Corpus Domini: lu Vascilluzzu

La solennità del Corpus Domini è da dieci giorni trascorsa, ma, considerato che la sua massima espressione nella civiltà messinese non si è potuta quest’anno dispiegare, certamente fa bene parlarne ancòra! Mi riferisco alla Processione del Vascelluzzo, che buona parte delle persone a Messina avrà potuto vedere almeno una volta, ma forse senza conoscerne pienamente il significato.

È una processione cristiana, ma come tutte le manifestazioni non va mai fraintesa, mai ridotta al puro significato apparente, mai va guardata come a una superstizione! Ha un’intensità, quest’evento, ch’è saldamente radicata nella storia di Messina, e una spiritualità che rimonta a epoche remote.

Voilà: lu Vascilluzzu

Il Vascelluzzo è la piccola riproduzione d’un galeone a tre alberi, della lunghezza d’un metro, costruito in legno all’interno ma rivestito integralmente di lamina d’argento in ogni sua parte; è inclusa la base, decorata con motivi marini e quattro medaglioni con immagini devozionali. Proprio per questa sua particolarità, esso è lascito della plurisecolare tradizione degli argentieri messinesi, rinomata un tempo in lungo e in largo come una vera eccellenza artistica. In contrasto con il bianco e lucido argento sono stendardi e bandiere rosse bordate d’oro, che in ogni parte adornano il galeone. Dalla coperta, inoltre, emergono floride spighe di grano.

Talvolta il Vascelluzzo annoverato tra le machine processionali, ovverosia quegli apparati festivi complessi (la Vara, il Cammellaccio…), sui quali non sarebbe errato dire che Messina ne abbia il più elevato numero almeno tra tutte le città d’Europa.

Per tradizione devozionale il Vascelluzzo viene diligentemente custodito dalla Confraternita di Santa Maria di Portosalvo (nata più di trecento anni fa), che vi fa per tutto l’anno buona guardia e lo conduce a spalla in processione nel giorno del Corpus Domini ogni anno, sin dall’inizio di questa usanza e dalla creazione della preziosa varetta.

Una curiosità piuttosto rilevante: per la processione del Corpus Domini, sul Vascelluzzo viene sistemato il reliquiario contenente i capelli con cui sarebbe giunta legata la Sacra Lettera scritta da Maria madre di Gesù, i capelli della Madonna stessa. Appare inspiegabile che Messina non sia mèta di pellegrinaggio mariano, considerato che possiede (se si vuole prestare fede alla tradizione) l’unica reliquia consistente in un resto corporeo della Beata Vergine Maria!

Fonte: colapisci.it

Bastimenti miracolosi e provvidenziali

Come mai si porta in processione lu Vascilluzzu?

Secondo la versione più antica bisogna risalire al tempo della Guerra del Vespro. Quando Carlo d’Angiò divenne Re di Sicilia, usurpando il trono di Corrado II (il giovane e coraggiosissimo Corradino) e uccidendolo, e quando impose sulla Sicilia un governo duro insediato a Napoli e le cui direttive venivano eseguite da soldati francesi, le città siciliane decisero di ribellarsi e cacciare gli uomini stranieri del Re, e rovesciare il Re stesso; tra queste c’era Messina, che per la sua posizione sarebbe stata la prima a essere attaccata. Così avvenne: Messina, guidata dal capitano di popolo Alaimo da Lentini, si ritrovò assediata e, ben presto, ridotta alla fame, come certi racconti ci tramandano. In una situazione di tale calamità, dal nulla una nave carica di frumento riuscì miracolosamente a superare il blocco navale e a entrare in porto, mandata dalla Madonna grazie all’intercessione di Alberto degli Abati.

Un’altra versione dell’origine, più recente, rimanda a una carestia verificatasi alle porte del secolo in cui fu commissionato il Vascelluzzo (XVII), ed è quella che in principio fu insegnata anche a me da bambino. Nel 1603 d.C. il territorio fu colpito da una terribile carestia, che purtroppo in quei tempi era un fenomeno che si ripeteva periodicamente e di difficile risoluzione. Questa, in quell’occasione, si presentò per Messina quando un grosso bastimento greco di grano che transitava nello Stretto fu colto da una tempesta e a causa dei danni riportati si ritrovò impossibilitato a navigare. I marinai si ritrovarono allora costretti a chiedere aiuto a Messina pur temendone una razzia, ma, dato che si erano appellati alla Madonna, la nostra città decise comunque d’aiutarli rimorchiando la nave in porto, e in cambio furono distribuiti pani che sfamarono la popolazione. Da quel momento, per decreto del Senato di Messina, si sarebbe per sempre fatta questa processione.

Fonte: strettoweb.com

Le varette naviformi isiache

In generale, come in molti altri casi ricorrenti nelle nostre gloriose festività municipali dei secoli scorsi, qualora il Vascelluzzo non dovesse ricordare alcun miracolo esso rimarrebbe il simbolo della potenza e dell’essenza marinara di Messina, una città sposata con il mare sin dal tempo in cui si adorava l’enosigeo dio Poseidone e che da esso ha sempre tratta tutta la sua ricchezza che in altre epoche fu poderosa e difficilmente eguagliata da altre città.

Ma comunque, nonostante gli eventi storici ben riconoscibili e relativamente a noi vicini che si propongono come cause fondanti di questa nostra consuetudine, bisogna risalire a un tempo ancor più distante per spiegare l’origine di usare navigli come oggetti di devozione e processionali.

L’utilizzo di una varetta a forma di nave era tipico delle processioni ellenistiche in onore della dea Iside, nel tempo in cui il suo culto era diffuso in tutto il Mediterraneo. Si tratta del Nauigium Isidis (“Naviglio di Iside”, appunto) che si celebrava in ricordo del suo peregrinaggio alla ricerca delle membra divise del suo defunto sposo Osiride; la data si determinava astronomicamente, esattamente come e quando ricorre la Pasqua cristiana oggi. Iside è dunque patrona dei naviganti, che si possono anche intendere metaforicamente come coloro che navigano verso una mèta spirituale.

Anche nei paesi iberici si riscontrano diverse reminiscenze isiache proprio nel Corpus Domini. Probabilmente è vero che i popoli hanno memoria così come le persone, e anche se consciamente rimuovono un’esperienza, inconsciamente mai la dimenticano.

Altri due apparati festivi messinesi di forma navale è importante menzionare allo scopo di ricondurre l’usanza alle celebrazioni isiache: la Galea della Lettera che si montava per il 3 Giugno (Gran Madre della Lettera) e il Vascello Granario che si allestiva per il 15 Agosto (Maria Assunta in Cielo), in entrambi i casi si tratta di solennità dedicate alla Vergine Maria, che in moltissime occasioni è proprio la controfigura cristiana della potentissima e soavissima Iside. Anche per queste altre imbarcazioni vale l’interpretazione sopradetta, ossia la glorificazione di Messina sul mare.

Come vedete, nelle tradizioni identitarie ce ne sono a iosa di motivazioni e significati per festeggiare: è perché non sono feste di Cristiani, ma feste di Messinesi, della municipalità tutta. E come ripudiare la propria identità?

Fonte: granmirci.it

 

Daniele Ferrara

 

Immagine in evidenza:

Fonte: vivasicilia.com

La Basilica di Sant’Antonio a Messina

Ancora una volta – a causa pandemia – un altro importante anniversario rischia di non essere celebrato adeguatamente; proprio quest’anno, infatti, ricorre il centenario dalla fondazione – a Messina – della Basilica di Sant’Antonio da Padova, voluta da Padre Annibale Maria Di Francia.

La rinascita di un quartiere malfamato

La Basilica è situata nel cuore della città di Messina, nel quartiere Avignone, dove, più di un secolo fa, papa Pio X donava alla comunità un luogo che sarebbe diventato anni dopo un centro religioso e un punto d’incontro per fedeli, orfani e, soprattutto, per i più poveri. Un quartiere malfamato bisognoso di un risanamento morale e che, grazie all’arrivo di un giovane sacerdote – padre Annibale – divenne un luogo dedito alla redenzione, avente come fulcro una piccola cappella dedicata al Cuore SS. di Gesù.

La dedizione nei confronti dei più bisognosi spinse padre Annibale a venerare la santità di Antonio da Padova, in particolare per il rapporto con gli orfanotrofi; infatti, nel 1882, diede vita agli Orfanotrofi Antoniani, cambiando radicalmente la realtà del quartiere Avignone.

Padre Annibale assiste un mendicante del quartiere Avignone – Fonte: basilicaantoniana.it

La devozione a Sant’Antonio, il Santo dei Miracoli

Confidando sempre nell’aiuto divino e nell’assistenza del Santo di Padova, i1 13 giugno del 1906 Annibale lanciò un invito a tutti i devoti di S. Antonio affinché con un solo obolo di ciascuno venisse acquistata una statua in onore del Santo. La statua fu trasportata da Roma nel maggio del 1907. Da quel momento molti dei miracoli invocati dai credenti divennero realtà tangibile. La prima processione fu celebrata il 13 giugno 1907.

Dopo il terremoto del 1908 – che rase al suolo le due città dello Stretto -, la statua fu ritrovata integra e adagiata.

Inoltre, in seguito a quel drammatico evento, l’allora papa Pio X donò una “chiesa-baracca” alla città di Messina, nella quale Sant’Annibale proclamò Sant’Antonio da Padova “Singolarissimo e instancabile benefattore nostro e di tutti quelli che alle nostre preghiere si raccomandano”.

Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1919 un misterioso incendio distrusse la chiesa-baracca; immediatamente le parole di una donna offrirono un barlume di speranza in quel momento di sconforto:

Non vi preoccupate, ora Padre Francia ne farà una tutta d’oro!

Il Santuario di Sant’Antonio – Fonte: torrese.it

La struttura della Basilica

Così il 3 aprile 1921 venne posta la prima pietra per la costruzione dell’attuale Basilica, inaugurata il 4 aprile 1926 sotto il nome di “Tempio della Rogazione Evangelica del cuore di Gesù e Santuario di Sant’Antonio”.

La realizzazione dell’opera fu affidata allo Studio dell’Ingegner Letterio Savoja: obbiettivo principale era la resa armonica di una struttura ottocentesca elegante, coerente e perfetta. L’impianto a navate che dirigono lo sguardo del fedele direttamente alle absidi rivelavano l’influenza rinascimentale. Inoltre le vetrate istoriate sostituite dopo gli assedi bellici del ’44, permettono alla luce di filtrare tenue creando un’atmosfera mistica che invita il fedele stesso alla preghiera.

Oggi la Basilica è considerata uno dei luoghi di culto più importanti per Messina e i messinesi. Essa, dal grande esempio di Sant’Annibale, offre ancora un servizio semiresidenziale per i minori tramite l’Istituto Antoniano.

All’interno della maestosa Basilica è possibile visitare la cripta dedicata a Padre Annibale, dove si trova l’urna contenente il corpo del Santo fondatore.

Annesso alla chiesa vi è un museo nel quale è visibile in due ali separate oggetti dedicati rispettivamente a Sant’Annibale e Sant’Antonio.

L’interno della Basilica – Fonte: lasiciliainrete.it

La processione di Sant’Antonio

Come è noto, Messina è una città ricca di secolari tradizioni religiose; e infatti, ogni anno – il 12 e il 13 giugno -, la comunità messinese rinnova la sua immensa devozione al Santo dei Miracoli svolgendo un’imponente processione. La statua di Sant’Antonio sfila per le vie del centro, seguita da innumerevoli devoti e pellegrini che indossano il saio francescano, ed è posta su di un mappamondo abbellito di fiori e ori votivi dei fedeli e attorniata da piccoli marinaretti e paggetti antoniani, in ricordo dei piccoli orfani e poveri della comunità.

Processione del Santo – Fonte: basilicaantoniana.it

Le celebrazioni per il centenario

Quest’anno le celebrazioni in onore del Santo dei Miracoli sono iniziate l’8 aprile e si concluderanno il 13 dello stesso mese.

Oggi, 10 aprile, alle ore 18 si celebrerà la Santa Messa presieduta dal Superiore Generale dei Padri Rogazionisti, Padre Bruno Rampazzo, mentre alle ore 21 si terrà – a porte chiuse –  il concerto presieduto dagli allievi del Conservatorio “A. Corelli” di Messina, con la partecipazione dell’onorevole Antonio Martino.

Domani, data del centenario, alle ore 17:30 si terrà il Solenne Pontificale, presieduto dal cardinale Marcello Semeraro – Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi -, con la lettura delle Bolla Pontificia per l’apertura del Giubileo. Conclusa la celebrazione – concelebrata dall’arcivescovo di Messina Monsignor Giovanni Accolla –  è in programma una processione interna con le reliquie di Sant’Antonio e un omaggio alla spoglie di Sant’Annibale di Francia nella cripta del Santuario.

Un festival di luci ed immagini sulla facciata della Basilica concluderà questa intensa e memorabile giornata.

 

Marika Costantino

Fonti:

basilicaantoniana.it

Si ringrazia Padre Orazio Anastasi, in particolare per le informazioni sul calendario delle celebrazioni

Immagine in evidenza:

 La facciata della Basilica di San’tAntonio – Fonte: basilicaantoniana.it

 

 

Una storia siciliana: tra speranza e miracolo

Come spesso ci capita durante questo periodo di riflessione, anche oggi la nostra rubrica decide di mettere in moto la macchina del tempo, con un occhio al presente.

Vi abbiamo già raccontato di come l’Università di Messina fosse stata chiusa in circostanze straordinarie.

In questo articolo vi racconteremo un’altra grande epidemia del passato: ma, soprattutto, vi narreremo cosa rimane ancora oggi come segno tangibile, radicato nella nostra cultura, della ferita che l’epidemia lasciò sul nostro territorio.

Religioni e fatti della storia, seppur dal punto di vista laico come è giusto che sia: questa storia racconta ed enfatizza il suo aspetto più naturale, ovvero la speranza. Ad ogni modo resta nella nostra memoria culturale la straordinarietà di ciò che fu il Miracolo di liberazione del Colera dalla provincia Messinese e di tanti figli messinesi sparsi per ogni dove durante l’epidemia di quel tempo, che colpì la Sicilia e la nostra provincia nel XVII secolo.

Correva l’anno 1854, Messina e il suo territorio ebbero un miracolo accertato che portò alla guarigione della signora Vadalà: signora che, rifugiandosi in provincia a Castroreale dove il marito risiedeva per ragioni di pubblico impiego (Castroreale fu seconda solo alla fraterna Messina per importanza amministrativa, religiosa e culturale), fu miracolata dal Cristo Lungo.

Il nome è dovuto al palo sul quale venne eretto, affinché fosse visibile anche dai piani delle case posti più in alto: fu portato in processione proprio per scacciare il colera dalla cittadina e passando accanto al balcone della signora ormai moribonda, all’inginocchiarsi del marito in richiesta di grazia, questo la guarì dal male che la opprimeva.

Oltre al carattere religioso della vicenda e alle considerazioni mediche sull’andamento della malattia nella singola persona, ciò che ci colpisce è la resistenza: ancora oggi, infatti, quel Cristo passa per le strade, in barba al tempo e alle generazioni.

La festa del Cristo Lungo (in dialetto locale “U Signuri Longu” o nella variante di alcuni villaggi limitrofi – oggi comuni autonomi – “U Cristu Longu”) è una festa che ricorre il 23, 24 e 25 agosto di ogni anno.

È un evento religioso a carattere fortemente folkloristico, oltre che di fede sentita per i credenti: un momento da vedere almeno una volta nella vita, del tutto particolare e carico di significato, come abbiamo visto. Il Cristo viene posto in processione ed inalberato su un lungo palo in legno per rievocare e commemorare in forma di gratitudine, l’estinzione dei focolai dell’epidemia di Colera del 1854.

Ancora oggi il significato è lo stesso: il Cristo venne inalberato per far sì che la sua benedizione potesse arrivare dall’alto su tutti i tetti delle case a tutti gli abitanti della città, finanche a tutta la popolazione delle campagne e dei villagi vicini: da Capo Calavà, Capo Tindari, Capo Milazzo e sua piana inclusa, a guardar verso Messina e le Isole Eolie. 

Comune di Castroreale

Da nord a sud e da est ad ovest, proprio dall’alto del colle torace (altura 394 metri sul livello del mare, così denominata per la forma caratteristica) ubicazione della cittadina madre del Santissmo Crocifisso.

Ma c’è di più: questa storia si riallaccia a un’altra sentitissima tradizione messinese. Infatti, l’ideatore della vara del Cristo e del palo per l’inalberazione fu lo stesso ideatore della famosa Vara di Messina celebrata il 15 di agosto ogni anno, tanto cara a noi tutti Messinesi.

La speranza, la fede, la scienza: qualsiasi sia il nostro appiglio, rimane la resilienza di ognuno di noi, con la quale dobbiamo necessariamente andare avanti.

E chissà se, quando tutto sarà finito, avremo anche storie come queste da raccontare e tramandare, da rivivere tutti insieme di anno in anno.

Filippo Celi