Autostrade, la proposta di Salvini: verso il superamento dei 130 km/h

Sta facendo discutere la nuova proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini per il miglioramento della viabilità autostradale. E ad essere al centro del dibattito non è il fine, indubbiamente auspicabile, ma lo strumento con il quale si vuole raggiungere.

Per una percorrenza più fluida.. .sarebbe giusto aumentare i limiti di velocità in alcune autostrade? Il rischio (di incidenti) varrebbe il beneficio? Cerchiamo intanto di dare a tutto un contesto, specificando per quali casi è stata pensata questa eventualità e cosa recitano attualmente la legge italiana e quella estera sulla questione.

Autostrade, quando il limite può essere vecchio

Riporta le informazioni RaiNews. L’ipotesi avanzata da Salvini confluirebbe nel ddl sulla sicurezza stradale che arriverà in Consiglio dei ministri giovedì. Questa, come scritto, prevede l‘innalzamento del limite di velocità sulle autostrade, attualmente fissato a 130 chilometri orari, nelle tratte in cui condizioni particolarmente favorevoli lo consentissero. 

Lo stesso Ministro spiega:

Stiamo studiando con le società che gestiscono le autostrade, laddove c’è un tasso di incidentalità pari allo zero e ci sono tre o quattro o cinque corsie, come sulla Milano-Laghi, in alcuni orari poter alzare anche il limite di velocità dagli attuali 130.

E ancora:

Ci saranno norme a tutela dei ciclisti per evitare i sorpassi senza un metro e mezzo di spazio e norme per i monopattini, che trent’anni fa non c’erano, che prevedono casco, targa e assicurazione per la sicurezza loro e degli altri. Conto che non faccia miracoli, ma salvi vite.

Autostrade
Autostrade. Fonte: Wikimedia Commons

Autostrade, regole italiane e regole internazionali

In verità, il Codice della strada ora in vigore nel nostro Paese prevede già che i veicoli possano raggiungere i 150 km/h in specifiche condizioni stradali. Di fatto, però, su nessun tratto autostradale è stata applicata la normativa. 

L‘articolo 142 specifica infatti: 

Sulle autostrade a tre corsie più corsia di emergenza per ogni senso di marcia, dotate di apparecchiature debitamente omologate per il calcolo della velocità media di percorrenza su tratti determinati, gli enti proprietari o concessionari possono elevare il limite massimo di velocità fino a 150 km/h sulla base delle caratteristiche progettuali ed effettive del tracciato, previa installazione degli appositi segnali, sempreché lo consentano l’intensità del traffico, le condizioni atmosferiche prevalenti ed i dati di incidentalità dell’ultimo quinquennio.

Guardando al mondo, invece, i casi risultano piuttosto variegati. Nei Paesi Bassi, in Francia, in Austria, in Grecia, in Croazia, in Danimarca, in Romania e in Slovacchia, per esempio, vige il limite ferreo dei 130 km/h. In Germania il limite dei 130 km/h in autostrada è semplicemente “consigliato”. 

In Cina, Spagna, Belgio e Portogallo il limite è di 120 km/h; mentre negli USA vengono addirittura sanzionati i conducenti che superano le 70 miglia orarie, cioè i 113 km/h.

Codacons controcorrente: “Ripercussioni pensatissime sulla sicurezza stradale”

A fare opposizione a Matteo Salvini, oltre la minoranza politica, ci ha pensato anche il Codacons:

Il Codacons si schiera contro qualsiasi modifica al Codice della strada volta ad innalzare i limiti di velocità in autostrada, ma sostiene il ritiro a vita della patente per i recidivi o per chi guida sotto effetto di droghe o alcol, e chiede di estendere la misura ai soggetti che pubblicano sui social video mentre guidano, come i ragazzi di Casal Palocco.

Questo perché, ha aggiunto il suo Presidente Carlo Rienzi:

L’innalzamento dei limiti in autostrada è un’idea già lanciata nel 2001 dall’allora ministro dei trasporti Lunardi e poi ritirata fuori nel 2009 da Matteoli. Un’idea subito abbandonata perché avrebbe avuto ripercussioni pensatissime sulla sicurezza stradale, incrementando il numero di morti sulle strade. E a confermarlo sono gli ultimi rapporti ufficiali dell’Istat sull’incidentalità in Italia: oltre il 12% di sinistri, morti e feriti sulle nostre autostrade è causato proprio dall’eccesso di velocità.

L’argomento insomma, come scritto nell’incipit, è certamente discutibile. Ci si può appigliare ai dati del passato per sostenere una tesi e legarsi alla presunta diversità del presente per sostenerne un’altra. E poi rimane un principio etico con cui valutare…

Senza considerare dati e percentuali su rischi e benefici, è giusto sfrenare i guidatori e renderli, anche solo in linea teorica, più pericolosi?  

Gabriele Nostro

La proposta di Delmastro, per ridurre il sovraffollamento carcerario

L’Italia detiene un’enorme problema, il sovraffollamento carcerario. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha dichiarato, in un’intervista al Messaggero, che questa piaga sociale oggi è “risolvibile solo affrontando il problema delle dipendenze“. La sua proposta è quella di spostare i detenuti tossicodipendenti in comunità protette a loro dedicate. Un progetto  condiviso dal governo, in particolare dal ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Quello annunciato è un cambio di prospettiva. L’intenzione è quella di lavorare ad un provvedimento che veda coinvolto il terzo settore, al fine di costruire “un percorso alternativo alla detenzione. Delmastro ha preso l’impegno di visitare le carceri con lo scopo di prendere visione della situazione e proporre una riorganizzazione. Ad esempio, a Genova, nel carcere di Marassi, attualmente ci sono 704 detenuti su 550 posti. Per il sottosegretario non è possibile ampliare la struttura, la soluzione proposta è quella di aprire una sede a Savona. Poiché anche quest’ultima, come tutte le altre province italiane, deve avere una propria struttura penitenziaria.

Dalle carceri in comunità, per disintossicarsi e reinserirsi in società

Tutto ciò che fa uscire dal circuito carcerario le persone che hanno commesso reati in ragione del loro essere tossicodipendenti, ci trova assolutamente d’accordo. Sono persone che hanno fatto uso di sostanze stupefacenti per delle motivazioni che vanno studiate. Hanno compiuto dei reati in ragione della necessità che avevano di procurarsi la droga. Recuperarli, al di là che è un dovere morale, porterebbe anche dei benefici alla società. Meno reità e un recupero delle cellule attive all’interno della società. Oltre che esprimere il concetto più importante di tutti: la solidarietà umana per chi è in difficoltà. Sarebbe un percorso di recupero importantissimo!

Queste le parole di Marcello Chianese, membro del cda di San Patrignano. Infatti, con questa proposta da un lato si alleggerirebbero le carceri, dall’altro lato si andrebbe in soccorso ai detenuti tossicodipendenti. Permettendo loro di disintossicarsi in strutture adatte, in pieno soddisfacimento della funzione rieducativa della pena volta a garantirne il reinserimento nella società.

I dati preoccupanti e la soluzione specifica

Il numero dei detenuti continua a crescere in modo esorbitante. Circa il 60% dei detenuti, che creano il sovraffollamento, sono stranieri. Delmastro parla di un possibile progetto di trasferimento nei loro paesi d’origine. Poiché, afferma che se si trovano qui “avranno rotto di certo ogni patto di cittadinanza con il popolo italiano“.

L’Italia è stata, negli anni, condannata per la violazione dei diritti dei detenuti. L’invito, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, è stato quello di porre rimedio a tutto ciò. Ad esempio, nel 2022 ci sono stati 84 suicidi. Dal 31 dicembre 2021 al 31 dicembre 2022, il numeri di detenuti è aumentato di 2000.

Delmastro ha sottolineato che:

Secondo gli ultimi dati – risalenti a febbraio – a fronte di una capienza regolare di 51,285, i detenuti sono 56,319. E di questi il 30% sono tossicodipendenti. Il fine rieducativo della pena per loro non sta nel fatto che egli conosca a memoria la Costituzione o abbia partecipato a un ottimo corso di ceramica. Per loro la priorità è la disintossicazione.

La proposta
sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. Fonte: Il Riformista

 

Secondo la proposta il giudice già in sentenza potrà sostituire i giorni di carcere indicati, con un numero uguale presso una comunità protetta. Ad esempio, se la condanna sarà pari a due anni, il detenuto tossicodipendente sconterà pari anni in comunità. Ovviamente se per disintossicarsi impiegherà di più, per il tempo restante la comunità lo aiuterà a formarsi e a trovare un lavoro.

Sarebbe una possibilità secca, non reiterata. Se commetti un reato e torni in carcere da tossicodipendente, dopo aver scontato la pena in una struttura di questo tipo, devi affrontare l’iter normale.

Alla domanda inerente ai casi di evasione, Delmastro ha risposto che la comunità predisposta verrà controllata “24 ore su 24“.

Se scappi hai bruciato la tua seconda possibilità e sarai perseguito per il reato di evasione. E lo Stato come un buon padre di famiglia, non potrà più fidarsi. Su questo non transigo!

Bisognerebbe per il sottosegretario aprire un dialogo con il terzo settore, con la magistratura di sorveglianza e con le regioni che “hanno la delega alla sanità e dovranno certificare le cooperative e controllarne la gestione”.

Dichiarazioni da parte delle altre forze politiche

Valentina D’Orso e Ada Lopreiato, capogruppo del M5s nella commissione Giustizia, hanno affermato:

Concordiamo sulla necessità che per i detenuti tossicodipendenti vengano previste strutture e percorsi ad hoc che ne favoriscano la disintossicazione prima di tutto. Anche in considerazione del fatto che si tratta dei detenuti più problematici da gestire in carcere. Ma pensiamo che non sia questo il governo che possa dare soluzioni adeguate e concrete, visto che nella sua prima legge di bilancio invece di investire, ha imposto un forte taglio all’Amministrazione Penitenziaria. Il piano esposto da Delmastro richiede risorse vere, e non poche. In assenza di fondi aggiuntivi, sono solo annunci e favole.

Anche la senatrice Anna Rossomando, responsabile giustizia Pd, è contraria. Infatti dichiara:

Intanto, informiamo il sottosegretario Delmastro che la riforma Cartabia già oggi prevede la possibilità per il giudice di disporre la detenzione domiciliare invece del carcere, a maggior ragione in presenza di percorsi di recupero. In ogni caso non può passare il principio di affrontare la tossicodipendenza con la disintossicazione coatta. Oltreché sbagliato il principio, sarebbero percorsi destinati al fallimento. C’è invece bisogno di investire ulteriormente in percorsi di recupero personalizzati prevedendo anche, ma non esclusivamente, l’ingresso in comunità.

La proposta porterebbe ad un risparmio economico da parte dello Stato?

Oltre al vantaggio per lo Stato italiano di risolvere il sovraffollamento, ci sarebbe in questo modo un risparmio in termini economici. Lo Stato spende in media 137 euro al giorno, ancor di più per un tossicodipendente perché presenta maggiori difficoltà. Invece con tale proposta si potrebbe spendere una cifra inferiore.

I dubbi sono molti, nonostante l’idea sia apprezzabile sotto tanti punti di vista. I principali riguardano i costi che probabilmente non verrebbero ridotti, in quanto le comunità per accogliere i detenuti tossicodipendenti avranno bisogno di maggiori risorse. Bisognerà aumentare il personale, la capienza e il numero di comunità protette sul territorio. Delmastro a riguardo rassicura, ma siamo davanti ad un possibile rischio. Ovvero creare un nuovo sovraffollamento, quello delle comunità!

Marta Zanghì

Perché la von der Leyen propone di abolire il Regolamento di Dublino

 

“Salvare vite in mare non è un optional” “C’è una differenza fondamentale di come le destre guardano all’essere umano. Ci sono loro, che si confrontano con l’odio, e ci siamo noi. Ma l’odio non ha mai portato buoni consigli”

Queste le parole pronunciate dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, durante l’assemblea plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo il 16 settembre, in risposta alle contestazioni sollevate da Jorg Meuthen, leader del movimento tedesco xenofobo Alternativa” per la Germania. Proseguendo con l’annuncio dell’abolizione del Regolamento di Dublino, tramite l’introduzione di un nuovo sistema di governance europea, il quale avrà una struttura comune per l’asilo ed i rimpatri basato sul principio di solidarietà, principio cardine del benessere europeo.

La Convenzione di Dublino, sottoscritta nel 1990 da 12 stati dell’Unione Europea ed entrata in vigore il 1° settembre 1997 sotto forma di regolamento – vincolante, quindi, per tutti gli stati membri – stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente ad esaminare la richiesta di un cittadino di un paese terzo od apolide richiedente asilo e ad ospitarlo in attesa che la richiesta venga valutata dalle autorità competenti.

La ratio di tale regolamento era quella di adottare una politica comune di asilo andando ad evitare eventuali conflitti di competenza e responsabilità nel caso in cui un soggetto avesse effettuato domanda in diversi paesi. Questo si basava originariamente su due criteri per la determinazione dello stato responsabile della gestione della domanda:

  1. Criterio soggettivo degli stabili legami: lo Stato dove abitano legalmente i parenti stretti del soggetto o dal quale ha già ricevuto un permesso di soggiorno
  2. Criterio oggettivo del primo ingresso: in assenza di legami accertati, lo Stato che si fa carico della domanda e dell’accoglienza è il primo dove il richiedente asilo mette piede

Quest’ultimo però nel corso del tempo, sia per esigenze sociali, sia per esigenze economiche venne nettamente preferito al primo.

Problematiche Regolamento

Il regolamento tuttavia non fu esente da critiche, soprattutto dai paesi più vicini al Mediterraneo – ed in primis proprio l’Italia – i quali si facevano e fanno tutt’ora carico del numero affluente di sbarchi, spesso irregolari, oltrefrontiera e dell’accoglienza dei migranti presso i centri di accoglienza, costretti spesso a vivere in condizioni disumane. Possiamo dunque sottolineare tre effettive problematiche:

  • eccessivo onere a carico dei paesi di sbarco
  • sistema di ripartizione inefficiente
  • violazione dei diritti umani dei migranti

Riforme Regolamento

Le norme di Dublino non sembrano idonee alla realtà attuale dei fatti, ai recenti ed incontrollabili flussi migratori, anche perché furono pensate per un periodo storico, ove neppure l’Unione Europea esisteva ancora, in previsione di una sostanziale complicità e standard comuni in tutti i paesi dell’Unione. Tutto ciò ha portato l’esigenza di innovare il sistema mediante le riforme, seppur lievi, del 2003 e del 2013.

Il picco di migrazione si ebbe nel 2015 e ciò portò al progetto di riforma da parte della Commissione Juncker, in seno al Parlamento Europeo; nel 2017 vi fu, poi, l’approvazione di una proposta cui obiettivo principale era la sostituzione del “criterio del primo ingresso” con un meccanismo obbligatorio di ripartizione dei richiedenti asilo tra i 27 paesi dell’Unione, con conseguente maggiore condivisione dell’accoglienza.

Il numero massimo di soggetti da ospitare sarebbe stato stabilito da una quota rapportata al PIL e alla popolazione. Vi erano norme a tutela dei centri accoglienza quali la possibilità di indicare una preferenza in merito allo stato in cui essere ospitato.

La riforma venne approvata dal Parlamento Europeo ed accolta dalla Commissione Europea, di cui scrisse il testo base, tuttavia si bloccò in sede di Consiglio dell’Unione Europea, a causa dell’opposizione dei paesi dell’Est, da sempre contrari all’accoglienza migranti.

Nel 2018 vi fu un vano tentativo di riforma da parte della Bulgaria a cui però posero veto proprio i paesi di frontiera a causa delle perplessità in merito ai tempi di entrata in vigore.

La Nuova Proposta

La Commissione presenterà il 23 settembre di quest’anno una nuova proposta che sarà valutata dai governi nazionali nelle settimane successive. Tuttavia, non sono ben chiare le modalità in cui opererà tale riforma, poiché la presidente von der Leyen è apparsa molto vaga durante il suo discorso. L’unico elemento desumibile è la forte centralità della solidarietà obbligatoria, tramite un sistema più “umano” che comporti doveri ed obblighi in capo a tutti gli stati. Tuttavia, al par del tentativo di riforma 2017, il pericolo maggiore rimane il potenziale muro formato dall’opposizione dei paesi dell’Est, quali Ungheria e Polonia, ed i ricchi paesi, quali i Paesi Bassi, ove non sembra esservi stato alcun mutamento né di idee né tantomeno di governo

Per questo motivo la Commissione potrebbe optare per un compromesso:

chi non accoglie la sua quota di migranti, si occuperà degli oneri relativi ai rimpatri di chi non ha il diritto all’asilo (o un permesso di soggiorno regolare).

                                                                                                                                     Manuel de Vita