L’uomo nell’età della crudeltà…gentile

Dimmi la verità, non ti senti anche tu stanco del mondo?

Non del lavoro, non dei giorni che si ripetono uguali, ma di quella stanchezza più profonda, quella che tocca la coscienza.

Ti sei mai chiesto, davvero, in che epoca viviamo?

No, non parlo di date, di secoli, di “postmodernità”. Parlo di te, di me, del nostro respiro quotidiano. Parlo di questo tempo che non promette niente e pretende tutto.

Hai notato? Ti sei accorto che non ti sorprendi più di nulla? Che puoi leggere di un bambino morto sotto le macerie di Gaza e dopo cinque secondi aprire un video di cucina?

Non è colpa tua, mi dirai. È il mondo.
Ma il mondo — te lo dico con amarezza — il mondo siamo noi.

E no, non è cattiveria. È abitudine. Ci siamo abituati al dolore. È questa la vera tragedia del presente: la guerra non ci scandalizza più, il male ci sfiora ma non ci interessa, la morte non ci riguarda.

In Palestina si muore ogni giorno. Nella vicina Ucraina il fronte non tace. In Sudan, Yemen, Myanmar, Congo, guerre dimenticate, che non trovano spazio nemmeno in un titolo, perché al momento non fanno audience e non possono essere strumentalizzate. Anche alle porte e dentro la nostra civilissima Europa, l’uomo continua a distruggere l’uomo. E noi, spettatori, osserviamo la rovina come se fosse un film già visto. Ormai consumiamo la sofferenza come mero intrattenimento.

Viviamo nel tempo del “tutto subito”, ma ci manca tutto.  E intanto milioni di persone non riescono a pagare un affitto, milioni di giovani non immaginano un futuro. L’1% della popolazione mondiale possiede un terzo della ricchezza. Gli altri, cinque miliardi di esseri umani che vivono sulla soglia della povertà, si arrangiano. I giovani lavorano per sopravvivere, non per vivere.
E quando il futuro non si mostra, alcuni decidono di non aspettarlo più. Il suicidio è oggi una delle prime cause di morte tra i ventenni. Abbiamo creato una società che misura il valore di un essere umano in base a quanto produce.
La dignità è diventata un costo e la libertà un privilegio.

E intanto il pianeta si consuma, brucia, si sfalda. Le alluvioni, gli incendi, le siccità. Ogni anno i disastri climatici si moltiplicano e ogni volta ripetiamo lo stesso mantra: “Bisogna fare qualcosa”.
Ma chi, esattamente? Tu? Io? Lo Stato? Le aziende? Tutti lo dicono, nessuno comincia.
Ci siamo convinti che il tempo non sia una risorsa comune, ma un diritto individuale: “Finché non tocca a me, non è un problema mio.” E invece ci toccherà. Ci sta già toccando.
 Ma poi niente cambia. Abbiamo fatto della catastrofe un’abitudine meteorologica.

Milioni di persone scappano da terre ormai invivibili, li chiamiamo “migranti climatici”.
Ci basta una nuova parola per non dover provare compassione. Nel Mediterraneo le barche continuano a ribaltarsi e ogni volta che succede ci indigniamo per due giorni (se va bene), poi torniamo a dormire.
Abbiamo imparato a convivere con la morte degli altri, purché sia lontana, purché non sporchi la nostra quotidianità ordinata.

Ma la crisi più profonda non è nelle economie o nei governi, è nei sentimenti. Le relazioni si consumano come sigarette, rapide e usa-e-getta. Ci si incontra su uno schermo, ci si ama con un filtro, ci si lascia con un messaggio.
L’amore è diventato un’esperienza estetica, non più morale. Si vuole piacere, non conoscere; riempire, non condividere. Abbiamo paura di legarci, perché legarsi significa restare, e restare oggi è un atto di coraggio.
La tenerezza è scambiata per debolezza, la profondità per pericolo. I giovani si dicono soli anche quando hanno mille contatti. Gli adulti smettono di cercarsi, convinti che l’intimità non esista più.

La solitudine non è mancanza di compagnia, è mancanza di ascolto. Viviamo accanto, ma non insieme.
Eppure, paradossalmente, desideriamo l’amore più che mai, come un bene raro, come un sogno che non si osa pronunciare.

E allora ti chiedo: da quanto tempo è che non ti indigni davvero? Non per moda, non per apparire “sensibile”, ma per quella rabbia autentica che spinge a cambiare qualcosa?
Perché se smettiamo di provare vergogna, di provare dolore, allora siamo già finiti.
Senza vergogna non c’è morale. Senza dolore non c’è compassione.

Sì, forse ti sto accusando. Ma accuso anche me.
Siamo tutti complici di questa passività raffinata, di questa anestesia morale.
Viviamo come sonnambuli dentro una catastrofe che chiamiamo routine.

Viviamo nell’epoca della violenza non esplicita, ma in quella della crudeltà gentile. Non si uccide con le armi, ma con la distrazione. Non si umilia con la forza, ma con l’indifferenza. L’uomo moderno non distrugge, dimentica.
Scorre, passa oltre, lascia che tutto muoia nel rumore continuo del nulla. È la crudeltà che sorride, quella che ti accarezza mentre ti svuota. Ti dice: “Non pensarci, non serve, non è affar tuo.”
E tu obbedisci, quasi sollevato.

Forse non cambieremo il mondo, ma possiamo smettere di esserne complici. Possiamo scegliere di restare svegli, di non farci addomesticare dalla rassegnazione. Possiamo scegliere la lentezza, la compassione, la presenza.

E se scrivere oggi, significa ancora assumersi la responsabilità di disturbare, non per sadismo, ma per richiamare alla coscienza. Se la letteratura è ancora un tribunale, allora dobbiamo condannare la banalità della compassione che si limita a osservare. Dobbiamo, in qualche modo, restare umani e, dato il “panorama scheletrico del mondo” odierno, è la forma più alta di resistenza. Nell’epoca che ci vuole distratti, ricordare, sentire e amare sono i gesti più sovversivi che ci siano.

Gaetano Aspa

Coronavirus, il Sud chiede aiuto e Conte risponde: “entro il 15 aprile 400 milioni per buoni spesa”

Domenica 29 Marzo, stiamo per entrare oramai nella terza settimana di quarantena, quella che doveva essere l’ultima settimana e portarci al 3 Aprile, deadline che, neanche a dirlo, dovrà slittare a data da destinarsi. Purtroppo le misure restrittive varate dal Governo non hanno ancora raccolto i frutti sperati: la curva dei contagi (oltre 92 mila in Italia) e dei morti (superata ieri la triste soglia dei 10 mila), non ne vuole sapere di appiattirsi, ma che – secondo gli esperti – deve ancora raggiungere il suo picco.

In un momento del genere, però, quando l’incertezza e la paura iniziano a prendere il sopravvento, molte famiglie non sanno se temere più un potenziale contagio o le conseguenze di “rimanere a casa” per un periodo prolungato e non poter lavorare. Infatti l’ansia, per molti, è quella di non arrivare a sostenere economicamente questa pandemia già dal prossimo mese.

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Le preoccupazioni maggiori arrivano dal fragile e debole Sud. A tal proposito è intervenuto ieri con un intervista sulle pagine di Repubblica, il Ministro per il Sud e la Coesione sociale Giuseppe Provenzano il  quale ha gridato al rischio della tenuta democratica al Sud. Un allarme circostanziato dalle immagini dei supermercati assaltati in Sicilia e delle persone che perdono la testa perché non possono ritirare 50 euro.

“Ora dobbiamo mettere i soldi nelle tasche degli italiani a cui fin qui non siamo arrivati. Questa è la priorità del decreto di Aprile. […] Liquidità anche per le famiglie, per chi ha perso il lavoro e non ha tutele“. Pensa anche all’estensione del reddito di cittadinanza dicendo: “Per chi ha perso il lavoro dev’esserci una cifra equa rispetto alla cassa integrazione: 1000-1100 euro al mese. In tutti gli altri casi dev’essere un compenso che garantisca la dignità”. Quando invece gli viene chiesto se a Sud è più facile che la criminalità organizzata approfitti dell’emergenza risponde:

Già nella crisi precedente le cosche hanno fornito liquidità che mancava. Tocca alle istituzioni offrire l’alternativa. La tenuta democratica si esercita così. Vale al Sud ma, me lo lasci dire, il discorso riguarda tutta Italia”.

 

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Su quest’ultima affermazione si è speculato molto negli ultimi giorni (forse anche più del dovuto), non sottolineando invece un altro dato allarmante che dilania soprattutto il “Mezzogiorno”: secondo l’ultimo rapporto Istat, infatti, sono circa 3,7 milioni gli irregolari in Italia, con quasi l’80% del fenomeno concentrato al Meridione. L’Istituto ha inoltre sottolineato come 200 miliardi del Pil arrivino proprio dall’economia sommersa. Dunque la chiusura dei negozi avrebbe mandato in  crisi una larga fetta di lavoratori in nero ma anche di artigiani e liberi professionisti.

Ieri sera però, in conferenza stampa il premier Conte ha lanciato agli italiani un’ancora di salvezza attraverso Dpcm, con lo stanziamento di 4,3 miliardi del Fondo solidarietà ai Comuni con l’aggiunta di un ulteriore anticipo di 400 milioni per buoni spesa destinati solo alle famiglie più bisognose.

Siamo al lavoro per azzerare la burocrazia, stiamo facendo l’impossibile. Vogliamo mettere tutti i beneficiari della Cassa integrazione di accedervi subito, entro il 15 aprile, e se possibile anche prima”. (Republica)

A tal proposito esulta il sindaco di Napoli Luigi De Magistris per la decisione del governo di anticipare 400 milioni di euro – 6 dei quali destinati al capoluogo partenopeo – «vincolati» all’emissione di buoni spesa, da poter spendere negli esercizi commerciali, così da sostenere materialmente chi ha delle difficoltà e non spegnere il motore dell’economia.

Santoro Mangeruca 

Al rettorato un seminario sul tema delle disuguaglianze e migrazioni forzate

Giovedì 16 maggio 2019. Messina. Accademia dei Pericolanti – Rettorato. Ore 15:00. Ѐ stato presentato il rapporto 2018 “Il diritto di asilo”.

Al tavolo dei relatori la prof.ssa Anna Maria Anselmo, vicedirettrice COSPECS, che ha fornito le categorie utili per contestualizzare il fenomeno; si è poi proseguito con l’intervento della curatrice del rapporto, Mariacristina Molfetta, presidente del Coordinamento “Non solo Asilo”. Infine, l’evento si è concluso con la presentazione di una ricerca sul campo di Tiziana Tarsia, sociologa, e Giuliana Sanò, antropologa, e due interventi che hanno descritto iniziative di partecipazione attiva con i rifugiati, gli studenti e gli operatori sociali del settore.

Più di 160mila sono gli immigrati che dall’inizio del 2016 sono sbarcati sulle coste italiane tutti ufficialmente in cerca di protezione internazionale. La politica da tempo è divisa sulla loro accoglienza e sulla presenza dei requisiti per la concessione dello status di rifugiato. Un dibattito spesso sin troppo polemico.

Infatti negli ultimi anni l’attenzione pubblica e politica, italiana ed europea, è stata fagocitata dall’ossessione delle migrazioni. Il tema è diventato la bussola delle campagne elettorali. Il futuro dell’Europa sembra tragicamente legato alla sua capacità di gestire, o meglio, respingere le migrazioni. Questo dibattito cieco e di cortissimo respiro non permette di ragionare con maggiore consapevolezza su questioni fondamentali che segneranno veramente il nostro futuro. E in particolare, la triade cambiamento climatico, migrazioni e disuguaglianza, si presenta come una questione che avrebbe bisogno di una maggiore attenzione per discutere di politiche e comportamenti sociali ed individuali.

Il fenomeno migratorio è complesso e le cause sono interagenti. Gli studiosi sottolineano che le migrazioni sono un modo per adattarsi al cambiamento e che quindi non vanno combattute, ma regolate e rese sicure con piani ad hoc.

Nello scenario mondiale, i Paesi che accolgono il maggior numero di rifugiati si trovano in regioni in via di sviluppo. La Turchia si conferma il Paese che ospita il maggior numero di rifugiati con 2,5 milioni di persone accolte, rispetto agli 1,6 milioni dello scorso anno; la Siria è il primo paese di origine con 4,9 milioni di rifugiati.

In questo quadro si chiede alle istituzioni e si propone alla società civile una riflessione sugli strumenti legali e sulle politiche internazionali e nazionali: affinché non siano discriminanti verso le persone in difficoltà o che hanno necessità di spostarsi, ma riconoscano il diritto ad una vita dignitosa di chi fugge dai sempre più frequenti disastri di varia natura; occorre creare nuovi regimi per regolare, regolamentare e rendere sicure e ordinate le migrazioni a livello internazionale e regionale, fondati sul riconoscimento dei diritti dei migranti.

Gabriella Parasiliti Collazzo