L’Italia: il paese più “simpatico” del mondo

Se c’è una regola basilare nel tentativo di approccio ad una ragazza, è sicuramente quella di non esordire complimentandosi per la sua simpatia. Non perchè sia negativo, anzi, ma se tra tutte le sue infinite qualità fisiche e mentali tu hai individuato solo quella di saper far ridere le persone, il complimento perde della sua valenza e si tramuta in un insulto velato.

L’Italia è dunque il paese più simpatico del mondo. Lo dicono i giornalisti con i loro articoli, lo rappresentano i registi con i loro film, lo dimostrano i politici con i loro governi. È il Paese che “colpisce i venditori di sigarette, ma premia i venditori di fumo” diceva Indro Montanelli, e questa affermazione sembra essere perfetta per descrivere la situazione di questo paese che, di anno in anno, ci fa ridere sempre di più.

Non voglio essere melodrammatico, amo la mia terra, non la sostituirei con nessun’altra al mondo, ma se oggi sono qui e prenderla un po’ per i fondelli è solo perchè so che ha un gran senso dell’umorismo. In effetti però, guardandoci indietro, possiamo vedere come il panorama politico degli ultimi anni non ci aiuti a rimanere seri nel discorso. Dal 2000 ad oggi, i Presidenti del Consiglio italiani che si sono passati il microfono (come in un vero spettacolo di stand up comedy) sono stati dieci, da Giuliano Amato a Giuseppe Conte, passando per Berlusconi, Prodi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Ognuno di questi ha fatto il proprio monologo, ognuno di questi ha calcato il proprio palcoscenico, ognuno di questi, per fortuna o purtroppo (questo lo lascio scegliere a voi), ha ricevuto fischi ed applausi ed ha lasciato la scena – metaforicamente parlando.

Attenzione però, come in tutti i migliori spettacoli, è il pubblico a pagare il biglietto ed è il pubblico a decidere se andarci o meno. Troppe volte ci si trincera dietro la figura del politico-cialtrone, ladro e farabutto, non rendendoci conto che, volenti o nolenti, loro stanno lì perchè noi ce li abbiamo mandati; anche se, negli ultimi anni in molti sono stati dubbiosi anche su questa ultima mia affermazione. A partire dal governo tecnico Monti, infatti, il meccanismo delle elezioni nel nostro paese si è inceppato, ha saltato qualche giro, generando una tale confusione da sfociare, solo qualche settimana fa, nel tentativo di impeachment nei confronti del Presidente della Repubblica Mattarella. Ma procediamo per gradi.

È il 16 Novembre 2011, Berlusconi ha rassegnato le sue dimissioni da quattro giorni dopo le polemiche riguardanti la crisi economica del Paese e Mario Monti diventa il nuovo Primo ministro italiano, scelto dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, come figura forte capace di affrontare la complicata situazione in cui l’Italia versava a livello finanziario. Una scelta obbligata, dettata dalla necessità di dialogare con l’UE e con la Germania, che durerà un solo anno, così come era stato preannunciato dallo stesso Monti subito dopo il suo insediamento.Risultati immagini per berlusconi monti letta renzi gentiloni

Nel 2013 a sostituirlo è Enrico Letta, pilastro della sinistra italiana, già ministro durante i governi D’Alema, Amato e Prodi, che passerà alla storia per essere stato messo in sfiducia proprio dal suo partito, o sarebbe meglio dire, dal segretario del suo partito, Matteo Renzi, l’ex sindaco di Firenze dall’aria sbarazzina che si era fatto strada nell’arena politica al grido di “Rottamiamoli”, indirizzato a tutti quei politici che da decenni lottavano per rimanere attaccati alle loro prestigiose poltrone. Un Matteo Renzi che diventerà il nuovo centro del dibattito politico e satirico italiano, molte volte paragonato a Berlusconi per le sue doti da showman, da comico (per rimanere in tema), e per la sua forte predisposizione a scandali e capitomboli che si riassumono perfettamente nella sconfitta del SI al “Referendum costituzionale Renzi-Boschi” del 4 dicembre 2016, data che segnerà la fine del governo guidato dal leader toscano e l’inizio del nuovo esecutivo Gentiloni.

Risultati immagini per di maio e grilloMa durante questi anni di profondi stravolgimenti e rocambolesche sostituzioni in corsa, si è andato formando un nuovo gruppo, giovane e coeso, critico verso l’operato delle forze politiche di rilievo, voce del popolo che si riunisce in piazza a protestare e fa dei social network l’arma più pericolosa; gruppo guidato – neanche a dirlo – da un comico, Beppe Grillo. Se non si fosse già capito, sto parlando del Movimento 5 Stelle. In pochi anni questo “partito politico” ha conquistato il cuore di moltissimi elettori, giovani principalmente ma non solo, dando spazio a nuovi volti della politica italiana tra cui Luigi Di Maio, trentunenne campano, poco avvezzo ai congiuntivi (si scherza) che in pochissimo tempo diventerà il leader del movimento e il volto del cambiamento politico italiano alle ultime elezioni di marzo.

Della situazione recente ne siamo al corrente tutti, chi più chi meno (per saperne di più leggi il nostro articolo) , un nuovo governo è nato – dopo la suspense generatasi negli ultimi giorni intorno alla figura di un Mattarella ingiusto e, per citare Buffon, “con un bidone dell’immondizia al posto del cuore“- Giuseppe Conte è il Presidente del Consiglio e i suoi due vicepresidenti sono Di Maio e Salvini (giuro che questa non è una battuta) e staremo a vedere ciò che il “governo del cambiamento” tanto sognato da M5S e Lega riuscirà a fare nei prossimi anni viste le numerose promesse fatte durante la campagna elettorale e la forte volontà di non tradire quel popolo tante volte chiamato in causa dalle due forze politiche come prima vittima del malgoverno.

Risultati immagini per stand up comedy audienceNoi intanto sediamo tra il pubblico, ci godiamo lo spettacolo con gli occhi lucidi e gli addominali che ci fanno male per le troppe risate, stringendoci scomodi su queste 60 milioni di sedie, sperando che, almeno questa volta, non si tratti solo di un’altra favolosa barzelletta.

Giorgio Muzzupappa

Ritorno al futuro: la macchina del tempo giallo-verde e l’Italia che avrà un governo

Fuor da ogni previsione, il “governo del cambiamento” è – quasi – realtà.

Quando l’unica possibilità realizzabile sembrava un governo tecnico a guida Cottarelli e un più o meno prossimo ritorno alle elezioni, si è riavvolta la pellicola.

Si è ritornati a quel pomeriggio di domenica 27 Maggio, quando Conte era lì lì per formare un governo e… se non fosse stato per quell’impasse chiamato Savona.Dopo il no di Mattarella e l’inamovibilità di Di Maio e Salvini – soprattutto di quest’ultimo- sul ministero dell’economia, Conte era ritornato al suo buon ruolo di professore universitario lasciando la staffetta al silenzioso economista Cottarelli.

Tutt’altro che silenziosi, invece, i leader giallo-verdi, che sui social avevano fomentato l’ira dei seguaci italiani sull’onda del disprezzo verso il Presidente Mattarella, incolpato di aver fatto interessi altri alla nazione.

Toni che si erano alzati da parte del leader M5S e sorprendentemente anche dalla Meloni – nonostante la delusione di questa del tradimento leghista – tanto da arrivare a una richiesta plateale-virtuale di impeachment contrastata a suon di hashtag #iostoconMattarella.

Insomma, un’arena bollente, nazionale ed europea, che tutto lasciava pensare tranne che il ritorno sui propri passi degli attori di queste settimane.

Quella che era generalmente condivisibile, comunque, era la delusione per non avere un governo, ancora, dopo quasi 3 mesi.

Il figliol prodigo Di Maio seguito, dopo un’opera di convincimento e una notte di riflessione, da Salvini, hanno ritrattato al Quirinale, hanno fatto prendere un treno a Conte… e poi la fumata bianca.

Poche ore e il neo(-ri) incaricato Presidente del Consiglio giurerà al Colle, insieme alla sua squadra di 18 ministri presentata ieri sera.

A tal proposito, quello che lascia ben sperare è la squadra di governo. Al di là di Salvini e Di Maio – politici di professione- gli incaricati ai vari dicasteri sono personalità per lo più attive e competenti del settore che è stato loro affidato. Al contrario di quanto avvenuto fino all’ultimo esecutivo in carica, quando ministri “fuori posto” e senza alcun titolo di studio erano all’ordine del giorno, o meglio… del governo.

Il nodo Savona, dunque, viene sciolto spostando il professore al dicastero senza portafoglio degli Affari europei. Per l’Economia spunta Tria, preside della facoltà di Economia di Tor Vergata, e “tiepido” sull’Euro e sostenitore della Flat tax anche a costo di aumentare l’Iva. Agli Esteri Enzo Moavero Milanesi, una vita nelle istituzioni europee e già ministro all’Ue con Monti e Letta. Affiancherà Conte a Palazzo Chigi, con il delicato incarico di sottosegretario alla presidenza, il leghista Giancarlo Giorgetti.

Salvini sarà ministro all’Interno, Di Maio prenderà il super-Mise di Lavoro e Sviluppo Economico. Alla Difesa Elisabetta Trenta, alla Giustizia Alfonso Bonafede (M5s), Giulia Grillo (M5s) alla Sanità, Riccardo Fraccaro (M5s) ai Rapporti con il Parlamento, alle Infrastrutture Danilo Toninelli (M5s), Marco Bussetti (M5s) all’Istruzione, Alberto Bonisoli (M5s) ai Beni Culturali e indicata come ministro della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno.

La squadra dei 18 ministri dell’esecutivo Conte

Intanto quel sintomo di malessere indicato dallo spread, sembra affievolirsi a 214 punti. All’apice della crisi istituzionale, solo tre giorni fa, il differenziale tra il Btp a due anni e il corrispondente titolo tedesco era schizzato a 343 punti base, segnando i massimi dal 2012.

Insomma, quello che gli italiani hanno visto in queste ultime ore ha un po’ dell’incredibile.  Non tanto la formazione di un governo politico quando ormai tutti ci avevano messo una pietra sopra, quanto il riuscire a riportare le lancette indietro.E’ come se il tempo fosse stato cancellato e insieme ad esso gli errori commessi.

E’ come se Di Maio e Salvini avessero costruito la macchina del tempo giallo-verde, ci fossero saliti su, e, indietro di appena 5 giorni, avessero aggiustato quegli errori passati chiamati “impeachment” “impasse” “savona” “spread” e fossero ritornati al futuro.

Il problema è che gli italiani non sono rimasti in stato di “freeze” come nella fantascienza in questi casi avviene e di sicuro non dimenticheranno questi giorni scoppiettanti e, diciamocelo, anche un po’ tragi-comici.

Ma quel che è bene – speriamo – finisce bene.

Se alle 16 il giuramento dell’esecutivo Conte sarà fatto l’Italia avrà un governo. E chi vivrà vedrà.

Martina Galletta

Governo: alleanza giallo-verde e l’Europa mormora

 

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Era l’esito più temuto da Bruxelles quello di un’alleanza M5S e Lega. Le due forze politiche, populiste e antieuropeiste di fondamento, si trovano intorno a un tavolo tecnico a discutere da poco più di un giorno su che forma dare al loro nuovo governo d’intesa. Sarà un contratto di governo da elaborare in poche ore, un pressure test che non lascerà spazio a discussioni ideologiche ma, piuttosto, ad allineamenti di programma.

Non sarà, dunque, solo il tema Europa ad accomunare le due forze, ma – al contario – sembrerebbe proprio un tema da accantonare per il momento. D’altronde, era già successo in campagna elettorale:  Salvini e Di Maio non si erano mai sbilanciati troppo su quelle che sarebbero state le implicazioni pratiche delle loro idee Anti-Europa, al contrario delle “vecchie generazioni” dei movimenti.

Il presidente Mattarella, ha messo in freezer il suo governo neutrale e domenica i due esponenti delle forze vincitrici dovranno riferire l’esito del confronto portando al Quirinale un pre-contratto. Lunedì, se l’intesa avrà fatto passi avanti, potrà partire la procedura per il nuovo governo.

E quello che non si può di certo rischiare è la bocciatura del Capo dello Stato. Pena governi tecnici e/o ritorno alle elezioni.

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In un contesto simile, gli occhi dell’Europa non possono che essere puntati tutti sulle mosse dell’Italia. Soprattutto in giorni in cui i vertici d’Europa si sono riuniti proprio nello stivale italiano, precisamente nel capoluogo fiorentino, in occasione della conferenza “The State of the Union 2018” per parlare di solidarietà.

Durante l’apertura a Palazzo Vecchio del “Festival d’Europa”, Mattarella non ha tardato a lanciare un avvertimento preventivo ai leader in trattativa:

“Pensare in Europa di potercela fare da soli è inganno consapevole delle pubbliche opinioni”.

La nuova alleanza, dunque, dovrà restare nella cornice tradizionale della Costituzione, dell’osservanza dei trattati internazionali e, soprattutto, del rispetto degli impegni europei. Anche il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker non ha tardato durante il convegno a commentare che “Populisti e nazionalisti hanno avuto materia per alimentare loro sentimenti e aumentare distacco dagli altri. Così la solidarietà si sfilaccia “

Reazioni diverse, invece, provengono da oltre la Manica, dove l’ex leader storico del partito indipendentista inglese Nigel Farage fa gli auguri via tweet ai leader. Nell’enfatizzare la sua gioia, Farage si è riferito all’intesa come il suo “sogno” da due mesi a questa parte per dare “uno schiaffo a tutti coloro che governano l’Unione”. “L’Ue si è definitivamente rotta”, afferma.

Un tiro delle somme forse un po’ troppo accelerato dato che per Lega e M5S c’è ancora tanta strada da fare e poco tempo. Intanto non vacilla la positività di Salvini e Di Maio al termine di ogni incontro nel corso delle ultime ore.

Sembra essere già arrivati a una convergenza sui punti flat-tax, conflitto d’interessi, migranti e debito pubblico. L’eventuale contratto di governo, in ogni caso, sarà posto ai voti sulla piattaforma Rousseau, come ha spiegato Davide Casaleggio in una conferenza stampa in Senato.

Intanto, per i due leader resta ancora il nodo più duro da sciogliere: il “terzo premier”. Tra le poche e deboli indiscrezioni a riguardo, spunta il nome di Giampiero Massolo, Presidente di Fincantieri e presidente dell’Istituto di politica internazionale dal 2017.Risultati immagini per giampiero massolo

Un curriculum di assoluta garanzia per il Capo dello Stato, Bruxelles e le cancellerie mondiali e, forse, anche per la delusa Forza Italia che avrebbe con Massolo premier un atteggiamento meno ostile rispetto alla non-fiducia certa annunciata da un Berlusconi amareggiato per l’alleanza giallo-verde.

In ogni caso sembrano aver accettato bene i due leader il proverbio “tra i due litiganti il terzo gode” al di là di chiunque questo terzo sarà. La mira è stata dirottata su un altro obiettivo: non lasciare scampo a esecutivi algidi e mettere in piedi un governo. Diversamente, il ritorno al voto potrebbe essere fatale sulla credibilità e, quindi, sui consensi delle due forze politiche.

Martina Galletta

Violenza nelle strade, uno sguardo sul fenomeno

Cresce sempre più il tasso di omicidi violenti nelle maggiori capitali mondiali. In una sola notte, prima a Londra e subito dopo a Liverpool, sono stati rinvenuti i cadaveri di due giovani ragazzi  di età compresa tra i 17 ed i 20 anni, entrambi morti per mano di coetanei e per futili motivi. Molte le forze dell’ordine impiegate nel tentativo di ridurre un fenomeno che si sta facendo, giorno dopo giorno, più serio e al centro del dibattito politico.

È proprio alla luce di questi fatti che, durante il suo intervento alla “National Rifle Association”, si è espresso il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump evidenziando ancora una volta il suo forte sostegno all’uso libero delle armi da fuoco da parte dei cittadini. Ha poi rincarato la dose usando parole dure nel ricordare i fatti del Bataclan di Parigi:

“Se i cittadini fossero stati armati, sarebbe stata una storia completamente diversa…”

scatenando le risposte indignate di opinione pubblica ed autorità, politiche e non, di tutto il mondo, tra le quali quella dello stesso ex presidente fracese Francois Hollande che si è detto “disgustato” da queste affermazioni del Tycoon.

Ma, se da un lato troviamo chi continua a dare adito a discorsi che esaltano l’uso della violenza a scopi di difesa, e a flebili tentativi di denuncia dei fatti; dall’altro ci sono coloro che vivono quotidianamente il pericolo di strade sempre più macchiate di sangue. E anche in Italia il discorso non cambia.

Negli ultimi due giorni sono stati quattro i casi di violenza e tentato omicidio nel nostro paese, tre dei quali ad opera di giovani ragazzi e, se a questi si aggiungono i sempre più frequenti casi di bullismo e violenza sulle donne, i dati salgono vertiginosamente presentando un quadro estremamente preoccupante.

E in una situazione politica tanto incerta quanto quella italiana attuale, il tema della sicurezza diventa uno degli argomenti caldi della discussione tra i vari partiti in cerca di un accordo di governo, con M5S e Centrodestra favorevoli ad una massiccia campagna di assunzioni nelle forze dell’ordine e nell’estendere l’uso dell’esercito a supporto della polizia; ed il Centrosinistra che punta a ridurre questi fenomeni incentivando la cultura e puntando alla riqualificazione delle periferie urbane.

È una situazione difficile da affrontare che divide in due la società tutta, rendendo impossibile il raggiungimento di una soluzione comune e funzionale alla riduzione di questi casi. Ciò che però resta sicuramente chiaro a tutti – o forse sarebbe meglio dire, a molti – è che l’uso delle armi per cercare di combattere la violenza nelle strade è qualcosa di ridicolo anche solo da pensare, ma, forse, ci toccherà aspettare ancora un po’ prima che tutti riescano a capirlo.

Giorgio Muzzupappa

Gaetano Martino: missione europeista di un siciliano

Gaetano Martino in una foto del 1954

Questo articolo della rubrica “Personaggi” lo dedicheremo a colui che rappresenta uno dei tasselli più importanti della storia di Messina, dell’Italia e dell’Italia all’estero: Gaetano Martino. 

Il nome non vi sarà sicuramente nuovo, e scommetto che la prima cosa a cui lo collegate è proprio il Policlinico Universitario G. Martino. Mentre qualcuno che si interessa di politica, vivendo con enfasi quella dello Stretto, potrebbe invece collegarlo ad Alberta Stagno D’Alcontres e Antonio Martino, suoi genitori: a suo padre, sindaco di Messina prima e dopo il terremoto del 1908, si deve la rimessa in piedi della città. È proprio dal padre che Gaetano eredita la vena politica che lo porterà a ricoprire cariche importanti. Tuttavia, prima di addentrarci negli affari pubblici, voglio parlare della sua carriera da fisiologo e del suo importante contributo alla medicina. 

Laureatosi in medicina all’Università di Roma, nella quale ricoprirà le cariche di professore alla cattedra di Fisiologia umana e di Magnifico Rettore, Martino si dedica alla ricerca scientifica tra Berlino e Parigi, e allAteneo peloritano, sarà professore di Fisiologia umana e Chimica biologica, e Rettore per ben 13 anni. Sulle orme del maestro Amantea, viene considerato il maggiore fisiologo al mondo, grazie anche al suo “Trattato di fisiologia umana”. Subito dopo la pubblicazione di quest’ultimo, ha inizio l’intensa e proficua attività politica del Martino che, nelle file del Partito Liberale Italiano, viene eletto Deputato e poi Presidente alla camera. Il primo passo mosso in politica, e prima della nomina a Presidente del partito Liberale, è da percepire nella gestione del dibattito, da lui tenuta, per l’annessione dell’Italia al Patto Atlantico.

Nel ’54 e per appena sette mesi, sarà Ministro della pubblica istruzione e precursore di importanti provvedimenti legislativi quali la nota “Legge Martino-Romita”. A questo periodo risale anche la carica a Ministro degli Esteri: In meno di due anni, Martino riuscì a liberare l’Italia dal pesante carico ereditario del Fascimo, guidando la delegazione italiana alla firma dei Trattati di Roma, riuscendo a far riannettere Trieste all’Italia e facendo ammettere quest’ultima all’ONU. Il nome di Gaetano Martino sarà infatti ricordato per il primo discorso di un ministro italiano all’Assemblea ONU, e per il suo farsi precursore dell’integrazione economico-politica dell’Europa. Dopo il fallimentare tentativo di istituzione della Comunità Europea di Difesa ( C.E.D) nasce per mano sua la Unione Europea Occidentale ( U.E.O), sicuramente meno compiuta e perfetta della precedente, ma rappresentante la prima tappa di una nuova politica europeistica. Martino aveva compreso, infatti, che l’unità politica si sarebbe raggiunta tramite una manovra fortemente economica, ed al fine di inculcare la sua idea agli altri cinque paesi, indisse la  Conferenza di Messina, tenutasi a Messina nel ’55, al fine di impartire forte segnale di ripresa dell’integrazione, soprattutto economica, riuscendo ad ottenere l’assenso di massima al suo piano.

Dalla Conferenza di Messina, la missione europeista di Martino è proseguita con slancio ed impegni crescenti, anche nelle vesti di Presidente del Parlamento Europeo, Capo della delegazione parlamentare e di Presidente Generale del Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori.

Rimarrà impegnato in politica fino alla morte, datata il 21 Luglio 1967. 

Oggi, nei pressi del Municipio di Messina, è a lui dedicata una statua.

Erika Santoddì

Image credits:

By Unknown – Italian magazine Epoca, N. 214, year V, page 73, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49869541

Sotto il cielo c’è una gran confusione.

Il caos regnava prima ed è solo aumentato col nuovo anno.

noemi554266_396001393827287_301528613_n-f7613La confusione è amica dei potenti, getta sabbia negli occhi della maggioranza e scredita gli “investigatori della verità”.
Il caos è mezzo favorito per difendersi spostando l’attenzione su fatti per i quali l’incidenza è teoricamente pesante e permettendo così di agire verso il fine reale.
Si attaccano prima i magistrati e il sistema giudiziario per poi passare alla stampa divulgatrice di falsità e costantemente opposta al potere di turno.
Lavoro non facilitato da quella cerchia di giornalisti e comuni cittadini che , un po’ per divertimento un po’ per la retribuzione , diffondono il falso e tendono alla calunnia. Questa è questione antica lo stesso Umberto Eco in una intervista con Livio Zanetti alla fine degli anni Novanta criticava certa stampa di titoli ingannevoli o falsi scoop.
C’è bisogno di buon senso di discernimento per destreggiarsi nel bombardamento di informazioni a cui siamo sottoposti quotidianamente, l’errore è comunque in agguato.

Mentre gli spettri della xenofobia e nuovi nazionalismi aumentano di forza e dilagano in Europa  in Italia c’è un’istinto di “coprirsi gli occhi”.
Il 1968, l’anno in cui Pier Paolo Pasolini teneva settimanalmente la rubrica “Il caos”  in cui documentava e rifletteva sulle questioni di quegli anni, sembra una realtà estranea da quella odierna.
La politica preferisce parlare di “scissioni” “dimissioni” “nuove elezioni” e non di compromessi in virtù di fini superiori e comuni.
Se una faccia della medaglia è l’ immobilismo politico dall’altra il caos : in mezzo mondo milioni di donne e uomini si ribellano, gridano no ai soprusi dei governi e aspirano ad un cambiamento, le piazze si riempiono e si fa politicaCrk-PPLWIAEtu4b

Hobsbawm nel suo “Secolo breve” che iniziava cronologicamente con lo scoppio della prima guerra mondiale parlava di fallimento di ideologie e presenza di uomini forti e terminava con la prima guerra del Golfo.
Il saggio si conclude con una riflessione  sulla possibilità di una implosione o esplosione della società conosciuta fino ad allora e avverte che il futuro non può essere una semplice continuazione del passato. 

Per i greci Χάος era un “immenso spazio vuoto”  l’opposto di ciò che è ora per noi, e per i filosofi il luogo in cui il si attinge per la formazione dell’ordine.
E’ in questo spazio vuoto che si inseriscono le novità.
La molteplicità può portare a soluzioni uniche ed adatte a sciogliere i nodi. Trovando i punti di contatto, eliminando il superfluo e il nocivo, tutto sta nella capacità della formazione sociale di “capare” il necessario. 

Il pluralismo può confluire in univocità : l’Europa può ridefinire gli elementi fondamentali e proporre adeguati modelli meritevoli del suo eterno (fino ad ora) soprannome  di  “patria della democrazia”.

Arianna De Arcangelis

L’ascesa di Trump e l’ombra del populismo mondiale

Chi mi conosce sa della mia passione per la politica e in particolare del mio grande interesse per quella anglosassone ed americana. Nazioni che fino ad oggi hanno sempre combattuto per gli ideali di partito, i quali erano nettamente differenziati.
L’evoluzione storico politico degli USA nell’ultimo decennio è palese anche agli “atei” di politica, dalla presidenza Bush a quella Obama le differenze sono enormi.
A questo punto mi si direbbe “Ma com’è possibile che siano passati a Trump dopo l’amministrazione Obama?”. Vi rispondo che l’America era e rimane un paese contraddittorio, dove da un lato, i diritti LGBT e delle adozioni sono estesi come in nessun altro paese, e dall’altro un ragazzo di 16 anni può comprare con più facilità una pistola che un pacchetto di sigarette.

Premetto dicendo che ero una sostenitrice di Bernie Sanders e in questo mio flusso di coscienza cercherò di essere il più razionale possibile.

E’ da 18 mesi che seguo attentamente queste elezioni, con i suoi discorsi bellissimi (Michelle Obama si è dimostrata una delle migliori oratrici dei nostri tempi, superiore anche al marito, a mio modesto parere) e grandi mancanze di rispetto per l’avversario e il popolo americano.
Entrambi i candidati non hanno fatto che attaccarsi, o meglio, uno attaccava nel 95% dei casi, l’altra parava e cercava di parlare del programma.
La sconfitta di Hillary Rodham Clinton ci arriva come un pugno dritto in faccia. In buona parte del mondo ci si auspicava una sua vittoria, anzi, si era certi. Siamo stati tutti offuscati dalla speranza che il popolo americano seguisse il buonsenso piuttosto che la vendetta.
Sì, credo che ci si è voluti tutti coprire in parte gli occhi sul movimento che sta segnando il mondo e ha avuto la meglio anche in USA. Si è così mossi da un desiderio di cambiamento radicale che si preferisce scegliere una persona totalmente fuori dal contesto politico piuttosto che una preparata e di lunga esperienza.
E’ un movimento globale, guardiamoci attorno in Europa: la LePen in Francia, i movimenti nazi in Germania, la Slovenia sono solo quelli più sentiti. Non dimentichiamoci la Brexit.
Lo si può chiamare populismo, come fanno in tanti, ma credo che vada ancora più in profondità come movimento, è una insoddisfazione del mondo che abbiamo costruito unita all’egoismo ed indifferenza. Alcuni l’hanno definita “crisi del modello democratico”.
La sconfitta della Clinton è figlia di un sentimento simile , un voto “contro” il sistema, contro il continuum della politica di Obama, contro una persona dell’establishment politico storico degli USA.
C’è una caratteristica genetica degli americani: non perdonano chi mente. Non hanno perdonato Hillary né per questo né per essere stata sempre una donna fuori dal comune.

L'abbraccio tra Barack Obama e Hillary Clinton, candidata ufficialmente dal partito Democratico alla presidenza sul palco della convention del partito a Philadelphia, 27 luglio 2016 (AP Photo/Carolyn Kaster)
L’abbraccio tra Barack Obama e Hillary Clinton, candidata ufficialmente dal partito Democratico alla presidenza sul palco della convention del partito a Philadelphia, 27 luglio 2016
(AP Photo/Carolyn Kaster)

Perché questo è la Clinton, una donna cresciuta nel pieno del movimento femminista, indipendente nelle scelte e concreta nell’agire. La sua esperienza politica risale alla commissione di inchiesta del Watergate in cui era l’unica donna, insomma possiamo dire che la “cosa comune” è il suo pane quotidiano da sempre.
E’ vero in politica estera è stata spietata, probabilmente lo sarebbe stata anche nel caso in cui avesse vinto.
Molto meglio una donna così che un uomo che di politica conosce ben poco (vorrei segnalarvi il secondo dibattito tv di ottobre dove la Clinton ha dovuto ricordare a Trump che il presidente degli Stati Uniti ha il potere di veto) ed è stato appoggiato pubblicamente dalla maggioranza dei dittatori che ci sono ora al mondo.
Il fenomeno Trump avrebbe dovuto mettere tutti sull’attenti già da molto prima, il limite doveva essere la sua vittoria schiacciante come candidato repubblicano. L’episodio di “grab by the pussy”. La quantità di donne che lo hanno appoggiato nonostante il suo sessismo. Nessun candidato della storia sarebbe sopravvissuto agli scandali che hanno travolto Trump durante questa corsa alla Casa Bianca: insulti ai genitori di un soldato morto per la patria, l’evasione fiscale.
L’appeal di Donald è che parla alla pancia, alla metà dell’elettorato statunitense: scarsa educazione, età media e bianchi. Mettici insieme coloro che provano risentimento nei confronti della Clinton e il gioco è fatto.
Tutti gli elementi con i quali, fino ad ora, si erano analizzate le candidature da anni a questa parte si sono dimostrati inutili ed inesatti.

L’America, nel bene e nel male, aveva l’opportunità di eleggere una persona iper qualificata, che chiunque avrebbe invidiato. Un personaggio storico (perché questo sarà Hillary negli anni a venire) di quelli una volta ogni cent’anni.

Le conseguenze di questa elezione si fa sentire dalla prima mattina con la borsa asiatica che perde il 5,37%. L’economista e premio Nobel Paul Kraugman scrive sul NYT che non ci sarà mai un recupero dell’economia dopo questa elezione.

Per concludere cosa si palesa davanti a noi come conseguenza di queste votazioni? Che la popolazione è stata mossa dal rancore, soprattutto i bianchi degli stati centrali, che hanno fatto la vera differenza. L’Ohio storico swing state è stato addirittura un “flip state” cioè c’è stata una schiacciante vittoria di Trump.

Oggi è il 9 novembre, esattamente 27 anni fa un muro veniva abbattuto e ciò segnava un momento storico per l’Europa, dimostrando che la voglia di unità popolare era più forte di tutto.
La Clinton ha usato come slogan della sua campagna “Stronger together” , Trump nel suo discorso dopo la vittoria ha affermato che sarà il presidente di tutti (scelta astuta, ma la gente non ha memoria breve soprattutto per le offese) e ha aperto alla collaborazione internazionale con qualunque nazione.
Il mio auspicio, perché sono una instancabile speranzosa, è che creerà un governo misto, improbabile visto il personaggio che è il suo Vice (uno che vuole curare gli omosessuali con l’elettroshock, insomma torniamo all’USA degli anni 50/60) ma ci spererò fino al 20 gennaio.
Speriamo anche che la profezia dei Simpsons non si avveri (http://video.repubblica.it/dossier/elezioni-usa-2016/elezioni-usa-quando-i-simpson-predissero-nel-2000-l-elezione-di-trump/258567/258860 )

Da tutta questa storia ho riflettuto anche sulla nostra situazione nazionale, e mi sono quasi rinfrancata della presenza di Matteo Renzi in Italia.
Il mio auspicio è di non fare errori simili il 4 dicembre perché la differenza fra leader che parlano alla “pancia del popolo” è veramente labile e le conseguenze sono disastrose.
Accettiamo l’andamento della storia e guardiamo avanti. Oggi siamo tutti uniti da un unico sentimento di timore per il futuro ma la bellissima caratteristica dell’umanità è la capacità di rialzarsi dai momenti bui e porre un rimedio agli errori.

Con l’auspicio di non essere sembrata saccente.

Buona giornata a tutti.

Arianna De Arcangelis

REFERENDUM TRIVELLE. VINCONO GLI ASSENTEISTI E I SI’ MA NON C’E’ QUORUM, QUINDI NON SI AVRA’ NESSUN EFFETTO

 

piattaforma-petrolifera 

I dati sul referendum delle trivelle sono ormai certi e i risultati che riguardano la durata delle concessioni per le ricerche petrolifere non ha raggiunto il quorum (50%+1 degli aventi diritto al voto).

 

Il dato sull’affluenza per quanto riguarda gli 8000 comuni italiani al voto vede una percentuale di votanti che si attesta intorno al 32,15%, mentre la Sicilia si attesta al 28,40%.

 

Per quanto riguarda proprio la Sicilia, dati alla mano, ci indicano che Trapani è la città dove si è votato di più (33,30% di affluenza), seguita da Agrigento, Ragusa e Catania. A Palermo, dove ha votato anche il Presidente Mattarella, si è registrata una affluenza alle urne pari al 7,54% seguita da Siracusa con il 26,98%. Caltanissetta con il 22,50% si conferma la provincia dove si è votato meno e infine Gela che è il comune dove l’astensione è stata praticamente la regola.

 

Nella Città dello Stretto, dove ha votato il 24,4% delle persone aventi diritto, sono stati registrati percentuali per il “SI’” pari al 91,37% mentre i “NO” si sono attestati intorno all’ 8,63%.

 

I risultati del referendum cosiddetto “sulle trivelle” sono arrivati a partire dalle 23 della giornata di ieri per poi diventare più certi nel corso della notte. Il quorum del 50%+1 non essendo stato raggiunto fa sì che il referendum non avrà valore sul tema su cui era stato convocato.

 

Tanta fino all’ultimo la confusione delle persone sulle modalità di voto. Tale referendum era stato convocato per decidere se abrogare o meno la parte di una legge che permette, a chi ha ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa, di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.

 

Sul non raggiungimento del quorum ha giocato una cospicua indifferenza di molti italiani non solo al tema, ma anche allo stesso uso dello strumento del referendum rispetto a scelte giudicate troppo tecniche e limitate.

 

Per questa ragione molti sostenitori del “no”, ovvero coloro che erano a favore del mantenimento della norma, avevano puntato più sulla questione assenteismo che sulla ragione del voto contrario, cercando di incentivare il mancato raggiungimento del quorum necessario affinchè il risultato del referendum fosse considerato valido. Alla fine, sono questi che hanno vinto.

Pietro Genovese