Calabria. Un altro triste episodio nella scena politica

Arrestato il presidente del Consiglio regionale

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Si chiama Domenico Tallini, 68 anni, il presidente del Consiglio regionale della Calabria, che ora si trova ai domiciliari con l’accusa di aver dato supporto alla cosca “Grande Aracri“, nel suo progetto di reimpiego di proventi illeciti, attraverso la costruzione di una società avente lo scopo di distribuire prodotti medicinali mediante farmacie e parafarmacie.

In cambio, l’esponente di Forza Italia avrebbe ricevuto appoggio elettorale da parte della cosca, per elezioni regionale del 2014.

Da Tallini contributo concreto ad associazione

L’indagine che portato all’arresto di Tallini riguarda i suoi presunti rapporti con la cosca calabrese. I fatti risalgono al 2014, quando, secondo il Pubblico Ministero, il presidente avrebbe agevolato la cosca per l’avvio di alcune attività, finite al centro dell’inchiesta “Farma Business”. In cambio, avrebbe ricevuto sostegno dal gruppo criminale per le elezioni regionali di quel novembre.

“Il presidente del consiglio regionale della Calabria è attualmente accusato di scambio elettorale politico-mafioso. L’articolo 416 ter. c.p. , recita che: Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni.”

Concorso esterno in associazione mafiosa, scambio elettorale politico mafioso.

Due le attività investigative, condotte dai carabinieri di Catanzaro e Crotone, dirette e coordinate dal procuratore Nicola Gratteri, dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dai sostituti procuratori Paolo Sirleo e Domenico Guarascio. Le indagini hanno riguardato l’operatività della cosca della ‘ndrangheta, “Grande Aracri” di Cutro, nell’area di origine e nel catanzarese.

Concorso esterno in associazione mafiosa, scambio elettorale politico mafioso sono i reati di cui viene accusato Tallini. Secondo quanto riporta l’ordinanza, durante la sua carica di assessore regionale, interveniva «presso gli uffici pubblici» per «agevolare e accelerare l’iter burocratico per il rilascio di necessarie autorizzazioni nella realizzazione del Consorzio FarmaItalia e della societàFarmaeko Srl“, che prevedeva la distribuzione di medicinali da banco», promuovendo anche «la nomina del responsabile del relativo ambito amministrativo regionale» e inducendo «i soggetti preposti a rilasciare la necessaria documentazione amministrativa e certificazione».

Compare nell’ordinanza di 357 pagine, il nome di un tale Domenico Scozzafava, “grande elettore di Tallini”, il quale si sarebbe speso notevolmente per eliminare ogni ostacolo burocratico-amministrativo per la nascita di una compagine imprenditoriale. Tallini, inoltre, avrebbe imposto l’assunzione e l’ingresso, quale consigliere, del proprio figlio Giuseppe, così da contribuire all’evoluzione dell’attività del Consorzio farmaceutico, fornendo il suo contributo, nonché le sue competenze e le sue conoscenze anche nel procacciamento di farmacie da consorziare. Gli atti dimostrano che Tallini era ben consapevole di prestare un rilevante contributo all’associazione criminale e che il ritorno elettorale da alcuni luoghi in cui la cosca ha potere, era dovuto alla possibilità di intimidazione che la stessa indubbiamente ivi detiene.

Il reato di corruzione elettorale, di cui Tallini è complice, da tempo, macchia le dinamiche elettorali di varie regioni d’Italia. Trattandosi di figure delittuose postula che, laddove gli accordi intercorsi tra il candidato e il sodalizio criminoso travalichino l’ambito strettamente proprio della competizione elettorale, occorrerà operare dei distinguo.

Invece, i reati contestati alle altre 18 persone finite al centro dell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, secondo le indagini condotte dal Gip sono: impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, detenzione illegale di armi, trasferimento fraudolento di valori, tentata estorsione, ricettazione e violenza o minaccia a un pubblico ufficiale. A eseguire gli arresti tra le provincie di Crotone, Catanzaro e Roma, questa mattina all’alba, sono stati i carabinieri del Comando provinciale di Crotone.

 

(fonte: corriere.it)

La carriera politica fino all’ “impresentabilità”

Nato a Catanzaro, nel gennaio 1952, sposato con figli, perito elettronico ed ex dipendente Enel, era alla sua quarta legislatura, l’ultima, la più importante, come presidente del Consiglio regionale della Calabria. Eletto nel marzo 2020, nella circoscrizionale Calabria centro con la lista di Forza Italia, con oltre 8mila preferenze. In carica fino all’ultima seduta del Consiglio, sciolto poi per la prematura scomparsa della Presidente Jole Santelli, lo scorso 10 novembre. Era soprannominato, proprio per il gran numero di voti ricevuti durante tutta la sua carriera politica, “Mister Preferenze”. Coordinatore di Forza Italia nella provincia di Catanzaro, è un politico di lungo corso. La sua carriera è iniziata tra le fila del Movimento Sociale. A Catanzaro è stato consigliere comunale tra il 1981 e il 2017 e, inoltre, assessore comunale allo Sport e agli Affari Generali. Uno dei fondatori del movimento “Calabria Libera” nel 1990 e del Polo Civico, poi nel 1994 del “Movimento civico per il Sud”. Nel ’99 l’esperienza da assessore alla Provincia e poi come consigliere regionale, per la prima volta, nel 2005 con l’Udeur. Si era candidato alle elezioni regionali del 2000 e del 2014, nella circoscrizione Calabria centro, con Forza Italia, ma nel 2010 con il PDL.  Ha ricoperto la carica di vicepresidente della IV Commissione consiliare “Assetto, Utilizzazione del territorio e Protezione dell’ambiente”. Nelle politiche del 2018, era capolista per Forza Italia nel collegio uninominale di Catanzaro. Non venne eletto e, due anni più tardi, si ripresenta alle regionali del 2020 sostenendo la candidatura a governatore della Santelli. La Commissione Parlamentare Antimafia lo indicò come “impresentabile, ma nonostante ciò vinse le elezioni. Il centrodestra non prese le distanze, anzi l’ha scelto persino come guida di Palazzo Campanella.

 

 

Maria Cotugno

Rita Bonaccurso

Pillola rossa o pillola blu?

Giugno 2020, ci muoviamo sicuri su un palcoscenico post-apocalittico.

Fieri e soddisfatti per la libertà restituita, camminiamo sorridenti sul cumulo di macerie lasciato dalle esplosioni della Covid-19, dallo Stato di Polizia e da un preannunciato crollo dell’economia occidentale.

La tempesta perfetta ci è scivolata addosso.

Tout est pardonné”, parafrasando la famosa frase di Charlie Hebdo: dopo aver vissuto il peggio possiamo sopportare tutto.

Abbiamo perdonato le scelte di governo, abbiamo accettato i presidi fissi di polizia, abbiamo accettato di vivere così, come si può.

Le epidemie globali potrebbero essere il sogno dello Stato autoritario, certo, vi invito però a non sottovalutare la potenza della rassegnazione.

La polarizzazione tra governanti e governati sta toccando vette mai raggiunte, ringrazia i cittadini per aver posato le spade e, come un padrone magnanimo, dispensa consigli dal retrogusto di imposizioni.

Come tutti, sono rimasto molto colpito dalla tragedia di George Floyd; ma l’elemento d’interesse della mia riflessione non è stata l’efferatezza del crimine, quanto la reazione popolare. Per giorni abbiamo sentito (e ahimè, commentato) le rivolte popolari avvenute in svariate città degli USA. Che si difenda il diritto della vittima o l’autoritas della divisa non si può negare la risposta dei cittadini.

Le violenze, i roghi, le morti, hanno distolto il nostro sguardo da un evento che ha un’enorme rilevanza: giuste o sbagliate, quelle azioni hanno portato a qualcosa.

Stop alla stretta al collo, tagli netti ai fondi delle forze dell’ordine e demilitarizzazione dei centri urbani: sono alcuni dei topic (in parte già votati dal Consiglio di Minneapolis) che in modo indiretto rimettono in discussione il valore della libertà.

Il dibattito diventa molto interessante se confrontato alla political agenda italiana.

Il bel paese risponde ai problemi con la vecchia formula proibizionismo–repressione, un mantra che implicitamente mette in mostra tutta l’incapacità della classe governante. “Non sono capace di risolvere, quindi vieto” è il succo dei vari provvedimenti emanati negli ultimi giorni.

Su questo trend il Sindaco della città di Messina firma (di nuovo) l’ordinanza “coprifuoco” che costringe ancora una volta i cittadini a vivere come “consigliato”.

Questa volta il capro espiatorio sono i “temibili” ubriachi, mostri mitologici mezzi uomo e mezzi degrado urbano, combattuti dalle eroiche forze dell’ordine.

Il rintocco dell’1.30 guida la carica delle forze di polizia che, a sirene spiegate, volano per la città in cerca dei malviventi della fase 3: gli imprenditori della notte.

Intimano la chiusura e invitano gli avventori (questi reietti) a tornare a casa ripristinando l’ordine ed il sacro silenzio della notte, sinfonia della vittoria del potente.

La libertà è un diritto ottriato, è tua ma ringrazia per il regalo. Esercitala come si deve – come dico io – altrimenti te la toglieremo, dimostra di essere degno.

14 Maggio 1932, “We want beer parade”

Che sia un pensiero di Destra o di Sinistra poco importa, ciò che conta è la svalutazione dell’essere umano considerato incapace di vivere e scegliere per sé.

I più colpiti sono senza dubbio gli under 30, quella fetta di popolazione considerata dai governatori un peso, una massa informe da controllare a vista. Quelli che vivono una situazione economicamente penosa, le cui famiglie vivono nel settimo paese più tassato al mondo (2019), le cui prospettive di vita sono state fortemente minate da scelte di governo poco oculate. Quelli a cui hanno già tolto il diritto di sognare, quelli a cui stanno togliendo il diritto di divertirsi.

La reazione popolare americana ci insegna che possiamo aprire un dibattito esprimendo il nostro malcontento. Anche chinare il capo di fronte alla negazione del diritto dell’utenza alla città è un male per la democrazia.

Potrebbe sembrare un invito all’anarchia, in realtà non c’è cosa più distante dal mio discorso. Quello che preoccupa è la cieca obbedienza, la rassegnazione e il silenzio della minoranza. Il senso di impotenza a cui sono state condannate quelle generazioni che dovrebbero lanciarsi nel mondo del lavoro e porre rimedio agli errori fatti nel corso degli anni da chi, oggi, sostiene ancora di avere la formula magica per la ripresa della nazione.

Come sempre, anche oggi, ci troviamo di fronte un bivio. Possiamo decidere di percorrere la strada dell’abnegazione o possiamo legittimarci nel tentativo disperato di rimettere la situazione in equilibrio, ritrovando interesse nella politica e nel dibattito per dare un’ultima chance al nostro paese.

Se così non sarà inevitabilmente continueremo a scegliere l’opzione “exit”, andremo via, lavoreremo fuori lontano dalle nostre origini per tornarci poche settimane d’estate. Soffriremo, feriti da un paese che non ci ha mai voluto, ma alla lunga soffrirà più la povera Italia la nostra mancanza.

Davide Pedelì

Intervista ad Angela Bottari: l’ex deputata messinese che contribuì a cambiare l’Italia

Qualche giorno fa, abbiamo avuto l’onore, da redazione di cultura locale, di discutere delle tematiche delle quali si è occupata l‘ex deputata messinese Angela Maria Bottari, tra il 1976 e il 1987, nelle fila del Partito Comunista. Piuttosto che descrivere la sua biografia, abbiamo preferito parlare direttamente con Angela, che è stata disponibilissima a rispondere a tutte le nostre domande e curiosità. Ne è venuto fuori un dibattito che ha toccato tutti i punti salienti della sua esperienza parlamentare: dalla rivoluzionaria legge sulla violenza sessuale, alle battaglie per i diritti delle donne e dei minori, fino all’introduzione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Vi riportiamo i tantissimi spunti di riflessione che questa grande personalità messinese ci ha offerto nel corso della nostra chiacchierata via web.

Angela Maria Bottari, deputata dal 1976 al 1987 – Fonte: legislature.camera.it

Mario: Tra i tanti suoi contributi quello più celebre riguarda il reato di violenza sessuale. Abbiamo notato un cambio di passo decisivo a cavallo tra VII-VIII legislatura e IX, con la scelta rivoluzionaria di includere il reato di violenza sessuale nel titolo che punisce i delitti contro la persona. Quali sono state le motivazioni che hanno portato a questa scelta?

Vi dico subito: sarei stata convinta fin dal primo momento di presentare una proposta di legge che già trasferiva nei delitti contro la persona la violenza sessuale, eliminandola dal titolo riguardante la morale pubblica e il buon costume. Ma nel mio partito si riteneva che un cambiamento di rottura portasse all’irrigidimento della Democrazia Cristiana, allora partito di maggioranza. Avevano ragione, tant’è che la legge si bloccò. Ma la proposta di legge era ormai delineata e non mi potevo tirare indietro: c’era stato un movimento di donne, di operatori del diritto, perché questa era una legge che – seppur non approvata – faceva sì che il Paese modificasse la percezione della violenza sulle donne. Le leggi o nascono da un forte dibattito all’interno del Paese oppure sono elemento di cambiamento della società, questa fece entrambe le cose. Quando nel 1983, da relatrice, capii che la proposta di legge non sarebbe passata con questa modifica radicale, mi dimisi e bloccai l’iter della legge, della quale io stessa fui prima firmataria.

Emanuele: Confrontando la sua proposta con la legge in materia analoga del ’96, attualmente in vigore, ci è sembrato che i due testi coincidano in moltissimi punti: anche se, come ha raccontato, i tempi non erano maturi per questo cambiamento, quest’ultimo si è comunque realizzato diversi anni dopo ed il suo contributo è stato determinante.

La legge approvata nel ’96 è molto simile all’ultimo progetto di legge della quale fui presentatrice. Tutta la mia battaglia verteva intorno all’unificazione dei reati, cioè la congiunzione carnale (il cosiddetto “stupro violento”) e gli atti di libidine violenti (quegli atti sessuali in cui non avviene il congiungimento carnale) in un unico reato, ossia quello di violenza sessuale. In verità, nella legge del ’96 c’è un punto che non considero positivo: questa introduce un elemento che ci fa ricascare in quel dualismo, perché afferma che la pena è diminuita quando il reato è di lieve entità. Nella violenza sessuale non ci può essere un reato di maggiore entità o di lieve entità; era questo che ci aveva spinto ad unificare i due reati. L’aver introdotto una gradualità nella violenza sessuale è stato un piccolo passo indietro e ad oggi scopriamo che nelle aule di tribunale fornisce alibi ai difensori dei violentatori. Insomma, questo passaggio “fa rientrare dalla finestra quello che abbiamo buttato via dalla porta”.

Volantino di un movimento delle donne sulla violenza sessuale (anni ’80) – Fonte: herstory.it

 

Cristina: Lei ha collaborato alla stesura di altre leggi, in particolare quelle riguardanti l’emancipazione femminile. Qual è stato l’atteggiamento delle altre deputate? C’è stata una collaborazione trasversale?

Ci sono state delle leggi, come la legge per l’interruzione di gravidanza, in cui l’impegno è stato corale, da parte di uomini e di donne. La legge sull’aborto è stata denominata “sull’interruzione di gravidanza e per la tutela della maternità” per non urtare la sensibilità di un Paese come il nostro abbastanza complesso. Questa legge ha coinvolto non solo la commissione giustizia di cui facevo parte (l’aborto, per chi lo praticava e per chi lo subiva, prima era punito dal codice penale) ma anche la commissione sanità, per ovvi motivi, e la commissione affari costituzionali, poiché riguardava il grande dibattito – sul quale ci confrontiamo ancora oggi – su quando comincia la vita. Ma vorrei porre alla vostra attenzione una contraddizione: la legge sull’aborto è una legge che avrebbe dovuto avere più difficoltà nell’essere approvata rispetto a quella sulla violenza sessuale. Però, paradossalmente, venne approvata (anche se poi fu sottoposta a referendum) in tempi più rapidi: probabilmente perché affermava una pratica largamente diffusa ed accettata, che coinvolgeva un ingente numero di donne. Questo lo dico come elemento di riflessione: evidentemente ci sono leggi che vengono considerate più destabilizzanti di altre in quanto alterano rapporti di potere consolidati tra uomo e donna, come appunto quella sulla violenza sessuale.

Camera dei Deputati (anni ’80) – Fonte: storia.camera.it

E: Mi piacerebbe parlare anche della legge Rognoni-La Torre del 1982, che introdusse la fattispecie di reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (articolo 416 bis del codice penale). Qual è la proposta di legge della quale è più orgogliosa? Potrebbe essere proprio questa?

Mi fai una domanda molto complicata. Di questa legge non solo sono stata firmataria, ma sono stata anche nel comitato ristretto che se ne è occupato. La legge Rognoni-La Torre fu approvata dopo l’uccisione dell’on. Pio La Torre, grande protagonista della stessa. Se dovessi dire – da siciliana – sul terreno emozionale quale ho apprezzato di più, la legge Rognoni-La Torre mi coinvolge molto per il lavoro che feci nel comitato ristretto, per gli effetti positivi che poi ha avuto nel Paese per combattere la criminalità organizzata e perché per essa Pio La Torre aveva sacrificato la sua vita.

Pio La Torre, deputato dal 1972 al 30 aprile 1982, giorno del suo assassinio ad opera di Cosa Nostra – Fonte: remocontro.it

Poichè dal mio gruppo parlamentare mi è stato richiesto di occuparmi dei diritti delle donne, però, è chiaro che tutti i progetti di legge inerenti mi hanno coinvolta maggiormente. La legge sulla violenza sessuale si intreccia con la mia vita, anche se è state approvata quando ormai non ero più in Parlamento. Molte parlamentari si impegnarono raggiungendo un’unità d’intenti tra schieramenti politici completamente opposti. Ricordo che nel 1996, dopo l’approvazione della legge, mi chiamarono, e il venerdì di Repubblica ci dedicò una copertina: a me che ero considerata la “mamma della legge”, e alle on. Finocchiaro e Mussolini, protagoniste dell’approvazione. Tre donne raffigurate con le mani incrociate: rimarrà un ricordo indelebile. Però, anche altre due leggi furono importanti per me. La prima è quella sulle transessuali, che consentiva il cambiamento di sesso. Mi rese molto felice che una minoranza potesse avere il diritto di ritrovare anche nel corpo la propria identità. Sono stata protagonista anche della riforma della legge sulle adozioni dei minori, che trovai rivoluzionaria: ci fu un vero e proprio ribaltamento della prospettiva legislativa. Si passò dal desiderio di coloro che non avevano figli di diventare genitori, a mettere al centro il bambino e il suo diritto di avere una famiglia. Devo dire che ci sono state delle leggi (sulla tutela delle donne lavoratrici, tutela della maternità, legge di parità) che hanno avuto un iter più facile, perché evidentemente toccavano temi che tutte le donne presenti in parlamento, al di là del loro modo di pensare e schieramento politico, ritenevano giusti. Talvolta su questi temi invece abbiamo dovuto fare battaglie nei confronti dei colleghi uomini, perché dire che si hanno gli stessi diritti e doveri nel lavoro spesso fa venir meno qualche privilegio.

Tina Anselmi, storica figura della Democrazia Cristina, fu un chiaro esempio di come anche forze politiche diverse possono lottare per interessi comuni. Fonte: La Stampa.
Tina Anselmi, storica figura della Democrazia Cristiana, fu un chiaro esempio di come anche forze politiche diverse possono lottare per interessi comuni – Fonte: La Stampa

 

Salvatore: Da recenti statistiche, l’Italia risulta essere un Paese in cui la donna viene concepita ancora come una figura ancorata al passato. Mentre in altri paesi europei oggi la situazione appare sensibilmente diversa. Secondo lei quali sono i fattori che portano l’Italia a rimanere ancora un paese conservatore sulle questioni di genere? E quali sono le modifiche culturali e politiche delle quali necessitiamo?

Indagine riportata dal Corriere della Sera – Fonte: Ipsos indagine per il Laboratorio Futuro

 

Ritengo che 50 anni fa un’indagine di questa natura avrebbe fatto emergere un’arretratezza maggiore. I paesi del nord Europa hanno sviluppato una positiva politica di genere anche in virtù di una cosa: le norme antidiscriminatorie (nessun sesso in quei paesi poteva superare il 60% nelle istituzioni) che hanno dato risultati eclatanti. Queste norme hanno salvaguardato le donne e consentito che potessero mostrare – nell’esercizio effettivo del potere decisionale – tutte le proprie capacità, come avevano fatto gli uomini. Andando oltre questo primo dato, io di solito dico una frase: spesso le donne sono le nemiche delle donne. Non considerare le norme antidiscriminatorie una risorsa per arrivare a una democrazia effettiva in Italia è un errore gravissimo da parte loro, in quanto impedisce di cambiare gli stereotipi della società. Quando saremo al 50% nei luoghi in cui si esercita il potere, allora potremo dire che non abbiamo più bisogno delle norme antidiscriminatorie; fino a quel momento dobbiamo non solo volerle ma favorirle. Inoltre, spesso si sviluppa tra donne un atteggiamento ostile nei confronti di quelle che conquistano posizioni di leadership, quando invece bisognerebbe fare rete unendosi. Andiamo all’ultimo punto: l’Italia è un paese cresciuto in una cultura cattolica, non sempre avanzata. Sì, la Chiesa ha sempre parlato della dignità della donna, del rispetto che l’uomo deve darle, in quanto madre e come perno della vita familiare. Oggi non è più così nella Chiesa: si afferma una visione della donna più dinamica ed aderente alla realtà, anche grazie al Papa attuale, che sulle donne dice cose notevolissime che dovremmo, credenti e non credenti, ascoltare. La religione, anche quando non praticata, nella formazione ha delle conseguenze.

Tuttavia, credo che la più grande rivoluzione del ‘900 sia la rivoluzione femminile perché ha portato a una modifica reale della percezione della vita e del mondo. La mia generazione pensava che eravamo arrivate, che avevamo conquistato tutto; e ci siamo sedute. Oggi le nuove generazioni devono comprendere che non bisogna mai sedersi, ma essere vigili e continuare. Nessuna conquista avviene una volta per tutte, la devi sempre difendere: e al primo campanello d’allarme devi reagire, perché altrimenti ci sarà l’involuzione.

M: In un momento come questo, soprattutto tra i giovani, è diffuso un sentimento di sfiducia nei confronti della politica. Secondo lei come sarebbe possibile rivalorizzare questa nobile ed indispensabile arte?

Innanzitutto la politica negli anni non ha sempre dato buona prova di sé creando una disaffezione dei giovani nei suoi confronti. È cambiato il contesto nel quale tanti giovani, hanno lottato in passato: tante generazioni si sono formate nelle battaglie internazionali; anche adesso accadono altri fatti drammatici (ad esempio in Medio Oriente), però negli anni la politica ha trascurato spesso queste tematiche, così come ha avuto disattenzione verso la scuola che è invece fondamentale nel rapporto società-giovani. Si è affermata una società consumistica, con poca attenzione all’ambientalismo, tema che solo recentemente è tornato a galla. Abbiamo educato giovani generazioni male, in qualche modo perché ci siamo diseducati anche noi. La politica dovrebbe recuperare nuovamente il proprio ruolo: contribuire a far crescere la società e dare buon esempio. Voglio lanciare un messaggio: credo che bisognerebbe andare verso un’alleanza tra giovani generazioni, periodo momentaneo della vita, e il genere,le donne, caratteristica permanente. Sarebbe opportuno che la condizione di difficoltà affrontata dalle donne – ricollegabile a tutte le questioni di genere – fosse affrontata dalle nuove generazioni, un’alleanza tra queste due realtà conseguirebbe ottimi risultati. Certo, i tempi sono cambiati. Ma i protagonisti non possiamo essere noi, dobbiamo fare qualche passo indietro e far venir fuori il potenziale dei giovani, perché solo così cambieremo la società. Mi viene in mente l’inizio della mia esperienza: ricordo che quando mossi i primi passi in politica, da studentessa universitaria, capii che noi studenti avevamo grandi potenzialità se stavamo uniti. Quando fui eletta parlamentare (1976) ci fu un’ondata di giovani donne (passammo al 16%) in un parlamento maschile, un elemento di rottura. Ma il primo anno non fu affatto facile: ho dovuto studiare il doppio degli altri, avevo studiato lettere e feci parte della commissione giustizia per occuparmi di diritti. Non so come i deputati oggi facciano il loro lavoro, ma posso dire che per me è stata un’esperienza pesante. Alla terza legislatura, quando ho ritenuto di avere completato la mia esperienza, ho chiesto di non fare più la parlamentare perché ormai lo sapevo fare, quindi potevo passare a fare altro. Ricordate: se non si studia si diventa praticoni della politica, non politici.

Manifestazione del movimento studentesco (Messina 1968) – Fonte: stampalibera.it

 

E: Quello che vedo spesso è che l’essere eletti come parlamentari viene visto come un punto di arrivo, non come un punto di inizio e di studio, tutto il contrario di quello che – giustamente – ha sottolineato.

Bisogna domandarsi sempre perché si fa politica: fai politica perché ti piace, ma anche perché vuoi contribuire a modificare in meglio le condizioni di vita delle persone. Non puoi fare politica pensando che tutto inizi con te e finisca con te: puoi avere le tue soddisfazioni, ma sapendo che le tue ambizioni devono comunque collocarsi in una cornice molto più ampia, devono coincidere con interessi generali, non solo con i tuoi. Concludo con una nota sull’associazionismo: è questa la nuova forma di fare politica, avvicina i giovani ad essa.

E:Abbiamo notato che nelle task force (nazionali e regionali) solo il 20% è composto da donne; nel comitato tecnico-scientifico ci sono solo uomini. Cosa ne pensa?

Non è concepibile che nel mondo della ricerca le figure femminili – sebbene siano anche particolarmente presenti e preparate – vengono escluse sempre – o quasi – dai ruoli veramente importanti. Lo ritengo inconcepibile prima di tutto per la scienza, in secondo luogo per la democrazia e infine per una parità di diritti e di doveri. Persino delle scoperte delle donne parlano quasi ed esclusivamente gli uomini. Io credo che questi non siano fatti meramente formali: la forma è sostanza.

Concludo con una riflessione sulla scuola: abbiamo un personale docente non motivato, sottopagato, bisogna riqualificarlo e rimotivarlo. Sapete cosa mi auguro? Che essere stati chiusi in casa per tanto tempo, ci abbia dato modo di riflettere, per poter costruire una società migliore, ridisegnando i rapporti economici ed interpersonali: questa pandemia sta facendo venire fuori tutte le diseguaglianze. Ci sarà chi metterà forse per settimane di seguito la stessa mascherina chirurgica e chi ne avrà di tutti i tipi, chi può sostenere la didattica online e chi non ha nemmeno un computer in casa. Se cogliamo l’occasione che fa emergere queste contraddizioni per cambiare questo mondo – se dovessimo riuscire a cambiarlo – forse saremo tutti più felici.

Emanuele Chiara, Cristina Lucà, Salvatore Nucera, Mario Antonio Spiritosanto

Immagine di copertina: LetteraEmme

Addio a Luis Sepúlveda, lo scrittore che ci insegnò a volare

Ha perso l’ultima delle sue innumerevoli battaglie l’instancabile scrittore Luis Sepúlveda, stroncato oggi all’età di 70 anni dal Covid-19 nell’ospedale di Oviedo in cui era ricoverato ormai dal 25 febbraio.

Chi era Sepúlveda?

  “Vola solo chi osa farlo”

Luis Sepúlveda. Fonte: Open

Non solo grande romanziere, ma anche giornalista, sceneggiatore e regista teatrale, nonché attivista, Sepúlveda nasce ad Ovalle in Cile nel 1949 e la sua infanzia è già segnata da due grandi passioni che lo accompagneranno per il resto della vita: la letteratura e la politica. Cresce infatti col nonno e lo zio, che non solo erano anarchici ma avvicinarono anche il piccolo Luis alle opere di grandi della letteratura come Cervantes, Salgari, Conrad e Melville. Già a quindici anni lo scrittore manifesta le sue passioni: entra a far parte della Gioventù Comunista e compone poesie e racconti per il giornale scolastico.

Nonostante il grande amore per il proprio Paese manifestato anche attivamente a fianco di Salvador Allende, Sepúlveda sarà presto costretto a lasciare il Cile, in quanto dissidente politico, durante la dittatura di Pinochet.

La critica al regime era infatti un tema fondamentale dei suoi spettacoli teatrali. Ciò non gli impedirà di continuare a combattere per moltissime cause anche al di fuori dalla sua patria: basti pensare all’impegno nella rivoluzione del ‘78 in Nicaragua e ultimo – e non meno
importante – quello a bordo di una nave di Greenpeace nel corso degli anni ’80. Non a caso la causa ecologista ispirerà l’opera per cui è più caro ai suoi lettori: “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.”

Dentro due storie dello scrittore

Diario di un killer sentimentale                                                                                                                                  

“Il volto umano non mente mai: è l’unica cartina che segna tutti i territori in cui abbiamo vissuto.”

Diario di un killer sentimentale: copertina. Fonte: kobo.com

Un volto, quello del protagonista di questo breve ma intenso romanzo di Sepúlveda, che non si svela mai fino in fondo se non in originali dialoghi a tu per tu con l’uomo dello specchio. Un volto che non si confessa nemmeno in un’opera composta appunto come un diario, un dramma schietto scandito in sette giorni, quanti sono quelli della settimana.

Sepúlveda scrive quest’opera con irriverenza e maestria, ma non lascia mai rivelare al protagonista il suo nome pur lasciandoci nel titolo un indizio: egli è un killer, uno spietato esecutore di morte, un “assassino free-lance”, assoldato all’occasione per eliminare personaggi che nemmeno conosce. Il codice di un tale professionista ha determinate regole: non lasciare mai tracce e vivere in totale solitudine.

Quale peggiore errore, allora, se non innamorarsi?
L’incontro con una “gran figa francese” e la successiva rottura daranno il via a un’escalation di crolli psicologici e fatali errori, proprio mentre il nostro protagonista deve portare a termine il suo più difficile “incarico”: uccidere un noto filantropo. E in questo gioco di dadi alla cieca, il destino tirerà il suo colpo finale. Chi è veramente l’uomo da eliminare?

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare

“Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice,
e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli,
perché sarà l’affetto tra esseri completamente diversi.”

 

Scena tratta dal film d’animazione “La gabbianella e il gatto”.                                          Fonte: gingergeneration.it

Un altro libro molto famoso del nostro scrittore racconta la storia di un gatto e una gabbianella.

Chi non ha letto il libro o visto il film?

Chi non si è emozionato quando la gabbianella ha spiccato il volo verso il cielo?

Il romanzo è stato pubblicato nel 1996 ed è ambientato ad Amburgo, città della Germania situata sulle sponde del fiume Elba. Dal libro è stato tratto appunto un film d’animazione intitolato “La gabbianella e il gatto” diretto da Enzo D’Alò. Lo stesso Luis Sepùlveda partecipò al doppiaggio, interpretando il poeta. La storia racconta di un gatto di nome Zorba che un giorno nel giardino della sua casa incontra una gabbiana di nome Kengah, sfuggita da una macchia di petrolio che aveva avvelenato il mare; ma con sé lo sfortunato volatile porta al nostro Zorba una sorpresa: un uovo pronto a schiudersi, del quale la futura mamma non potrà occuparsi e fa promettere a Zorba di prendersene cura.

“Prometti che non mangerai l’uovo» stridette aprendo gli occhi. «Prometto che non mi mangerò
l’uovo» ripetè Zorba. «Promettimi che ne avrai cura finché non sarà nato il piccolo» stridette
sollevando il capo. «Prometto che avrò cura dell’uovo finché non sarà nato il piccolo». «E prometti
che gli insegnerai a volare» stridette guardando fisso negli occhi il gatto. Allora Zorba si rese conto
che quella sfortunata gabbiana non solo delirava, ma era completamente pazza. «Prometto che gli
insegnerò a volare»”.

Zorba manterrà le promesse e chiamerà la gabbianella “Fortunata”, ma non sarà solo in questa avventura: ad accompagnarlo nell’ardua impresa ci saranno anche i suoi amici gatti. Ma Zorba – in quanto “madre adottiva”- farà di tutto per la sua gabbianella e le insegnerà a volare. Tuttavia, sarà anche Fortunata ad aiutare il nostro gatto: gli insegnerà che non esistono disuguaglianze e che tutti siamo capaci di volare se lo vogliamo.

“«Ora volerai» miagolò Zorba. «Ti voglio bene. Sei un gatto molto buono»
stridette Fortunata avvicinandosi al bordo della balaustra- «Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo»
miagolò Zorba”

Gli insegnamenti di Sepúlveda

“Le mie storie hanno spesso la forma della favola, è un genere che mi consente di creare dei
personaggi soprattutto animali in grado di trasmettere dei valori come la giustizia, la fratellanza, la
solidarietà.” 

Luis Sepúlveda: ritratto. Fonte: tpi.it

Considerato come un vero e proprio guerriero, Luis Sepúlveda ha dato un contributo non solo alla letteratura ma acnhe alle lotte politiche ed ambientalistiche. Con i suoi libri e il suo vissuto ci insegna che niente è perduto, che non dobbiamo mai abbassare la testa davanti a qualcuno o qualcosa, siamo noi ad avere in mano la nostra vita. Si è liberi anche con le catene addosso!

“Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” è un altro dei libri più famosi dello scrittore ed è dedicato a Chico Mendes, un sindacalista
brasiliano vittima dei latifondisti impegnati alla deforestazione dell’Amazzonia. Il libro ci insegna che l’uomo è un essere vanitoso e che pensa solo al guadagno: non si sofferma a pensare al futuro, non si chiede che cosa stia sbagliano ma continua ad andare avanti distruggendo tutto ciò che gli viene incontro.

Ecco perché Luis Sepúlveda è considerato un guerriero!                                                         

Come Zorba, anche il nostro scrittore ci ha insegnato a volare e ci ha fatto capire che siamo noi a dover rendere migliore questo mondo. Ci ha fatto comprendere che la disuguaglianza esiste perché siamo noi a crearla.

Sepúlveda è stato sconfitto dalla pandemia: ma le sue opere ci hanno lasciato il ricordo di un uomo che ha sempre combattuto per difendere i propri ideali, senza mai arrendersi.

“La libertà è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla.”

 

Alessia Orsa, Angelica Rocca

Sanità pubblica al collasso: occorreva il coronavirus per farcelo capire?

Per il nostro sistema sanitario nazionale è guerra. Una guerra iniziata prima ancora dell’emergenza Coronavirus, non fatta di armi e trincee, ma di tagli al personale e investimenti inadeguati. Traducendo la situazione in numeri: carenza di oltre 50 mila infermieri negli ospedali e nel territorio; deficit di 16700 medici specialisti previsto per il 2025, più di 2000 solo in Sicilia; meno di tre posti letto per mille abitanti in molte regioni d’Italia; infine, investimenti in ricerca e sviluppo al di sotto del 1,5% del PIL (la Francia ne investe il 2,2%, la Germania il 3%).

L’epidemia in corso ha rilanciato il dibattito politico e sociale sulle difficoltà della sanità pubblica in Italia. Ma la domanda sorge spontanea: era proprio necessaria un’emergenza di questo calibro per dare un po’ di rilevanza mediatica all’affanno del sistema sanitario?

Pronto soccorso chiuso
Fonte: AGI © Nicola Marfisi / AGF – Pronto Soccorso Codogno

Il sistema sanitario nazionale era in difficoltà prima ancora che ce lo facesse notare il Coronavirus

Che ci volessero mesi di attesa per una visita specialistica o un intervento in elezione in regime SSN lo si sapeva già da prima dell’epidemia. Nell’ultimo anno sono quasi 20 milioni gli Italiani che sono dovuti ricorrere alla sanità a pagamento dopo aver constatato i lunghi tempi d’attesa.

Si è orientati verso un modello privato, sull’esempio di altri Paesi che, se da un lato possono garantire una sanità di maggior qualità e una miglior retribuzione per gli operatori, dall’altro limitano le cure per chi non può permettersele. In questo senso in Italia si accende un campanello d’allarme: secondo una recente stima dell’ISTAT 4 milioni di italiani rinunciano a curarsi per ragioni economiche; altri due milioni per ragioni di tempo, in relazione alle liste d’attesa.

Che nella sanità pubblica le risorse umane fossero sottodimensionate per gestire la domanda da parte della seconda popolazione per aspettativa di vita in Europa era ben chiaro. L’incremento dell’età della popolazione si associa ad un aumento dei pazienti cronici ed ospedalizzati. Ogni infermiere dovrebbe assistere al massimo 6 pazienti: un aumento si associa ad un maggior rischio di mortalità per il paziente e di burnout per l’operatore. In media in Italia gli infermieri assistono 11 pazienti; in Sicilia questo numero sale a 12 e in altre regioni fino a 17.

Aspettativa di vita in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da banca dati di Eurostat

L’imbuto formativo nega ai medici la possibilità di specializzarsi, nonostante la carenza

I neomedici, dopo i 6 anni di studio, devono specializzarsi. L’ingresso in scuola di specializzazione dipende da un concorso, che però non garantisce la formazione specialistica ad ogni laureato. Nel 2019 i candidati sono stati 17595, a fronte di 8905 posti disponibili. Ciò significa che quasi la metà dei candidati si è vista interrotta la carriera poco dopo la laurea, in attesa del concorso dell’anno successivo.

Si verifica inevitabilmente un accumulo di candidati di anno in anno, che si sommano ai neolaureati in continuo aumento. Al contempo diminuisce il numero degli specialisti a disposizione, e si riducono le prospettive lavorative nel nostro Paese. Dal 2010 al 2018 oltre 8800 medici hanno lasciato l’Italia per trovare un posto di lavoro in un altro Paese europeo, con la perdita dell’investimento economico che lo Stato ha fatto per formarli. Tutto ciò nonostante la grave carenza verso cui siamo proiettati, frutto di un Paese in cui la riduzione delle assunzioni e la carenza di giovani specialisti si traduce nella classe medica più vecchia d’Europa.

Italia nazione con maggior percentuale di medici over 55
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da Eurostat, riferito ad anno 2017

L’epidemia ha messo in evidenza tutte le carenze, frutto di anni di disinteresse politico

In questa fase la sanità è al centro dell’interesse mediatico. Vengono evidenziate le difficoltà e l’impegno di medici, infermieri e ricercatori in servizio ininterrotto da giorni o da settimane. Si parla degli ospedali e degli operatori messi in quarantena per due settimane, con la sola “colpa” di aver svolto il loro lavoro. Le misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza sono in prima pagina: si richiamano i medici in pensione, si anticipa la laurea degli studenti in scienze infermieristiche per dare manforte, si pensa di assumere nuovi medici a tempo determinato.

Era evidentemente necessario il Coronavirus per ricordare le difficoltà del nostro sistema sanitario nazionale e rendersi conto dell’importanza del medico di base e dei medici specialisti, dell‘assistenza infermieristica, dei servizi di laboratorio pubblici e di un posto letto in ospedale.

Tra le ultime notizie, quella critica dei reparti di terapia intensiva quasi saturi, e in tal senso si programma un aumento dei posti letto di malattie infettive, pneumologia e terapia intensiva. Forse se tra il 2000 e il 2017 non si fosse assistito a una riduzione dei posti letto pro capite del 30% la sanità avrebbe potuto ammortizzare meglio l’emergenza.

Il Coronavirus mette in luce due fenomeni del nostro paese: la resilienza e il populismo

La prima è una caratteristica che ha contraddistinto storicamente il nostro popolo in ogni emergenza. La resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Gli operatori sanitari confermano la qualità facendo miracoli: inventano aree di isolamento in strutture insufficienti, riciclano mascherine e dispositivi di protezione, portano avanti turni massacranti negli ospedali e nel territorio. Tutto ciò senza dimenticare gli altri pazienti che hanno bisogno di assistenza, i quali non possono certo farsi da parte per l’occasione.

Si cerca quindi di mettere le pezze laddove il populismo ha messo in secondo piano la sanità in favore della demagogia, con investimenti in iniziative politicamente più appetibili. L’Italia spende meno nei servizi sanitari rispetto a moltissimi altri Paesi europei, mantenendosi sotto la media europea, seppur nell’ultimo anno ci sia stato un aumento di circa 2 miliardi di euro, comunque non sufficienti.

Spesa sanitaria in Italia e in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da OCSE, riferito ad anno 2017

Il futuro è incerto

Gli scienziati non sono concordi nel prevedere le modalità di evoluzione dell’epidemia e i tempi di risoluzione della stessa. Nel momento in cui vi scriviamo, i positivi in Italia sono 3296 in continuo aumento. Ad ogni modo, indipendentemente dai tempi di risoluzione della malattia, una domanda è lecita: dimenticato il Coronavirus, dimenticheremo nuovamente il nostro sistema sanitario nazionale?

Antonino Micari

“L’opera degli ulivi”: anni di piombo, lotte politiche e faide ‘ndranghetiste

L’autore Santo Gioffrè e i relatori – ©FernandoCorinto, Aula Magna “L. Campagna”, 13 marzo 2019

È stato presentato presso l’Aula Magna “L. Campagna” del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, il volume L’opera degli ulivi, di Santo Gioffrè, medico, appassionato di documenti antichi e del mondo ellenico, scrittore di romanzi storici. Hanno moderato l’incontro i professori: Mario Pio Calogero, Luigi Chiara e Giovanni Moschella.

Introduce il discorso Mario Pio Calogero:

“Il libro narra la tragica storia di uno studente universitario calabrese, ambientata a Messina, nel nostro Ateneo ed in un paese della Calabria, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Un periodo caratterizzato da un forte binarismo di ideali, presente soprattutto tra i giovani: studio e impegno politico. Ideali che caratterizzano lo stesso protagonista, Enzo Capoferro. Un romanzo a forte carica ideologica, giustificatorio, se non esaltativo, in contrapposizione all’estremismo di destra, delle violenze rivoluzionarie della sinistra estrema nel ’68 universitario messinese. Il testo è una vera e propria incursione, lucida e asciutta, nei retroscena sommersi di un mondo velato della Messina degli anni di piombo. Ѐ la storia di una Calabria amara, quella ‘ndranghetista, fatta di riti, di convenzioni, di catene che legano i protagonisti ad una società fondata sul vincolo dell’onore e sul patto di sangue, segnata da un destino già scritto, a cui sembrerebbe impossibile sottrarsi. Ove nemmeno l’amore per Giulia, la sua amata, potrà salvarlo.”

In un’atmosfera intima e raccolta il pubblico è sembrato molto attento alle descrizioni illuminanti dei vari relatori.

L’autore, Santo Gioffrè, ha ringraziato i presenti, dimostrandosi soddisfatto per l’organizzazione dell’incontro ed ha fornito ulteriori dettagli della trama, anche di tipo autobiografico.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Brexit, Londra nel caos

A poco più di un mese dalla Brexit il quadro socio-politico sembra essere sempre più complicato.

In un ultimo disperato tentativo di salvare il divorzio Ue-Regno Unito, Theresa May ha inviato una nuova delegazione di negoziatori in Europa.

Il tutto mentre a Londra alcuni ministri hanno dato il via ad una vera e propria protesta per scongiurare l’ipotesi di una Brexit “no deal”, temuta dal Parlamento, dalla sterlina inglese e dal mercato immobiliare, come ha precisato la Bank of England.

D’altronde, a meno di due mesi dal 29 marzo, lo scenario di mancato accordo appare sempre più probabile.

I tempi stringono, tra qualche giorno infatti, si terrà l’attesa votazione sull’accordo Brexit, confermata dalla stessa Theresa May, che la scorsa settimana aveva chiesto più tempo ribadendo: “Se non sarà raggiunta prima un’intesa, farò una dichiarazione in Parlamento il 26 febbraio e il 27 si terrà il voto significativo sull’accordo”.

I membri del gabinetto che si oppongono a una separazione senza accordo affronteranno la May a viso aperto questa settimana.

I ministri, tra cui il segretario alle finanze Amber Rudd, il segretario agli affari Greg Clark e il segretario alla giustizia David Gauke, diranno alla premier che il Parlamento potrebbe costringerla a cercare un’estensione dei colloqui sulla Brexit con l’obiettivo di evitare danni economici imponenti.

L’opzione no deal potrebbe diventare uno stratagemma negoziale per spaventare l’Ue.

Per tentare di convincere l’Unione Europea ad avanzare nuove concessioni, col fine ultimo di salvare il suo accordo sulla Brexit, la May ha inviato in tutta Europa alcuni dei ministri più coinvolti nel processo di divorzio burocratico.

Il segretario degli affari esteri, Jeremy Hunt, volerà a Berlino, Bruxelles e Copenaghen; mentre il Segretario per la Brexit, Steve Barclay, continuerà a dialogare con il negoziatore europeo Michel Barnier.

La Prime Minister britannica, invece, incontrerà il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker questa settimana e cercherà di parlare con i leader dei restanti Paesi nei giorni successivi.

L’incertezza delle prospettive socio-economiche attanaglia la Gran Bretagna, che nella sua soria, mai aveva vissuto momenti così dinamici ed imprevedibili.

Chissà se la reazione del popolo britannico sarà ancora una volta elegante e garbata come storia e costumi impongono, o se questa volta l’ansia e la paura prevarranno.

Antonio Mulone

Reddito di cittadinanza: falso sito raccoglie 500mila richieste

Si trattava dell’esperimento satirico di un’agenzia di comunicazione, ma 500mila persone ci hanno creduto ed hanno inoltrato richiesta.

Il reddito di cittadinanza è uno degli argomenti politico-economici più caldi degli ultimi mesi, anzitutto negli ultimi giorni con la manovra finanziaria in approvazione in Parlamento e governo gialloverde in fibrillazione.
Proprio nelle ultime ore è giunta notizia della creazione e del successo di un sito-fake, con design simile a quello dell’INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale) e un invito ben preciso: “Prenota il tuo reddito di cittadinanza 2018-2019”.

Il portale, denominato IMPS – Istituto Mondiale Provvidenza Solare, è stato realizzato da Ars Digitalia, agenzia di comunicazione che ha voluto usare l’espediente satirico per architettare un esperimento sociale.

“Dopo una campagna elettorale come quella passata, pensiamo che sia compito della satira, anche molto spinta come quella che abbiamo creato, far riflettere gli elettori e comprenderne i sentimenti.

I partiti ci potranno accusare di strumentalizzare la miseria delle persone, ma dovranno ammettere di averlo fatto loro in primis giocando su quella vulnerabilità per ottenere posti in parlamento con promesse alquanto discutibili”, dichiara l’agenzia stessa.

In fondo alla pagina web, è dichiarato apertamente che “il sito è stato sviluppato per fini ludici” e “made with love from Naples by Ministero dello sviluppo ergonomico.

Dunque, nonostante ad un astronauta del web mediamente accorto, bastino pochi minuti per capire che si tratta di uno scherzo e di un portale fake, fino ad oggi (da marzo 2018, data della creazione del sito) sono state più di 500mila le persone che hanno inserito i propri dati sul sito in attesa di ricevere il Reddito di Cittadinanza.

A convincere gli utenti hanno contribuito la “struttura istituzionale” del sito e un’infografica allettante: 780 euro per i single e fino a 1.638 euro per le famiglie in difficoltà.

“Se per qualche motivo vi abbiamo offeso ci scusiamo sinceramente, prendete questa solo come un’occasione per imparare ancora una volta a distinguere il vero dal falso.
E sappiate che non salviamo nessuno dei vostri dati personali senza autorizzazione.
La sicurezza passa prima da noi”, spiega Ars Digitalia sul suo sito ufficiale.
Insomma, una satira che colpisce, suscita un sorriso e dimostra ancora una volta il potere di persuasione dei contenuti “fake” su internet.

Antonio Mulone

Comincia il conflitto economico. La vendetta del made in USA e la Cina bullizzata

È guerra commerciale tra Cina e Usa. Un botta e risposta, attacco e contrattacco, iniziato proprio oggi, nelle prime ore del 6 luglio 2018. Una data che sembra solo l’inizio di un escalation al rialzo. Tra import ed export, i colossi industriali mondiali hanno alzato un muro di dazi ed il gioco delle parti avrebbe affidato a occidente la parte del cattivo, il “bullo”, e ad est la vittima bullizzata.

O meglio sarebbe stata la Cina stessa a volersi prendere questo ruolo, non scevra di colpe. In maniera del tutto insolita ma non priva di significato, Pechino ha infatti rinunciato a «sparare il primo colpo», non ha voluto far scattare i dazi alla sua mezzanotte, dove il fuso orario avrebbe dato alla Cina la possibilità di muoversi per prima; il governo ha ordinato di aspettare fino a mezzogiorno ora locale, la mezzanotte di Washington (le 6 del mattino in Europa). Una mossa che starebbe a dimostrare la riluttanza di Xi Jinping a impegnarsi in un conflitto commerciale.

Proprio al contrario di Donald Trump, che questa guerra sembra volerla con tutte le sue forze, convinto di poter piegare la Cina, senza però – siamo abituati ai paradossi del tycoon- compromettere «la grande relazione personale» che lega i due colossi dell’economia mondiale.

Washington, accusa la Cina di furto di know-how americano (ed europeo) in preparazione del suo piano Made in China 2025 per la supremazia tecnologica soprattutto per quanto riguarda l’hi-tech.

«La situazione dell’interscambio tra i nostri due Paesi non è più sostenibile. Gli Stati Uniti non possono più tollerare il furto di tecnologia e proprietà intellettuali da parte della Cina», ha detto Trump.

Dazi del 25% su 818 prodotti cinesi – meno dei 1300 annunciati – per un controvalore di 34 miliardi di dollari. Dai veicoli elettrici ai torni industriali impiegati dalle fabbriche negli Stati Uniti. Sono graziati gli smartphone, per non danneggiare la Apple, che conta sulle catene di montaggio cinesi per assemblare i suoi gadget.

Il contrattacco è arrivato, poi, dalla Cina che ha già preparato una lista di altri 700 prodotti per colpire proprio quella fetta di repubblicani che stanno con Donald: campo agricolo-alimentare, automobilistico e del petrolio grezzo,

Il presidente americano, non curante delle dichiarazioni della Repubblica Popolare, avverte che nel mirino ci sono già altri 300 miliardi di beni da colpire, l’intero export di beni e servizi da parte della Cina verso gli Stati Uniti.

Il Ministero del Commercio di Pechino ha definito l’atteggiamento americano un vero e proprio «Bullismo economico» che può mettere a rischio la catena industriale globalizzata e la ripresa mondiale.

Intanto, alla stampa cinese è stato ordinato di tenere bassi i toni: in una velina ministeriale si specifica che «Bisogna prepararsi a un conflitto prolungato»: non si dovranno rilanciare gli attacchi verbali di Trump, non far scadere il confronto nella volgarità su Twitter e bisognerà riprendere le dichiarazioni rassicuranti delle autorità di Pechino per sostenere la Borsa.

Un conflitto dell’interscambio che molti prospettano come lungo e “di trincea”. L’amministratore delegato della Dell, la nota multinazionale americana dei computer e sistemi informatici, ha già parlato di «MAD», Mutual assured destruction.

Sì, quella stessa distruzione assicurata di cui si parlava negli anni della Guerra Fredda.

Che a questo punto potremmo dire che non si sia mai conclusa.

Martina Galletta

Migranti e il decreto legge

Venerdì 29 giugno, dopo 13 ore di colloqui, proposte e controproposte, è stato trovato l’accordo sui migranti.

L’annuncio dato dal presidente del consiglio europeo Donald Tusk, non era scontato perché l’Italia aveva delle notevoli perplessità sulle modalità di gestione di tale problematica.

MINACCIA ITALIANA:

L’Italia ha minacciato di bloccare la prima versione del testo discusso a Bruxelles durante il summit di giovedì 28 e venerdì 29 giugno. Una bozza riguardante la crescita, economia, innovazione e lavoro, saltando la questione migranti. Anche il documento preliminare di Tusk, che sul tema migranti si discuteva molto, è piaciuto poco al Premier Giuseppe Conte poiché, benchè trattasse la lotta all’immigrazione irregolare, i controlli ai confini e i rapporti con i paesi di provenienza dei migranti, non teneva sufficientemente conto dell’accoglienza e dell’integrazione.

Sui temi cruciali per trovare un accordo, vi è stato un dialogo, anche molto serrato,tra Francia e Italia, che ha permesso di correggere il tiro fino alla sottoscrizione dell’intesa.

INTESA EUROPEA:

I temi principali riguardano il controllo dei migranti con centri di sbarco al di fuori del territorio comune europeo. (gli Stati Ue possono creare degli hotspot nei propri confini)e il rifinanziamento del fondo per l’Africa, il cui apposito fondo fiduciario dovrebbe ricevere altri 500 milioni di euro. Le piattaforme di sbarco regionali non sono del tutto accantonate, il Consiglio Ue ha invitato la commissione europea a farsi carico di sondare la disponibilità di tutte le nazioni coinvolte, creando un ponte con l’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) e l’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Inoltre, occorre disincentivare le persone a imbarcarsi per viaggi pericolosi. Per far si che questa operazione riesca serve la cooperazione di tutti i paesi soprattutto quelli che si affacciano sulle rotte dei migranti.

 

 

 

 

 

GOVERNO ITALIANO:

Il premier Giuseppe Conte sostiene che l’italia non è più sola anche se ammette che avrebbe cambiato qualcosa. Matteo Salvini è meno ottimista: ai microfoni di Radio Capital, ha ribadito di non credere alle parole ma solo ai fatti, auspicando anche un investimento vero e mirato in Africa, fedele quindi a quell’”Aiutiamoli a casa loro”.

La bozza del decreto legge all’esame del pre consiglio dei ministri di oggi prevede che l’Italia donerà alla Libia 10 motovedette della guardia costiera e due unità navali della guardia di finanza.

Il decreto si compone di 4 articoli. Il primo stabilisce che è autorizzato, conformemente a specifiche intese con le competenti autorità libiche e nel rispetto delle vigenti disposizioni internazionali ed europee in materia di sanzioni, il ripristino in efficienza, l’adeguamento delle strutture e il trasferimento in Libia; l’articolo 1 del decreto prevede uno stanziamento di un milione e 150mila euro. Un milione e 370mila euro sono stanziati nell’articolo 2 per la manutenzione delle unità navali, per lo svolgimento di attività addestrative e di formazione del personale della guardia costiera e della marina libica, al fine di potenziarne le capacità operative nel contrasto all’immigrazione illegale e alla tratta di esseri umani.

Sul tema migranti sta rischiando di sfaldarsi la Germania di Angela Merkel. Ed è sul controllo delle frontiere che Macron, Conte e la Spagna sono arrivati ai ferri corti la scorsa settimana. Il vertice UE si è chiuso con un accordo debole, fatto di molti condizionali e poche certezze. Tanto che subito dopo la lunga trattativa, il presidente francese e il premier italiano hanno avuto uno scontro a distanza su chi dovrà aprire i nuovi centri di accoglienza per i profughi.

In tutto questo caos politico, con l’Italia che era andata a Bruxelles per chiedere maggior sostegno dopo essere stata lasciata per lungo tempo da sola, la Commissione Europea ha deciso di assegnare un bonus extra ad alcuni stati membri per far fronte alle sfide migratorie. E ha deciso di assegnarli solo a Spagna e Grecia che intascheranno 45,6 milioni di euro da dividere. Quella dell’UE non sembra una mano tesa verso l’Italia.

L’Open Arms sta andando a Barcellona per sbarcare 60 persone. Nel frattempo sono morte altre 63 persone, è una cosa inconcepibile!

Oscar Camps, fondatore ONG Open Arms, in un suo tweet scrive “è assolutamente illegale e fuori dal diritto marittimo internazionale quello che sta succedendo, spero che vengano individuate le responsabilità”.

Ieri si è registrato un nuovo naufragio al largo delle coste libiche e sono 63 i migranti che risultano dispersi. Il bilancio delle vittime aumenta, 170 morti in 48 ore. Sui social il ministro dell’interno Matteo Salvini ringrazia i Carabinieri di Palermo che hanno arrestato 17 persone per tratta di immigrati e traffico di armi. Il presidente del parlamento UE, Antonio Tajani, punta ad una soluzione europea del problema migrazione, e annucia che per risolvere ciò occorre fermare i flussi migratori in Libia, e proprio per questo nei prossimi giorni si recherà a Tripoli e nel Niger.

Selina Nicita