Si conclude il processo tra Johnny Depp e Amber Heard: è vittoria per l’attore

Arrivato ieri l’esito finale del processo, seguito a livello internazionale, tra Johnny Depp e Amber Heard: la Heard, accusata di diffamazione nei confronti dell’ex marito, è stata condannata a pagare un risarcimento complessivo di 15 milioni di dollari.

Il processo

Dopo sei lunghe settimane di processo, iniziato l’11 aprile, presso Fairfax in Virginia, e conclusosi ieri, veniamo a sapere con certezza che il protagonista di “Pirati dei Caraibi” è stato realmente diffamato dall’ex moglie. Adesso, lei deve risarcire a Depp 15 milioni di dollari di cui 5 sono danni punitivi che vengono ridotti a 350mila dollari secondo la legge della Virginia. L’attore, però, non ne rimane esente: anche lui dovrà versare all’ex moglie un corrispettivo, seppur minore, pari a 2 milioni di dollari poiché l’avvocato di Depp aveva definito le accuse della Heard “una bufala”.

Durante il processo, si sono susseguite diverse testimonianze tra audio, video, messaggi. Tra queste vi erano degli audio in cui lei ammetteva di aver colpito Depp. Inoltre alla Heard sono stati diagnosticati il disturbo istrionico della personalità, il quale porta ad assumere un atteggiamento drammatico e a voler stare al centro dell’attenzione, e quello borderline per cui si hanno stati d’animo instabili.

Johnny Depp e Amber Heard durante il processo (Fonte: cosmopolitan.com)

L’articolo sul Washington Post

L’attore ha accusato di diffamazione l’ex moglie per aver affermato sul Washington Post di essere “un personaggio pubblico che rappresenta abusi domestici“. Nonostante il nome di Depp non sia mai comparso nell’articolo, è chiaro il riferimento a lui. Per lo stesso articolo Johnny Depp chiedeva 50 milioni di dollari per essere stato diffamato e aver avuto la carriera rovinata. Effettivamente, proprio a causa dell’articolo in questione, l’attore fu immediatamente cacciato dal cast di “Animali Fantastici“.

La Heard, dal canto suo, ha accusato l’ex marito di diffamazione per aver definito le sue accuse di abusi come “una bufala”. Per questo chiedeva 100 milioni di dollari.

La storia tra Johnny Depp e Amber Heard

Johnny Depp e Amber Heard si sono ritrovati insieme per la prima volta nel 2009 sul set del film “The Rum Diary”. Non è chiaro il periodo esatto in cui cominciarono a frequentarsi, ma nel 2012 si venne a sapere che la storia dell’attore con Vanessa Paradis si era conclusa. Due anni dopo, Amber Heard indossava un anello di fidanzamento durante un’intervista. Nel 2015 i due attori si sposarono prima nella casa di Depp a Los Angeles e successivamente alle Bahamas.

Il loro matrimonio, però, non fu affatto duraturo, al contrario viene descritto come uno dei più brevi  tra quelli delle star. Dopo 15 mesi, la Heard chiese il divorzio. Nello stesso periodo si presentò in tribunale mostrando un livido, sostenendo di aver subìto violenze fisiche da parte del marito. Così fece emanare un ordine restrittivo nei suoi confronti. Le pratiche del divorzio si sono concluse nel 2017 e da queste la Heard ha ottenuto 7 milioni di dollari che ha giurato avrebbe dato in beneficenza, cosa che poi non ha fatto. Due anni dopo è stato l’attore a denunciarla per diffamazione, adulterio e violenza domestica.

Johnny Depp e Amber Heard (Fonte: harisewell.com)

Il passato della Heard

Il passato della Heard non è esattamente “pulito”. L’attrice infatti venne accusata di violenza domestica nei confronti della sua ex compagna, la fotografa Tasya van Ree. Le due si trovavano in aeroporto e l’attrice avrebbe strattonato e colpito la ragazza, la quale, successivamente si sarebbe rivolta ad un agente. Amber Heard fu poi arrestata, ma l’accusa non ebbe lunga durata. L’attrice fu solo avvisata che se avesse fatto altro nei due anni successivi, il caso sarebbe stato riaperto.

Le testimonianze

Le testimonianze sono state fondamentali. L’ex compagna Vanessa Paradis ha preso le difese dell’attore:

“Johnny Depp è il padre dei miei due figli, è una persona sensibile, affettuosa e molto amata. E io credo con tutto il mio cuore che queste recenti accuse che gli vengono fatte sono oltraggiose. In tutti questi anni, da quando conosco Johnny, non è mai stato fisicamente violento nei miei confronti. Quello di cui si parla non sembra affatto lo stesso con cui ho convissuto per 14 meravigliosi anni.”

Anche la figlia, Lily Rose, nata dall’unione con Vanessa, si esprime a favore del padre:

“Mio padre è la persona più dolce che io conosca, è stato un meraviglioso papà per me e il mio fratellino e chiunque lo conosca dirà la stessa cosa.”

Anche la prima moglie di Depp, Lori Anne Allison, lo aveva difeso affermando di non credere minimamente a quanto detto dalla Heard.

Inoltre, Amber Heard aveva affermato che l’attore avesse spinto giù dalle scale anche l’ex fidanzata, Kate Moss, la quale ha subito smentito l’accusa.

Vanessa Paradis e Lily Rose (Fonte: pinterest.com)

Eleonora Bonarrigo

 

 

La Corte penale dell’Aia avvia il primo processo per i crimini commessi in Darfur. Ma c’è solo un imputato

La Corte penale internazionale dell’Aia ha avviato martedì 5 aprile il primo processo per i crimini di guerra. Si è così intrapreso un passo verso la verità per il genocidio nel Darfur.

Corte penale internazionale -Fonte:ilsussidiario.net

Ad essere presente al processo per i massacri compiuti tra il 2003 e il 2006, nella regione ad ovest del Sudan, è stato l’imputato Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman, conosciuto come Ali Kushayb. L’ex leader di una milizia sostenuta dal governo sudanese risulta essere l’unico incriminato presso la Corte penale internazionale dell’Aia nei Paesi Bassi, a seguito di una sanguinosa guerra che provocò 300 mila morti e oltre 2 milioni e mezzo di sfollati.

Conflitto del Darfur

La guerra nel Darfur fu un conflitto che interessò la regione occidentale sudanese e che coinvolse forze governative, milizie e gruppi paramilitari. Il conflitto iniziò nel 2003 e fu dichiarato concluso nel 2009, caratterizzandosi per il compimento di veri e propri genocidi e razzie.

Guerra in Darfur -Fonte:michaelvittorini.it

Le cause sono da ricercare entro i profili etnici predominanti nella parte occidentale del Paese. Il Darfur, collocandosi a confine con il Ciad, sebbene a livello politico sia stato diviso in 5 Stati (Darfur Occidentale, Darfur Settentrionale, Darfur Meridionale, Darfur Centrale e Darfur Orientale), nel 1916 venne accorpato dai britannici al Sudan, che presentava altresì una maggioranza araba e arabofona.

Darfur -Fonte:limesonline.com

La contrapposizione tra africani e arabofoni diventò molto forte tra il 1960 e il 1990 e causò in ambedue le parti l’insorgere di movimenti per portare aventi le rispettive rivendicazioni.

Ad incidere notevolmente sui rapporti sono state le dispute di natura economica: la popolazione africana era in gran parte composta da agricoltori sedentari, mentre quella arabofona da pastori nomadi. Gli inziali conflitti per il controllo della terra furono soltanto l’inizio, i rapporti degenerarono totalmente in profonde divergenze sui giacimenti di petrolio scoperti negli ultimi anni.

Le forze in campo pronte a combattere vedevano:

  • Sul fronte delle milizie del Darfur due gruppi: “Justice and Equality Moviment”(Jem) e l’esercito di Liberazione del Sudan (Sla). Il primo era un movimento di ispirazione islamista, il secondo invece nei primi anni 2000 era noto come “Fronte di Liberazione del Darfur”.
  • Dall’altra parte si ha invece l’esercito regolare sudanese, preoccupato dall’escalation dei gruppi filo africani. A supporto arrivò la milizia filo-governativa arabofona nota come Janjaweed, “i diavoli a cavallo”.

Le principali tappe della guerra

Il conflitto nel Darfur si articolò in diverse fasi:

  • La prima fase (2003-2006): ad attrarre le attenzioni della comunità internazionale fu l’emersione delle razzie attuate dai Janjaweed. Seguì il flusso di migliaia di profughi nel vicino Ciad, che segnò la presenza di una catastrofe umana. Soltanto nel gennaio del 2005 l’Onu parlerà apertamente di omicidi di massa e stupri perpetuati come arma militare contro la popolazione civile;
  • L’accordo del maggio 2006: lo spiraglio di luce contro la violenza esercitata fino a quel momento arrivò con l’esito positivo di trattative portate avanti tra il Governo sudanese e i rappresentanti del Sla. Il preludio ad una fase distensiva si ebbe con la firma di un accordo del leader del gruppo ribelle, Minni Minnawi, con Khartoum in cui si sancì la deposizione delle armi e si chiese anche il disarmo dei Janjaweed;
  • Settembre 2006: Il Jem non siglò gli accordi di maggio e il leader del Sla, Abdul Wahid Al Nur, disconobbe l’intesa e proseguì la guerra. Sebbene il 31 agosto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu avesse votato a favore dell’istituzione di una missione internazionale, con l’invio di 17.000 caschi blu da integrare ai 7.000 soldati dell’Unione Africana, il 1° settembre fu sferrato un attacco militare dall’esercito sudanese contro le sigle ribelli. Il 31 luglio 2007 venne dato il via alla missione Onu Unamid, al fine di evitare il ripetersi di nuove stragi in Darfur. Così a seguito dello sfaldamento del fronte arabofono e la prospettiva dell’invio dei caschi blu, la tensione si allentò, dando avvio a un lungo periodo di trattative.
  • Lo scontro di Khartoum del 2008: l’episodio del 10 maggio 2008 vide Al Nur penetrare con le proprie milizie fino a Omdurman, città alle porte della capitale. All’assalto in cui morirono 93 soldati e 13 poliziotti, parteciparono anche i miliziani del Jem. La situazione ritornò alla normalità solo in tarda serata, dopo la dichiarazione da parte del Governo di aver ucciso 400 miliziani e di aver preso loro armi e mezzi. L’accatto sferrato testimoniò le gravi tensioni che incidevano su tutto il Paese.
  • Fine della guerra riconosciuta dall’Onu nel 2009: dopo gli scontri di Khartoum la guerra visse una fase di stallo. Il miglioramento della situazione generale spinse a nuovi colloqui che si conclusero il 23 febbraio 2010 con l’annuncio della deposizione delle armi da parte del Jem. Lo stesso giorno il Presidente sudanese Al Bashir dichiarò il Darfur come zona sicura. Le intese avviate fruttarono l’esito di maggior autonomia per il Darfur e maggior rappresentanza per la popolazione locale, escludendo altresì dall’accordo la fazione del Sla fedele al Al Nuri.
Firma dell’accordo di pace -Fonte:osservatorioromano.va

Il ruolo della Corte dell’Aia

La Corte penale internazionale è un organo di giurisdizione internazionale permanente, con sede all’Aja in Olanda, competente a giudicare in materia di gravi crimini di rilevanza internazionale (genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione). Agisce riguardo alle giurisdizioni nazionali con un rapporto di complementarietà: per cui lascia alle giurisdizioni interne agli Stati, la responsabilità di perseguire i crimini internazionali, ma interviene in caso di inerzia o quando lo stato mostri di non sapere o di non voler “veramente” esercitare l’azione penale. Incidendo su scala internazionale come un tribunale penale si avvale di:

  • Un organo inquirente che fa le indagini
  • Un ufficio del Procuratore
  • Una presidenza
  • Una sezione preliminare
  • Una sezione di prima istanza
  • Una sezione di appello
  • Una cancelleria

Il capo di accusa su Ali Kushayb e Al-Bashir

L’accusa che grava su Ali Kushayb, uno dei capi dei Janjaweed, ruota intorno alle stime raccolte dalle Nazioni Unite. L’ex comandate ha infatti provocato circa 400 mila morti. Trasferito alla Corte dell’Aia nel 2020 dopo l’arresto in Repubblica Centroafricana, si è dichiarato colpevole rispetto a tutti i 31 capi di accusa che versavano nei suoi confronti. Tra questi vi sono i crimini di guerra, cioè gli atti commessi in violazione del diritto di guerra e contenuti nella Convenzione di Ginevra, che comprendono ad esempio la distruzione deliberata di città e l’uccisione di ostaggi, e crimini contro l’umanità, ossia atti commessi come parte di un attacco generalizzato e sistematico diretto contro la popolazione civile.

Ali Kushayb -Fonte:agenzianova.com

Secondo la Corte, l’imputato, avrebbe avuto un ruolo centrale nella guerriglia. Sulle milizie sotto il suo comando, infatti, gravano stupri, torture, omicidi e saccheggi. Ha inoltre fornito le armi e reclutato i combattenti per incrementare la forza dei Janjaweed. A sostenerlo segretamente vi era il Governo di Al-Bashir, accusato di aver concorso a vari attacchi compiuti in quattro città nel Darfur.

Sebbene l’arresto di Ali Kushayb arrivò solo nel giugno del 2020 dopo 13 anni di latitanza, Al-Bashir è riuscito ad evitarlo, rimanendo ancora detenuto in Sudan. L’ex Presidente è restato al potere per 30 anni, fino all’esordio di una rivolta popolare e un intervento dell’esercito che vi pose fine nel 2019. L’esecutivo di transizione sorto aveva così deciso di consegnare, lo scorso agosto, Al-Bashir alla Corte penale internazionale, ma il processo di estradizione non andò avanti.

Al-Bashir -Fonte:repubblica.it

Le indagini della Corte

Guerra nel Darfur -Fonte:focusonafrica.info

A circa un anno dalla conclusione della missione di pace dell’Onu nel Darfur è stato avviato il processo della Corte penale internazionale. Dalle indagini intraprese sono emerse altre due persone ritenute di avere svolto un ruolo centrale nella vicenda: il ministro dell’Interno dell’epoca, Abdel-Rahim Mohammed Hussein, e l’ex funzionario di sicurezza Ahmed Harun. Nonostante il golpe del 2019 a Khartoum che portò avanti l’ipotesi di un processo sudanese, l’instabilità politica rese difficile intraprendere questa via, permettendo altresì la loro latitanza. 

Giovanna Sgarlata

Enrico “Chico” Forti torna in Italia dopo vent’anni

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio annuncia il ritorno, quasi inaspettato, di Chico Forti in Italia. Il governatore della Florida ha accolto l’istanza. L’ex imprenditore, campione di windsurf, detenuto da 20 anni in America, stava scontando l’ergastolo per il delitto di un giovane americano a Miami.

Il ministro degli esteri Luigi Di Maio e l'imprenditore Chico Forti
( Fonte: il fatto quotidiano )

Un uomo, molte vite

Prima della vicenda giudiziaria che l’ha bloccato in una cella, Chico Forti ha avuto molte vite: quella di pioniere del surf, praticato ai massimi livelli tanto da partecipare ad una coppa del mondo nel 1985; quella di campione di quiz televisivi, con una vincita milionaria a Telemike, grazie alla quale si è trasferito in America dove si è sposato e ha avuto tre figli;quella di produttore di documentari dedicati allo sport. Adesso, a 61 anni, potrà forse iniziarne un’altra in Italia.

L’arresto: l’inizio di tutto

Forti fu arrestato nel 1998 con l’accusa di omicidio premeditato. Gli investigatori erano convinti che lui avesse assassinato l’australiano Dale Pike, trovato il 16 febbraio dello stesso anno, su una spiaggia di Miami senza vestiti, ucciso dai colpi di una pistola calibro 22.

Dale era il figlio di Antony Pike, proprietario di un noto hotel di Ibiza, per il quale da diverso tempo, Forti stava trattando per la cessione.

Il 5 febbraio, Dale arrivò all’aeroporto di Fort Lauderdale, in Florida, dove proprio Forti lo stava aspettando.

L’accusa poi passò al vaglio le ultime ore Chico passò proprio insieme al padre del ragazzo, Anthony.

La vicenda iniziò a destare sospetti. L’arresto di Forti fu eseguito sulla base di indizi considerati labili dalla difesa. Il Pubblico ministero sigillò la requisitoria al processo con queste parole:

“Non è necessario stabilire che sia stato lui a sparare per concludere che è colpevole.”.

Da allora, Chico ha condotto una lunga battaglia giudiziaria per ottenere la riapertura del processo, mai concessa.

Un anno fa, la lettera invata a Di Maio:

Onorevole Di Maio, anzi Luigi, visto che già ti considero un amico, tu hai già diritto di richiedere la commutazione di sentenza perché l’Italia è a credito. Abbiamo rilasciato vari cittadini americani reclusi in Italia con sentenze equiparate alla mia. (…) Perché io non posso ricevere lo stesso trattamento? Ho passato vent’anni in catene per un delitto che non ho commesso. Voglio tornare in Italia e vivere il resto della mia vita da libero cittadino.

Tuttavia, negli anni i governi italiani hanno intensificato gli sforzi per chiedere che venisse graziato dai vari Presidenti americani. La svolta è arrivata solo negli ultimi mesi.

L’avvocato di Forti, Joe Tacopina, aveva presentato istanza al governatore della Florida per sollecitare l’applicazione della Convenzione di Strasburgo del 1983, la quale permette di scontare una pena nel proprio Paese.

Vent’anni senza smettere di proclamarsi innocente

Sono stati ben venti gli anni che Chico Forti ha trascorso nel carcere di massima sicurezza di Everglades in  Florida, Miami.

Forti da giovane
( Fonte: il fatto quotidiano )

Dichiaratosi vittima di un errore giudiziario, dopo la pena all’ergastolo nel 2000, ha iniziato una lunga battaglia legale per cercare di tornare nel suo Paese. Con il passare del tempo la sua battaglia è diventata anche una battaglia politica.

In suo favore si sono susseguiti appelli e messaggi di solidarietà di personaggi dello spettacolo, molte sono state le inchieste televisive volte a dimostrare la sua innocenza.

Il Governo italiano ha sempre portato la vicenda all’attenzione degli Stati Uniti, coinvolgendo anche il Segretario di Stato americano. Accanto a quello politico, il lavoro diplomatico è stato portato avanti negli ultimi anni dall’ambasciatore italiano Armando Varricchio a Washington.

Ora, grazie alla concessione tanto attesa per l’applicazione della convenzione di Strasburgo, ratificata dagli Stati Uniti, Forti potrà tornare in Italia, dove, la magistratura dovrebbe riaprire il dossier e decidere del futuro di questa vicenda. In ogni caso, nessuno pensa che l’ex velista potrebbe tornare dietro le sbarre.

Una notizia, questa, che il titolare della Farnesina ha immediatamente comunicato alla famiglia Forti, al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio.

Si chiude, così, uno dei casi giudiziari e poi politico-diplomatici, più controversi nelle relazioni tra Italia e Stati Uniti.

Maria Cotugno