Dentro i fondi sovrani: il Made in Italy è a rischio?

240_F_96836600_lOBZ3PFiWmhivwwexwUo2qFciTgkOPg0Nel corso degli ultimi anni i media nazionali, hanno riportato sempre più insistentemente notizie inerenti all’acquisizione di brand, immobili e grande catene commerciali da parte di fondi sovrani esteri.

Ma esattamente che ruolo svolgono questi istituti?

Per definizione i fondi sovrani, sono veicoli d’investimento che appartengono direttamente ai governi dei rispettivi paesi, i quali li utilizzano per acquistare azioni, obbligazioni, titoli esteri e addirittura complessi immobiliari.

Dunque pur avendo una natura pubblicistica, possiamo definirli come degli strumenti finanziari gestiti con criteri nettamente privatistici che influenzano fortemente i mercati nazionali ed esteri.

Sicuramente i fondi più importanti attualmente attivi nei mercati di tutto il mondo sono: il China Investment Corporation e il Qatar Investment Authority.

Il fondo d’investimento made in China, oltre a gestire  in parte il sistema di riserva valutaria del paese conta circa 410 miliardi di dollari di asset. Inoltre nel suo portafoglio azionario si possono contare importanti partecipazioni come ad esempio: Poste Italiane e Carnival Corporation, quest’ultima già leader mondiale nel settore delle crociere.

Totalmente differente è invece l’attività del fondo qatariota, che è riuscito a diversificare i profitti provenienti dai pozzi di petrolio e dal gas naturale. Infatti le partecipazioni azionarie di quest’ultimo sono  tra le più disparate: dalle banche al calcio, passando per il quartiere Porta Nuova a Milano,  i grandi marchi della moda come vedi Valentino e le grandi case di produzione automobilistiche come Porsche, Ferrari e Volkswagen .

Ma come  si relazionano l’Italia e la sua economia con questi investitori?

Sicuramente nonostante la lieve ripresa, risulta innegabile che il paese provenga da anni di forte contingenza che hanno condotto la nostra economia in una forte depressione. Quindi in un periodo storico dove risulta difficile recepire capitali freschi nella penisola, risulta inevitabile aprire le casseforti delle società più importanti ai grandi investitori stranieri.  Anche perché sarebbe inutile e pressoché ridicolo, nascondere il potenziale e l’attrattività che i brand Italiani riscuotono all’estero nonostante le passività nei bilanci.

Tuttavia sotto certi aspetti i due fondi analizzati, presentano alcune zone d’ombra.

Innanzitutto essendo questi ultimi strumenti direttamente gestiti dai governi dei propri paesi, le loro attività interne possono essere coperte o quanto meno manipolate dalla loro legislazione. Addirittura per il fondo arabo, è prevista la possibilità di applicare il segreto di stato per poter nascondere eventuali partecipazioni che potrebbero risultare scomode agli occhi dell’ opinione pubblica.

Per quanto concerne il fondo cinese, sicuramente l’elemento discriminante risulta essere la sua leadership. Infatti tutte le sue figure apicali, sono riconducibili direttamente al Partito Comunista Cinese. Di conseguenza non solo le attività di quest’ultimi risente fortissimamente delle direttive imposte dal poco democratico governo di Pechino, ma inoltre la rigida politica estera del proprio paese influenza i campi d’azione in un’ottica sempre più concreta d’investimento.

Non è dato sapere gli effetti che questi investimenti produrranno nei nostri mercati nei prossimi anni. Tuttavia risulta innegabile che gli esecutivi che nel corso dell’ultimo decennio, si sono susseguiti al governo del nostro paese hanno ricorso sempre più frequentemente alla stipulazione di trattati commerciali volti ad attrarre fondi stranieri con una maggiore frequenza.

Simone Coletta