I Subsonica sbarcano sulla terra e nasce “Realtà Aumentata”

uvm 4 stelle
Le sonorità del rock elettronico dei Subsonica si scontrano con i grandi temi dell’attualità come disastri umanitari, catastrofi climatiche e guerre. – Voto UVM: 4/5

 

Non sono tempi semplici quelli in cui viviamo, lo sappiamo tutti: su di noi incombono numerose ombre come quella della crisi climatica e delle guerre in corso, solo per citarne qualcuna. Per non parlare poi di tutti quei temi ed eventi che scaldano  e polarizzano l’opinione pubblica, in particolar modo quella italiana (il verso d’apertura del disco recita In un covo di rancore, ben descrivendo il contesto socio-culturale italiano di oggi), come immigrazione, calo demografico, carovita e perdita del senso di comunità.

Sono sempre più numerosi gli artisti che, giustamente, sentono l’urgenza di parlare di attualità. Non è più possibile contenersi, la cronaca travalica i confini dei media e travolge così i suoni e le parole dei dischi, come Realtà aumentata. Ed effettivamente, rispetto al ’96, anno di formazione dei Subsonica, la realtà è davvero “aumentata” e non è più possibile abitarla come si vuole, è lei che abita noi: “la realtà è aumentata quando l’utopia si è arresa”, scrivono in Africa su Marte.

La band, nata all’ombra del quartiere Murazzi di Torino, storico epicentro piemontese di subculture e correnti artistico-musicali d’avanguardia, ha sicuramente avvertito questo passaggio d’epoca.
Dalle sperimentazioni di Mentale Strumentale, i Subsonica decidono di ritornare sui loro passi con un progetto uniforme che ricorda i lavori delle origini lasciando però spazio alla scorrevolezza del mainstream, un’unione che fu proprio da loro consacrata all’inizio degli anni 2000. 

Esplorazione e composizione musicale

Si torna a essere “esploratori nel proprio pianeta“: così si definiscono Samuel (voce e chitarra), Casacci (chitarra), Boosta (tastiere), Ninja (batteria) e Vicio (basso) nella presentazione all’album che pubblicano sul profilo Instagram della band.

La cover (realizzata dal designer Marino Capitanio) ritrae infatti un astronauta (o meglio un “afronauta” come scrivono in Africa su Marte) intento a percorrere il pianeta Terra ed assorbirne le vibrazioni da trasformare in prodotti sonici.

La tensione dello sbarco è ben rappresentata dal brano d’apertura Cani umani, i cui ritmi elettronici sincopati descrivono la disumanizzazione dei nostri tempi dove orrore e terrore sono a portata di click. Segue Mattino di Luce (terzo singolo estratto), un incontro fra synthwave retro e sonorità cosmiche che pone in parallelo eventi astronomici come la formazione di stelle da nebulose con la liberazione di se stessi dalle gabbie del conformismo.

In Pugno di Sabbia (primo singolo estratto) è chiaro il riferimento al trattamento riservato dalle istituzioni nei confronti delle seconde generazioni di immigrati regolari (vittime del loro passato e privati della possibilità di costruirsi un futuro):

“Non sono i cani di razza che
Urlano in piazza gridando che
Qui c’è un passato che non passa mai
Ed un futuro che non troverai”

Ritorna il tema in Nessuna colpa, dove l’invettiva non solo si fa più critica ma diventa una vera e propria accusa nei confronti del governo ritenuto responsabile delle stragi di migranti in mare:

“Se il mare affonda nella gola di un bambino
Se nello specchio si nasconde l’assassino
E in fondo quella presunzione tossica
Di essere eterni come solo la plastica
Conquistatori senza sensi di colpa
Neanche una volta, neanche una volta”

Ma in mezzo a temi così divisivi c’è anche spazio per l’emotività e i sentimenti: Universo è la vera gemma dell’album, una sapiente composizione di tastiere, archi, riverberi e viaggi cosmici.

La docile rassegnazione dei Subsonica

In alcuni momenti del disco gli elevati bpm lasciano spazio anche a commoventi ballads come Missili e droni. Proprio in canzoni come questa le parole vengono sfruttate per esprimere quella naturale rassegnazione e percezione di piccolezza di sé rispetto agli eventi del mondo:

“Vorrei dissolvermi
In giorni pacifici”

L’album si chiude infine sulle note di Adagio. Quest’ultima, un calmo epilogo di ripetute tastiere distorte e parte della colonna sonora dell’omonimo film di Stefano Solima.

E con queste sonorità soffuse si chiude un lavoro che probabilmente rappresenterà uno dei migliori dischi italiani dell’anno. Con Realtà Aumentata si ha davanti un disco musicalmente uniforme, in grado di portarci in diverse dimensioni sonore e tematiche. E in fondo questo i Subsonica l’hanno sempre fatto.

 

Francesco D’Anna

La sperimentazione di Annalisa: “E poi siamo finiti nel vortice”

Divertente nel complesso, il nuovo album di Annalisa prende ispirazioni da dive come Carrà e Rettore. Ma vorremmo sentire testi meno banali e più impegnati! – Voto UVM: 3/5

 

Nonostante la voce di Annalisa Scarrone non ci abbia mai lasciato in astinenza nelle ultime estati, la famosa cantante savonese non rilasciava un album da 2 anni. La sua ultima fatica E poi siamo finiti nel vortice (pubblicata lo scorso 29 settembre), sembra voler stabilire dei nuovi traguardi sulla sua figura di cantante pop semplice ma ricca di influenze. Dopo pezzi come Non so ballare e Alice e il blu, Annalisa sembrava essersi avvicinata all’hip hop più in voga nell’ultimo quinquennio (vedasi il mood dell’album Bye Bye).

Esattamente come questi ultimi prodotti musicali, questa nuova Annalisa vuole proporre qualcosa che va fuori dalla sua zona di comfort. Frutto di una musica ispirata al synthwave (o retrowave come alcuni vorranno), questo album punta tutto sulla sperimentazione. Escludendo alcuni brani come Mon Amour, tutte le canzoni si ispirano alla musica elettronica degli anni ’80, tornata in voga nell’ultimo decennio.

A rappresentare al meglio questo vortice servivano le vibes della musica wave? Andiamo a scoprire le tracce in maniera più dettagliata, così da dare ordine al tutto!

Cavalcando l’onda del successo

Come ha dichiarato la stessa cantautrice

“Per vortice intendo tutto l’insieme di emozioni che salgono e scendono e ti fanno sentire come dentro un vortice”

Sebbene le prime tracce dell’album (Ragazza sola, Mon Amour e Bellissima), siano già notoriamente conosciute al grande pubblico; il tema del nuovo lavoro di Annalisa, E poi siamo finiti nel vortice, si presenta abbastanza coerente in molti momenti delle altre sue tracce.

La copertina dell’album e i testi delle canzoni evocano più volte alcuni degli elementi chiave che hanno ispirato Annalisa durante l’elaborazione del suo nuovo progetto musicale. Da lei definito come:

“Una parte di sé che rivede in molte altre persone”

Il colore Indaco viene menzionato nel titolo della traccia in coda all’album. Questo, prodotto dell’unione tra blu e viola, viene associato alla spiritualità e alla meditazione, oltre che all’intuizione. Infatti, la traccia che chiude perfettamente il cerchio vuole ripercorrere quelle fasi dell’esistenza che comprendono l’ascesa di qualcuno che ha deciso di riprendere in mano la sua vita.

Viola, colore che ritroviamo nella copertina, si riferisce alla nuova carica di creatività e immaginazione che evidentemente ci restituisce una Annalisa rinnovata dal punto di vista artistico e forse anche personale (vedasi il suo profilo Instagram dove dichiara di aver trovato l’amore della sua vita e di averlo consolidato con il matrimonio).

Infine, viene citata più volte la dea Venere come riferimento alla forza motrice scaturita dall’amore che tutto muove, compreso l’evoluzione del proprio ego.

Il vortice come un loop di emozioni

Analizzando i testi possiamo distinguere 3 fasi: Bellissima e Indaco violento coincidono esattamente con la fine di una fase e l’inizio della rinascita che porterà a un turbinìo di emozioni ed esperienze atte a una maggiore consapevolezza di se stessi e l’apertura a nuovi cambiamenti. I momenti introspettivi aiutano a conoscersi meglio (come si evince da Ragazza sola), e di conseguenza nasce una curiosità verso il nuovo come se fossimo anime infantili (Bollicine).

La terza fase è quella soggetta alla vera tempesta che ognuno di noi può sentire dentro: la voglia di sperimentare e provare nuove sensazioni (come cantato in Euforia e Mon Amour) ci porta ad essere contraddittori (La crisi a Saint-Tropez), eppure, alla fine, quando si inizia a mettere a fuoco un pensiero o un’idea è lì che si riesce a dare il meglio di se (Gommapiuma, Aria, Stelle).

Annalisa si applica, ma potrebbe dare di più!

Questo album vuole non solo ribadire il talento della nostra cantante savonese ma ci auspichiamo che sia l’inizio di una florida linea artistica fatta di sonorità differenti dalla media italiana.

Ciò che un po’ stona è la banalità dei testi che irrompono in questa innovazione musicale e ciò lascia meno spazio alla sperimentazione. I testi sessualmente liberi, sebbene siano autoironici e divertenti nel complesso, scoraggiano ciò che per noi sarebbe potuto essere il riscatto del genere pop nel grande parco dell’industria musicale italiana.

In conclusione, il voto finale della redazione non vuole scoraggiare l’operato della nostra cara Annalisa ma vorrebbe spronarla: proprio come certi professori fanno dopo aver notato le potenzialità dei singoli studenti (cosa che la nostra Annalisa, laureata in fisica, dovrebbe sicuramente ricordare)!

 

Salvatore Donato

Mina, “la tigre di Cremona”, è tornata!

Mina
Il nuovo disco di Mina è una raccolta di canzoni d’amore morbide e drammatiche. – Voto UVM: 4/5

 

Nata nel 1940 a Busto Arsizio, Mina è una cantante, produttrice discografica, conduttrice televisiva ed attrice italiana che da anni risiede in Svizzera. E’ nota per le sue qualità vocali e per essere stata protagonista negli anni sessanta e settanta in molti spettacoli televisivi trasmessi dalla Rai.

Soprannominata la “Tigre di Cremona” (la famiglia era infatti, originaria di Cremona, città nella quale poi vi fece ritorno nel 1943), fu anche apprezzata dal grande Loius Armstrong che la definì:

“La più grande cantante bianca al mondo!”

Mina ha venduto oltre 150 milioni di album, ed è infatti l’artista italiana con maggior successo discografico.
Ha anticipato mode e costumi : dallo scandaloso cat eye allungato di nero, al vestito glitter nel videoclip di Ancora Ancora Ancora. Nell’immaginario collettivo, infatti, è un patrimonio del quale andare orgogliosi. Indimenticabili i suoi successi come Grande Grande Grande, Amor mio, Parole parole, Le mille bolle blu, Mi sei scoppiato dentro il cuore, Ma che bontà.

Una particolare attenzione è da dare al brano Se telefonando, scritto da Maurizio Costanzo (scomparso nel 2023); brano che Nek nel 2015 ha riportato in auge grazie a Sanremo nella serata dedicata alle cover.

Perché Mina si è ritirata dalle scene?

Un addio simbolico è quello che accompagna la regina della canzone italiana anni sessanta e settanta. Il suo ultimo concerto risale al 23 agosto del 1978 a Bussoladomani a Marina di Pietrasanta, nonostante ciò è sempre presente, ma nascosta, nella sua intimità familiare a Lugano, continuando a comporre musica.

Uno dei primi motivi del suo ritiro fu una broncopolmonite virale che le fece interrompere il suo ultimo tour. Scomparsa dalle scene da ormai 40 anni, il suo ultimo fotogramma televisivo risale al 1974 nello show Milleluci della grande Raffaella Carrà. Lo stress mediatico poi, ha sicuramente giocato un ruolo importante nel suo ritiro. Tutto ciò ha consegnato il mito a una narrazione solamente musicale e l’ha resa una legenda più di quanto già non lo fosse prima!

Le collaborazioni importanti di Mina…

La tigre di Cremona ha sempre dimostrato di essere versatile e di avere una grande cultura musicale, oltre al timbro inconfondibile e potentissimo: non sorprende, quindi, che conoscesse ed ammirasse il Re del pop.

Proprio come Michael Jackson, anche Mina ha sempre vissuto male la propria fama e lo ha omaggiato nel 1990 quando uscì il suo disco Ti conosco mascherina nel quale inserì una sua personale versione di Billie jean, cover molto lodata ed apprezzata.

Famosissimo poi il duetto di Acqua e sale (brano poi riscritto in spagnolo da Miguel Bos) e Brivido felino (del 1998 e tratto dall’album Mina Celentano), A un passo da te (brano del 2017 dell’album Le migliori) con il suo amico di lunga data Adriano Celentano. Nel 2009 la cantante fa il duetto con Manuel Agnelli degli Afterhours in Adesso è facile mentre nel 2019 collabora col rapper Mondo Marcio nel brano Angeli e Demoni.

Il nuovo album: “Ti amo come un pazzo”

Il suo nuovo album contiene 12 brani ed è uscito il 21 aprile 2023 col titolo Ti amo come un pazzo, anticipato il 14 aprile dal duetto con il ribelle Blanco in Un briciolo di allegria (nonostante i due non si siano mai visti di persona). Nel video, la ballerina e attrice messinese Alice Stancanelli interpreta Mina, ed a proposito ha spiegato:

“Mina non si fa vedere in pubblico da anni, e anche nel video io non mi vedo mai direttamente, è quasi come se fossi la sua ombra. Sono sempre in silhouette, in controluce.”

Il disco è una raccolta di canzoni d’amore morbide e drammatiche. Composto da 10 inediti e due cover: Tutto quello che un uomo di Sergio Cammiare e Don Salvatò di Enzo Avitabile. Il brano Povero amore è stato scelto dal regista Ferzan Ozpetek per il suo film Nuovo Olimpo in uscita a Natale 2023; tra l’altro si tratta di una seconda collaborazione con il regista, dopo che Luna diamante venne scelta per il film La dea fortuna.

Nel nuovo album Mina sceglie autori, mondi e atmosfere diverse; fanno da “fil rouge” la sua voce, e quella vena ironica a cui l’artista non ha mai rinunciato. Il figlio Massimiliano Pani, ormai da tempo portavoce della cantante, riguardo al nuovo album della madre ha affermato:

“Questi sono tutti pezzi d’amore, è un fotoromanzo che accarezza tanti mondi musicali, dal triste al bello, fino a quello che finisce bene e quello che invece va male. La cover cita il fotoromanzo, una delle poche volte che è coerente col progetto. Ha una linea ironica, e i pezzi che sembrano minori poi non lo sono.”

Mina, sottraendosi al nostro sguardo, è finita per alimentare sempre più la nostra immaginazione; speriamo che ci stupisca ancora!

 

                                                                                                      Carmen Nicolino

Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd: un nuovo capitolo

Intimo, introspettivo e meditativo: Did You Know That There’s a Tunnel Under Ocean Blvd è un capolavoro in cui Lana del Rey racconta se stessa. Voto UVM: 5/5

 

L’identità artistica di Lana del Rey, pseudonimo di Elizabeth Woolridge Grant, si è sempre distinta da quella delle altre celebri star della musica pop contemporanea. L’iconica diva americana da sempre rifiuta l’inseguimento di mode e tendenze, per conservare la sua vera essenza e sottrarsi a quella che oggi viene comunemente chiamata overculture”. Ciò fa di lei una cantautrice impareggiabile, dal sound unico e inconfondibile, che spesso rappresenta un punto di riferimento per le nuove generazioni di artisti.

Questa volta la cantante sembra aver abbandonato definitivamente l’aura da dark lady che finora aveva caratterizzato la sua estetica, ed essere entrata in una nuova era della sua vita, più serena e meditativa. Seguendo la scia di Blue Banister, disco uscito nel 2021, Lana questa volta sceglie di raccontarsi con Did You Know That There’s a Tunnel Under Ocean Blvd, il suo nono album in studio rilasciato lo scorso 24 marzo. Prodotto in collaborazione con Mike Hermosa e Jack Antonoff, il disco conta numerosi feat, tra cui Jon Batiste, SYML, Bleachers e  Tommy Genesis. 

 

L’album in cui Lana del Rey racconta se stessa

Il suo è un album molto intimo, introspettivo e riflessivo. Sedici tracce che, una dopo l’altra, come un flusso di coscienza, raccontano vicende personali dell’artista, storie di perdita, morte, spiritualità e religione. Uno dei temi ricorrenti all’interno dell’album è quello della famiglia e della perdita dei propri cari. Nella traccia di apertura The Grants, accompagnata da un coro gospel, Lana promette ai suoi cari defunti che vivranno per sempre nel suo cuore, in qualsiasi circostanza. L’impatto emotivo dei momenti preziosi trascorsi con loro rimarrà infatti vivo dentro lei in eterno.

My sister’s first-born child
I’m gonna take that too with me
My grandmother’s last smile (Ah)
I’m gonna take that too with me
It’s a beautiful life (Ah)
Remember that too for me

Riuscire a ritrovare una luce che curi le proprie ferite dopo aver subito una grave perdita non è mai facile. In Kintsugi, l’artista ci racconta come ha  superato quei periodi difficili.  Il Kintsugi è l’arte giapponese di riparare la ceramica rotta aggiustando le crepe con lacca mescolata con polvere d’oro. Lana quindi usa questa tecnica come metafora per descrivere la filosofia che adotta per affrontare il dolore: le crepe rappresentano i momenti bui che attraversiamo nel corso della nostra vita, che costituiscono parte integrante della nostra storia, e per questa ragione non vanno mascherate, bensì accettate e trasformate in qualcosa di positivo.

But I can’t say I run when things get hard

It’s just that I don’t trust myself with my heart

But I’ve had to let it break a little more

‘Cause they say that’s what it’s for

Il ricordo delle proprie radici continua poi con Grandfather Please Stand on the Shoulders of My Father While He’s Deep-Sea Fishing (feat Riopy), in cui la cantante abbraccia il suo lato spirituale, e sembra chiedere a Dio di mandarle un segno, affinché sappia che lui è vicino. Attraverso il ricordo di suo nonno, nell’aldilà, Lana prega per la protezione di suo padre.

Grandfather, please stand on the shoulders of my father

While he’s deep-sea fishing for all the things he’s wishing

God, if you’re near me, send me three white butterflies

Or a map to know your vision, impart on me your wisdom

I temi scottanti e la denuncia sociale

A&W, il secondo dei tre estratti del disco, pubblicato lo scorso 14 febbraio, è una ballad composta da due metà. La prima è orientata al folk, con la chitarra acustica, e la seconda è orientata alla trap e contiene un frammento della canzone R&B del 1959 Shimmy, Shimmy, Ko-Ko-Bop di Little Anthony and the Imperials. Il titolo sta per American Whoreed è scritta dal punto di vista dell’ “altra donna“, figura già familiare all’interno della sua discografia. In questa rant track di 7 minuti, Lana critica la malizia della società nei confronti delle donne e denuncia la rape culture, argomento a cui accenna anche in Fingertips.

Segue immediatamente la quinta traccia dell’album Judah Smith Interlude, un sermone sulla differenza tra amore e lussuria di Judah Smith, il pastore e influencer di Beverly Hills che conta Justin Bieber (e anche Lana) tra i suoi seguaci. L’interludio di quattro minuti e mezzo, accompagnato da un pianoforte malinconico, presenta in sottofondo qualche risata occasionale, forse della stessa Lana. Smith è noto per aver condiviso opinioni anti-choice ed anti-LGBTQIA+, oltre ad aver affermato che una coppia non sposata che vive insieme è un peccato. Non a caso, Lana sceglie di chiudere il brano con una critica personale:

You have made me a partner with You
I used to think my preaching was mostly about You
And you’re not gonna like this, but I’m gonna to tell you the truth
I’ve discovered my preaching is mostly about me

Ma a quale tunnel si riferisce il nome dell’album?

Il tunnel che ha dato il nome all’album esiste davvero. A Long Beach, in California, vi è il Jergins Tunnel, un sottopasso ormai abbandonato e dimenticato, che serviva ai turisti per raggiungere la spiaggia. Nella title track, Lana traccia un parallelismo tra il tunnel e se stessa, chiedendosi quando arriverà il suo turno di essere dimenticata dal pubblico.

L’artista rivela così la sua preoccupazione per la possibile scadenza della sua rilevanza nel panorama musicale. Questa paura è già stata espressa nella sua canzone del 2013 inclusa nella colonna sonora dell’adattamento di Baz Luhrmann (Elvis) de Il grande Gatsby, Young and  Beautifulin cui Lana cantava: “Will you still love me when I’m no longer young and beautiful?”.

Nel disco vi sono sparsi altri vari riferimenti al suo passato musicale: sono presenti frammenti di Norman Fucking Rockwell! in A&W, l’incipit di Cinnamon Girl apre Candy Necklace e Taco Truck x VB chiude l’album con il sample di Venice Bitch, brano del 2018.

 

Potremmo dire che Did You Know That There’s a Tunnel Under Ocean Blvd è un album che serviva in primis all’artista  per gettare fuori i propri pensieri e preoccupazioni, e che sa di libertà, grazie ai testi dal tono confidenziale che celebrano la bellezza della vita, nonostante le delusioni ed il dolore che questa spesso può riservare. Un album ricco di emotività, in cui Lana non ha paura di raccontarsi senza filtri, inaugurando così un nuovo capitolo della sua evoluzione artistica. Lana del Rey è quindi ancora una volta la dimostrazione che per scalare le classifiche e avere successo non è necessario rincorrere mode, perché l’autenticità ripaga.

 

Giulia Giaimo

80 anni Bob Dylan: le canzoni più “pop” del premio Nobel

Cosa si dice in tanti casi? L’abito non fa il monaco e non è facile trovare una bella mente in un bel corpo e viceversa. Così i grandi amori totalizzanti, quelli che travolgono corpo e anima si riducono a eventi statisticamente rari, miracoli indicibili, fenomeni paranormali. «Guarda al contenuto, non alla forma» è quello che ci ripetono più volte i nostri genitori. «Non ti appigliare alle note, quello che conta sono le parole» ci ripetono invece gli estimatori di musica cantautoriale ritraendo spesso i grandi capolavori come inaccessibili mondi di nicchia e lagne inascoltabili.

Cosa si dice di Bob Dylan, il menestrello d’America, il “poeta laureato” dei nostri giorni, il premio Nobel per la letteratura, colui che ha portato la canzone ai livelli di un dramma shakespeariano? Di tutto si può dire, tranne che non abbia saputo coniugare profondità e leggerezza, grinta e raffinatezza, testi elevati e melodie estremamente orecchiabili.

Bob Dylan sulla cover del suo primo album. Author: Brett Jordan. Fonte: flickr.com, creativecommons.org

Forma e contenuto, musica e parole non fanno a botte nei versi eterni di Dylan, ma uno valorizza l’altra in un’armonia indescrivibile ma evidente soprattutto nelle sue prime canzoni, quelle dei mitici anni ’60. Anni in cui Dylan è stato il cantautore folk impegnato, l’idolo del mondo in protesta, ma anche una voce “pop” che risuonava nelle cuffie di un comune adolescente immerso nel relax o tra le corde di chitarra durante una festa in spiaggia. In occasione dei suoi ottant’anni, ecco a voi una manciata di canzoni che lo dimostra!

1) I want you  (1966)

Il becchino zingaro piange
The gypsy undertaker cries

Il solitario suonatore d’organo sospira
The lonesome organ grinder sighs

I sassofoni argentati dicono che dovrei rifiutarti
The silver saxophones say I should refuse you

Traccia più famosa dell’album Blonde on Blonde ( 1966) e rivisitata persino dai Nomadi in una versione italiana, I want you è un must per chi si vuole approcciare all’immensa discografia dylaniana.

Il concetto è chiaro: l’universo mi invia diecimila segnali contrari, il mondo canta una canzone ostile e mi dice di lasciar perdere, ma “io ti voglio di brutto e non sono nato per perderti”. Insomma quello che griderebbe ciascuno di noi a squarciagola sotto il balcone della propria “crush”, solo che Bob Dylan è un poeta e utilizza immagini dallo straordinario potere evocativo accompagnate da un celebre riff destinato a rimanere nella storia.

2) Just like a woman (1966)

Appartiene sempre a Blonde on Blonde, l’album della maturità, questo “classicone” della discografia dylaniana che tanto fece infuriare le femministe dell’epoca per il verso etichettante «fa l’amore proprio come una donna».

Che Bob Dylan non fosse uno stinco di santo con le donne è scritto e riscritto in mille biografie, ma in questa folk ballad dai toni amari, soprattutto nel malinconico verso «but when we meet again, introduced as friends», non ci vedo nulla di misogino o maschilista. Emerge solo una figura di donna, forse un po’ femme fatal, che sfugge e si confonde nei ricordi sbiaditi dell’artista. Chi fosse la musa ispiratrice non è ancora chiaro, certo è che nonostante le critiche Just like a woman rimane una delle più belle canzoni d’amore mai composte.

Fonte: internopoesia.com

3) Mr. Tambourine Man (1964)

Ehi, signor Tambourine Man, suona una canzone per me
Hey, Mr. Tambourine Man, play a song for me

Un Dylan ancora più folk e visionario quello di questo brano, uno dei più celebri e allo stesso tempo più enigmatici e chiacchierati del menestrello. Chi è Mr Tambourine a cui il cantautore chiede con una dolcissima preghiera di suonargli una canzone? Di «portarlo in viaggio sulla sua magica nave vorticosa», di «fargli dimenticare l’oggi fino a domani», di farlo evadere nel sogno da una realtà buia e dolorosa?

Leggenda vuole che il “mister tamburino” nominato anche dal compianto Battiato nella sua celebre Bandiera Bianca, non sia altro che un comune epiteto dello slang new yorkese per riferirsi allo spacciatore di droghe, il “venditore di sogni” in quartieri come il Greenwich Village. Ad ogni modo il sound acustico è così puro e delicato da poter diventare una ninna nanna per bambini.

4) Like a rolling stone (1965)

Prima in classifica nella celebre top 500 songs of all times della rivista Rolling Stone, il brano in questione è quello della svolta, la terra di confine tra il primo Dylan, erede di Woodie Guthrie, chitarra acustica, armonica a bocca, berretto e folk,  e il Dylan “elettrico”, aperto ad altre sonorità, pronto a confrontarsi con un altro genere che in quegli anni viveva una “golden age”: il rock.

In Like a Rolling Stone tutto questo è evidente, come anche il senso di libertà che il giro d’organo fa respirare, sensazione racchiusa tra l’altro nell’immagine della pietra che rotola libera. Un’altra grande di quel periodo, Janis Joplin, dirà: «la libertà è solo un’altra parola per indicare niente da perdere» e la stessa cosa anticipa Dylan in questi celebri versi

Quando non hai niente, non hai niente da perdere
When you ain’t got nothing, you got nothing to lose

Ora sei invisibile, non hai segreti da nascondere
You’re invisible now, you’ve got no secrets to conceal

5) Subterranean Homesick Blues ( 1965)

Dylan precursore di Eminem? E’ questo che ravvisano molti critici musicali in questo pezzo tratto da Bringing all back home, altro album della cosiddetta “trilogia elettrica”. Un cantato che è più parlato veloce, rime incalzanti e giochi di parole anticipano di qualche decennio lo stile hip hop. Le immagini evocate da Dylan si susseguono in maniera così rapida e concisa che l’ascoltatore fa fatica a stare dietro, ma riesce a cogliere sicuramente la vena provocatoria del brano.

Accenditi una candela
Light yourself a candle

Non indossare sandali
Don’t wear sandals

Cerca di evitare gli scandali
Try to avoid the scandals

5+1) Changing of the guards ( 1978)

Pezzo decisamente meno osannato e anche meno noto ai più, Changing of the guards non appartiene al Dylan degli esordi, ma è anch’esso un’esplosione d’energia condensata in un mix di classic rock e gospel in ben 6 minuti di canzone. In questo caso il testo non è di facile decifrazione (come tanti altri del nostro): scene trionfali si alternano ad altre più apocalittiche in quello che sembra un vero e proprio trip lisergico. L’ascolto tuttavia è easy: i fiati e il ritmo infondono voglia di vivere e il cantato di Dylan si alterna a quello delle coriste in un vero e proprio botta e risposta coinvolgente.

Author: Xavier Badosa. Fonte: flickr.com, creativecommons.org. 

In fatto di arte e cultura, spesso facciamo distinzioni troppo nette e affrettate tra ciò che è “mainstream” e ciò che è di qualità, tra ciò che è “pop” e ciò che è d’autore. I grandi come Dylan vanno oltre queste etichette e per questo rimarranno sempre “classici”.

Angelica Rocca

Anteprima di Ready Player One di Steven Spielberg (SENZA SPOILER)

2045. In un futuro distopico la popolazione mondiale è spaccata economicamente in due, fra ricchezza e povertà.
L’unico punto in comune fra i due ceti è una tecnologia particolare e complessa che permette di vivere interamente la propria vita in rete, eccetto che per mangiare e dormire, grazie all’ausilio di un immenso videogioco: OASIS.
Dai bambini agli anziani, chiunque è attratto da questa piattaforma ibrida fra Realtà Virtuale e Realtà Aumentata, permettendo all’utente di percepire ogni sensazione provata dal proprio alter ego digitale in tutto e per tutto nella vita reale.
Talmente di grande portata e successo che OASIS fa parte della quotidianità ad un punto tale che il semplice socializzare è ripiegato alla piattaforma, considerando il mondo reale quasi come un momento di transizione tra una pausa e l’altra dal gioco.

Il perché di tutto questo successo? Chi riuscirà ad individuare un Easter Egg posizionato in maniera assolutamente casuale fra gli infiniti mondi di gioco del software, otterrà l’intera eredità del suo creatore James Donovan Halliday (Mark Rylance) equivalente a 500 miliardi di dollari e il controllo completo di OASIS. Wade Owen Watts (Tye Sheridan) è un semplice ragazzo che usa il videogioco per evadere dalla realtà che vive tutti i giorni, con una profonda conoscenza della piattaforma e del suo creatore. Ma ben presto capirà che anche questa “altra” realtà ha un suo prezzo.

E’ risaputa la voglia di Spielberg di spaziare nei suoi argomenti trattati nei vari film e cercare di narrare una storia che possa quanto più distanziarsi dal normale, ed anche questa volta si dimostra essere un maestro con un tentativo di pieno successo.
Trattare un tema quale quello dei videogiochi non è mai facile, sia per il pubblico d’utenza molto esigente, sia per la conoscenza limitata dell’ambito soprattutto nel comparto Hollywood, ma Steven sembra aver fatto i compiti a casa.

In un film costellato di effetti speciali ottimizzati in maniera splendida e con una cura non indifferente.
I riferimenti, le allusioni e quant’altro si colleghi al mondo video-ludico sono sempre azzeccati, lasciando allo spettatore il compito di individuare quel personaggio noto di un determinato videogioco o perfino scegliendo di guidarlo nella conoscenza di alcuni fatti “storici” dell’ambito non molto noti, circondato da un’aura di nostalgia che attraversa il vecchio per abbracciare il nuovo.
L’influenza dalla cultura degli anni ’80 – ’90, rende il prodotto curioso e fruibile anche a chi i videogiochi non vanno proprio a genio. Successo che si conferma anche tagliando fuori il tema principale dei videogiochi, evidenziando una buona regia, una sceneggiatura abbastanza scontata e prevedibile, ma non per questo da considerare debole e una pellicola godibile alla vista ottima per passare il tempo in compagnia di qualche amico.

Ready Player One, in uscita nelle sale italiane il 28 marzo 2018, è un film diretto da Steven Spielberg e ispirato all’omonimo romanzo di Ernest Cline, il quale ha collaborato alla stessa sceneggiatura del film.

 

                                                                                                                       Giuseppe Maimone

Masseduction: molto più che seduzione quella di St. Vincent

A giugno avevamo riportato la notizia dell’imminente tour, il 13 ottobre il mondo ha potuto ascoltare Masseduction il quinto album di St. Vincent.

 

Il primo singolo “New York” è stato pubblicato a fine giugno seguito dal video il cui regista è Alex Da Corte, video molto controverso e colorato fino a quasi disturbarti.

I colori accesi, sono la cifra visiva di questo album.

In “New York” la chitarra è sostituita da un pianoforte e rispetto a tutte le altre ha una durata brevissima. Piange la perdita di “un eroe, un amico” e di un luogo che non è più quello di una volta ma consapevole dell’esistenza di una persona che è “the only motherf*** who can stand me” ci coinvolge in un senso di perdita e affrancamento universale.

Da luglio ad ottobre St. Vincent si è divertita a pubblicare video satirici , scritti dal fine intelletto comico di Carrie Brownstein (cantante delle Sleater Kinney e autrice e protagonista della serie Portlandia) nei quali, vestita in latex e circondata da donne mezze nude coi volti coperti, risponde alle tipiche domande futili che molti giornalisti pongono alle musiciste.
È una ironia molto sottile ma che dimostra l’insofferenza per queste situazioni, è una riflessione sul potere dei media che ci mostrano quello che vogliono.

https://www.instagram.com/p/BYhTj6Ij7qW/?taken-by=st_vincent

Poi in una finta conferenza stampa su Facebook live ha annunciato la data dell’album.
Queste azioni, oltre che aumentare la curiosità del pubblico, si ricollegano ai temi dell’album che potrebbero essere riassunti in “potere, sesso e pillole” e la loro disamina.
Ci ritroviamo davanti una copertina color rosa acceso e il derrière di una ragazza (Carlotta Kohl ndr) in body leopardato e tacchi a spillo.
Quest’opera ultima è studiata fino al minimo particolare ma ha tenuto a precisare che è anche il materiale più personale mai scritto.
È una St. Vincent dalle sonorità totalmente diverse da quelle a cui ci aveva abituati, alcuni adducono l’influenza del coproduttore Jack Antonoff, ex Fun ora frontman dei Bleachers e uomo dietro i maggiori successi di Lorde e Taylor Swift, ma potrebbe essere la voglia sperimentalista della stessa cantante.
È sempre lei. John Congleton rimane suo coproduttore.

Masseduction si apre con “Hang on me”, voce spezzata e ci chiede di rimanerle attaccata perché “non siamo fatti per questo mondo” e tenta di rassicurarsi e rassicurarci dicendo che solo “gli amanti sopravviveranno”.
Una voce posh apre la seconda traccia “Pills” ripetendo il ritornello-filastrocca su un jingle che rimane in mente. La voce posh è quella di Cara Delevingne.
Dopodiché arriva l’amata chitarra che trasforma la canzone da pop a rock e poi un sassofono, ricorda quasi una delle canzoni composte con David Byrne. Ho trovato delle reminiscenze di “The dark side of the moon”.
È una canzone di grandi collaborazioni: Jenny Lewis intona sul finire e per concludere un bellissimo assolo di sax di niente di meno che: Kamasi Washington.
Qualcuno urla in giapponeseseiken no fuhai” cioè “il potere corrompe”. 
È Toko Yasuda questa è “Masseduction” ritmo prepotente a sostenere un testo che ci parla di seduzione.
In una intervista ha affermato che la frase “i can’t turn off what turns me on” potrebbe racchiudere la tesi di questo album. Molto pop con una chitarra elettrica fortissima nei momenti adatti.

02 Brixton Academy Londra il passato ottobre

Arriva “Sugarboy” Donna Summer che incontra la chitarra di St. Vincent.
È il regalo personalissimo al suo pubblico “alle ragazze, ai ragazzi, agli altri” d’altronde è sempre stata sostenitrice della teoria della “fluidità di genere”. È un trionfo.
Ricorda anche di quando era attaccata ad una balconata, durante il passato tour era solita arrampicarsi sulle casse, le balconate dei teatri.
“Los Ageless” è una critica alla cultura della bellezza e cura, ma parla anche di una relazione finita , si chiede “how can anybody have you and lose you and not lose their minds, too?”.
Sintetizzatore a go go e chitarra. Funziona e si impone oggi come la più popolare fra i singoli, forse più di “New York”.

Proprio nel momento in cui ci siamo convinti che sia passata completamente al pop per questo album arriva “Happy birthday Johnny”.
La figura di Johnny, presente in tutti i suoi album, è un amico, un fratello, Johnny è tutti. È una canzone struggente.
È cantata in maniera così intima che è facile trovare un punto di contatto, immedesimarsi.

Ci risolleviamo l’animo con “Savior”, giochi di ruolo con l’amante, al synth e alla chitarra si aggiunge il pedal steel e il basso di Pino Palladino e poi la voce incredibile di Patti Andress.
“Fear of the future” è la classica St.Vincent, chitarra, canta la paura del futuro di questi tempi incerti per scacciare la paura stessa.
Con “Young lover” torna a cantare dell’amore finito e di come l’abbiano distrutto le pillole.
L’ inframezzo musicale “Dancing with a ghost” è il preludio a “Slow disco” (concettualmente potrebbe essere la conseguenza degli eventi di “Young lover”) in cui si torna a toni malinconici cantata su una base di archi. Sfila la sua mano da quella dell’amante lasciandolo ballare con un fantasma.

L’album si conclude con “Smoking Section” la voce non sembra la sua: l’ha registrata un semitono sopra rispetto alla melodia e abbassata in post-produzione.
È ruvida,  perfetta per il contesto. Nota personale: una delle mie preferite.
Non si sente adatta per questo mondo ma lascia che gli eventi accadano, vendicativa verso i cari afferma che in questo mondo non c’è niente di meglio dell’amore.
Lo ripete a se stessa ma anche a noi.

È un album che ha diviso la critica e il pubblico, chi le da della traditrice sfociando nel pop e chi invece osanna al capolavoro. Intanto è nella top 10 dei migliori 200 album del 2017 stilata dalla Billboard.
È musicalmente perfetto e i testi sono delle ballate intuitive ed intense, una schiettezza mai letta prima.  
C’è il pop, il rock, la tecno, il tutto rivisitato e composto nella chiave unica di St. Vincent.
Chiude rassicurandoci che, nonostante la corrosività del potere, il sesso, le pillole, gli amori sbagliati, con voce chiara e acuta “non è la fine”.
No Annie Clark non è la fine, è solo l’inizio di un altro percorso dell’artista poliedrica e geniale che sei.

 

Arianna De Arcangelis

“The Story” di Brandi Carlile – versione di cover per una buona causa.

Se vi dicessi il nome Brandi Carlile probabilmente non avreste idea di chi stia parlando.

Se invece vi facessi sentire solo le prime strofe di “The Story” la riconoscereste immediatamente e aggiungereste “certo! l’ho sentita in…”.
Le sue canzoni sono state usate in moltissime serie tv (forse su tutte Grey’s Anatomy) film, pubblicità, ciò non deve essere visto negativamente perché questa donna è più che talentuosa.

Lei è una cantautrice americana il cui stile spazia fra il folk-rock-pop. La band è composta da lei, i gemelli Tim and Phil Hanseroth alla chitarra e al basso, Josh Newman al violoncello e al piano e il batterista Brian Griffin.
“The Story” è probabilmente l’album più famoso che quest’anno compie 10 anni e per questo anniversario la cantautrice ha deciso di ripubblicarlo in una versione molto speciale : tutte cover.
Il ricavato dell’album andrà interamente a War Child una associazione che si occupa di aiutare e tutelare i minori nelle zone di guerra.
Brandi Carlile è sempre stata una attivista per i diritti umani devolvendo i ricavati di concerti a diverse cause a lei care. Tutti, dall’etichetta agli ingegneri del suono agli artisti stessi hanno rifiutato di ricevere un compenso per il lavoro su questo album.
I nomi degli artisti che hanno edito le canzoni? Adele, i Pearl Jam, Kris Kristofferson e Dolly Parton per nominarne alcuni. Il nome che risalta di più è forse quello di Barack Obama che ha scritto la prefazione dell’album “racconta storie che ci incoraggiano a vedere noi stessi negli altri, e ci ricorda che insieme possiamo creare un mondo migliore per i nostri figli”.
Vi segnalo la versione del singolo “The story” cantata da Dolly Parton, “Josephine” da Anderson East e “Turpentine” da Kris Kristofferson.
The Story quest’anno ha ottenuto il disco d’oro.

La bellezza delle canzoni e della voce di Brandi Carlile è che sono adatte ad ogni momento della propria vita, ti coinvolge con quel tono ruvido ma caldo, le chitarre , gli archi che spuntano quando meno te l’aspetti. Non scade mai nel banale come sonorità e testi. Un brano apparentemente pop si trasforma in un pezzo simil rock grazie a bassi e chitarra. In questo video di seguito potete farvi una idea di quello che sto affermando.

Quando ascolti “Keep your heart young” la tua infanzia ti passa davanti gli occhi e inizi a ridere, “Hiding my heart” e “Oh dear”  ti riportano a quell’amore passato o mai confessato, “Wherever is your heart” all’affetto dei cari, “The Things I Regret” con quella strofa finale gridata da pelle d’oca e poi “The story” un classico ormai.

Diversi anni fa ebbi la fortuna di vederla esibirsi, uscì da quel teatro con un sorriso a 36 denti e mio zio che mi ringraziava per avergli fatto conoscere questa artista. È stata elettrizzante, appassionata.
Non voglio i ringraziamenti di nessuno di voi lettori ma vi suggerisco di ascoltare qualcuna delle sue canzoni, il mio album preferito è “Bear Creek” , con una sola parola: completo, ce n’è per tutti i gusti.
L’ultima opera è  “The firewatcher’s daughter” che si apre con  “Wherever is your heart”  pezzo scritto con i gemelli (con i quali si percepisce il grande affetto reciproco dovuto anche alla lunga collaborazione) è più che coinvolgente, trasportante. Come tutto l’album.
Lo stesso anno, 2015, la band ha deciso di fare un tour prevalentemente in teatro sfruttando l’acustica naturale di questi luoghi hanno scelto di non usare microfoni, amplificatori, affidandosi totalmente alla voce e alle sonorità degli strumenti. Niente che potesse distorcere la musica e l’esperienza con gli spettatori.
Questa esperienza è stata raccontata in un documentario “Pin Drop Tour” che potete trovare sulla sua pagina Youtube.
Vi saluto con l’introduzione del documentario (al minuto 5:00 potete sentire l’effetto dell’esperimento fra prove e live) :

 

Arianna De Arcangelis