Una sommossa di presunta matrice neofascista a Roma: la protesta contro il Green pass come copertura?

«Giù le mani dal lavoro» gridavano ripetutamente le migliaia di persone scese in strada a Roma, sabato scorso, per protestare contro l’obbligo di Green pass sul posto di lavoro. Poco dopo, la situazione degenera. A causa di infiltrazioni di simpatizzanti di estrema destra, tra cui militanti del partito di Forza Nuova oltre che soggetti indipendenti, il corteo pacifico si trasforma in una vera e propria guerriglia.

 

Scontri con la Polizia (fonte: gazzettadelsud.it)

 

L’organizzazione della protesta generale, aveva come punto di partenza Piazza del Popolo. I manifestanti, avevano poi chiesto ai responsabili dell’ordine pubblico di poter proseguire pacificamente in corteo verso la sede della Cgil, considerata una delle organizzazioni sindacali italiane principali. Permesso negato.

Così, un gruppo di poche centinaia di persone, principalmente simpatizzanti di Forza Nuova, ha preso il sopravvento e trascinato il resto delle migliaia di manifestanti apparentemente pacifici.

Questa mossa, forse pianificata, da questi dimostranti più determinati e insinuatisi nel corteo generale, ha accesso i forti scontri contro gli agenti di polizia.

Decisiva, per i manifestanti di Forza Nuova la “copertura”, complice, di un movimento che, dall’aprile 2020 si è costituito dichiarandosi spontaneo e “di popolo”, apolitico o “politicamente eterogeneo”, ma solo a parole slegato da partiti politici.

“Si è concretizzato quel timore che avevamo comunicato alle istituzioni nelle scorse settimane e di cui il ministro (dell’Interno, ndr) Lamorgese aveva parlato” – dichiara una fonte qualificata dell’intelligence.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Tra gli arrestati per l’attacco alla Cgil, esponenti di Forza Nuova e non solo

Arrivati di fronte la sede della Cgil, i manifestanti hanno pressato il cordone di agenti di polizia, fino ad entrare dentro, dove hanno devastato gli uffici.

Gli uffici devastati (fonte: Today.it)

L’obiettivo successivo, come anche dichiarato apertamente, sarebbe stato Palazzo Chigi. Volevano replicare le scene viste negli Stati Uniti, a Capital Hill.

Devastate le stanze del dipartimento comunicazione, divelti armadi, scrivanie, pc e una fotocopiatrice usata come ariete per sfondare delle porte. Trentotto gli agenti di polizia rimasti feriti.

Tra la massa, prima di entrare, si scorgono gli esponenti maggiori di Forza Nuova: il leader nazionale Roberto Fiore, appartenente associazioni sovversive nere degli anni Settanta, ricercato e condannato per questo, con pena mai scontata e prescritta, per la latitanza all’estero, poi ritornato in politica negli anni 2000; il leader romano, Giuliano Castellino; presente anche il fondatore di “IoApro” (movimento che raccoglie ristoratori di tutta Italia contrari alle restrizioni per il covid sin dagli inizi), proprietario di una catena di pizzerie, Biagio Passaro, il quale si è filmato una volta all’interno del sindacato.

Questi sono stati arrestati insieme ad altri, in flagranza e con arresto differito, tra cui anche Luigi Aronica, soprannominato “Er Pantera”, ex appartenente ai “Nuclei armati rivoluzionari” (Nar), cresciuto nella sede romana del Fuan (l’organizzazione universitaria del Msi), tornato all’attività politica dopo diversi anni trascorsi in carcere. Aronica, per ironia della sorte, era riuscito ad ottenere il green pass per poter andare a vedere allo stadio la sua amata Roma.

I leader di Forza Nuova, il fondatore di IoApro e un ex dei Nar (fonte: ilcorriere.it)

I fermati sono accusati a vario titolo, per danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. La Procura di Roma continua a indagare, i filmati ad essere vagliati.

I militanti del partito, che hanno rivendicato tramite i social l’attacco, non lasciando più alcun dubbio, molto agguerriti, sembra, dunque, che abbiano preso in mano la manifestazione principale, pacifica.

 

La matrice dell’attacco e la divisione della politica

Sottolineato quasi subito, l’eterogeneità della massa di manifestanti: c’è chi si è dichiarato d’accordo con la mossa degli estremisti che hanno attaccato la Cgil, chi non condivide l’uso della violenza, pur comprendendo le motivazioni dietro, e chi è convinto che se non fosse successo questo, sarebbe stato organizzato altro inevitabilmente.

I No vax sui social hanno ribadito “niente violenza”, ma c’è una parte di loro che, invece, ha commentato che “far paura serve”.

(fonte: larepubblica.it)

Questa commistione, potrebbe rivelarsi ancor più pericolosa, perché indefinita. Il malcontento, dovuto principalmente alla pandemia, potrebbe essere ancora sfruttata dagli estremisti per veicolare le piazze e dare nuova linfa a quello che sembra un movimento neofascista.

Sull’attacco e sulla matrice di esso si sono tempestivamente espressi, prima il segretario della Cgil, poi diversi politici, dalle opinioni in parte contrastanti che hanno acceso il dibattito.

Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha dichiarato:

“Quella di ieri è una ferita democratica, un atto di offesa alla Costituzione nata dalla Resistenza, che ha violentato il mondo del lavoro e i suoi diritti.”.

Per Landini, inoltre, l’azione contro il sindacato era premeditata da tempo, ma soprattutto, le motivazioni non riguarderebbero né il Green pass, né le principali motivazioni della protesta generale.

È così, che, nell’immediato, si è accesa la convinzione, largamente condivisa, che si sia trattato di un attacco di matrice neofascista. Il malcontento per le misure adottate per il Covid sarebbe solo la copertura, per riaccendere altri sentimenti.

Landini e i segretari delle altre due Confederazioni sindacali hanno così lanciato un appello al mondo della politica e tutte le forze democratiche del Paese, affinché si passi a provvedimenti decisivi, per rilevare e sciogliere organizzazioni neofasciste e neonaziste e lo stesso partito di Forza Nuova.

Appello ripreso dal leader del Pd, Enrico Letta. Forza Italia ha risposto negativamente: “Da parte di Forza Italia massima dissociazione e severità, al punto che Silvio Berlusconi ha chiamato di primo mattino il segretario della Cgil – è stato dichiarato dal partito – Tuttavia la presa di distanza e sostegno a qualunque iniziativa legale e politica contro chi assalta e picchia i poliziotti non si traduce in sostegno a iniziative e manifestazioni chiaramente strumentali in piena campagna elettorale.”.

Matteo Salvini la pensa allo stesso modo, riguardo l’organizzazione da parte dei sindacati di una manifestazione per il 16 ottobre: “Un corteo sabato? Ma non c’è la pausa elettorale? Noi sabato prossimo saremo nei gazebo della libertà, gazebo della Lega in tutta Italia, per la giustizia, con il sorriso.”.

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ospite a Madrid, del partito di ultradestra “Vox”, ha dichiarato di non essere a conoscenza della natura della matrice dell’attacco al sindacato e, dunque, non esser d’accordo sullo scioglimento di Forza Nuova. Ciò ha generato clamore tra i suoi avversari politici, che hanno sottolineato l’esistenza di video che testimoniano la presenza dei leader del partito sulle scalinate della sede del sindacato.

L’episodio di sabato, rievoca tanto gli attacchi alle Camere del lavoro del 1920 e 21, da parte dei fascisti. Il passato sembra essersi ripetuto e ora l’allerta è massima. Ci si interroga anche sulle strategie da adottare, da parte delle forze dell’ordine. Si è molto preoccupati di aver sottovalutato la forza di certe correnti politiche e movimenti di estrema desta, forse capaci veramente di trascinare tanti italiani estranei a certe idee, ma deboli per lo sconforto generato dal perdurare della pandemia.

 

Rita Bonaccurso

Brasile, manifestanti in 200 piazze chiedono l’impeachment del presidente Bolsonaro per la sua “catastrofica gestione della pandemia”

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Sabato 29 maggio decine di migliaia di persone sono scese in piazza nelle principali città del Brasile per protestare contro il presidente ultranazionalista (e negazionista) Jair Bolsonaro, accusato di aver capitanato una catastrofica gestione della pandemia che, proprio nel gigante latino-americano, ha provocato finora oltre 461 mila morti. I manifestanti chiedono infatti l’impeachment del presidente. Secondo alcuni osservatori si è trattato della più grande manifestazione a cui il Paese abbia assistito dall’inizio della pandemia di Covid.

I luoghi delle maggiori proteste

Sono circa 200 le città brasiliane in cui si sono tenute le manifestazioni di protesta contro Bolsonaro, tra cui San Paolo, Rio De Janeiro e Brasilia. Gran parte delle persone scese in piazza erano giovani, i quali hanno scandito slogan di ogni tipo contro il presidente di estrema destra.

Le manifestazioni sono state quasi ovunque pacifiche, con l’unica eccezione di Recife, capitale dello stato del Pernambuco terra dell’ex presidente Lula, che ha deciso di non appoggiare pubblicamente le proteste per mantenere un profilo basso. I dimostranti sono stati qui caricati dalla polizia con lacrimogeni e proiettili di gomma che hanno causato decine di feriti.

Nel centro di Rio sono state 10 mila le persone che – tra sinistra e movimenti studenteschi – hanno sfilato gridando «Fuori Bolsonaro», «Vaccino subito», «Bolsonaro genocida» e «Fuori Bolsovirus».

Riempito da oltre 80 mila persone l’Avenida Paulista di San Paolo, viale simbolo della capitale economica del Sudamerica. Durante la sfilata lungo il viale, il leader del Movimento dei Lavoratori Senza Tetto (Mtst) Guilherme Boulos è avanzato così:

«Siamo in strada per difendere vite. Non aspetteremo seduti le elezioni presidenziali del 2022 e la manifestazione di ieri è stata solo l’inizio».

In effetti Boulos sta togliendo spazio da sinistra a Lula ed è già candidato alla presidenza del Psol (Partito Socialismo e Libertà), nato da una scissione «a sinistra» del PT (partito dei lavoratori) di Lula.

Ma i commenti accusatori sono arrivati anche da parte di altri agguerriti manifestanti:

«Dobbiamo fermare questo governo», «Bolsonaro è un genocida. È un assassino, non si rende conto del disastro che sta causando».

Il presidente Jair Bolsonaro. Fonte: ISPI

Si sono verificate proteste anche a Salvador e a Belo Horizonte, dove molte persone hanno deciso di puntare tutto sullo scherno, travestendosi da scheletri con la testa di Bolsonaro e tenendo in una mano la falce della morte e una bottiglia di clorochina nell’altra (farmaco lodato dal presidente come risposta per prevenire l’infezione da coronavirus, nonostante non ci siano prove sulla sua efficacia).

Non potevano certamente mancare infine le proteste nella capitale Brasilia, arrivate dopo che nei due precedenti fine settimana lo stesso Bolsonaro aveva indetto due manifestazioni di sostegno al governo, in risposta alla sua perdita di popolarità: secondo l’ultimo sondaggio di Datafolha quest’ultima è infatti scesa al minimo storico del 24%.

Mala gestione e Impeachment del presidente

Durante la crisi del Coronavirus la popolarità di Bolsonaro è drasticamente precipitata, in quanto gran parte dell’opinione pubblica lo ritiene responsabile della disastrosa gestione della pandemia, che negli ultimi mesi ha condotto al collasso l’intero sistema sanitario brasiliano.

Fonte: ANSA.it

Finora è stato vaccinato con una dose poco più del 21% della popolazione e con due dosi poco più del 10%, una percentuale pari a 19 milioni di persone contro gli oltre 210 milioni di abitanti che si contano in tutto il Paese. Si tratta di un ritardo che chiaramente si riflette anche sul numero di contagi e decessi degli ultimi giorni: a soli due giorni fa risalgono, secondo il ministero della Salute, 79.670 nuovi casi di contagio e 2.012 vittime provocate dalla malattia.

Con questo si spiegherebbe dunque perché il presidente brasiliano starebbe ad oggi affrontando la più grande crisi politica dall’inizio della sua presidenza: il 49% dei brasiliani sarebbe infatti favorevole al suo impeachment, mentre il 46% è contrario.

L’impeachment (ovvero la messa in stato d’accusa) è un istituto giuridico, presente in diversi Stati del mondo, con il quale si prevede il rinvio a giudizio di titolari di cariche pubbliche allorché si ritenga che nell’esercizio delle loro funzioni abbiano commesso determinati illeciti.

Le manifestazioni preannunciano scottanti elezioni nel 2022

È vero che già nel gennaio scorso manifestanti appartenenti sia ai gruppi di destra che di sinistra avevano sfilato in vere e proprie carovane d’auto per chiedere l’impeachment di Bolsonaro, ma le proteste del 29 maggio hanno avuto un valore simbolico molto diverso, senza precedenti. Questo perché in strada sono scese anche quelle categorie dimenticate della società brasiliana di oggi, vale a dire poveri, precari e movimenti di rivendicazione della terra.

Fonte: Il Giornale

A detta di molti organizzatori lo scorso sabato sono andate in scena le prove generali del prossimo anno elettorale, che si preannuncia alquanto bollente specialmente per i movimenti sociali e i sindacati vicini al Partito dei lavoratori (PT) di Lula e allo PSOL di Boulos.
Alle elezioni del 2022 una rielezione dell’attuale presidente in carica è tutt’altro che scontata, laddove invece sembrano esserci buone possibilità per la ricandidatura di Lula, principale leader della sinistra brasiliana ed ex presidente dal 2003 al 2011.

Gaia Cautela

Bielorussia: scompaiono tre giornalisti di una testata che racconta della repressione politica del governo

Fonte: Il Post

La politica estera europea viene ancora una volta messa a dura prova: ieri, martedì 25 maggio, sono scomparsi tre giornalisti della testata online bielorussa Tut.by. Arrestata, poi, anche una quarta giornalista, Anastasia Prudnikova, nel suo appartamento.

Secondo diverse persone, i responsabili dei presunti arresti non possono che essere le autorità bielorusse, dato che, già la scorsa domenica pomeriggio, il presidente Aleksandr Lukashenko aveva fatto ordinare il dirottamento a Minsk del volo Ryanair tra Atene e Vilnius, con l’obiettivo di arrestare “l’oppositore” al regime Roman Protasevich. Per tali ragioni, l’Ue si è immediatamente mobilitata al fine di adottare delle sanzioni contro la Bielorussia.

L’irruzione nella redazione di Tut.by

Tut.by è un sito di news indipendente – fondato nel 2000 – tra i più importanti e seguiti in Bielorussia e, martedì 18 maggio, proprio le autorità bielorusse hanno fatto irruzione presso la redazione (con sede nella capitale bielorussa Minsk), mettendo offline il sito. Non solo, poiché quest’ultime hanno anche fatto irruzione nella casa della direttrice Marina Zolotova e in quelle di altri giornalisti della testata. Si pensa che tutto questo faccia parte di un quadro più ampio, per la repressione politica messa in atto dal capo del governo bielorusso Lukashenko, che dal 1944 governa in modo autoritario.

La linea della testata era piuttosto equilibrata e non si era mai distinta per caratteristiche antigovernative e oppositive. Nel corso dell’ultimo anno, però, essa aveva iniziato ad avere problemi con le autorità per aver raccontato la repressione attuata dal governo bielorusso.

A dire il vero, già nella settimana precedente, con l’irruzione in redazione, altri giornalisti erano stati arrestati, con l’accusa di aver partecipato ad eventi e manifestazioni non autorizzate e contro il regime, per aver seguito il processo di un oppositore politico. E ancora, a marzo la giornalista Katerina Borisevich, collaboratrice sempre della stessa testata, era stata arrestata per aver rivelato segreti medici’’, dopo aver dimostrato attraverso referti medici che, al contrario di quanto sostenuto dalle autorità, la morte di un manifestante non era avvenuta in una rissa tra ubriachi.

Il dirottamento dell’aereo Ryanair

Fonte: Corriere

«A bordo eravamo tutti terrorizzati, pensavamo ci stessimo schiantando»: queste le parole di Raselle Grigoryeva, lituana 37enne che era tra i 120 passeggeri decollati domenica mattina da Atene con il volo Ryanair FR 4978 diretto a Vilnius, capitale della Lituania.

L’aereo della compagnia low cost irlandese ha dovuto deviare il proprio percorso, atterrando per l’allarme per un’emergenza, a Minsk. Qui, subito dopo l’arrivo, il blogger e giornalista di opposizione bielorusso Roman Protasevich è stato arrestato, con l’accusa di aver commesso atti di terrorismo, per via del ruolo che aveva avuto nell’organizzazione delle enormi proteste contro Lukashenko dello scorso anno. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale bielorussa Belta sarebbe stato infatti lo stesso Lukashenko a dare l’ordine di dirottamento.

Su Facebook Aliona Alymova racconta:

«A bordo non avevamo idea di quel che stesse succedendo, dopo 15 minuti il pilota ha annunciato che saremmo atterrati a Minsk. A quel punto viene notato un uomo che comincia ad agitarsi: si alza in piedi, prende dalla cabina il suo bagaglio, estrae il portatile e cerca di romperlo. Non urlava, ma si vedeva che era terrorizzato. Se il finestrino fosse stato aperto, forse avrebbe tentato di saltare fuori.».

Era proprio lui, Protasevich, che aveva già capito cosa stesse accadendo. Una coppia lituana ha chiesto lui spiegazioni, al che ha risposto:

«Questo aereo sta per essere dirottato a causa mia, tutto questo sta succedendo per me. Cerca il mio nome in Google e saprai chi sono».

Lunedì pomeriggio il padre del giornalista ha confessato le sue preoccupazioni alla Bbc, rendendo noto il timore che il figlio potesse essere torturato e che tutto potesse esser nascosto con una falsa notizia, visto che in quelle ore stavano già circolando alcune voci secondo cui il figlio sarebbe stato ricoverato per problemi cardiaci. Ma non è mancata la pronta risposta delle autorità bielorusse, le quali in serata hanno detto che Protasevich si trova in un centro di detenzione a Minsk, in buone condizioni di salute.
Su Telegram e i media governativi bielorussi, sta circolando un video in cui Protasevich smentisce le voci sui problemi cardiaci e dice di trovarsi nel Centro Detentivo più importante di Minsk, dove comunque sta pare esser trattato, secondo le sue dichiarazioni, “con correttezza’’ e “secondo la legge’’. Tuttavia, molti hanno evidenziato che i segni che presenta sul volto e sul collo potrebbero essere risultato di violenza fisica.

Le proteste bielorusse dopo le elezioni del 2020

Il 9 agosto 2020 rappresenta una data cruciale per la Bielorussia: il presidente Lukashenko è stato rieletto presidente, riuscendo ancora una volta a mantenere il potere grazie al sostegno della Russia. Quest’ultimo allora sostenne di avere ottenuto – un improbabile – 80% di voti, provocando il forte fermento del popolo, che subito dopo le elezioni scese in piazza sollevando enormi proteste.

Le opposizioni ottennero l’appoggio dell’Unione Europea – che però non andò oltre all’imposizione di nuove sanzioni – mentre le forze di sicurezza bielorusse continuarono a reprimere i manifestanti: migliaia di persone furono arrestate, centinaia picchiate violentemente, qualcuna fu pure uccisa. Tutto questo attesta che non è stata ancora trovata una soluzione alla crisi del Paese.

Ottavo giorno di proteste contro le contestate presidenziali del 9 agosto. Fonte: La Repubblica

L’Ue sanzionerà la Bielorussia

La vicenda, definita da Ryanair «un gesto di pirateria aerea», ha suscitato una forte reazione da parte dell’Unione Europea e di diversi leader dei Paesi membri, i quali hanno fermamente richiesto limmediata liberazione di Protasevich e della sua compagna Sofia Sapega, ma anche nuove sanzioni contro il regime bielorusso. L’accaduto sta senz’altro generando uno dei momenti di maggiore tensione degli ultimi anni tra i Paesi occidentali e la Bielorussia, che non fa parte dell’Ue: è a rischio il futuro della libera circolazione nel mercato unico oltre che il rispetto del diritto internazionale.

Il Consiglio Ue propone sanzioni per la Bielorussia. Fonte: SiciliaNews24

I leader dei ventisette Paesi Ue, durante una riunione straordinaria tenutasi lunedì sera a Bruxelles, hanno quindi chiesto di vietare il sorvolo alle compagnie aeree bielorusse dello spazio aereo dell’Unione, così come di evitare che le compagnie aeree europee sorvolino a loro volta la Bielorussia.

Essi hanno, inoltre, invitato l’Organizzazione Internazionale per l’Aviazione Civile (Icao) ad avviare un’indagine urgente sul dirottamento del volo Ryanair per presunti esplosivi a bordo, in quanto ci sono ancora molti aspetti poco chiari sulla vicenda. Per quanto riguarda le nuove sanzioni, queste devono essere ancora definite, nonostante ci si aspetti una loro comunicazione a breve.

Gaia Cautela

Proteste, repressioni e morti in Colombia: ecco cosa sta succedendo

È una babele in questi giorni la Colombia: le proteste contro il governo del presidente Ivan Dunque continuano ad imperversare in moltissime città, soprattutto a Cali e Bogotà.

Una marcia organizzata dagli studenti universitari a Bogotà, in Colombia, il 3 maggio 2021 – Fonte: www.ilpost.it

Il casus belli e l’inizio della mobilitazione popolare 

Il casus belli è la riforma fiscale presentata il 5 aprile dal governo Dunque. Il disegno di legge, che aveva come obiettivo quello di raccogliere ulteriori 23 miliardi di pesos colombiani e che è stata presentata come necessaria per poter rispondere ai debiti internazionali e alle conseguenze economiche della pandemia, prevedeva la riscossione dell’IVA, che è del 19%, sulle aliquote dei servizi pubblici di energia, idriche e di fognatura, gas domestico e prodotti alimentari considerati prioritari e le accise sul carburante. La riforma tributaria prevedeva inoltre di diminuire significativamente la soglia di no tax area, includendo quindi nella tassazione fasce di popolazione ai limiti della soglia di povertà. Tale riforma avrebbe dunque provocato un aumento generalizzato del prezzo di tutti i prodotti e i beni di consumi e penalizzato i cittadini di reddito medio e basso.

La mobilitazione popolare si è accesa il 28 aprile per iniziativa del sindacato principale del Paese, Centrale unica dei lavoratori, che ha indetto uno sciopero generale. Ad aderire sono stati i sindacati minori, studenti, operai e comuni cittadini. Secondo la Central Unitaria de Trabajadores, nel solo 28 aprile, sono scesi in piazza oltre 5 milioni di persone in oltre 600 municipi. Nelle città più grandi, alle proteste pacifiche si sono affiancati saccheggi e incendi di autobus e stazioni di polizia.

La violenza delle forze di sicurezza e la marcia indietro del presidente Dunque

Il presidente, allarmatosi, l’ 1 maggio ha annunciato in tv l’intervento dell’esercito. Il governo di Dunque, che avrebbe dovuto rappresentare un’inversione di rotta rispetto alle destre che negli ultimi decenni avevano governato il paese, si è posto dunque in continuità con l’atteggiamento repressivo e autoritario dell’ex presidente Uribe che, non a caso, su Twitter ha esortato la polizia e l’esercito ad usare le armi.

Le esortazioni sono state accolte dalle forze di sicurezza che hanno reagito con disumana violenza: i tanti video che circolano sul web mostrano la polizia e l’esercito che sparano e colpiscono con gli scudi i manifestanti, speronano la folla con le motociclette. A lasciare senza parole è il video girato a Ibagué che mostra una donna che, subito dopo aver scoperto che il figlio di 19 anni è stato ucciso dagli agenti, grida: “Uccidete anche me, hanno ucciso anche me. Era il mio unico figlio!”.

L’ufficio del Difensore civico ha segnalato che almeno 20 persone sono state uccise e più di 800 sono rimaste ferite. L’ONG Temblores ha registrato oltre 30 vittime e, nei primi 5 giorni di protesta, fino a 940 casi di violenza da parte della polizia, 672 arresti arbitrati, 92 casi di violenza fisica o tortura e 4 vittime di violenza sessuale. Almeno 90 le persone scomparse nelle mobilitazioni dei giorni scorsi di cui solo due sono state rintracciate.

La decisione del governo di militarizzare la repressione è stata condannata dall’Onu, Human Rights watch, Amnesty International e dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA).

Dopo 4 giorni di proteste e cruenti scontri il presidente ha ceduto e il 2 maggio ha annunciato il ritiro del progetto di riforma. Il giorno dopo il ministro delle finanze, Alberto Carasquilla, ha presentato le sue dimissioni.

Perché la protesta non si è ancora arrestata?

Questo non è bastato a placare il malcontento. La tensione è ancora tangibile. Ci sono altre motivazioni per protestare.

Prima tra tutte la situazione economica. Già nel 2019 la disuguaglianza economica era stata il bersaglio di proteste e rivolte che avevano portato ad alcune misure previdenziali, ma la pandemia ha fatto precipitare la situazione. Il lockdown, in Colombia, è stato uno dei più lunghi al mondo e ha causato la chiusura di oltre 500 mila attività. Si stima che nell’ultimo anno 2,8 milioni di persone siano sprofondate in condizione di povertà estrema.

Causa di malcontento è anche la repressione delle forze di sicurezza. Ad essere contestato è, in particolare, il ruolo dell’ESMAD, l’Escuadrón Móvil Antidisturbios (il reparto antisommosse) di cui i manifestanti chiedono lo scioglimento. Già a settembre vi erano state delle proteste contro la crudeltà delle forze dell’ordine, dopo la diffusione di un filmato che mostrava l’aggressione all’avvocato Javier Ordóñez, fermato per aver violato il distanziamento sociale e morto qualche ora più tardi. Nelle sommosse si invoca la fine di queste violenze e la punizione dei responsabili, garanzie costituzionali per la mobilitazione e la protesta, un governo meno autoritario, libertà e garanzie democratiche. A queste rivendicazioni si aggiunge anche quella di una vaccinazione di massa, visti i ritardi e le denunce di frodi e favoritismi su chi e quando riceve il vaccino.

A provocare dissenso è anche la riforma del sistema sanitario che si sta discutendo in Parlamento e che aumenterebbe le privatizzazioni e, secondo il personale ospedaliero, peggiorerebbe le condizioni di lavoro negli ospedali colombiani, già messi in difficoltà dalla pandemia. Infatti, la Colombia sta affrontando la terza ondata, le terapie intensive di quasi tutto il paese sono al collasso e si stimano quasi tre milioni di contagiati e oltre 72mila morti a causa del Covid.

Vista la gravissima situazione pandemica, la decisione dei cittadini di occupare strade e piazze per protestare appare come un atto di sfida alla morte. Ma basta guardare le foto dello slogan che ha fatto il giro del mondo e che recita “Ci stanno uccidendo” per comprendere che il governo uccide più ferocemente del virus e che, dunque, sfidare la morte è l’azione necessaria per lottare contro la stessa.

Lo slogan che ha fatto il giro del mondo “Nos estan matando” – Fonte: www.dinamopress.com

Chiara Vita

Chauvin dichiarato colpevole per la morte di George Floyd. Biden: “É ora di cambiare”

Guilty” (colpevole) è la sentenza emessa dal Tribunale di Minneapolis per il poliziotto Derek Chauvin, accusato di aver ucciso George Floyd il 25 maggio 2020. Quest’ultimo era stato trovato in possesso di una banconota falsa da 20 dollari.

Costretto dagli agenti intervenuti a rimanere immobile, a terra ammanettato, è morto in seguito al soffocamento causato dal ginocchio di Chauvin stretto sul suo collo per più di nove minuti. Non ci sono più dubbi. La violenza non si è arrestata neanche dopo le implorazioni e ultime parole di Floyd I can’t breath, divenuto poi simbolo di numerose proteste in tutta l’America.

Chauvin lascia l’aula dopo la sentenza della sua condanna, in custodia alle autorità. Fonte: Deutsche Welle.

La sentenza

Chauvin è tre volte colpevole: per omicidio colposo, per omicidio di secondo grado preterintenzionale e per omicidio di terzo grado. Una decisione che ha richiesto solo due giorni di deliberazione e che, per questo, aveva lasciato presagire la lapidaria sentenza dei giudici di Minneapolis che, senza attenuanti, potrebbero far rischiare all’ex poliziotto fino a 40 anni di carcere.

Mentre Chauvin si allontana in manette dall’aula del tribunale, in custodia alle autorità, fuori la folla esplode di entusiasmo con con applausi e cori che invocano Justice!. Scene analoghe hanno attraversato molte altre città americane, da Times Square (New York) a Washington, fino a Los Angeles e Chicago. Nella stessa città in cui si è consumata l’ingiustizia è stato dichiarato lo stato d’emergenza, in via del tutto precauzionale, schierando la guarda nazionale nei punti nevralgici.

Oggi si rivendica una “svolta storicaper gli Stati Uniti, come affermato dal legale della famiglia Floyd.

Il supporto del presidente Joe Biden

Joe Biden conferma il suo supporto alla causa e dichiara: “Bisogna riconoscere e confrontare il razzismo sistemico, nelle attività di polizia e nel sistema della giustizia”. Fonte: Corriere della Sera.

Lo stesso Joe Biden, che aveva espresso vicinanza ai familiari della vittima con una telefonata del tutto eccezionale, si è spinto a parlare di “prove schiaccianti” emerse durante il processo, auspicando la fine delle violenze razziste e l’inizio di una nuova stagione sociale per il Paese:

E’ stato un omicidio in piena luce, che ha strappato i paraocchi e tutto il mondo ha potuto vedere. Il razzismo sistemico è una macchia sull’anima dell’America” e ancora Dobbiamo ricordare le sue parole “non posso respirare” per cambiare. Questo può essere un momento di significativo cambiamento”.

La denuncia delle violenze

E’ stato uno dei processi più seguiti nella storia d’America, che ha tenuto tutti col fiato sospeso, per il timore delle eventuali conseguenze che una decisione differente da quella emessa oggi avrebbe potuto scatenare, in particolar modo per alcune comunità, come quella afroamericana e ispanica, spesso oggetto di violenze da parte della polizia americana.

Proteste per George Floyd a Minneapolis. Fonte: Il Post. 

Secondo le statistiche, infatti, dal 2005 solo sette agenti sono stati trovati colpevoli in casi violenza letale, mentre sono circa 1.100 le persone uccise durante interventi della polizia americana. Eventi drammatici che hanno trovato voce nel movimento di protesta Black Lives Matter, che ha denunciato il controverso uso della forza letale da parte degli agenti e si è, inoltre, attivato per chiedere giustizia di altre vittime dopo la morte di Floyd; l’ultima, quella del ventenne afroamericano Daunte Wright, ucciso qualche giorno fa da un agente che sostiene di aver utilizzato erroneamente la pistola invece del teaser.

La riforma George Floyd Justice in Policing Act

Il verdetto di oggi assume, dunque, un valore altamente simbolico, che vuole consegnare al Paese la pace sociale, assente dalle ultime proteste, e la speranza di una riforma della polizia, sia a livello locale che federale, che necessita di essere realizzata in tempi più celeri.

La riforma, chiamata “George Floyd Justice in Policing Act“, sostenuta in prima linea dalla vice-presidente Kamala Harris, crea standard nazionali per gestire l’ordine pubblico, vieta tecniche di strangolamenti e banche dati sugli agenti accusanti di abusi, fino a una revisione radicale dell’immunità, concessa ai poliziotti in caso di accuse di maltrattamenti verso i civili. Nonostante ciò, la riforma sembra essere destinata ancora a lungo a rimanere bloccata in Senato, sia perché contrariata all’unanimità dai repubblicani sia per due defezioni democratiche. 

 

Alessia Vaccarella

Olimpiadi Tokyo 2021. Commenti sessisti del presidente Mori

 
Fonte: Inews24.it

Oggi, venerdì 12 febbraio, il presidente del Comitato organizzatore delle Olimpiadi di Tokyo 2020, Yoshiro Mori, ha dato le dimissioni a sei mesi dai Giochi olimpici, posticipati al 2021 a causa della pandemia – dopo aver provocato un grande scandalo con dei commenti sessisti.
L’ex premier 83enne – primo ministro dal 2000 al 2001 – è stato travolto dalle accuse in seguito alle lamentele espresse durante l’incontro online con il Comitato olimpico giapponese, tenutosi mercoledì 3 febbraio. Si stava  manifestando l’intenzione di voler includere più donne nell’amministrazione, passando dall’attuale 20% al 40% delle presenze femminili.

Le ”infelici” dichiarazioni di Mori 

Le dichiarazioni di Mori non lasciano spazio a incertezze:

«Le riunioni a cui partecipano troppe donne in genere vanno avanti più del necessario e per via del loro forte senso di rivalità, se una alza la mano per parlare poi anche tutte le altre vorranno parlare». Ha poi anche aggiunto che «se si aumenta il numero di donne, poi bisognerà limitare in qualche modo il tempo in cui possono parlare, altrimenti non si fermeranno mai, che è un problema».

Proteste dei manifestanti. Fonte: Archyde

Le parole infelici dell’ex premier hanno chiaramente sollevato un forte imbarazzo e disapprovazione tra i presenti, scatenando una serie di critiche anche sui social media da parte di politici e sportivi.

Tra questi la direttrice del Comitato – oltre che campionessa di judo per dieci anni consecutivi tra il 1978 e il 1987 – Kaori Yamaguchi, la quale ha detto che «l’uguaglianza di genere e il riguardo per le persone con disabilità dovevano essere una certezza per i giochi olimpici di Tokyo».

Sono stati inoltre espressi dubbi da parte di importanti sponsor delle Olimpiadi circa l’intenzione di proseguire o meno il loro rapporto economico con i Giochi.

Le dimissioni dopo le critiche su Twitter

Nel corso della riunione Mori ha tentato di scusarsi per i suoi commenti inappropriati, dichiarando inoltre di non voler in alcun modo rappresentare un ostacolo all’organizzazione dei Giochi. In realtà, da qualche giorno stava circolando in Giappone su Twitter l’hashtag ‘’Mori, dimettiti’’. Il presidente, dopo un’iniziale resistenza, non ha quindi avuto altra scelta se non quella di rassegnare le sue dimissioni nelle scorse ore.
Il suo successore non è ancora stato designato, anche se si stanno già valutando diversi candidati.

I media locali suggeriscono come più probabili il ministro delle Olimpiadi Seiko Hashimoto e l’ex presidente della Federcalcio giapponese Saburo Kawabuchi.

Fonte: Corriere del Ticino

“Le mie dichiarazioni inappropriate hanno causato molto caos – ha dichiarato Mori in una riunione del board esecutivo e del consiglio di Tokyo 2020 – Desidero dimettermi da presidente oggi. L’unica cosa che importa in questo momento è che le Olimpiadi si svolgano a luglio, non deve succedere che la mia presenza diventi un ostacolo“.

Il commento di Bach

Mori era già stato protagonista di diverse gaffe, ma quest’ultima è stata particolarmente rovinosa, nel contesto di un Paese con forti disuguaglianze di genere e dove il tema dell’esclusione femminile dai posti di potere è molto sentito. Malgrado ciò, il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale (Cio),  Thomas Bach ha ringraziato Mori:

“Il Cio rispetta pienamente la decisione di Mori di dimettersi e ne comprende le ragioni. Allo stesso tempo vorremmo ringraziarlo per il suo eccezionale contributo per l’organizzazione dei Giochi: Mori ha contribuito a rendere Tokyo la città olimpica meglio preparata di tutti i tempi”.

Gaia Cautela

Proteste pacifiche in Russia per la scarcerazione di Navalny, migliaia in manette. USA e UE: “è violazione dei diritti umani”

Sono oltre 4mila i manifestanti fermati durante le proteste di sabato e domenica in Russia, contro la detenzione dell’oppositore, l’unico, di Putin, Aleksej Navalny.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Navalny è stato arrestato il 17 gennaio, al suo rientro dalla Germania, dopo esser stato in ospedale in seguito ad un avvelenamento per cui sospetta degli 007 del Cremlino. Una volta rientrato in Russia, è stato fermato con l’accusa di non essersi presentato dal giudice di sorveglianza a Mosca, come disposto da una controversa sentenza del 2014. Il fermo era previsto per 30 giorni, ma ora rischia tre anni e mezzo di reclusione. La sua battaglia continua da dietro le sbarre, dal carcere della Matrosskaya Tishina.

Navalny, oppositore numero uno di Putin (fonte: ansa.it)

La video-inchiesta che ha contribuito a riaccendere le proteste

Dietro lo scoppio delle proteste non vi è solo solo la volontà di far qualcosa per ottenere la liberazione dell’oppositore di Putin, ma anche dalla visione della video-inchiesta della Fondazione Anticorruzione di Navalny, messa sul web e diventata subito virale. Il video di due ore che ha suscitato lo sdegno di molti, mostra una villa sfarzosissima sul Mar Nero, con vigneti, casinò e lussi di ogni tipo. Secondo l’indagine, la tenuta sarebbe stata costruita con tangenti per oltre un miliardo di euro che Putin è accusato di aver incassato. Quest’ultimo nega. Intanto, un oligarca vicinissimo al presidente, Arkadi Rotenberg, ha dichiarato di essere lui il proprietario e che la super villa dovrà diventare un hotel che aprirà tra un paio di anni.

La villa dell’inchiesta (fonte: tg24.sky.it)

La tv di Stato, nelle ore successive, ha trasmesso delle immagini che mostrano che nella tenuta sono in corso dei lavori, per dimostrare che quanto dichiarato da Navalny è falso, ma per quest’ultimo e i suoi alleati si tratterebbe di una ristrutturazione dovuta a problemi tecnici, insistendo che Putin sia il proprietario che si avvale di prestanome.

I cortei e gli scontri con la polizia

Scontri con la polizia (fonte: ilfattoquotidiano.it)

Le manifestazioni sono cominciate dalla costa orientale, dalla città di Vladivostok, per poi coinvolgere ben 35 altre città, lungo tutto il Paese.

Sono stati organizzati cortei pacifici in contemporanea lungo tutta la Russia, partecipatissimi nonostante la neve, temperature anche venti gradi sotto zero e gli 11 fusi orari diversi. Tra i manifestanti anche diverse decine di giornalisti. Navalny ha definito i manifestanti suoi sostenitori “veri patrioti della Russia, la barriera che impedisce al Paese di scivolare nel degrado completo”.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Purtroppo la situazione è drasticamente precipitata e non sono mancate le scene di violenza, gli scontri con la polizia che aveva annunciato, sin dall’alba, di esser pronta a usare il pugno di ferro per contenere i cortei. Solo a Mosca, dove si è tenuta la manifestazione più cospicua, 1.349 sono finiti in manette. La capitale era stata blindata: sette le fermate della metro chiuse per impedire l’arrivo dei manifestanti, che non sono riusciti a raggiungere la Lubjanka, quartiere generale del Kgb, i servizi segreti accusati da Navalny di essere colpevoli del suo avvelenamento. Scontri e arresti anche a San Pietroburgo. “La Russia sarà libera” urlavano i giovani della città, come risposta ai colpi di pistola esplosi, che la polizia ha deciso di usare contro la folla per disperderla. Questa notizia è stata poi negata dalle forze dell’ordine. Intanto, cresce l’ira dei russi a favore di Navalny, ma anche il dispiegamento degli Omon, le squadre anti-sommossa.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Nella città di Krasnadarsk, per impedire che si riunissero i manifestanti nel centro della città, bloccati gli accessi a due piazze che si chiamano – per ironia della sorte – Piazza Rossa e Piazza della Rivoluzione.

È finita in manette anche la moglie dell’oppositore numero uno di Putin, Yulia Navalnaya, mentre si dirigeva con un gruppo di manifestanti verso il carcere in cui si trova il marito. Bloccata mentre usciva da una fermata della metropolitana, è stata trasferita al dipartimento di polizia di Shcherbinka, a nord est di Mosca. In serata, dopo qualche ora è stata rilasciata. Secondo delle fonti, un verbale amministrativo della polizia dichiarerebbe che il fermo è scattato per la “partecipazione a una protesta non autorizzata che ha implicato disturbi per passanti e trasporti”.

Le reazioni dagli Usa e l’Ue

Il segretario di Stato degli Usa, Antony Blinken, è intervenuto per difendere i manifestanti. Parole di condanna, dunque, da Washington, da dove il segretario americano ha twittato chiedendo pubblicamente alla Russia di “rilasciare i detenuti per esercizio dei diritti umani, compreso Aleksej Navalny”.

Gli Stati Uniti hanno condannato le autorità russe, per aver adottato misure dure contro manifestanti e giornalisti pacifici russi per la seconda settimana consecutiva. Ciò ha scatenato l’ira del Cremlino, scontento delle “grossolane interferenze negli affari interni della Russia”. Il ministero degli Esteri russo Sergej Viktorovič Lavrov  ha dichiarato che:

“sono un fatto dimostrato, così come la promozione di fake news e di appelli ad azioni non autorizzate su piattaforme internet controllate da Washington” e che “il sostegno a una violazione della legge da parte del segretario di Stato Usa Blinken è un’altra conferma del ruolo svolto da Washington dietro le quinte”.

Arrivata in serata anche la reazione dell’Ue:

 “Condanno gli arresti di massa e l’uso sproporzionato della forza contro manifestanti e giornalisti in Russia. Le persone devono poter esercitare il loro diritto di manifestare senza timore di repressione. La Russia deve rispettare i suoi impegni internazionali” ha scritto l’Alto Rappresentante Ue, Josep Borrell.

Si è dimostrata della stessa linea, dall’Italia, anche la Farnesina chiedendo “il rilascio di coloro che sono stati arrestati soltanto per avere fatto sentire pacificamente la propria voce e manifestato le proprie idee senza violenza”.

Ancora una volta gli avvenimenti che avvengono all’interno di un Paese, scatenano reazioni da tutti gli angoli del mondo. Gli equilibri si influenzano l’un l’altro, non sembrano esistere vere barriere. Ciò che traspare, inoltre, è che ormai in Russia non esiste solo Putin, come è stato per molti anni. Quest’ultimo ha trovato davanti a sé un uomo, al quale – aldilà di ogni schieramento politico –  bisogna riconoscere una grande capacità comunicativa, la quale gli ha permesso, inaspettatamente, di attirare una grossa fetta di opinione pubblica dalla sua parte, creando l’unica alternativa – per ora – al presidente russo.

 

Rita Bonaccurso

In Francia proteste contro la nuova legge sulla sicurezza. Si riaccende la questione del razzismo della polizia

Negli ultimi giorni la Francia è stata sotto i riflettori. Manifestazioni e proteste contro la nuova proposta di legge sulla sicurezza, presentata dal partito di Macron, hanno messo a soqquadro strade e piazze riaprendo vecchie ferite, quelle causate dalla violenza e dal razzismo della polizia.

Che cosa prevede la legge contestata

Ad essere messo in questione in particolare l’articolo 24 che considera reato, punibile con 45.000 euro di ammenda e un anno di carcere, la diffusione di immagini di poliziotti in servizio che possano danneggiare la loro integrità fisica e psicologica. L’ intento del governo sarebbe quello di proteggere la polizia, divenuta spesso vittima di odio e di minacce sui social network.

Si tratta di una norma assolutamente non innocua che, secondo molti critici, rischia di ostacolare la libertà di stampa. Il sindacato nazionale dei giornalisti ha dichiarato con un post su Twitter:

Affermiamo che la violazione del diritto di informazione dei cittadini e della stampa è sproporzionata e che la legislazione esistente è ampiamente sufficiente per proteggere le forze dell’ordine da possibili attacchi a seguito della diffusione di immagini”.

Il timore più grande è che questa legge possa impedire la denuncia degli atti violenti e prevaricatori perpetrati spesso dagli organi della polizia. Fortemente sentito è dunque il rischio che queste azioni illegali, passando sotto silenzio, dilaghino sempre di più.

Contestati sono anche l’articolo 20, che aumenta la videosorveglianza e l’articolo 21, che legalizza l’uso dei droni per il controllo dell’ordine pubblico. Tutte le norme sembrano rientrare in una politica repressiva, giustificata, a detta di Macron, dalla necessità di tutelare la polizia contro il pericolo di insorgenza sociale, particolarmente elevato a causa della crisi pandemica.

Lo sgombro dei migranti e il pestaggio di Michel Zecler

La tensione, già tangibile, è stata portata all’esasperazione da due avvenimenti: lo sgombro dei migranti e il pestaggio di Michel Zecler.

Il 23 novembre dei profughi, circa un centinaio, accampatisi a Place de la Republique, a Parigi, per chiedere un alloggio, sono stati mandati via violentemente. Ad attestarlo vi è un video che, tra le tante cose, mostra un poliziotto fare lo sgambetto ad un migrante in fuga. Accusato il prefetto Didier Lallement, già criticato per alcuni eccessi durante le proteste dei gilet gialli.

Michel zecler – Fonte: ma7.sk

Il 21 novembre, il produttore discografico proprietario della società Black Gold Studios, Michel Zecler, è stato arrestato. Gli agenti della polizia hanno dichiarato di essere stati aggrediti e insultati dopo averlo fermato perché non indossava la mascherina. Un video, registrato dalle telecamere di videosorveglianza e diffuso qualche giorno dopo dal sito di informazione Loopsider, ha smentito le parole dei poliziotti: Michel Zecler è stato vittima di azioni brutali. Come mostrato dal filmato, l’uomo è stato picchiato con calci, botte e manganellate per 15 minuti nel suo studio di registrazione e poi portato in carcere. Ma non è tutto. Si tratta non solo di un caso di violenza ma anche di razzismo. Gli agenti della polizia si sono lasciati andare a pesanti insulti:

Sporco negro”.

Le proteste e gli scontri

 Di fronte a questi avvenimenti, il malcontento dell’opinione pubblica, già forte a causa della legge sulla sicurezza, non poteva non esplodere in manifestazioni e proteste.

A Parigi, come riportato dal Ministero degli Interni, 46000 persone hanno partecipato alla Marcia per la libertà, il corteo che ha avuto come centro Piazza della Bastiglia.  Secondo il giornale Le Monde la manifestazione è stata in gran parte pacifica, fatta eccezione per qualche episodio: alcuni dimostranti hanno dato fuoco a un chiosco, ad una caffetteria e alla facciata della Banque de France. In molti casi la polizia è stata costretta a ricorrere all’uso dei lacrimogeni.

Le proteste hanno avuto luogo anche a Strasburgo, Marsiglia, Lione e Bordeaux. In particolare, a Bordeaux sono stati incendiati diversi arredi urbani, mentre a Lione è stato segnalato il ferimento di un poliziotto e di alcuni manifestanti.

Il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha condannato le violenze contro la polizia definendole inaccettabili. Duro anche il commento di Marine Le Pen, leader di Rassemblement national: “I francesi ne hanno abbastanza di queste immagini di saccheggi permanenti”.

La risposta del governo

Il governo ha tentato di correre ai ripari compiendo un passo indietro. Christophe Castaner, capogruppo all’Assemblea Nazionale di En Marche, il partito del presidente Emmanuel Macron, ha dichiarato che l’articolo 24, sebbene non venga eliminato, così come richiesto dai manifestanti, verrà tuttavia riscritto. L’ obiettivo da seguire, a detta di Castaner, è quello di coniugare il rafforzamento della sicurezza delle forze dell’ordine e la difesa del diritto fondamentale alla libera informazione.

Cristophe Castaner – Fonte: www.lejdd.fr

Più radicale la proposta dell’ex presidente Hollande: “Se oggi c’è una cosa da fare per salvare l’onore non è mantenere questo testo, ma ritirarlo”.

Il razzismo della polizia

La manovra del governo, sebbene temporaneamente possa allentare la tensione, tuttavia non risolve la grave questione sulla quale gli avvenimenti degli ultimi giorni fanno riflettere: il razzismo della polizia.

Proteste contro la morte di George Floyd – Fonte: www.ibtimes.co.uk

Qualche mese fa le piazze gremite urlavano a gran voce: “Black Lives Matter” in occasione dell’uccisione di George Floyd, afroamericano morto soffocato per mano dell’agente Derek Chauvin. Oggi anche la Francia ha il suo George. Il caso di Michel Zecler prova che il razzismo della polizia non è un fenomeno diffuso soltanto negli Stati Uniti, ma anche in Europa.

Tra l’altro, in Francia non è la prima volta che accade un caso del genere: risale al 2016 la morte di Adama Traorè, giovane che aveva tentato di fuggire ad un controllo di identità. Purtroppo, la Francia non è la sola. Nel 2015, Mitch Henriquez, un turista proveniente da Aruba, durante una rissa nata a un concerto a L’Aia, Paesi Bassi, venne immobilizzato a terra da un poliziotto e morì per asfissia. Ad Anderlecht durante il lockdown, Adil, diciannovenne di origini marocchine, è stato travolto da un’auto della polizia dopo aver tentato di sfuggire a un controllo di routine. Si indaga per omicidio colposo.

Molti gli avvenimenti che provano l’esistenza di un fenomeno di vasta portata, definito con il termine racial profiling, con cui si indicano tutte quelle azioni della polizia basate, non sul comportamento criminale, piuttosto sull’etnia o sulla nazionalità della persona. Uno studio del 2009 del Centre National de la Recherche Scientifique e Open Society Justice Initiative ha riportato che nelle stazioni di Parigi persone di origine africana vengono fermate per i controlli più frequentemente rispetto alle altre persone. Questo avviene anche in Belgio, dove i giovani di origine marocchina sono controllati dalla polizia tre volte di più del resto della popolazione. Preoccupanti anche i dati del report del 2018 “Being Black in the EU” dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali: tra gli intervistati, tutti persone di origine africana residenti nell’UE, il 24% nell’ultimo anno era stato sottoposto a controlli e, tra questi, il 44% aveva percepito il controllo come motivato da fattori razziali.

Chiara Vita

Thailandia: il simbolo di “Hunger games” il segno della ribellione e della democrazia

Dal 14 ottobre la Thailandia vive una situazione politica precaria. Nell’ultimo periodo è cresciuto il dissenso soprattutto dei giovani nei riguardi del primo ministro Prayuth Chan-ocha, l’ex comandante dell’esercito che è salito al potere il 22 maggio 2014 con un colpo di Stato di natura militare. L’inizio delle proteste non è recente ma ora sembra esserci una svolta.

Prayuth Chan-ocha, premier della Thailandia. Fonte: Khaosod English.

Mercoledì 14 ottobre

Nella mattinata vari gruppi di protestanti hanno chiesto la caduta del premier Prayuth, una nuova Costituzione e la fine delle persecuzioni dei dissidenti politici. È stato richiesto anche una limitazione ai poteri del re. A questi gruppi protestanti si sono opposti vari gruppi monarchici, che hanno smontato le tesi dei primi. Queste due fazioni si sono schierate nell’area attorno il Monumento per la Democrazia (Bangkok) e non si è arrivati allo scontro diretto grazie alla presenza massiccia di poliziotti intervenuti per permettere al re di passare in serata nell’aria occupata.

Quando l’auto che trasportava il re Vajiralongkorn e la regina Suditha è passata nell’area, i migliaia di manifestanti presenti hanno reagito in due modi: chi urlava insulti ai reali (un reato punito con particolare durezza in Thailandia, con l’imprigionamento dai 3 ai 15 anni) e chi alzava tre dita unite e due piegate al passaggio dell’auto del re. Quelle tre dita sono il simbolo di resistenza e ribellione usate dalla protagonista della trilogia “Hunger Games“. Con quelle tre dita, Katniss si opponeva al regime dittatoriale del presidente Snow. Non è la prima volta che i protestanti thailandesi usano questo simbolo: nel 2014 lo avevano usato proprio per manifestare contro il colpo di Stato di Prayuth.

Giovani studenti manifestano contro il governo in carica. Fonte: Corriere della Sera.

Giovedì 15 ottobre

Nella giornata di giovedì è stato proclamato lo stato di emergenza date le minacce alla sede dell’esecutivo da parte dei manifestanti a Bangkok. Lo stato prevede sostanzialmente due punti: il divieto di assembramento per più di 5 persone e di non diffondere tramite social network messaggi e notizie dannose per la sicurezza nazionale. Ciò ha scoraggiato molti manifestanti ma non tutti. In centinaia sono scesi in strada per manifestare, sfidando il divieto imposto dal governo poche ore prima. Nella serata si sono poi dispersi pacificamente.

I partecipanti alle proteste marciano pacificamente. Fonte: Business Insider

Venerdì 16 ottobre

Infine ieri, è iniziata la terza giornata di proteste. I giovani studenti che hanno partecipato si sono organizzati all’ultimo momento e via social, utilizzando i messaggi come unico strumento di comunicazione. I poliziotti hanno cercato di disperderle con potenti idranti che lanciavano acqua mista a vernice. Tuttavia nemmeno la pioggia è riuscita a fermarli. L’arrivo degli agenti antisommossa ha cambiato le carte in tavola ma i manifestanti non si sono scoraggiati nemmeno in questa occasione e hanno preparato nuove barricate con oggetti di fortuna. Ciò ha portato allo scontro diretto con le prime file di manifestanti e con il ferimento di essi.

epa08582184 Thai student and pro-democracy activists flash the three-fingered salute for anti-government, as they take part on a Harry Potter themed pro-democracy protest against the government near the Democracy Monument in downtown Bangkok, Thailand, 03 August 2020. The pro-democracy activists gathered to protest the government and to call for change. EPA/NARONG SANGNAK
Fonte: ANSA

Sabato 17 ottobre

Oggi i manifestanti sono raddoppiati e si sono organizzati in modo efficiente per il quarto giorno di proteste. Essi si sono divisi in tre punti diversi per aggirare la polizia ed il traffico. La folla si è divisa in zone lontane tra di loro, nelle parti periferiche a nord, ovest ed est della capitale. In particolare, il punto a nord sembra essere quello che raccoglie più manifestanti. Al momento non sono presenti agenti di nessun tipo in queste aree ma si prevede non solo un inasprimento delle lotte ma anche una risposta da parte del governo, magari con un aumento delle pene.

Riot police stand on guard during the demonstration. Thousands of Thai anti-government protesters move from the democracy monument to The Thai Government House in Bangkok and prepared to stay-overnight here. They demonstrated demanding the resignation of Thailand (SOPA Images / SIPA/SIPA / IPA/Fotogramma, Bangkok - 2020-10-15) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate
Agenti antisommossa bloccano i manifestanti. Fonte: TIMgate

Sarah Tandurella

NoMask. Chi sono i negazionisti e perché sono sempre di più

 

 

 

 

 

 

 

Esistono anche i negazionisti del Covid e non solo in Italia.
“I 35.518 morti erano persone deboli colpite dall’influenza.”, “I morti di Bergamo non esistono. Le foto delle bare erano le foto dei morti di Lampedusa, ci hanno ingannato!”. Anche di fronte ai numeri e alle testimonianze dirette, i negazionisti, inquadrati nel movimento generale “NoMask”, credono di avere le spiegazioni per gridare al complotto.

Un movimento variegato e scomposto.
Dopo gli Stati Uniti e capitali europee tra cui Londra e Berlino, anche a Roma, il 5 settembre, 1500 persone – meno del previsto, dato che ne erano attese 2mila – si sono riunite in piazza “Bocca della Verità” per dar vita a una manifestazione “NoMask“, la prima di grandi dimensioni in Italia. I “NoMask”, sono tutti coloro che, invece di considerare la mascherina uno strumento di protezione, ci vedono un bavaglio, imposto dai politici, in particolare dal premier Conte, per attuare una dittatura sanitaria. Sul palco si sono susseguiti vari interventi, dal tentativo di bruciare una mascherina al racconto di un padre che ha portato il figlio in ospedale, per poi avere uno scontro violento col medico che voleva far fare un tampone per sospetto Covid, tutti seguiti da applausi scroscianti. Come spesso accade, la manifestazione NoMask ha finito per raccogliere gruppi di protestanti spinti da varie motivazioni, tra cui i Gilet Arancioni guidati da Antonio Pappalardo, convinti semplicemente dell’inesistenza del Covid, perciò non preoccupati di stare tutti vicini senza distanza e mascherine. Un gran calderone in cui è finito di tutto. Ciò è probabilmente accaduto per l’interferenza sostanziale di vari gruppi politici, tra cui soprattutto i “militanti” di Forza Nuova – con il leader Giuliano Castellino, per il quale “la pandemia è stata pianificata per cinesizzare il mondo e tappare a tutti la bocca”– e altre frange di estrema destra, che si sono uniti alla protesta contro l’imposizione delle regole per prevenire la diffusione del Covid e l’esistenza del virus stesso. Nonostante il movimento si riconosca nell’avversione verso le mascherine, causa di malattie peggiori tra cui il cancro, per l’esposizione a una maggiore quantità di anidride carbonica, e simbolo di oppressione della libertà individuale, diverse persone, soprattutto anziane, hanno deciso di indossarla comunque. “Il fatto che sia qui oggi non significa che debba rischiare di ammalarmi” o “Prevenire è meglio che curare ” ha detto qualcuno. Una contraddizione che è stata giustificata dalla partecipazione alla manifestazione per protestare contro il governo che comunque starebbe facendo allarmismo ingiustificato, manipolando il popolo con la paura per controllarlo e schiavizzarlo. Poi anche le accuse contro il Papa e il Presidente della Repubblica, mentre venivano sventolate bandiere tricolore accanto a foto di Donald Trump e striscioni con gli slogan più diversi, come “Noi siamo il popolo”, “Verità”, “I vaccini fanno male”. Non sono mancati i riferimenti a questioni che sarebbero totalmente lontane da tematiche del Covid, quali il 5G e l’inversione dei campi magnetici terrestri.

Alcuni degli slogan dei manifestanti

Cosa spinge i negazionisti a riconoscersi.

Complice dell’emersione di teorie negazioniste è stata, probabilmente, la confusione sulla natura del coronavirus, vista non come una conseguenza normale del ritrovarsi di fronte ad una malattia nuova. Tra le stesse autorità sanitarie nazionali e internazionali esistono pareri discordanti ed ecco perché viene fuori il pensiero di «un complotto per la nuova dittatura sanitaria». Le dichiarazioni di primari di grandi ospedali, come il dottor Zangrillo, sulla scomparsa a livello clinico, del virus, non fanno che rafforzare la sicurezza di queste persone nell’asserire che “allora il Covid non è mai esistito” o “è stato creato in un laboratorio cinese”. Un altro punto fondamentale per i protestanti è la celerità con cui, gli Stati Uniti in particolare, hanno promesso un vaccino in tempi più brevi del normale, anche per quanto riguarda la diffusione su scala mondiale. Da ciò scaturisce il sospetto di esser trattati come cavie, venendo esposti senza alcun ritegno a grossi rischi, per una cura che in realtà sarebbe un potente veleno per decimare la popolazione o, secondo altri, per iniettare particelle manovrabili attraverso la connessione 5G e quindi controllare le persone. L’indignazione per la ricerca di un vaccino, ma anche il no alle mascherine a scuola e all’educare i bambini alle nuove norme, sono le motivazioni principali che mobilitano il “Popolo delle mamme”, che su facebook conta 24mila membri per la pagina “Salviamo i bambini dalla dittatura sanitaria”.

Alcuni del “Popolo delle mamme”

Difendere la libertà personale, anche a costo di limitare quella degli altri.

Tra i vari partecipanti più famosi, la parlamentare Sara Cunial (ex 5 Stelle, ora passata a Gruppo Misto) è saltata addosso all’inviato della trasmissione Piazza Pulita, Alessio Lasta, provando a baciarlo per dimostrare, con fare provocatorio, che il virus non esiste e, dunque, di avere il diritto di non indossare mai la mascherina. L’inviato ha cercato di scansarla gridando “La smette con ste buffonate?” La Cunial è stata al centro dell’attenzione nei mesi scorsi, perché sorpresa in auto lungo la Via del Mare in direzione Ostia in pieno lockdown, venendo multata per non aver avuto ragioni valide che motivassero lo spostamento. Sostenitrice di varie teorie che riguardano anche Bill Gates, ha definito i vaccini “genocidio gratuito”. Un modo inusuale di dimostrarsi paladini della difesa della libertà individuale, costringendo chi abbia capito quanto pericoloso sia il Covid a preoccuparsi ancor di più della propria salute. Questo è accaduto a Roma, ma non è un unicum, poiché molte persone anche riconoscendo l’esistenza del virus, si concedono un atteggiamento rilassato nei confronti delle regole durante la quotidianità, schernendo, perché esagerato, chi osserva le misure di prevenzione come se ancora fossimo a marzo.

 

Slogan contro il distanziamento sociale

Il parere degli psicologi.

Sarà che una situazione così traumatica come il lockdown abbia sconvolto alcune persone più di altre, suscitando una reazione che le spinge a negare la realtà. Un meccanismo naturale che mette in atto la nostra psiche davanti al pericolo, quando, invece di accettare e affrontare una realtà dura, cerca una via di uscita a tutti i costi. Ecco che, da un lato, abbiamo politici che cercano di risollevare la gente con messaggi propositivi e dall’altra i negazionisti che preferiscono -involontariamente – credere che dietro a tutto ciò ci sia un motivo, un complotto, per quanto ciò possa essere crudele. Una spiegazione per non arrendersi e realizzare che si è vulnerabili in situazioni che sfuggono al nostro controllo, che non siamo invincibili e che possiamo combattere la guerra contro il nemico invisibile solo con responsabilità e buon senso.

Rita Bonaccurso