A Gazzelle, il più Indie di tutti

Nello scrivere seguendo le «intermittenze del cuore» Flavio Pardini, in arte Gazzelle, è riuscito a creare un impero; nello scenario della musica italiana – ora più variegato che mai – la musica indie si fa sempre più preponderante e lui ne è uno degli esponenti più apprezzati. Il cantautore originario della capitale ha incantato milioni di ascoltatori con i suoi brani e la loro magia, mescolando vari stili della grande musica del passato e sintetizzando tutto in semplici melodie e ritornelli orecchiabili: un mix perfetto.

In occasione del suo compleanno, vogliamo rivedere (e ovviamente riascoltare) le canzoni più belle, quelle che l’hanno fatto entrare nelle top playlist di Spotify e soprattutto nella nostra vita.

Di me volevi solo te – Quella te (2016)

Questo brano è stato l’esordio dell’artista: un giovane che cantava nei bar di Roma camuffando il volto, nascondendo gli occhi dietro un paio di occhiali e indossando un cappellino con la visiera. Ha destato subito l’attenzione della critica ed ha cominciato la sua carriera con questa canzone, che poi diventerà parte di “Superbattito”, il suo primo album. 

Quella te è un brano molto anni 90 – come parte della discografia di Flavio – che racconta di una storia d’amore con nostalgia e con un pizzico di rabbia.

Screenshot del video ufficiale, fonte: wikipedia

«Quella te che rideva» potrebbe essere chiunque: potremmo essere noi o potremmo cantarlo a qualcuno; la magia del pezzo sta nel fatto che il soggetto del testo non ha una vera identità, si adatta ai vari momenti e ai vari protagonisti della nostra vita.

E io che come al solito fraintendo – Nero (2017)

Nero è uno dei singoli più ascoltati dell’autore (soprattutto dalla sottoscritta) e sembra essere un urlo di speranza.

Dal titolo non si direbbe, ma in realtà cela la consapevolezza che c’è sempre qualcosa di bello nonostante tutto; di certo Gazzelle non si risparmia nel descrivere le situazioni peggiori e ognuna di queste – ancora una volta – rappresenta qualcosa nella vita di chi la ascolta.

E non crescono i fiori, è vero, dove cammino io // Ma nemmeno è tutto nero

Screenshot del video ufficiale, fonte: wikipedia

La malinconia sfocia in speranza e il ritornello è così orecchiabile da rimanere stabilmente in testa.

Ti ricordi di me? – Scintille (2018)

Il 2018 è l’anno di un artista più maturo e il nuovo disco “Punk” sancisce un periodo molto attivo, con nuove produzioni e con concerti in tutta Italia, ma soprattutto con un massiccio aumento di ascolti.

In Scintille, Gazzelle canta come se stesse guardando se stesso nel passato:

Ti ricordi di me? […] // Io mi ricordo e lo sai, pensavo fosse amore invece erano guai

Screenshot del video ufficiale, fonte: wikipedia

Parla a se stesso o parla a qualcun altro? Beh, sicuramente ad ognuno la sua interpretazione, ma è certo che ogni strofa diventa indelebile dopo averla ascoltata. Delicato ma forte riesce ad adattarsi ad ogni sensazione; brano che durante i suoi concerti ha fatto illuminare gli spalti e cantare a squarciagola tutti gli spettatori, creando un’atmosfera unica.

Quando la luce s’infrange sopra le tue guance – Una canzone che non so (2019)

In “Post-Punk” Flavio arricchisce l’album precedente con quattro canzoni, tra le quali Una canzone che non so. Con un piano d’accompagnamento ed una chitarra che sottolinea i momenti più forti del testo, questo brano ha ottenuto subito grandi consensi.

Il video dà un volto ai protagonisti di questa storia ma le parole sembrano essere quelle di ognuno di noi (pensate o dette almeno una volta nella vita):

Che ti ricordi di me, lo so // Ma solo quando non ti calcolo

Screenshot del video ufficiale, fonte: wikipedia

Sembra quasi cercare una spiegazione per chiudere una storia o per dare un senso ad una rottura; quindi ci pone dalla parte di chi deve capire qualcosa e riapre la possibilità a nuove interpretazioni anche delle proprie esperienze.

E fermati qui e resta così – Scusa (2020)

Quest’ultima uscita è quasi un regalo che ci ha fatto alla conclusione di questo 2020.

Scusa (insieme a Lacri-ma e Destri) è una canzone che sarà parte di un nuovo album di cui non è nota la data di uscita o il titolo ; Gazzelle, in una intervista per Rockol, spiega: «Con le nuove canzoni ho recuperato i Nirvana: volevo fare qualcosa che fosse orientato verso una sorta di grunge, ma in chiave moderna».

Ancora una volta si riconferma il genio di Flavio: Scusa è una poesia; un testo capace di premere quei tasti giusti per emozionare ed eventualmente riaprire delle ferite passate.

Copertina ufficiale, fonte: YouTube

Anche grazie al bellissimo accompagnamento musicale, questo brano ha avuto un successo clamoroso; rimane impresso in mente e forse anche nel cuore di chi la ascolta:

E sarò io, e sarai te // L’unica cosa al mondo da non perdere

 

Cos’altro dire? Avremmo potuto parlare di ogni brano, dello stile che oscilla sempre tra una ballata d’amore e di malinconia, ma che riesce ad estrapolare qualcosa in più ogni volta; riesce a dare tono e forma ad alcune emozioni e lo fa sempre in maniera diversa.

Flavio, ti ringraziamo per tutte le lacrime che ci hai fatto versare e per l’intensità delle cose che ci hai fatto provare; diciamo che nonostante tutto in fin dei conti stiamo bene.

                                                                                                                                  Barbara Granata

 

Musica: tappa a Reggio Calabria venerdì 8 per i Japan Suicide. L’intervista con la band

Originari di Terni. Dal 2007 il loro sound si esprime a metà strada tra riverberi new wave e ascendenze postpunk.

Selezionati come uno dei principali gruppi lanciati dalla webzine Darkitalia i Japan Suicide – anche se il nome tradisce in sé già alcune delle principali influenze – (nella formazione attuale: Stefano Bellerba, voce e chitarra, Saverio Paiella alla chitarra, Leonardo Mori ai synth, Matteo Luciani al basso e Daniele Cruccolini alla batteria) non amano comunque essere collocati dentro etichette perentorie.
A caratterizzarli non è solo l’inquietudine e l’oscurità, ma anche la cura dei suoni e caccia aperta a scenari musicali trasversali.

 

L’ultimo album pubblicato nel 2015 dall’etichetta francese Unknown Pleasures Records dal titolo “We Die in such a Place” era un lavoro introspettivo segnato dall’esigenza di trasmettere un’idea di ricerca individuale che si riflette non solo nelle atmosfere evocate dai suoni melanconici e cupi, ma anche nella composizione dei testi, nei quali la quotidiana lotta esistenziale è sottolineata da una fitta rete di richiami alla letteratura, specialmente a Keats, Fukuyama e David Foster Wallace.
Una scelta che si ritrova a partire dalla locuzione contenuta nel titolo con un omaggio a Shakespeare e all’Enrico V.
Recente anche la pubblicazione di un EP in italiano “1978” una sorta di mini concept album ispirato agli anni di piombo e alla guerra fredda.
Il 2017 li ha visti impegnati in un tour che ha toccato la Germania, l’Austria, il Portogallo e l’Inghilterra.

Una loro canzone, Naked Skin, è stata scelta dalla famosa azienda Mongoose produttrice di biciclette BMX per un video promozionale in cui uno spericolato ciclista ne combina di tutti i colori.
Il singolo A mood apart, con il video realizzato da Francesco Brunotti, viaggia oltre le 80.000 visualizzazioni.
Notizia di pochi giorni è la circolazione sulla rete di nuovo videoclip dal titolo This be the verse, il cui singolo è stato estratto dal vol.4 della compilation di Darkitalia Sparlkes in the dark.
L’uscita del prossimo album, del quale vi possiamo dare qualche piccola anteprima, è prevista a febbraio sia su disco che su tutte le piattaforme digitali.

La tappa al Meno1 di Reggio Calabria venerdì 8 dicembre sarà la primissima che proporranno nel sud di Italia.
Qualche giorno prima del concerto li abbiamo incontrati, e abbiamo rivolto a Saverio, il chitarrista, un po’ di domande sul progetto.

Partiamo dal nome che avete scelto. Quali sono le vostre influenze musicali?

Ci ha sempre affascinato l’immaginario giapponese, dall’architettura di Tokyo al pensiero di Yukio Mishima, un intellettuale che voleva preservare le tradizioni e la storia del suo paese non come forma di acceso nazionalismo ma come difesa nei confronti dell’appiattimento culturale imposto dalla sempre più pervasiva società industriale. Il nome deriva proprio dal fascino che la cultura del Giappone esercita su molti di noi, in particolare su Matteo, principale autore delle musiche insieme a Stefano. Mishima è anche una figura controversa, in quanto sì suicidò per scelta ideologica. Tanti però hanno visto un involontario riferimento alle due band in voga negli anni ’80 Japan e Suicide, accostamento in effetti coerente anche perché mentre i primi rappresentano il pop più sofisticato, i secondi sono alfieri di un versante sperimentale più rumoroso e “oltraggioso”. Noi ci riconosciamo in entrambi gli aspetti. Sempre parlando di influenze chi ci ascolta troverà dei riferimenti ai classici del genere come i Cure, I Joy Division o Siouxsie and The Banshees, ma siamo anche protesi verso lo shoegaze dei My Bloody Valentine e il noise rock dei Sonic Youth.

I vostri testi sono prevalentemente in inglese tranne l’EP 1978 e un paio di canzoni contenute nel primo disco del 2010, Mothra. A cosa si deve questa preferenza?

In virtù dei riferimenti stilistici musicali prevalentemente anglosassoni, a Stefano (ndr. l’autore dei testi, nonché cantante della band) è venuto quasi naturale scrivere in lingua inglese. La scelta è stata avvalorata anche dal seguito che il nostro genere riscuote soprattutto presso il pubblico estero. L’EP in italiano è stato un esperimento che appunto abbiamo voluto fare per avvicinarci anche il pubblico italiano; finora abbiamo avuto delle date prevalentemente nel nord d’Italia, quella di Reggio Calabria sarà una delle prime al sud, in attesa di toccare prossimamente anche la Puglia e la Sicilia.

L’ultimo video, This Be the Verse, sembra scostarsi dalle vostre sonorità abituali. In questo lavoro avete voluto approcciarvi per la prima volta all’elettronica. Perché?

Il video è stato realizzato da Daniele, il nostro attuale batterista. Poiché c’è stato chiesto di fornire un brano inedito appositamente per la nuova compilation di Darkitalia abbiamo colto l’occasione, essendo liberi dal contesto di un album in studio, per sperimentare qualcosa di diverso. Nonostante i synth e le tastiere di Leonardo facciano comunemente parte del nostro arsenale, in questo caso abbiamo voluto cimentarci tutti nell’uso di apparecchiature elettroniche tirando fuori il nostro lato più nerd di appassionati di sintetizzatori usando un po’ tutto ciò che avevamo in quel momento tra le mani, come l’Arturia Microbrute e il Moog Sub37. Abbiamo inoltre voluto fare un pezzo che a differenza di altri fosse anche decisamente ballabile.

Potete darci qualche anticipazione sul disco in uscita? Raccontateci i vostri progetti futuri.

Le registrazioni sono state ultimate da poco e probabilmente l’album vedrà la luce verso febbraio, ancora una volta per l’etichetta francese Unknown Pleasures records. Sarà un disco che, rispetto a We Die in Such a Place avrà un atmosfera sempre scura ma con influenze maggiormente ipnotiche e psichedeliche. Nostro obiettivo è infatti uscire dagli stereotipi del genere per collocarci in un contesto di maggiore respiro. Al momento ci sono sempre i soliti progetti di suonare all’estero, ma sarebbe una grande soddisfazione avere anche in patria lo stesso seguito, e apparire magari nella line up di qualche importante festival qui in Italia.

 

Eulalia Cambria