Persona: il chiaroscuro dell’anima

Persona è un film drammatico, tragico, che punta a ricostruire la tanto frastagliata psiche umana tramite la difficoltà apparente ed effettiva dei rapporti umani, prima autentici, poi falsi, prima eterni, poi fugaci. Voto UVM 5/5

Persona è un film del 1966, diretto da Ingmar Bergman. Il cast, escluse le comparse, è ridotto a soli cinque attori, tra cui le protagoniste Liv Ullmann e Bibi Andersson, che offrono delle performance attoriali eccezionali.

TRAMA DI PERSONA

Elisabet (Liv Ullmann), un’attrice affetta da afasia (perdita parziale o completa della capacità di esprimersi o comprendere parole) in seguito a un trauma, trascorre la guarigione su un’isola, assistita da Alma (Bibi Andersson), un’infermiera che non smette di parlarle. La contrapposizione tra le due farà in modo che le loro personalità si intersecheranno, fino a dissociarsi.

 

Persona
Le due protagoniste si uniscono in un’unica persona. Persona (1966) di Ingmar Bergman.

UNA RIFLESSIONE FILOSOFICA SULLA PSICHE UMANA

Bergman, negli appena 80 minuti di pellicola, non dà molto peso alla trama ed all’evoluzione di essa tramite delle azioni specifiche, bensì, tramite il potente linguaggio visivo utilizzato e la perfetta scrittura della sceneggiatura, porta avanti una riflessione filosofica, spirituale e psicologica sull’animo umano e le sue sfaccettature, soprattutto nel suo confronto con gli altri.

Fin da subito Elisabet viene presentata ad Alma come una paziente molto turbata psicologicamente, che mentre recitava una parte nei panni dell’Elettra in uno spettacolo ha avuto una sorta di epifania ed ha iniziato a ridere senza riuscire a fermarsi. Il tutto si è poi trasformato in un trauma che ha fatto sì che smettesse di parlare.

Alma, invece, è da subito disponibile e premurosa nei confronti della sua nuova paziente, le parla continuamente per esprimersi e per non farla sentire sola.

LUCI ED OMBRE: IL DUALISMO DELLE PROTAGONISTE

L’illuminotecnica di tutto il film si basa soprattutto sul gioco tra luci ed ombre, soprattutto sul volto delle protagoniste, per creare immagini poetiche a tratti oniriche e che esprimano un contrasto che indica il senso di conflitto interiore.

Non è un caso che Alma e Elisabet siano dall’inizio rispettivamente come la luce e l’oscurità. Alma è il faro che illumina le giornate altrimenti vuote di Elisabet, che intanto, tramite il suo silenzio, assorbe la luce di Alma.

L’apparenza però, si sa, inganna. La luce che emana Alma nasconde in realtà tante ombre all’interno del suo animo frastagliato, che ha dovuto far fronte ad eventi spiacevoli, che ha confessato unicamente a Elisabet, l’unica donna che sentiva vicina. Essendo Alma cresciuta con sette fratelli maschi ed avendo un marito e una sola altra amica, non aveva mai avuto modo di avere un rapporto del genere con una donna. È proprio per questo che Elisabet, nonostante sia conosciuta solo tramite la sua carriera di attrice e nonostante non comunichi, cambia per sempre il mondo di  Alma e la percezione che ha dei rapporti sociali.

“Tu vuoi essere, non sembrare di essere. Essere in ogni istante cosciente di te, e vigile. Nello stesso tempo ti rendi conto dell’abisso che separa ciò che sei per gli altri da ciò che sei per te stessa e provoca quasi un senso di vertigine, un timore di essere scoperta, di vederti messa a nudo, smascherata, riportata ai tuoi giusti limiti. Perché ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità, ogni sorriso una smorfia. Qual è il ruolo più difficile?“

PERSONALITÀ E PERSONA

Il ruolo più difficile è quello di accettare la realtà, così com’è. In ciò le due protagoniste hanno enormi difficoltà. Elisabet ride quando si tratta di recitazione e finzione, ma, quando vede un telegiornale che mostra immagini di proteste esplicite riprese nel mondo reale, è spaventata, forse perché non si riconosce. Alma, invece, è intrappolata dai dolori e rimorsi del suo passato, che hanno creato nel tempo un sentimento di disillusione che si è riversato nella dolorosa realtà.

Le due diventano unite, inseparabili. L’incomunicabilità apparente sembra quasi svanire davanti al loro amore reciproco. Le loro personalità si mescolano e sembrano sempre più simili. Elisabet assorbe Alma ed Alma, come succede spesso in amore, inizia a capire Elisabet anche solo tramite il silenzio.

Tutto il loro legame viene messo in discussione, però, quando Elisabet racconta alla dottoressa tutte le vicende private di Alma, tramite una lettera, che lei stessa leggerà. Entrambe entrano in crisi, sono state smascherate a vicenda e si sono rese conto del modo in cui vengono percepite, e ciò non le potrà più far tornare indietro.

Le loro personalità si sono mischiate ed avvicinate così tanto da iniziare un conflitto tra le due, che nonostante la ricerca di perdono e l’odio reciproco cominciano sempre di più a mischiare anche le loro persone, diventando un’unica persona. Ormai sono uguali, entrambe si completano e si scompongono allo stesso modo. Alma prende il ruolo di Elisabet, e viceversa. La loro vicinanza effettiva crea ulteriore bisogno di comprensione di se stesse e di ciò che sta succedendo, e come conseguenza non c’è altro che un ritorno alla difficoltà di comunicare.

Persona
Alma (a sinistra), Elisabet e suo marito (a destra). Persona (1966) di Ingmar Bergman.

INGMAR BERGMAN E LA METANARRAZIONE

La narrazione di Bergman non è lineare, il montaggio e la regia sono volutamente distorti, onirici. Uno dei film più sperimentali del regista svedese, eppure anche uno dei più popolari ed apprezzati. Il film, tra l’altro, inizia con una serie di immagini disturbanti e provocatorie, che stanno quasi ad avvertire chi sta guardando della drammaticità delle vicende che vedrà a breve. Il maestro del cinema autoriale a stampo filosofico rompe gli schemi del cinema classico per dar vita ad un’analisi metanarrativa della realtà.

Il regista, in modo complesso, riflessivo e pieno di simbolismi, comunica continuamente con lo spettatore, sia tramite i dialoghi, sia tramite le immagini. Mette in scena tutto perfettamente, soprattutto attraverso la grande presenza di primi e primissimi piani e con l’uso di elementi metacinematografici come la rottura della quarta parete da parte degli attori o, caso più emblematico, il bambino che porge la mano verso quello che sembra essere uno schermo sfocato che mostra l’immagine delle due protagoniste, all’inizio e alla fine del film.

Un film di quasi 60 anni fa, ma che sembra attuale nel raccontare la psiche umana, soprattutto femminile, e la difficoltà dei rapporti sociali e personali.

Persona
Bibi Andersson, Ingmar Bergman e Liv Ullman. Persona (1966) di Ingmar Bergman.

Alessio Bombaci

 

Il dono dello spettro autistico: Andy Warhol, il padre della Pop Art

Essere autistici non è un limite, bensì un dono.

Questa serie di articoli, oggi al primissimo numero, vi narrerà di grandi personaggi che hanno fatto la cultura del mondo e di come il loro appartenere allo spettro autistico li abbia condotti a scrivere le pagine della nostra storia.
Per l’autrice del filone il dono dello spettro autistico, “diverso” non è mai “sbagliato”.

Cari lettori, accomodatevi! Ve lo dimostrerò solo scrivendone.

Rappresentazione di un cervello neurodivergenteFonte: https://www.dirime.com/wp-content/uploads/2022/12/Il-dibattito-sulla-neurodivergenza-tra-priorita-e-nuove-narrazioni.jpg
Rappresentazione di un cervello neurodivergente
Fonte: https://www.dirime.com/wp-content/uploads/2022/12/Il-dibattito-sulla-neurodivergenza-tra-priorita-e-nuove-narrazioni.jpg

 

Neurodivergenza e spettro autistico

A fine 2024, l’informazione scientifica corre repentina e, fortunatamente, leggiamo e sentiamo parlare sempre più spesso di terminologie come “neurodivergenza” o “neuroatipico”.

Ma cosa significano queste parole?

Nella sconfinata eterogeneità umana, ci accorgiamo che molteplici persone condividono un determinato numero di caratteristiche rispetto ad altre, quelle che la società ci impone come concetto di “normalità”, ovvero un’utopia.

Se è vero che la maggioranza degli individui percorre uno sviluppo neurologico che può essere considerato tipico, una parte minore della popolazione (che alcuni situano tra il 15 e il 20%), invece, condivide uno sviluppo neurologico sotto certi aspetti differente dalla maggioranza, descritto da un punto di vista statistico come atipico.

Queste persone sono definite neuroatipiche o neurodivergenti. Tra loro possiamo trovare individui autistici, ADHD, con disturbi specifici dell’apprendimento, eccetera.

Nell’ultima edizione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) ormai non si parla più di autismo” ma di disturbi dello spettro autistico”. Una definizione, che indica una serie di condizioni caratterizzate da difficoltà di comunicazione e interazione sociale, e da comportamenti limitati e ripetitivi che possono affliggere un soggetto, che elimina la classificazione in tipologie, riportata nella versione precedente del manuale.

Tenendo presente che questa classificazione dell’autismo in tipologie è ormai obsoleta, la penultima edizione del DSM dedicava una trattazione ai disturbi pervasivi dello sviluppo, i quali comprendevano nello specifico: autismo, sindrome di Asperger, sindrome di Rett, disturbo disintegrativo dell’infanzia e disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato.

Il DSM-5 distingue, in base a dei parametri, tre livelli di gravità dell’autismo: livello 1, un tempo detto anche ad alto funzionamento; livello 2, ovvero medio funzionamento; e livello 3, che chiamavano basso funzionamento.

Andy WarholFonte: https://hamiltonselway.com/wp-content/uploads/2017/08/Warhol.jpg
Andy Warhol
Fonte: https://hamiltonselway.com/wp-content/uploads/2017/08/Warhol.jpg

Andy Warhol, il padre della Pop Art

Andy Warhol è stato uno dei più importanti artisti americani del XX secolo, ed è riconosciuto come il padre della Pop Art.

Cambiò l’idea stessa di artista, che per la prima volta divenne imprenditore di sé stesso.

Warhol era dotato di un’abilità comunicativa non comune e di una grande capacità di osservazione, costruendosi, grazie a queste, un’immagine da “divo”, prima che di semplice artista.

Nasce a Pittsburgh il 6 agosto 1928. Sin dai primi anni della sua vita, sviluppa una vocazione per l’arte, che lo porterà a dedicarvisi a 360º. Spazia dalla pittura alla grafica, dall’illustrazione alla sceneggiatura, fino alla regia e molto atro.

La sua carriera ha inizio a New York, quando comincia a lavorare come grafico pubblicitario presso alcune riviste, come Vogue e Glamour.

Dal mondo della comunicazione esordì il suo tratto distintivo: il linguaggio impersonale, volto a fare un tipo di arte che fosse registrazione “oggettiva” della realtà.

Innumerevoli le sue opere, di cui ne passeremo in rassegna solo poche delle più iconiche giusto per farvi assaggiare il genio del personaggio e della persona dietro al personaggio.

Andy, durante la sua vita, circondato da altri con cui scambiare suggerimenti ed idee, lavorò alla Factory con ritmi serrati, da “catena di montaggio”.

La Factory era una open house,  uno “spazio ideologico” libero, dove le nozioni della Pop Art diventavano vita giornaliera.

Il gruppo era un nucleo con un linguaggio comune, uno stile fondato sull’accettazione di qualsiasi comportamento, senza pretese o giudizi. Chiunque era invitato a partecipare e, per questo, da qui nacquero e passarono diversi personaggi di spicco dell’epoca, tra cui Bob Dylan, David Bowie e Keith Haring.

Nel giugno 1968, Warhol e il suo compagno vennero feriti con una serie di colpi d’arma da fuoco dalla femminista Valerie Solanas. L’incidente danneggiò tutti i principali organi interni dell’artista e segnò profondamente la sua vita, facendolo sentire a tutti gli effetti un “sopravvissuto”.

Andy Warhol morì a New York, avvolto nel suo velo di “mistero” e timidezza, il 22 febbraio 1987, in seguito a un intervento chirurgico alla cistifellea.

Dopo la morte, la sua fama crebbe a tal punto da renderlo il secondo artista più comprato e venduto, dopo Pablo Picasso.

Quattro lattine di Coca Cola, Andy Warhol
Quattro lattine di Coca Cola, Andy Warhol

 

Opere del genio

Tramite tecniche di produzione industriale come la serigrafia su tela, Andy raffigurava oggetti di uso comune e alla portata di tutti i ceti sociali in serie, alterandone il colore, come detersivi, zuppe Campbell o Coca-Cola. Secondo le sue ideologie, infatti, l’arte doveva essere di immagini oggettive e “pronte alla consumazione”. Come un prodotto da supermercato, insomma.

Ben presto gli oggetti e le persone da lui raffigurati diventarono icone del modo di vivere americano.

Dittico di Marilyn, Andy Warhol, 1962
Dittico di Marilyn, Andy Warhol, 1962


Tra le persone raffigurate nelle opere del maestro di questa Pop Art, ricordiamo, per esempio, Marilyn Monroe.

Andy era così interessato a mostrare nelle sue opere prodotti di largo consumo che non poteva perdere l’occasione di mostrare l’attrice come un altro prodotto della cultura popolare, come si può vedere nel suo primo lavoro sull’attrice “Dittico di Marilyn”.

Non si trattò di un vero e proprio ritratto, quanto piuttosto della riproduzione della sua immagine pubblica, diffusa dai media, sempre in serie, per compiacere gli ammiratori.

Sleep, Andy Warhol, 1963
Sleep, Andy Warhol, 1963

La pratica del distacco emotivo fu principale nel modus operandi di Warhol: anche i suoi prodotti cinematografici ne sono testimonianza.

Uno dei suoi lavori d’avanguardia, “Sleep”, del 1963, mostra un uomo che dorme per cinque ore e venti. Girato senza sonoro, con caratteristiche che rallentano e amplificano l’immagine del film, che viene percepito in un tempo lunghissimo e oggettivamente.

Diagnosi e controversie

Esperti come Judith Gould, direttore del principale centro diagnostico per l’autismo nel Regno Unito, insistono sul fatto che sia palese che Andy Warhol fosse autistico, seppur la sua è solo una diagnosi post mortem.

In fin dei conti, il mantra dell’artista è ben chiaro: fissazione e ripetizione dei concetti, distacco emotivo, impersonalità.

Gran parte del lavoro dell’artista verte sulla ripetizione, sulla quale solitamente si concentrano i comportamenti delle persone autistiche.

Nelle interviste, inoltre, è facile notare che il padre della Pop Art replicava quasi sempre alle domande con risposte monosillabiche. Forse prova della sua dislessia verbale, comune tra le persone nello spettro?

Tuttavia, non è unanime il pensiero che Andy fosse autistico. Coloro che sostengono questa diagnosi postuma suggeriscono che il diverso modus operandi di Warhol sia stato calcolato nel tentativo di “aumentare il senso del suo mistero”.

Fonte: https://www.metododanielenovara.it/wp-content/uploads/2024/03/Ripensare-le-diagniso-sullautismo-scaled.jpg
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Non bisogna guardare alla diagnosi di spettro autistico come un difetto della persona in questione o qualcosa che necessariamente segnerà in maniera negativa la sua esistenza, ma come un punto di forza, di acuta distinzione dalla massa.

Notate bene, affermando ciò non intendo “spettacolarizzare” questa condizione umana, bensì ricordare che una neurodivergenza, una diversità, non definisce l’individuo.

Magari, neurodivergente che stai leggendo, la tua serrata abitudine di uscire di casa tutti i giorni esattamente alle 7.44 del mattino, oggi, potrebbe essere vista come un’ossessione… Ma chissà che diventi il tuo marchio di fabbrica, il tratto distintivo della tua popolarità, domani.

Fonti:

https://specialisterneitalia.com/autismo-neurodiversita-e-neurodivergenza/

Autismo e disturbi dello spettro autistico: di cosa si tratta?

https://www.finestresullarte.info/arte-base/andy-warhol-vita-opere-padre-della-pop-art

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Andy_Warhol

Le 30 persone nello spettro autistico più famose della storia

Il sogno

Cos’è un sogno?       

Il sogno, dal latino somnium, è un fenomeno psichico legato al sonno e in particolare alla fase REM, detta anche sonno del paradosso o pensiero notturno e caratterizzata dalla percezione di immagini e suoni riconosciuti come apparentemente reali dal soggetto sognante.

Il sogno ha da sempre attratto la curiosità di scienziati e ricercatori ed è stato oggetto di studio della filosofia, della psicologia e della fisiologia.

Le moderne tecniche di neuroimmagine, poi, hanno permesso di approfondire i processi neurobiologici che avvengono durante il sogno, dando vita a una nuova fase di ricerca basata non più solo su ipotesi psicologiche, ma su riscontri fisici verificabili.

Nonostante i vari studi, però, non abbiamo ancora una vera motivazione sul perché avvenga.

Qual è la funzione dei sogni?

Ci sono molte ipotesi relative alla funzione dei sogni.

Durante la notte ci possono essere molti stimoli esterni. La mente li rielabora e ne fa parte integrante dei sogni, nell’ordine in cui il sonno procede.

La mente, tuttavia, sveglia l’individuo nel caso si dovesse trovare in pericolo, o se qualificata a rispondere a certi suoni; ad esempio, quello di un bambino che piange.

I sogni possono permettere anche alle parti represse della mente di essere soddisfatte attraverso la fantasia, tenendola lontana da pensieri che ne causerebbero un risveglio improvviso.

Freud suggerì che gli incubi lasciano al cervello la funzione di controllare le emozioni. Essi sono il risultato delle esperienze “dolorose”. I sogni lasciano esprimere alla mente le sensazioni che sarebbero normalmente soppresse da svegli, tenendoci così in armonia.

Ci sarebbe quindi una continuità tra la vita psicologica diurna e quella notturna, che permetterebbe al sonno di avere anche un effetto positivo sulla regolazione delle nostre emozioni e sulla soluzione di problemi rimasti irrisolti durante la veglia.

Possiamo vivere un sogno consciamente?

La risposta breve è sì.

Può capitare di trovarsi nel bel mezzo di un sogno e, ad un certo punto, rendersi conto che si sta sognando. Questo fenomeno viene identificato come “sogno lucido”, uno stato in cui si è per l’appunto consapevoli durante il sogno.

A discapito di quanto si possa pensare, sognare in maniera lucida può essere appreso. I sogni lucidi rappresentano un metodo efficace per esplorare la mente e permettere alle persone di affinare la conoscenza di loro stessi, oltre ad essere un’efficacissima strategia per incrementare la creatività.

Il sogno lucido, inoltre, risulta essere una terapia efficace per trattare gli incubi.

A livello clinico, infatti, è impiegato anche per il trattamento degli incubi ricorrenti, che colpiscono all’incirca il 4% della popolazione adulta.

Per quanto riguarda l’attività e le aree cerebrali coinvolte nel processo dei sogni lucidi, c’è ancora tanto da indagare. Ciò che però si è scoperto fino ad ora è che un sogno lucido può durare tra i 30 secondi e i due minuti circa, ed è stato dimostrato che le aree prefrontali (responsabili del pensiero critico, autodiretto e della metacognizione) ricoprono un ruolo importante nella loro generazione.

Il sogno come strada che porta alla ragione

Il sogno è spesso sentito come verità, quando non è confuso con la realtà stessa. È il momento di massima incoscienza dell’uomo, ed è proprio questo aspetto, legato alla coscienza di chi sogna, ad aver contribuito a una tale visione sacrale.

Il sogno può essere indotto dagli dèi, per esaltare, ingannare o stupire l’animo; oppure, può essere il frutto del turbamento di un eroe che al suo interno vede il motivo del proprio turbamento o ne scorge possibili soluzioni.

I sogni, secondo la mitologia greca, proprio per questa forte connessione con il divino, possono svolgere diverse funzioni.

Per esempio, alla morte di Patroclo, Achille dà conto della sua disperazione, urlando e piangendo per tutto il campo. Alla fine, esausto, si getta sulla spiaggia e si addormenta. In quel momento, è proprio l’amato defunto a comparirgli in sogno (Iliade, XXIII 60-71).

Un sogno può essere ingannatore e spingere alla “scelta sbagliata”. Ancora nell’Iliade, infatti, una vera e propria divinità, Sogno, si poggia sulla testa di Agamennone dormiente.

È proprio Zeus, che segretamente si augura la disfatta del fiero generale acheo, a mandare la divinità, la quale è da subito definita come menzognera.

Il sogno è anche un terreno fertilissimo per l’espressione di simbolismi, alle volte molto complessi. Queste simbologie così ricche non sono mai ingenue, ma preannunciano l’imminente verificarsi di qualcosa di straordinario. Si pensi ai sogni tra lo spaventoso e l’incomprensibile dei genitori di Alessandro il Grande prima della sua nascita.

La realtà del sogno nella religiosità ‘pagana’, tanto variegata e complessa, non si perse con l’arrivo del cristianesimo.

Il sogno come falso specchio

Il sogno per Freud si compone di un contenuto manifesto e un contenuto latente. Quest’ultimo nasconde il vero significato del sogno, mascherato dalla censura che ne impedisce l’accesso alla coscienza.

Quando sogniamo, pensiamo cose che nella vita diurna sono assolutamente inconcepibili o insensate. Freud, infatti, afferma che ci sono dei pensieri, realmente presenti nella mente, che non possono diventare coscienti e che vengono quindi rimossi nel sogno, deformandolo dal suo contenuto originario e travestendolo.

La principale causa di questa deformazione onirica è attribuita alla censura, la cui funzione è quella di lasciare passare solamente ciò che piace, respingendo tutto il resto.

Ciò di cui siamo consapevoli è solo il contenuto onirico manifesto, a partire dal quale possiamo decifrare i sogni e il loro reale significato.

Freud sosteneva che il regno dell’inconscio penetra nei nostri sogni e questa teoria ha costituito il primo esempio e modello sul tema.

Conclusione

Nonostante gli studi e la ricerca nel provare a comprendere la sua origine, il sogno resta a volte un escamotage per descrivere delle sensazioni che derivano da eventi che per qualche ragione rimangono nella memoria.

 

Fonti:

Wikipedia

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Sogno

Unobravo 

https://www.unobravo.com/post/la-genialita-delle-intuizioni-freudiane-e-linterpretazione-dei-sogni

State of mind 

https://www.stateofmind.it/2020/12/sogni-significati-psicologia/

CasaMedica

 https://www.casamedica.it/2019/07/03/il-sogno-secondo-freud/

Perché siamo attratti dai narcisisti?

Si dice spesso che il narcisista è come un vampiro capace di risucchiare tutto ciò che di buono c’è nell’altro. Inganna, manipola, umilia. Ma allora perché ne siamo così attratti?

Disturbo Narcisistico di personalità: quadro clinico

Il Disturbo Narcisistico fa parte dei Disturbi di Personalità del Cluster B: appartengono a questo gruppo individui che appaiono emotivi, melodrammatici, imprevedibili. Il termine “narcisismo” deriva dal mito di Narciso. La leggenda greca, infatti, narra che questo personaggio si innamorò della sua immagine riflessa nell’acqua, rifiutando l’amore della ninfa Eco. Gli individui affetti da Disturbo Narcisistico hanno un’idea irrealistica e grandiosa di sé e si pongono mete molto elevate; nello stesso tempo non presentano empatia nei rapporti interpersonali e sono indifferenti ai sentimenti altrui, ma si aspettano dagli altri un trattamento speciale. Sono ipersensibili alle critiche, desiderano essere continuamente gratificati, traggono scarso piacere dalle proprie attività e spesso provano tristezza, indifferenza e noia.

E’ già noto che la grandiosità del Sé compensa una scarsa autostima. Questi pazienti sono preoccupati da fantasie di grandi successi, di essere ammirati per la loro travolgente intelligenza o bellezza e influenza. Sentono di dover socializzare solo con altre persone altrettanto speciali e di talento come loro, non con la gente comune. Questa associazione con persone straordinarie è utilizzata per sostenere e migliorare la loro autostima.

Tipi di narcisismo

Il primo a parlare di narcisismo fu Freud che lo identificò semplicemente come una fase di sviluppo del bambino. In seguito alcuni studi hanno portato a definire il narcisismo come una patologia derivante da genitori anaffettivi o passivo aggressivo: per difendersi da questa condizioni i figli tendono a sviluppare una visione grandiosa di loro stessi. Negli anni ’90 il dottor Paul Wink identificò due tipologie di narcisisti i narcisisti covert ed overt. Questi due tipi di narcisisti si differenziano per la modalità con cui si manifestano le idee di grandiosità.

Il narcisismo overt si caratterizza per la manifestazione aperta della grandiosità, ad esempio è presente un forte desiderio di mostrarsi, mentre il covert appare ipersensibile e ansioso, timido e insicuro. In quest’ultimo caso la grandiosità non è manifesta, ma coltivata soprattutto nelle fantasie della persona. In entrambe le tipologie, la depressione può insinuarsi prepotentemente e accompagnare tutte quelle dinamiche psicologiche legate alla stabilità dell’immagine di sé. ll trattamento per l’NPD consiste principalmente nella psicoterapia. Non esistono farmaci per il trattamento della patologia, ma si possono utilizzare nel caso in cui si manifesta anche una forma depressiva.

Come manipola il Narcisista?

BREADCRUMBING: letteralmente “briciole di pane”. Il breadcrumbing in psicologia rimanda al comportamento di chi lascia briciole d’amore:

  • attirando l’altro a sé tramite comportamenti ambigui
  • non lasciando trasparire apertamente le proprie intenzioni
  • tenendo l’altro legato alla relazione senza però alcuna possibilità di progettualità futura.

GASLIGHTING: L’obiettivo è quello di indurre la vittima a dubitare di se stessa, della sua memoria e delle sue stesse sensazioni. Frasi tipiche sono:

  • «Non ho detto così, hai capito male»
  • «Non ti ricordi mai come sono andate le cose»
  • «Fatti curare! Perché continui a dire bugie»

Il gaslighting conduce rapidamente al crollo psicologico, perché, per tentare di trovare una spiegazione logica la vittima ne rimarrà sempre più intrappolata.

GHOSTING: Fare ghosting è una modalità di violenza psicologica che significa chiudere una relazione sparendo come un fantasma senza dare spiegazioni.

HOOVERING: ri-adescamento e riaggancio della vittima, il narcisista torna a farsi vivo anche dopo molto tempo. Lo farà in maniera indiretta con una scusa, come una ricorrenza (es. auguri di Natale o di compleanno) o mettendo like/commenti sui social o visualizzando tutte le stories della vittima.

Così facendo il narcisista potrà verificare se sei ancora lì ad aspettarlo e quali sono le mosse necessarie per farti cadere nuovamente nella sua trappola.

Le vittime di un narcisista

Le vittime scelte dal narcisista sono normalmente persone che soddisfano le loro mancanze e la loro necessità di grandezza, attraverso comportamenti complementari ai loro utili al raggiungimento di questo scopo. Tra questi troviamo:

1. Il salvatore

Il modo di dire “sindrome da crocerossina” potrebbe rappresentare perfettamente questa caratteristica comportamentale: persone cresciute prendendosi cura degli altri e che si sentono in dovere di salvare gli altri.

2. Mancanza di una relazione solida familiare

Può capitare che i genitori siano così presi dalla relazioni di coppia o dallo scorrere degli eventi esterni alla famiglia che non prestino attenzione ai messaggi del loro figlio. Quando ci si trova in nuove situazioni familiari e sociali (che sia un divorzio, l’arrivo di un nuovo componente in famiglia, ecc)  è importante che un genitore stia accanto al figlio per fargli capire la situazione e perché prenda coscienza di sé stesso, si senta amato e impari ad amare sé stesso.

3. Pensi di aver bisogno di essere salvato

Questo atteggiamento riguarda quelle persone che si sentono incapaci da uscire dalla situazione in cui si trovano e che cercano un supereroe per sistemare le cose e che pensano di aver bisogno di essere salvati.

4. Madre o padre narcisista

Se si è stati cresciuti da un padre o una madre narcisista è molto facile finire nello stesso modello relazionale che conosciamo: ovvero un ambiente svalutante e violento, in cui l’amore ha poco spazio.

5. L’empatico e il narcisista

Un altro caso classico di persone che attraggono i narcisisti è quello delle persone empatiche. La persona empatica, ascoltatrice e attenta, che si preoccupa degli altri e li consola, che tende ad essere tollerante e compassionevole, potrebbe destare molto interesse nelle persone narcisiste.

Per poter difendersi dagli attacchi di un narcisista è innanzitutto necessario riconoscerlo ed in seguito evitarlo, non avendo alcun contatto con lui/lei.

Carmen Nicolino

FONTI:
https://www.serenis.it/articoli/come-guarire-narcisismo-patologico/
https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/disturbi-della-personalit%C3%A0/disturbo-narcisistico-di-personalit%C3%A0
https://lamenteemeravigliosa.it/siamo-attratti-dai-narcisisti-perche-succede/
https://www.guidapsicologi.it/articoli/perche-attiro-sempre-le-persone-narcisisteidentikit-del-partner-ideale
https://nardonechiara.it/art/glossario-del-narcisista.html

MANUALE DI PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA-IV EDIZIONE

Manuale di psichiatria e psicologia clinica – IV Edizione

Il ritorno di Gerber nel nuovo romanzo di Donato Carrisi

Una lettura brillante e coinvolgente, dall’attrazione magnetica che ci proietta in un mondo pieno di lati oscuri e spirali di luce, alla costante ricerca della via giusta da seguire. Voto UvM: 5/5

 

Donato Carrisi ritorna nelle librerie italiane con il terzo volume del ciclo di Pietro Gerber La casa delle luci, edito da Longanesi per la collana La Gaja Scienza.

Sequel de La casa delle voci (2019, Longanesi) e La casa senza ricordi (2021, Longanesi), lo psicologo infantile Pietro Gerber, da cui proviene il nome della serie di romanzi, dovrà fare i conti con l’ennesimo mistero che si cela attorno alla figura di una bambina. Anzi, di due bambini.

Dall’esordio alle vette delle classifiche

Donato Carrisi, nato a Martina Franca (TA) il 25 marzo 1973, viene considerato il Maestro del Thriller su carta stampata.

Laureatosi in giurisprudenza con una tesi su Luigi Chiatti, ne è seguita poi la specializzazione in criminologia e scienza del comportamento. Non solo scrittore di romanzi ma anche sceneggiatore, drammaturgo, regista di serie tv e film d’autore, e collaboratore per il Corriere della Sera.

In televisione, coadiuva in numerose serie televisive marchiate Rai come Casa famiglia ed Era mio fratello, invece per Taodue di Mediaset in Squadra Antimafia – Palermo Oggi e Nassiryia – Per non dimenticare.

Dal romanzo d’esordio il suggeritore (2009, Longanesi) vince il premio bancarella 2009 e, successivamente, con l’edizione in francese le Chuchoteur, il Prix Livre de Poche 2011 e il Prix SNCF du polar 2011. Le sue opere thriller forse più famose,  La ragazza nella nebbia (2015, Longanesi), L’uomo del labirinto (2017, Longanesi) e Io sono l’abisso (2020, Longanesi), hanno trovato una trasposizione cinematografica di cui lo stesso Carrisi ne è stato regista.

Donato Carrisi
Donato Carrisi (al centro) presenta il suo nuovo romanzo “La casa delle luci” a Radio Deejay, con Nicola Savino (a sinistra) e Linus (a destra). Fonte: deejay.it

Cosa cela Gerber?

Pietro Gerber, protagonista della saga “Il Ciclo di Pietro Gerber”, è uno psicologo infantile, specializzato nell’ipnosi di bambini per aiutarli a superare dei traumi causati da eventi drammatici. Infatti, proprio per questa sua caratteristica, viene soprannominato “l’addormentatore di bambini”.

Ha trentatré anni e lavora a Firenze nel Tribunale dei minori, considerato dai suoi colleghi come il migliore nel suo campo.

Questa volta dovrà occuparsi del caso della piccola Eva, una bambina agorafobica di dieci anni, che vive in una grande casa in collina con la governante e una ragazza finlandese au pair, Maja Salo. Dei genitori nessuna traccia: il padre ha abbandonato la famiglia anni prima e la madre viaggia in giro per il mondo, comunicando con la figlia tramite sms.

Sarà proprio Maja a chiedere aiuto all’ipnotista Pietro Gerber. La bambina, che preferisce stare a casa rinchiusa senza voler vedere nessuno, sembra non essere più sola. A farle compagnia c’è un presunto amico immaginario senza nome e senza volto. Non è però solo un amico immaginario e potrebbe portare la piccola in pericolo.

Pietro, al fronte di una reputazione quasi allo sbaraglio, accetta il confronto con Eva. O meglio, con il suo amico immaginario.

Ma ciò che si troverà davanti va oltre il pensiero umano: la voce del ragazzino che comunica attraverso Eva non gli è indifferente. E, soprattutto, quella voce conosce Pietro. Conosce il suo passato e sembra possedere una verità rimasta celata troppo a lungo su qualcosa che è avvenuto in una calda estate di quando lui era ancora bambino.

Perché sentiva una specie di desiderio segreto dentro la pancia. E voleva sapere cosa si prova a sfidare Dio. Ma ora so che a Dio non importa se i bambini muoiono. E il signore con gli occhiali voleva provare almeno una volta a sentirsi come si sente Dio, prima di diventare vecchio e di morire… Perché la sua vita non gli piace, la sua vita è tutta una bugia.

Fronteggiando l’ignoto

Con i primi due romanzi della serie, il personaggio di Pietro Gerber è riuscito a farsi conoscere: un protagonista all’apparenza tutto d’un pezzo, disteso nel suo ruolo da psicologo infantile e fermo nella sua logica pungente. Ma addentrandosi nella narrazione, le fragilità tendono a scoprirsi piano piano, ponendosi in bilico tra il suo passato avvolto nell’oscurità e il presente incerto delle sue basi d’appoggio.

Gli interrogativi sono molti, tanti, e non tutti hanno la propria risposta esaustiva. Carrisi lascia sospeso il racconto, dove al di là si trova un’atmosfera cupa, coerente con l’ambientazione. Non è una novità e neanche una fatalità che gli elementi paranormali, le paure della mente e dell’immaginario, le presenze oscure, fanno un po’ leva e anche da protagoniste, nel turbinio di emozioni che lo stesso Gerber, ma anche chi intraprende il viaggio con lui, si trova ad affrontare a pieni polmoni.

La lettura è lenta ma scorrevole, razionale ed oggettiva nella descrizione, tutti i punti sono ben trattati e non lascia nulla al caso. Anche i pensieri espressi dai personaggi hanno un che di razionale, quasi a non volersi scomporre troppo, per non doversi aprire e temere un improvviso out of character.

Una nota di merito, come spiega lo stesso Carrisi nelle note dell’autore alla fine del romanzo, si deve fare sulle pratiche ipnotiche presenti nella storia, che sono effettivamente quelle utilizzate nelle terapie, così come gli effetti prodotti. Lo studio meticoloso di Carrisi, forte del contributo di professionisti qualificati e certificati, come cita nei ringraziamenti finali, non si ferma solo sugli effetti scientifici ma frantuma la “quarta parete cinematografica”, piazzando davanti ai nostri occhi un testo ricco di potere metaforico racchiuso nelle parole e nei frammenti di ignoto che, via via, si incastonano uno con l’altro, dando vita alla storia de La casa delle luci.

 

Victoria Calvo

Dagli studenti per gli studenti: Brains wide open, QI ed età del potenziamento

In un mondo in continuo sviluppo, l’intelligenza (dal verbo latino intelligere che significa comprendere, percepire) è il miglior strumento che l’uomo ha in suo possesso.
Sulla base di cosa si può definire un soggetto intelligente? E soprattutto, come allenarsi per esserlo di più?

Indice dei contenuti

Lo sviluppo del primo test di intelligenza

Qui noi separiamo intelligenza e istruzione trascurando quest’ultima nei limiti del possibile.
Non sottoponiamo il soggetto ad alcun test in cui possa avere successo per mezzo dell’apprendimento mnemonico, di fatto non rileviamo neanche la sua incapacità di leggere, se si presenta il caso; è solo il suo livello di intelligenza naturale che viene preso in considerazione”

Binet

L’affermazione sopracitata introduce in maniera esplicita l’obiettivo che ha mosso lo psicologo francese Binet a prendere le distanze da una commissione di esperti, incaricata dal governo francese di sottoporre a visita psichiatrica tutti i bambini, così da confinare i ”ritardati” in istituti per malati mentali.
Binet, infatti, riteneva la formazione di classi di recupero molto più efficace.
Il problema era: come misurare l’intelligenza ai fini dell’individuazione dei bambini non in grado di esercitare facoltà comuni a tutti gli altri?

Il test

Binet ha inserito in un test i compiti che i bambini brillanti erano in grado di svolgere e lo ha somministrato a diverse classi con l’obiettivo di rendere il test accessibile anche ad altri psicologi, così che potesse essere utilizzato al fine di calcolare il fattore g con una semplice formula:

età mentale ÷ età cronologica x 100

Con età mentale si specifica il grado di sviluppo dell’intelligenza.
Risulta però fondamentale considerare che dopo il primo decennio di vita, l’intelligenza si sviluppa molto più lentamente fino a stabilizzarsi. Dunque, per risalire al dato ricercato, è opportuno calcolare il quoziente di deviazione, mediante la seguente formula:

punteggio individuale ÷ punteggio medio 

Il punteggio medio è ottenuto dalle persone della stessa età del soggetto di cui vogliamo trovare il fattore g.

Falsi miti sui “geni tormentati”

Come osservabile nel grafico, il 68% della popolazione possiede un QI compreso tra i valori di 85 e 115.
Cosa accade se viene calcolato un punteggio al di sotto o al di sopra di oltre 15 punti del valore medio?
Si presentano soggetti ipodotati ( definiti disabili intellettivi) o iperdotati.
I soggetti iperdotati sono stati spesso oggetto di numerose rappresentazioni cinematografiche (basti pensare a “Beautiful mind”, un classico nella storia del cinema) che li hanno descritti come persone brillanti, creative, spesso incomprese, dunque affette da una certa forma di psicopatologia. Anche sui bambini gifted (bambini con specifiche abilità, superiori alla media, in determinati campi) ricorre lo stereotipo di “bambino genio” a cui la natura ha assegnato un dono.
Molti psicologi hanno contrariamente dimostrato che in realtà i soggetti con iperdotazione cognitiva tendono ad adattarsi e ad essere meno predisposti a malattie fisiche e mentali mentre, coloro che hanno un QI di 15 punti in meno rispetto alla media, a 20 anni hanno un rischio del 50% in più di essere affetti da schizofrenia, disturbi della personalità etc.

La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario. Ognuno di noi è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.

Einstein

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Intelligenza tra natura e cultura

L’idea che l’intelligenza sia in un certo senso legata alla biologia risale a Platone che, pur avendo una formazione prettamente filosofica, basata sullo studio dell’anima più che della mente, sosteneva che gli individui possiedono strutture necessarie al mondo sensibile basate su forme apprese prima della nascita in un iperuranio.
Con l’avvento della psicologia ed il suo continuo progresso, le ricerche neuropsicologiche registrano un aumento del numero di geni coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza. Infatti, sono 40 i nuovi geni identificati da un gruppo di ricercatori della Vrije Universiteit di Amsterdam e del King’s College di Londra. Tuttavia, questi geni sono coinvolti in numerosi altri processi, dunque risulta inappropriato parlare di geni dell’intelligenza, capacità che si dimostra sempre più essere il prodotto di una complessa serie di interazioni.

Condivisione genetica

Ma le persone con geni in comune, hanno QI simili?
Sebbene i membri di una stessa famiglia condividano tra di loro i geni, come due fratelli o due gemelli dizigoti che condividono il 50% dei geni e gemelli monozigoti che ne condividono il 100%, è però anche vero che vivono l’ambiente e le esperienze (molto più influenti dei geni sullo sviluppo dell’intelligenza) in modo diverso, capaci di plasmare l’individuo e renderlo più o meno stimolato verso lo sviluppo e l’allenamento di determinate facoltà cognitive. 

L’intelligenza non è immutabile nel tempo

Contro coloro che, erroneamente, ritengono che la nostra intelligenza sia influenzata esclusivamente dai geni e dunque   la ritengono immutabile, si pone la registrazione di un dato non poco importante definito effetto Flynn, che registra l’aumento del punteggio medio del QI di circa 30 punti in più rispetto ad un secolo fa (provato da uno stesso test usato sulla popolazione, ma in tempi differenti).
Questo dipende probabilmente dall’inizio di un periodo storico, che ha avuto inizio con la rivoluzione industriale, in cui la vita sottopone l’uomo a problemi sempre più simili a quelli che compongono i test d’intelligenza.
Non soltanto quella collettiva, ma anche l’intelligenza individuale ha un proprio sviluppo: è tra l’adolescenza e la mezza età che questa raggiunge il suo massimo potenziamento per poi declinare nella vecchiaia, probabilmente per il rallentamento dei processi neurali nell’elaborazione delle informazioni.

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Verso la creazione di superuomini

L’intelligenza può sicuramente essere accresciuta per mezzo del denaro (infatti appartenere ad uno status socioeconomico basso concorre, ad esempio, ad essere esposti a tossine ambientali che possono danneggiare lo sviluppo cerebrale, non poter accedere a diete e cure mediche ottimali) e dell’istruzione. E’ stato osservato, difatti, che quando l’inizio degli studi di un bambino viene ritardato da guerre, epidemie o mancanza di insegnati qualificati è notevole il declino del QI.
Negli ultimi anni, inoltre, sono stati condotti degli esperimenti per la produzione di farmaci che potrebbero migliorare i processi psicologici sottostanti alle prestazioni intellettive, ma che possono avere effetti collaterali e portare all’abuso.
Gli scienziati, attraverso la manipolazione dei geni che rendono possibile lo sviluppo dell’ippocampo (area in cui ha sede la trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine), hanno ”creato” dei topi transgenici più ”intelligenti”. Da ciò hanno dedotto che nei mammiferi è possibile il potenziamento genetico dell’intelligenza e della memoria.
Quanto però sarebbero sicure per l’essere umano queste tecniche? Quanto costerebbero? Chi potrebbe averne accesso? Ma soprattutto, i miglioramenti apportati verrebbero utilizzati per il bene comune o si formerebbe una casta di superuomini con il mondo nelle mani?
Sono queste le domande che dobbiamo porci e a cui dobbiamo trovare una risposta, andando incontro alla cosiddetta Età del Potenziamento.

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Laura Sciuto

Bibliografia

https://www.stateofmind.it/2016/03/quoziente-intellettivo
https://festivalpsicologia.it/argomenti/bambini-iperdotazione-cognitiva
https://www.psichepedia.it/index.php/la-percezione/404-percezione-teoria-innatista-ed-empirista
https://www.stateofmind.it/2015/04/effetto-flynn-intelligenza/#:~:text=Flynn%20ha%20rilevato%20che%20nel%20corso%20del%20secolo%20scorso%2C%20il,stato%20denominato%20appunto%20Effetto%20Flynn.
Fonte principale: Manuale di Psicologia Generale di D.Schacter, D.Gilbert, M.Nock, D.Wegner.

Covid-19: la percezione del rischio

L’8 Dicembre 2019 è stato identificato a Wuhan il primo caso di Covid-19. Ha avuto così inizio una delle più gravi pandemie mondiali che, a distanza di quasi due anni, sembra un incubo non ancora pronto a svanire.
In questo scenario, uno degli aspetti più evidenti ed indagati dai vari studi in ambito psicologico, è la percezione del rischio legata a: salute, lavoro, ripresa economica, aree interpersonali e le conseguenze psicologiche.
Risulta importante analizzare il concetto di ”percezione del rischio”. Consente infatti di comprendere meglio molti comportamenti e di adottare uno stile di comunicazione efficace, soprattutto durante un’emergenza sanitaria come quella attuale.

  1. Cos’è la percezione del richio
  2. Comportamenti protettivi e modalità di rischio
  3. Rischio come analisi e rischio come sentimenti
  4. Focus-on sul rischio come sentimento
  5. La visione culturale del rischio: gerarchia-egualitarismo e individualismo-comunitarismo
  6. L’importanza delle norme sociali per il cambiamento del comportamento

Cos’è la percezione del rischio

Sul sito web del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova si legge: “La percezione del rischio è un processo cognitivo coinvolto in diverse attività quotidiane e che orienta i comportamenti delle persone di fronte a decisioni che coinvolgono dei rischi potenziali. La percezione del rischio coinvolge diverse dimensioni come, per esempio, le conseguenze sia immediate sia future e le loro implicazioni tanto su un piano razionale ed oggettivo quanto su un piano emozionale e soggettivo. La ricerca ha sottolineato che in molti casi esiste una discrepanza tra la percezione soggettiva del rischio e la valutazione oggettiva (Slovic, 2001). ”
Dunque, spesso capita che le personae abbiano timore di attività realmente non pericolose, sottovalutando quelle che potrebbero portare a conseguenze drammatiche. Nel parlare di percezione del rischio si fa riferimento all’inclusione di dimensioni cognitive,emotive e sociali creando così un modello di analisi complesso.

https://www.auxologico.it/
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Comportamenti protettivi e modalità di rischio

Alcuni studi hanno rilevato come la percezione del rischio sia fondamentale al fine di sviluppare comportamenti protettivi, come ad esempio la promozione della pulizia e dell’igiene e l’evitamento della vicinanza sociale.
Facendo riferimento al paradigma psicometrico per l’analisi quantitative del rischio percepito e dei benefici percepiti, possiamo distinguere due modalità attraverso le quali le persone percepiscono e/o agiscono sul rischio.

Rischio come analisi e rischio come sentimenti

Si può parlare di “rischio come analisi”che si basa su logica, processi decisionali e ragione. Questa modalità risulta più lenta, complessa e faticosa, in quanto si tratta di un processo cognitivo.
L’altra è quella del “rischio come sentimenti” che fa riferimento alla intuizioni di minaccia ed alle reazioni istintive. Quest’ultima modalità è più veloce, rapida ed efficace.
Stati emotivi vissuti durante la pandemia sono stati per lo più: rabbia, paura, preoccupazione, tristezza, solitudine, incertezza ma anche speranza e fiducia.
Gli stati affettivi ansiosi, hanno amplificato la percezione del rischio interpersonale e psicologico, mentre l’incertezza ha aumentato i rischi percepiti per il lavoro, l’economia istituzionale e l’area psicosociale.

Focus-on sul rischio come sentimento

Quando si parla di rischio come sentimento, quindi prevalentemente processi guidati da stati affettivi ed emotivi, si tratta di un atteggiamento che fa riferimento alla valutazione delle nostre esperienze dirette e/o indirette con quel pericolo e quanto lo riteniamo positivo o negativo.
Durante i momenti peggiori della pandemia, soprattutto nella sua fase primordiale, le persone hanno utilizzato/utilizzano per lo più questa modalità. Viene infatti usata quando si è sottostress, con conoscenze limitate sugli argomenti di interesse e con poco tempo a disposizione.
Le esperienze, incrementando la possibilità di apprendimento positive o negative (ad esempio aver avuto un conoscente affetto da covid) o le nostre immagini mentali, contrassegnate da positività o negatività, si legano anche a stati somatici e corporei, rimandando all’importanza della connessione mente-corpo.

Per quanto riguarda l’aspetto cognitivo nella percezione del rischio è correlato a: ricerca di notizie sul covid-19, controllo ed efficacia dei termini di contenimento.

https://www.puntosicuro.it/
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La visione culturale del rischio: gerarchia-egualitarismo e individualismo-comunitarismo

Bisogna aggiungere che anche i fattori sociali,culturali e politici giocano un ruolo fondamentale nella percezione del rischio. Anche gli esperti ne sono influenzati e per questo è necessario prenderli in considerazione. Nello specifico, facciamo riferimento a visioni basate sulle contrapposizioni gerarchia-egualitarismo e individualismo-comunitarismo.
Più le persone hanno una visione individualistica e gerarchica, più valutano negativamente il Covid-19, riducendone la loro percezione del rischio.  Questo perché, nelle società individualiste, ci si aspetta che le istituzioni sociali garantiscano benessere ed assistenza senza interferenze da parte del governo.
Sicuramente avrete letto espressioni del tipo “Non ci possono dire come dobbiamo vivere”, “Siamo in dittatura sanitaria”, “Decido io dove andare, nessuno può costringermi” ecc.
Chi invece ha una visione basata sull’egualitarismo ha come obiettivo quello di distribuire in maniera equa la ricchezza e la salute. Ciò fa aumentare la percezione del rischio per tutta la comunità.

L’importanza delle norme sociali per il cambiamento del comportamento

Tra i fattori di promozioni per le azioni di protezione durante la pandemia rientrano le norme sociali.
Nello specifico, vi è una differenza tra norme descrittive, ovvero la percezione soggettiva di ciò che fanno gli altri, e norme prescrittive, convinzione su ciò che si aspetta che si faccia.
Infatti, più si pensa che gli altri agiscano per ridurre la diffusione del virus, più ci si sente socialmente sottopressione per ridurre il contagio e più si metteranno in atto le misure di prevenzione.
Questo rispetto delle norme è maggiore nelle società di tipo egualitario/comunitario.

Tutto questo serve a sottolineare che ormai non possiamo più parlare di benessere dell’individuo ridotto solo all’aspetto medico, ma serve anche ragionare ed agire in un’ottica psicologica e socio-psicologica.

                                                                                                                                                      Chiara Fraumeni

Bibliografia

Lanciano, Graziano,Curci,  Costadura, Monaco,(2020) Risk Perceptions and Psychological Effects During the Italian COVID-19 Emergency, 2020; 11: 580053. PMCID: PMC7533588, PMID: 33071920

Savadori, Lauriola, Risk Perception and Protective Behaviors During the Rise of the COVID-19 Outbreak in Italy(2021), 2020; 11: 577331. Published online 2021 Jan 13. doi: 10.3389/fpsyg.2020.577331 . PMCID: PMC7838090 . PMID: 33519593

 Forte ,  Favieri , Tambelli , Casagrande  The Enemy Which Sealed the World: Effects of COVID-19 Diffusion on the Psychological State of the Italian Population  PMID: 32531884,PMCID: PMC7356935, DOI: 10.3390/jcm9061802

 

COVID e adolescenti: la pandemia oltre il virus

L’Italia non è un Paese per giovani, e la pandemia in corso ne da ulteriore conferma.
Scarsa considerazione è stata data a chi rappresenta il futuro, generando una pandemia silenziosa tra i giovanissimi. Affrontiamo insieme la questione! Continua a leggere “COVID e adolescenti: la pandemia oltre il virus”

Lo Spirito del Natale: questione di cuore o di cervello anche in pandemia?

Il mese di dicembre, da tutti, viene inevitabilmente associato al Natale: si inizia a percepire un’atmosfera magica, di festa, di gioia, si incontrano i familiari e gli amici e si riscoprono valori importanti quali la solidarietà, la famiglia, la bontà. Se l’atmosfera natalizia di gioia mista a nostalgia è nota, ciò che potrebbe non esserlo è la localizzazione del famoso “Spirito del Natale” nel cervello umano.

Secondo Hougaar (ricercatore in neuroscienze), Lo Spirito del Natale si è diffuso, di generazione in generazione, sotto forma di un “fenomeno” noto da un punto di vista religioso e commerciale, ma non noto da un punto di vista neuro-biologico. A tale scopo, nel 2015, il ricercatore ed i suoi collaboratori condussero uno studio a Copenaghen in cui vennero coinvolti due gruppi:

  • Il primo conteneva 10 soggetti sani residenti a Copenaghen, che festeggiavano ogni anno il Natale,
  • Il secondo 10 soggetti sani, residenti nella stessa zona, che non celebravano le tradizioni natalizie.

L’obiettivo dello studio era l’esatta localizzazione dello Spirito Del Natale a livello corticale e dei meccanismi neuro-biologici coinvolti, motivo per il quale i due gruppi furono sottoposti alla metodica diagnostica della risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) mentre osservavano una serie continua di 84 immagini, mostrate per due secondi ciascuna. La serie era strutturata in modo tale da mostrare ad ogni singolo soggetto sei immagini consecutive aventi un tema natalizio, seguite da sei immagini consecutive non aventi un tema natalizio. Ciascun soggetto, inoltre, dopo essere stato sottoposto alla fMRI, veniva sottoposto ad un questionario contente una serie di domande per indagare sulle credenze, sulle tradizioni rispettate e sulle sensazioni avvertite durante il periodo natalizio.

LO SPIRITO DEL NATALE ESISTE DAVVERO NEL CERVELLO?

Lo studio dimostrò che nel gruppo dei soggetti amanti del Natale, secondariamente all’osservazione delle immagini natalizie, si attivavano delle aree cerebrali in modo molto più significativo rispetto al gruppo dei non amanti del Natale. Grazie a questi risultati, il gruppo di Hougaar identificò un network cerebrale del Natale, che corrispondeva a diverse aree cerebrali, quali:

  • Corteccia motoria primaria;
  • Corteccia premotoria sinistra;
  • Lobo destro inferiore;
  • Lobo parietale superiore;
  • Corteccia somatosensoriale primaria.

PERCHÉ QUESTE AREE CEREBRALI SONO COSI’ IMPORTANTI?

Studi precedenti hanno associato tali aree cerebrali alla spiritualità e al riconoscimento facciale delle emozioni.
Urgesi, noto psicologo e ricercatore in neuroscienze, nel 2000 aveva già dimostrato come i lobi parietali destri e sinistri giochino un ruolo fondamentale nell’autotrascendenza, ovvero il tratto di personalità che determina la propensione individuale alla spiritualità; mentre Balconi dimostrò nel 2013 come la corteccia premotoria esplichi un ruolo chiave per esperire emozioni condivise con altri individui, mettendo in atto gli atteggiamenti altrui e riflettendo lo stato emotivo altrui. Infine, Adolphs nel 2000 dimostrò che la corteccia somatosensoriale è indispensabile non solo per il riconoscimento facciale delle emozioni, ma anche per ricavare informazioni sociali in rapporto alle espressioni e ai volti altrui.

IL NATALE E ALTRE RISPOSTE NEURO-ENDOCRINE

Il Natale, se da un lato è la festa gioiosa per eccellenza, dall’altro riflette le abitudini stressanti della società moderna: le attività pre-natalizie innescano una risposta fisiologica nell’organismo con rilascio di adrenalina e cortisolo. Il secondo, l’ormone dello stress, esercita una profonda attività sull‘ippocampo, con successivo decremento della capacità di apprendere e ricordare nuove informazioni. Tuttavia, al di là dell’aspetto prettamente materialistico che potrebbe condurre il soggetto ad eventi stressanti, il Natale è per eccellenza il simbolo della famiglia: la sensazione di “calore” associata a questi momenti è dovuta in parte all’ossitocina, definita da molti studiosi l’ormone dell’istinto materno e dei legami umani.

LA PANDEMIA CI RUBERÀ’ IL NATALE?

il Natale è ormai alle porte, anche se i festeggiamenti saranno differenti rispetto a quelli degli anni passati. Se da un lato è indispensabile evitare un aumento dei contagi, dall’altro bisogna considerare le conseguenze devastati a livello psichiatrico: l’isolamento esacerberà i disturbi di ansia e i disturbi depressivi maggiori, tanto da considerare questo periodo una vera e propria “emergenza psichiatrica“.

Come dimostrato in uno studio condotto su 402 pazienti al San Raffaele di Milano nei mesi scorsi, i pazienti con una precedente diagnosi di patologia psichiatrica sono peggiorati ed il 56% dei partecipanti allo studio ha manifestato almeno uno di questi disturbiin proporzione alla gravità dell’infiammazione durante la patologia:

  • disturbo post-traumatico da stress nel 28% dei casi;
  • depressione nel 31%;
  • ansia nel 42%;
  • insonnia nel 40%;
  • sintomatologia ossessivo-compulsiva nel 20%.

Sono state riscontrate ripercussioni psichiatriche meno gravi nei pazienti ricoverati in ospedale rispetto ai pazienti ambulatoriali. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da COVID-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.

 COSA CONSIGLIANO GLI ESPERTI?

Secondo molti psichiatri, i festeggiamenti (nel limite delle norme imposte dal governo) sono un fattore prognostico positivo nel contesto della cosiddetta “ansia da pandemia”; anche la programmazione delle vacanze natalizie rappresenta un ponte tangibile tra il presente, incerto ed angosciante, ed il futuro.

Caterina Andaloro

Bibliografia

  • Adolphs, R., Damasio, H., Tranel, D., Cooper, G., Damasio, A.R. (2000). A role for somatosensory cortices in the visual recognition of emotion as revealed by three-dimensional lesion mapping. Journal of Neuroscience, 20 (7), 2683-2690
  • Balconi, M., Bortolotti, A. (2013). The “simulation” of the facial expression of emotions in case of short and long stimulus duration. The effect of pre-motor cortex inhibition by rTMS. Brain and Cognition, 83, 114-120.
  • Hougaard, A., Lindberg, U., Arngrim, N., Larsson, H.B.W., Olesen, J., Amin, F.M., Ashina, M., Haddock, B.T.  (2015). Evidence of a Christmas spirit network in the brain: functional MRI study. TheBMJ, 351:h6266.
  • Urgesi, C., Aglioti, S.M., Skrap, M., Fabbro, F. (2010). The spiritual brain: selective cortical lesions modulate human self-transcendence. Neuron, 65 (3), 309-319

 

CeRIP: riattivato il servizio gratuito di consulenza psicologica

Il CeRIP, Centro di Ricerca e Intervento Psicologico, si occupa da tempo di fornire supporto psicologico gratuito ed in totale anonimato a tutti gli studenti durante il loro intero percorso universitario.

Elevate le richieste durante il primo lockdown

Già durante il periodo di quarantena che ha segnato i primi mesi di quest’anno, il servizio era stato esteso a chiunque ne avesse bisogno, oltre i confini universitari, segno di sensibilità e attenzione continua da parte del personale esperto.

Il servizio è stato riattivato il 16 novembre sotto la supervisione scientifica della Prof. Marina Quattropani, e oltre che agli studenti, la fruizione del supporto sarà estesa a tutti gli operatori sanitari e in generale a tutta la cittadinanza.

Il Direttore del Centro, Prof.ssa Larcan, sostiene, infatti, che in questo particolare momento di fragilità e debolezza, il sostegno psicologico è fondamentale e gli Psicologi del centro non rimangono indifferenti a questa manifesta necessità.

Riconoscimenti del Ministero della Salute

Oltre la cittadinanza e coloro che ne hanno usufruito, anche il Ministero della Salute ha molto apprezzato l’impegno del CeRIP, tanto da inserirlo nell’Elenco Nazionale degli Enti che erogano servizi di aiuto psicologico.

Informazioni per la fruizione del servizio

  • Il servizio è attivo lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 14:00 alle ore 18:00.
  • È necessario chiamare il numero 3295457990 per prendere un appuntamento con gli Psicoterapeuti.
  • L’incontro si svolgerà tramite l’account Skype del centro: “Cerip Unime”

Il servizio, per motivi deontologici, garantisce l’anonimato.

Per ulteriori aggiornamenti: Coronavirus II Fase

Elena Perrone