, o gli audio simil-istituzionali che descrivono le misure cautelari decise dal Sindaco De Luca (al momento non ancora approvate). Ne risulta una conoscenza superficiale e frammentata della materia che non aiuta il corretto “passaparola”, affascinati dai contenuti più apocalittici ritagliamo frasi di discorsi e le incolliamo decontestualizzate in giro per il web creando una notizia diversa dalla notizia che è destinata a subire altre modifiche.

Le affinità tra le reazioni al programma di Welles e l’allarme coronavirus mostrano la parte più debole
dell’essere umano che, nel momento in cui sente la sua vita a rischio, si abbandona al panico più irrazionale. La mancanza di un ascolto critico e della giusta voglia di analizzare la situazione generano spesso fraintendimenti che rendono sempre più difficile la diffusione del messaggio completo.

Così ho assistito negli ultimi giorni ad: un signore che ha acquistato ben 5 casse di Coca-Cola in un supermercato cittadino a seguito di un link ricevuto via whatsapp da sua nuora che descriveva la bevanda in questione come uno scudo impenetrabile per il virus, due anziani discutere animatamente di come servizi segreti mondiali (?) abbiano infettato la popolazione mondiale per prepararci ad una guerra batteriologica con i jihadisti ed infine un medico-chirurgo chiedere al suo agente di viaggio se fosse sicuro partire per una crociera nel Mediterraneo.

Insomma, il panico generale mi ha portato a scrivere questo articolo nell’umile intenzione di convincere, almeno una sola persona, di quanto sia importante accertarsi dei fatti ed avere una visione d’insieme lontana da quello che vorremmo fosse vero o temiamo possa essere vero (prendendo in prestito le parole di Bertrand Russell). Anche perché, se non fossero scappati, i radioascoltatori di Welles, avrebbero scoperto che alla fine gli alieni venivano sconfitti.

Davide Pedelì

Meningite: psicosi o vero pericolo?

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Ogni anno, il cittadino medio afferma, tirano fuori una malattia nuova che, in poco tempo, diventa una vera e propria epidemia.

Questo anno è il turno di una grave infezione che si instaura a livello dei tessuti encefalici: la meningite.

Che cos’è la meningite? La meningite è un’infiammazione delle meningi, ovvero delle tre membrane che ricoprono l’encefalo e impediscono che esso sfreghi contro la scatola cranica, costituendo una vera e propria barriera protettiva.

La meningite può essere scatenata da vari virus e batteri. Tra essi abbiamo il meningococco vero e proprio, oppure dallo pneumococco, dall’haemophilus influenzae e altri.

È una malattia che difficilmente si instaura in quanto, l’agente patogeno, deve riuscire ad oltrepassare la barriera naturale di cui il nostro encefalo è provvisto: la barriera ematoencefalica. Pochissime sostanze e tossine riescono ad oltrepassarla e, nei casi in cui questo avviene, è importante capirne il come e il perché.

Se però questo accade, con l’impianto dell’agente a livello di queste 3 membrane (soprattutto la pia madre e l’aracnoide), può svilupparsi la meningite.

Ovviamente, l’età infantile è la più colpita in quanto, sembra chiaro, l’organismo del bambino (ma anche quello dell’anziano) è più delicato rispetto a quello dell’adulto.

I sintomi principali della meningite sono febbre, nausea, vomito e irritazione delle membrane meningee che il paziente avverte come una forma di rigidezza dei muscoli nucali. Tipici segni collaterali sono anche la diminuzione dello stato di coscienza, con senso di torpore, battito cardiaco rallentato ed episodi convulsivi.

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Bebe Vio, Campagna di Sensibilizzazione Contro la Meningite by Anne Geddes

Ma, la vera domanda è, in questo momento siamo veramente ‘’in pericolo’’? C’è veramente un’epidemia tale da dover aver paura di un colpo di tosse? È davvero così facile essere contagiati?

È chiaro che, similmente al terrorismo, anche quando si tratta di malattie potenzialmente mortali e di cui si sentono 5, 10, 15 casi nell’arco di 30 giorni, facilmente si sviluppa una vera e propria psicosi.

Vari esponenti italiani della sanità, infatti, parlano di ‘’allarmismo ingiustificato’’ causato, piuttosto, dalla solita eversione cui capo ci sono i mass media.

In effetti, il contagio non è un evento frequente, anzi. E, soprattutto, di base ci deve essere questo passaggio della barriera ematoencefalica del batterio che, in altrettanto modo, è raro.

Questo non vuol dire di non preoccuparsi. Però, meglio preoccuparsi a piccole dosi.

Sicuramente la miglior cura, come sempre, è prevenire. Quindi SI alla vaccinazione. Dai più piccoli ai più grandi, bisogna vaccinarsi. Chi è a rischio infezione è giusto che si vaccini e, quindi, si parla di tutte quelle persone che lavorano a stretto contatto con tante altre persone, in posti affollati, ad esempio, o in ambiente ospedaliero, o a stretto contatto con i bambini, soprattutto i bambini stessi.

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Bebe Vio, campionessa paraolimpionica, e la sua famiglia per la campagna #IoMiVaccino

Quello che possiamo consigliare, quello che a noi studentelli è stato consigliato, è di rivolgersi al proprio medico curante e, con assoluta tranquillità, seguire i suoi consigli. E, spesso e volentieri, di spegnere la televisione o cambiare canale.

Elena Anna Andronico