Chi è Ron DeSantis, candidato alle presidenziali USA del 2024

Manca poco più di un anno dalle elezioni presidenziali negli USA, ma sono già iniziate da tempo le grandi manovre elettorali. Probabilmente saremo spettatori di una nuova contesa tra l’annunciata ricandidatura di Joe Biden per il DEM (Democratic Party) e quella di Donald Trump per il GOP (Grand Old Party-Partito Repubblicano).

Tra le candidature anche Nikki Haley, ex governatrice repubblicana della Carolina del Sud ed ex presidente permanente americana presso le Nazioni Unite. E ufficialmente, dopo l’annuncio lo scorso 24 maggio, tra i candidati scende in campo Ron DeSantis, governatore della Florida dal 2019 e attualmente competitor di Trump nel GOP. Ma il governatore riuscirà a frenare la corsa di Donald Trump? Conosciamolo più nel dettaglio.

Ron DeSantis: il governatore ancora più a destra di Trump

È di certo un volto nuovo della politica statunitense, il quarantaquattrenne DeSantis discendente di migranti abruzzesi, integralista cattolico e antiabortista. Ha ottenuto notorietà paradossalmente grazie a Donald Trump, il quale però non è più per lui un mentore ma un duro avversario. Qui il video di lancio alla campagna elettorale di DeSantis:

Nato nel 1978 a Jacksonville, in Florida, si è laureato in storia a Yale e in legge a Harvard. Ha prestato servizio nella marina, presso la base militare della famosa prigione di Guantanamo e poi in Iraq. Nel 2012 entra per la prima volta al Congresso degli Stati Uniti, venendo eletto in uno dei distretti più conservatori della Florida, per poi unirsi alla formazione di estrema destra, conosciuta come Tea Party. Si presenta come favorevole a nessun limite o controllo alla vendita delle armi, vuole che nessuno parli del passato razzista degli USA o dell’esistenza dell‘identità di genere. In virtù di ciò recentemente è stato denunciato dalla Disney.

La causa con Disney:

De Santis è contro gli ideali progressisti e i diritti civili, desidera una restaurazione dei valori conservatori e tradizionalisti. Nel 2021 ha approvato una legge per vietare alle donne transgender di partecipare alle competizioni femminili sportive. Nel 2022 con la legge “Don’t say gay”, ha vietato alle scuole del suo stato di affrontare il tema dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.

Questo provvedimento è stato denunciato, in quanto ritenuto fortemente discriminatorio, dalla Disney che ha un grande parco in Florida. Il governatore ha subito minacciato di costruire una prigione affianco al parco e di voler eliminare i privilegi di autogestione amministrativa concessi alla compagnia. Contro questa minaccia Disney ha avviato un’azione legale, ritenendola una ritorsione da parte del governo per aver esercitato la propria libertà di espressione. Lo scontro con questa multinazionale rischia di danneggiare la sua candidatura.

Presidenziali 2024: l’annuncio su Twitter è stato un “flop”

La mia promessa per voi è questa: se mi nominate potete impostare il vostro orologio al 20 gennaio 2025, a mezzogiorno perché sul lato ovest del Campidoglio degli Stati Uniti, presterò giuramento come 47 ° presidente degli Stati Uniti.

La candidatura di De Santis non ha sorpresono non quanto la modalità scelta per il suo annuncio ufficiale. L’uomo nuovo della destra americana ha conquistato il sostegno di Elon Musk, proprietario di Twitter e non solo, che gli ha permesso di usufruire della propria piattaforma per l’atteso annuncio. Musk ha dichiarato, secondo quanto riporta il New York Times, di essere un suo sostenitore. Aveva votato per Biden nel 2020, ma da allora è stato critico nei confronti della sua amministrazione. Il miliardario ritiene che sia difficile per Biden rimanere in contatto con gli elettori all’età di 80 anni.

La diretta solo audio sulla piattaforma Spaces di Twitter, è iniziata con più di mezz’ora di ritardo a causa di alcuni problemi tecnici per il sovraccarico dei server. Musk ha dovuto creare un nuovo link, gli utenti in attesa da 500mila sono scesi a 163mila. Su questi problemi tecnici ha ironizzato Biden, che ha twittato un link per raccogliere i fondi per la sua campagna, affermando che «il mio funziona».

Ma anche Karoline Leavitt, portavoce di Make America Great Again Inc., ha dichiarato dopo l’accaduto:

L’annuncio pasticciato della campagna di Ron DeSantis è un altro esempio del perché non è pronto per il lavoro. La posta in gioco è troppo alta e la lotta per salvare l’America è troppo critica per scommettere su un principiante che chiaramente non è pronto per la prima serata.

Tra Trump e DeSantis c’è ancora un buon rapporto?

Se eletto alla Casa Bianca, il governatore repubblicano della Florida, valuterà la possibilità di dare la grazia all’ex presidente, qualora avesse guai con la giustizia federale, e farebbe lo stesso anche con gli accusati dell’assalto del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill

Ron DeSantis lancia così un messaggio al suo sfidante Donald Trump, dichiarazioni che arrivano a poche ore dall’annuncio. L’ex presidente Trump però gli ha rinfacciato il suo sostegno nel 2019, dicendo che senza di lui non ce l’avrebbe mai fatta.

Il lancio di DeSanctis su Twitter è un DISASTRO! Tutta la sua campagna sarà un disastro!

Nei sondaggi il governatore parte in netto svantaggio rispetto a Trump; ma quest’ultimo, temendo comunque la sua concorrenza, gli affida alcuni nomignoli come «DeSanctimonious» ritenendolo un un ipocrita.

Ma questa sfida a suon di battute, ironia e sagacia chi la vincerà? Ancora manca molto per trarne delle conclusioni, staremo a vedere!

Marta Ferrato

Donald Trump in arresto? A rischio le Presidenziali 2024

Sabato mattina, attraverso un post pubblicato sul social Truth, Donald Trump ha annunciato di essere stato incriminato dal Gran Giurì di Manhattan con accuse relative ad accordi finanziari presi con la pornostar Stormy Daniels, in seguito a rapporti intimi avvenuti tra i due.

Nel post di Trump si legge che: «Il primo candidato Repubblicano ed ex Presidente degli Stati Uniti d’America sarà arrestato martedì della prossima settimana. Protesta, riprenditi la nostra Nazione!»

Dal tono utilizzato si evince che Donald Trump voglia utilizzare il suo arresto per alimentare la narrazione secondo la quale sarebbe un martire delle élite; strategia di cui ha già fatto uso quando l‘FBI ha prelevato dei documenti riservati nella sua villa in Florida o quando è ha subìto la procedura di impeachment dal Congresso americano. Allo stesso tempo, il fatto che abbia spinto i suoi supporter «TO TAKE OUR NATION BACK», a riprendersi la nazione, sottolinea la volontà di ricordare gli eventi di Capitol Hill, quando ha convinto migliaia di persone che la democrazia americana fosse vittima di un colpo di stato, alimentando un’insurrezione nel cuore delle istituzioni politiche americane.

Chi è un Gran Giurì?

Il pubblico ministero americano istituisce tipicamente un Gran Giurì per determinare se sussistano abbastanza elementi per proseguire con un procedimento giudiziario. Egli deve, in termini legali, stabilire se vi sia una causa probabile per stabilire che sia stato commesso un reato. Nel fare ciò, detiene poteri investigativi: può citare persone in giudizio o consegnare la documentazione relativa al caso; egli può anche interrogare i testimoni, ai quali non è consentito avere avvocati presenti. In questo caso, il Gran giurì è Alvin Bragg.

La storia tra Trump e Stormy Daniels

Trump e Daniels si sono conosciuti durante un torneo di golf per celebrità in Nevada nel 2006, quando lui aveva 60 anni e lei 27. Dopo aver cenato e parlato, Daniels sostiene che abbiano passato la notte insieme (cosa smentita da Trump), poiché Trump le avrebbe garantito la partecipazione al programma The Apprentice, di cui era conduttore e produttore. Sempre secondo Daniels, i due si incontrarono altre volte senza intrattenere rapporti sessuali.

Daniels ha tentato più volte di vendere la sua storia ai giornali, soprattutto in virtù del fatto che lui le abbia promesso un’apparizione televisiva in cambio di un rapporto sessuale senza poi rispettare la “promessa”.

Con la decisione di candidarsi per la Casa Bianca, Trump cercò di tutelarsi da accuse del genere e lo fece attraverso David Pecker, suo amico e direttore del giornale di gossip National Enquirer. Pecker cominciò a pubblicare articoli che potessero migliorare la reputazione di Trump affossando, invece, storie potenzialmente dannose.

Micheal Cohen parla alla stampa sito: Il post Fotografo : Mary Altaffer

La falsificazione dei documenti aziendali

Nel 2016, subito dopo la pubblicazione da parte del Washington Post di un audio in cui Trump fa commenti molto volgari, Daniels tentò nuovamente di raccontare la sua storia, visto l’atmosfera a lei favorevole. In questo caso Pecker mise direttamente in collegamento l’avvocato di Trump (Cohen, responsabile per la risoluzione di problematiche del genere) e quello di Daniels (Davidson).

I due legali raggiunsero un accordo con Trump, che avrebbe pagato 130 mila dollari in cambio del silenzio di Daniels sul loro rapporto sessuale. Affinché il pagamento non risultasse nei rendiconti della Trump Organization, Cohen decise di effettuare il pagamento direttamente dal suo conto, come confessato durante una testimonianza del 2018. La Trump Organization decise di rimborsare Cohen, registrando il pagamento come consulenza legale.

La vicenda potrebbe portare conseguenze gravi per Trump, se la procura riuscisse a dimostrare che la falsificazione dei documenti aziendali avvenne per nascondere anche altri reati, come – per esempio – una violazione della legge che regola i finanziamenti alle campagne elettorali. In questo caso Trump rischierebbe fino a 4 anni di carcere.

Se giudicato colpevole, potrebbe ancora candidarsi per la presidenza?

Teoricamente, nessuna legge americana impedirebbe ad un candidato riconosciuto colpevole di un crimine di fare campagna elettorale e servire come Presidente. Tuttavia, l’arresto complicherebbe la sua campagna presidenziale: potrebbe avvicinare a Trump dei nuovi supporter in difesa del loro eroe sconfitto e contemporaneamente venir utilizzato dagli avversari politici per screditare la candidatura.

Giuseppe Calì

Joe Biden vince le elezioni Usa. Una vita tra drammi e successi. Ecco chi è il neopresidente americano

Dopo una settimana dove il mondo è stato con il fiato sospeso, finalmente possiamo dirlo: Joe Biden ha vinto le elezioni presidenziali americane 2020 e si candida a diventare il 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America.

Fonte: Ottopagine.it

Si tratta solo di un primo step, ma decisivo, perchè – lo ricordiamo – gli americani non eleggono il Presidente ma eleggono i Grandi elettori che andranno a votare il Presidente. 

Quest’anno si è trattata di un’elezione tutt’altro che scontata, dove solo in ultimo Joe Biden è riuscito a colmare il distacco che aveva nei confronti di Donald Trump in Georgia, Michigan, Winsconsin e anche in Pennsylvania, Stato quest’ultimo che gli ha consegnato ufficialmente la vittoria.

Lo spoglio dei voti postali ha ritardato i risultati ma è stato decisivo nella vittoria dei democratici: il futuro presidente, infatti, aveva suggerito ai suoi sostenitori di non recarsi alle urne ma di sfruttare il voto per corrispondenza, onde evitare il rischio di contagio in un momento in cui gli Stati Uniti d’America contano quasi 10 milioni di contagi da Covid19. Al contrario dell’uscente Trump, il quale aveva esortato i suoi elettori a recarsi alle urne poichè, a suo avviso, il sistema postale sarebbe potuto essere manomesso.

Era dai tempi di George H.W. Bush che il presidente uscente non veniva riconfermato per un secondo mandato. E adesso che la sconfitta del tycoon è praticamente acclarata, quest’ultimo dichiara ancora di rivolgersi alla Corte Suprema per dimostrare la frode elettorale.

Ieri sera, poi, il presidente uscente – che ha saputo del risultato delle elezioni mentre giocava a golf – non ha neanche fatto la consueta chiamata privata di congratulazioni al candidato in vantaggio e non ci sorprenderemmo troppo se si rifiutasse anche di fare il tradizionalissimo “Concession Speech”.

Non c’è dubbio che Donald Trump aprirà diversi percorsi legali pur di non ammettere la sconfitta, ma in questo momento è il caso di concentrarci su quello che si candida a diventare il nuovo inquilino della Casa Bianca a partire dal 20 gennaio 2021.

Chi è Joe Biden

All’anagrafe Joseph Robinette Biden Jr., il candidato prossimo presidente USA, ha trascorso più della metà dei suoi anni nel cuore della politica statunitense.

Nato a Scranton in Pennsylvania nel 20 novembre del 1942 e cresciuto in Delaware, Biden infatti è prossimo a compiere ben 78 anni e si accinge ad avere il primato di più anziano Presidente mai eletto dagli Stati Uniti d’America. Quasi paradossale, se si pensa che, come accennavamo poc’anzi, ne aveva appena 30 quando nel 1972 è entrato a far parte del Congresso da senatore democratico rappresentante del Delaware, conquistando in questo caso il “titolo” di il quinto più giovane della Camera Alta nella storia degli USA.

Drammi e tragedie si intrecciano con i successi e gli ostacoli della sua carriera politica.

Sin da adolescente viene bullizzato per la sua balbuzie e soprannominato, per questo, Joe Impedimenta. Superati gli ostacoli di comunicazione,  questa sua caratteristica lo renderà notoriamente empatico ma anche determinato ed ambizioso nel corso della sua carriera.

La vita non gli sarà facile neanche una volta raggiunto quel posto da senatore per un soffio: ad appena un mese dal successo, perde in un incidente stradale la sua prima moglie Neilia – sposata nel ’66 – e la piccola figlia Naomi, di appena un anno. Sopravvivono – seppur riportando gravi ferite- gli altri due figli Beau, 3 anni ed Hunter, due.

Biden nel ’77 si risposa con Jill Jacobs, oggi 67enne e professoressa d’inglese presso un community college. Ed è qui che la storia Americana si avvicina alla Sicilia, o meglio, a Messina.

Come si direbbe in questi casi “Il mondo è piccolo”: la futura First Lady ha infatti origini messinesi. La storia è analoga a quella di milioni di italiani e di tanti siciliani a inizio Novecento: il bisnonno paterno, infatti, andò via dai peloritani con la sua famiglia, più precisamente dal piccolo villaggio di Gesso, per emigrare in America in cerca di fortuna. Il nonno di Jill, Domenico, decise anche di americanizzare persino il suo nome in Dominic Jacobs, per mettere fine alle storpiature.

Fonte: Il Messaggero

In queste settimane, Jill ha ricordato le sue origini con racconti sulla sua infanzia dai nonni:

«per il pranzo tradizionale della domenica si mangiavano spaghetti, polpette, braciole, la casa profumava di origano, basilico, pomodori freschi e aglio».

Dopo la nascita di Ashley dal secondo matrimonio, Biden tenta una prima corsa alla presidenza nel 1988, finita malamente per le accuse di plagio per copiato brani dei discorsi del leader laburista britannico Neil Kinnock. Quello stesso anno ebbe un doppio aneurisma.

Biden riprova le presidenziali nel 2008 ma sulla sua strada trova Obama, un candidato giovane e carismatico che conquista il campo democratico Ciò si rivela comunque una fortuna per Biden: data la sua esperienza a Washington, il giovane Barack lo sceglie come suo vice, per entrambi i suoi mandati.

Nel frattempo nel 2015 un’altra tragedia colpisce la sua famiglia: il figlio Beau, veterano della guerra in Iraq, procuratore generale del Delaware e uomo con una brillante carriera politica davanti, muore per un tumore al cervello. Joe lo cita spessissimo: «Aveva tutto il meglio di me ma senza i difetti e gli errori». Il figlio Hunter, invece, comincia ad intaccare la sua reputazione conducendo una vita a dir poco sregolata, tra alcolismo, droga e affari poco chiari.

Barak Obama
Fonte: @barakobama

Questo evento lo ha portato a non ricandidarsi alle Presidenziali del 2016, sostenendo la candidatura di Hillary Clinton.

Secondo alcuni, sarebbe stato anche Obama a scoraggiarlo, puntando tutto su un possibile presidente donna. Anche nelle ultime elezioni avrebbe rivelato di volere qualcuno di “più progressista” rispetto al conservatore Biden. Nulla togliendo alla stima che Obama nutre nel suo socio:  il rapporto tra il presidente e il suo vice è stato uno tra i più solidi che si siano registrati nella storia statunitense.

Durante un’intervista Biden raccontò che quando fu diagnosticata la malattia al figlio Beau decise di vendere la sua casa nel Delaware per sostenere i costi molto elevati derivanti dalle cure. Venutolo a sapere, Obama chiese immediatamente di incontrarlo e si offrì di pagare interamente le cure, evitando la vendita della casa di famiglia.(Wikipedia)

Nel 2017 Biden viene insignito da Obama della Medaglia presidenziale della libertà con lode, la massima onorificenza del Paese. In quell’occasione Obama disse:

“Sei stato la prima scelta che ho fatto da candidato, e la migliore”

Nel 2019 ufficializza la sua volontà di partecipare alle presidenziali del 2020.

L’8 aprile 2020, con il ritiro dell’unico sfidante rimasto in corsa, il senatore del Vermont Bernie Sanders, diviene ufficialmente il candidato democratico in pectore alle elezioni presidenziali del 3 novembre.

Il programma

Nonostante sia stato definito un conservatore, il programma di Biden è – neanche a dirlo – molto vicino alle visioni dell’ex Presidente democratico di cui è stato numero 2 per ben otto anni. Ne elenchiamo alcuni punti.

Sanità: Tra i punti salienti risulta sicuramente quello di ristabilire l’Obamacare, violentato dall’ex amministrazione Trump, allargandone la platea dei beneficiari e riattualizzandolo alla luce della pandemia in atto, rendendo, ad esempio, i tamponi e i futuri vaccini accessibili a tutti gratuitamente. Non è invece favorevole nell’approvare la riforma sanitaria Medicare for All, un progetto che renderebbe il governo il principale fornitore di assicurazioni sanitarie per i cittadini americani.

Economia: Biden si rivela d’accordo con Trump, invece nell’alzare la paga minima oraria dei lavoratori a 15 dollari. Inoltre ha minacciato di far pagare delle penali molto severe alle aziende che decidano di delocalizzare i propri stabilimenti di produzione nei prossimi mesi. Al contrario di Trump, però, il leader democratico è più aperto al commercio internazionale, come dimostrato dai trattati di libero scambio approvati durante l’amministrazione Obama, tra cui quello con la Cina, che vuole mantenere nella sostanza cambiando solo qualche punto.

Giustizia e diritti civili: Joe Biden vorrebbe eliminare la pena di morte, le carceri private e la libertà su cauzione, la quale accentua la disparità delle diverse classi sociali. Moderatamente favorevole alla protesta dell’organizzazione Black Lives Matter, è nettamente contrario a tagliare i fondi alla polizia. Sui diritti civili è pronto continuare sulla strada tracciata da Obama, garantendo i matrimoni gay e la libertà di scelta sull’aborto, nonostante la sua fede cattolica. Inoltre, è favorevole a ripristinare l’ammissione dei transgender all’interno dell’esercito.

Ambiente: Biden è un sostenitore degli accordi di Parigi e propone di aumentare la spesa a 1,7 trilioni di dollari per far raggiungere agli Stati Uniti la neutralità climatica entro il 2050

Kalama Harris
Fonte: @finacialtimes

Joe Biden, però, non è l’unico protagonista di questa vittoria. Lo è anche la sua vice, Kalama Harris.

Già da tempo il candidato dem alla Casa Bianca aveva palesato la volontà di scegliere una donna di spicco come suo vice, tanto che era circolato addirittura il nome di Michelle Obama.

Poi l’ufficialità della scelta di Kalama Harris, che oggi entra nella storia come la prima donna a ricoprire una carica così alta in politica e la prima persona nera (e asiatica), a diventare vicepresidente degli Stati Uniti.

Ha 55 anni, è figlia di un padre giamaicano e di una madre indiana, avvocato, scrittrice e anche laureata in arti presso l’Università  di Howard. 

Kalama è stata anche la prima donna a ricoprire la carica di procuratore generale dello Stato di San Francisco, Attorney general della California, e poi senatrice per i Democratici.

Con una carriera che, oltre ad essere un agglomerato di primati, è un escalation di cariche sempre più importanti, sicuramente la Harris è il giusto compromesso progressista che accompagnerà il neoeletto Biden. Kamala è stata subito sostenuta anche dall’ex presidente Obama, che l’ha definita la partner giusta per la vittoria di Joe Biden. La donna rappresenta la linea più progressista del partito grazie alle sue idee e alle sue lotte politiche.

È la prima ma non sarà l’ultima, ha twittato Emily’s List, la più grande organizzatrice statunitense dedicata al sostegno delle candidature delle donne democratiche a tutti i livelli.

Si aprirà, dunque, una nuova pagina democratica con l’inizio del 2021. Non sappiamo cosa succederà, se il nuovo presidente ed il suo vice saranno all’altezza delle aspettative mondiali. Quello di cui siamo certi è che la potenza America continua e continuerà ad interessare il mondo intero, non tanto per il suo ruolo ormai – se vogliamo  – superato dalle potenze asiatiche quanto per l’appeal che solo una regia statunitense sa dare.

Maria Cotugno

Martina Galletta