Francia e Italia discutono. Il problema? I migranti

Non è una novità che Italia e Francia si scontrino: il Ministro dell’interno francese Gérald Darmanin accusa la premier Giorgia Meloni, sostenendo che l’Italia sia alle prese con una «gravissima crisi migratoria».

Durante la messa in onda del programma Les grandes gueules dell’emittente televisiva Rmc, Darmanin ha così esposto le sue preoccupazioni:

Meloni, come Le Pen, è stata eletta dicendo “vedrete questo, vedrete quello” e poi quello che vediamo è che l’immigrazione non si ferma e sta crescendo

Il problema si pone anche in Tunisia:

La verità è che in Tunisia c’è una situazione politica che porta soprattutto molti bambini a risalire attraverso l’Italia e che l’Italia è incapace di gestire questa pressione migratoria

Il ministro dell’Interno francese Gerald Darmanin, attacca Giorga Meloni in un’intervista su Rmc. Fonte: Today

L’inizio dei problemi tra Francia e Italia

Tutto ha avuto origine lo scorso novembre, quando l’Italia si è rifiutata di accogliere i migranti a bordo della Ocean Viking, dando però per scontato che l’aiuto venisse da parte della Francia. Dopo due settimane di navigazione, la nave della Ong francese Sos Mediterranée è approdata a Tolone, nel sud della Francia.

A seguito dell’aumento di sbarchi nel suolo francese, Elisabeth Borne – Primo Ministro francese – ha dichiarato che la Francia si appresta a schierare 150 poliziotti in più al confine con l’Italia così da controllare il flusso irregolare di migranti.

Tajani annulla la visita a Parigi

Antonio Tajani – Ministro degli Esteri – era atteso a Parigi per incontrare Catherine Colonna ma l’incontro è saltato. Tajani si è così giustificato:

Non andrò a Parigi per il previsto incontro con la ministra Catherine Colonna. Le offese al governo ed all’Italia pronunciate del ministro Gérald Darmanin sono inaccettabili. Non è questo lo spirito con il quale si dovrebbero affrontare sfide europee comuni

Non si è fatta attendere la risposta della ministra degli esteri francese Catherine Colonna:

Ho parlato col mio collega Antonio Tajani al telefono. Gli ho detto che la relazione tra Italia e Francia è basata sul reciproco rispetto, tra i nostri due paesi e tra i loro dirigenti. Spero di poter accoglierlo presto a Parigi

Decreto Cutro diventa legge

E mentre Darmanin “attacca” l’operato del governo Meloni, la Camera dei Deputati ha approvato la fiducia alla conversione in legge (con 179 voti favorevoli, 111 contrari e tre astenuti) del decreto migranti detto anche decreto Cutro – chiamato così perché varato dal Consiglio dei ministri che si riunì a Cutro dopo la strage dei migranti.

Cosa prevede?

Il decreto limita l’applicazione della protezione speciale

  • non potrà essere convertita in permesso di soggiorno per ragioni lavorative;
  • potrà essere rinnovato solo per sei mesi;
  • viene esclusa la concessione per ‘gravi condizioni psicofisiche’;
  • i richiedenti asilo sono esclusi dal sistema di Accoglienza Integrazione, sarà riservato solo a chi ha già ottenuto lo status di rifugiato;

Potenziamento dei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio):

  • raddoppia il tempo di permanenza nei CPR;
  • aumenta il numero di CPR (previsto uno per regione);

Inasprite le pene per gli scafisti, con la novella al Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e la condizione giuridica dello straniero (D. Lgs. 286/1998) che puniva «promuova, diriga, organizzi, finanzi o effettui il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato», che porta la pena fino a due ai sei anni di reclusione.

Inoltre, viene previsto un nuovo reato aggravato dall’evento in caso di «morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina», con pene dai 20 ai 30 anni di reclusione.

Infine, è previsto l’arresto in flagranza, anche differito, per reati commessi durante il soggiorno in un centro di prima accoglienza.

Gabriella Pino

DEF: la Camera ci ripensa, adesso è tutto nelle mani del Senato

«È stato un brutto scivolone», ha esordito così la premier Giorgia Meloni, in merito al no giunto dalla Camera allo scostamento di bilancio previsto dal DEF. Mancano i numeri sufficienti per l’approvazione dopo il passaggio al Senato. In aula erano presenti solo 195 deputati e ne servivano 201 per l’approvazione. Per correre ai ripari, si è tenuta una riunione lampo del Consiglio Dei Ministri già ieri pomeriggio, dove il governo non ha modificato il DEF ma ne ha approvato una nuova relazione in cui sono stati confermati gli impegni per il «sostegno al lavoro e alle famiglie». Inoltre, la Camera ha esaminato nuovamente il documento questa mattina mentre il Senato se ne occuperà alle 14. L’ obiettivo è quello di chiudere l’iter entro e non oltre il primo maggio.

Cos’è il DEF? E perché è così importante?

Il Documento di Economia e Finanza comprende gli obiettivi di politica economica e le strategie per raggiungerli stilati dal Governo, il quale ha l’obbligo di presentarlo ogni anno entro il 10 aprile in Parlamento.  Consente di comprendere la direzione che il Governo vorrebbe imboccare per lo sviluppo del Paese.  Bisogna sottolineare che non è una legge, ma si deve tener conto di diversi aspetti come il debito pubblico, il PIL, l’inflazione e il mercato del lavoro per essere compilato al meglio. Si divide in 3 sezioni e si converte nell’atto ufficiale che indica all’Unione Europea, ai creditori e partner commerciali dell’Italia le aspettative sul breve e medio termine.

Le parole della Meloni

È stata una brutta figura, credo che tutti debbano essere richiamati alla responsabilità. Noi non ci stiamo risparmiando e nessuno si deve risparmiare. Ma francamente non credo che sia stato un segnale politico, per paradosso anzi è accaduto per un eccesso di sicurezza. Ora si deve fare una ulteriore considerazione sui parlamentari in missione ,ma non ci vedo un problema politico. Il Def sarà approvato, manterremo i nostri impegni

Questo il commento della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un colloquio con i giornalisti a Londra.

Gli impegni che la maggioranza aveva chiesto al Governo

Prima del passaggio alla Camera, infatti, il Senato aveva promosso la risoluzione sul Documento di economia e finanza proposta dai gruppi di maggioranza (FdI, FI, Lega, Civici d’Italia) e si era detto favorevole anche alla risoluzione sullo scostamento di bilancio. 

Nel testo troviamo la richiesta di contrastare la delocalizzazione e il reshoring. (Fenomeno economico che consiste nel rientro del paese d’origine dei servizi che in precedenza avevano portato la produzione fuori dai confini nazionali).

Tra gli obiettivi, vi era il valutare un innalzamento delle pensioni minime e di invalidità e proseguire nell’azione di riduzione del cuneo fiscale, cercando di favorire la crescita della produzione economica e individuando le più opportune misure di riduzione del carico delle imposte.

Inoltre, definire un piano di interventi per l’occupazione (in particolar modo quella femminile), rafforzare gli investimenti nell’istruzione e nell’assistenza socio-sanitaria proteggendo la maternità e potenziando i servizi territoriali alla cura dei bambini introducendo misure di carattere strutturale per il sostegno alla natalità e alla famiglia.

Ultimi risultati: la Camera dice sì

Alle 11:30 di oggi, con 221 voti a favore e 116 contrari è stata approvata la risoluzione di maggioranza che dà il via libera al Documento. Poco prima prima l’Assemblea di Montecitorio aveva votato e approvato la risoluzione di maggioranza sulla Relazione sullo scostamento di bilancio. Non sono mancati però i momenti di tensione. Durante l’intervento del capogruppo di FdI Tommaso Foti, che chiede scusa per quanto accaduto ieri, ma accusa anche le opposizioni sostenendo che  «se un ponte esiste, esiste per la maggioranza e per le opposizioni» che, a suo dire, «dovrebbero guardare alle loro assenze». Riferendosi a chi, ieri, non si era presentato senza alcuna giustificazione. A questo punto le forze di minoranza si sono ribellate, costringendo il presidente Fontana a riprendere i deputati e lo stesso Foti, chiedendogli di “rivolgersi alla presidenza”.

Adesso bisognerà aspettare il primo pomeriggio per conoscere la risposta del Senato.

Commento a caldo di Giorgetti

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dopo il voto sulla risoluzione al Def alla Camera, si dice soddisfatto. Di seguito il suo pensiero:

In Aula è andata bene ma fuori dall’Aula, dove si lavora e si produce, è andata ancora meglio: se vedete le previsioni del Def sulla crescita dell’Italia del 2023, che hanno criticato tutti quanti, l’Istat dice che il Pil è +1,8%

La piccola grande rivoluzione di Elly Schlein: chi è la prima segretaria donna del PD

Elly Schlein è diventata la prima segretaria donna del Partito democratico e anche la più giovane, con il 53, 8% delle preferenze contro il 46,2% di Bonaccini.  Un dato sorprendente, in quanto è la prima volta che il voto dei gazebo (dove partecipa anche chi non ha la tessera del PD) stravolge quello degli iscritti.

Inoltre, le primarie descrivevano un partito dove il Centro-nord era schierato con la Schlein e il Sud e le isole con Bonaccini. Risultato ampiamente ribaltato, in quanto la Schlein vince anche in Sicilia, dove hanno votato oltre 55mila persone, trionfando in quasi tutte le province.

Differente l’esito a Messina, dove Bonaccini  raggiunge il 51,46 % affermandosi soprattutto in periferia. Nel comune capoluogo vince al contrario la Schlein, che ottiene 1260 voti (prevalendo principalmente in centro) superando l’avversario che si ferma a 855.

Le parole dopo la vittoria

Vi sono immensamente grata perché insieme abbiamo fatto una piccola grande rivoluzione. Anche stavolta non ci hanno visto arrivare. Il popolo democratico è vivo. E’ vivo, c’è ed è pronto a rialzarsi.

Qui il discorso integrale della nuova segretaria PD.

Fonte: Palermo Today

Visibilmente emozionata ma al contempo sfoggiando tutta la sua determinatezza, esordisce: «Saremo un bellissimo problema per Giorgia Meloni». Nota a tutti come “l’anti Meloni“, dopo  il dibattito dove ha dichiarato che «no, non basta essere donne per aiutare altre donne, c’è una bella differenza tra il dirsi femminili e femministe, se decidi di non difendere i diritti delle donne, a partire da quelli sul proprio corpo». Per poi aggiungere: «Sì, sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre. Ma non per questo sono meno donna», facendo riferimento al famoso tormentone della leader di Fratelli d’Italia.

La Schlein ha poi ribadito alcuni punti programmatici del Partito Democratico come la scuola pubblica (come  la vicenda della preside Annalisa Savino), la sanità pubblica, il lavoro non precario e l’accoglienza dei migranti, ricordando anche l’ultimo tragico bilancio delle vittime del naufragio dello scorso fine settimana a Crotone.

Il commento del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stato:

Congratulazioni a Elly Schlein e complimenti al PD per la mobilitazione dei suoi elettori nel congresso. Spero che l’elezione di una giovane donna alla guida del Nazareno possa aiutare la sinistra a guardare avanti e non indietro

Il programma della Schlein del dettaglio

La nuova segretaria si dice pronta a difendere «quei poveri che il Governo colpisce e che non vuole vedere» e a combattere per le lavoratrici e i lavoratori precari sfruttati, per alzare i salari e per alzare le loro tutele, la sicurezza sul lavoro. In programma la limitazione dei contratti a tempo determinato e regolamentando più strettamente i lavoratori delle piattaforme come i riders.

Inoltre, è a favore del salario minimo, e vorrebbe abolire gli stage extracurriculari e quelli non retribuiti. Condanna anche il Jobs Act. (la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi che introduce un serie di misure mirate a rinnovare il mercato del lavoro).

Altro punto all’ordine del giorno è l’ambiente. L’obiettivo è quello di lavorare per una vera, profonda conversione ecologica che accompagni tutta la società e tutti i settori dell’economia. Elly Schlein ha parlato di investimenti concreti nel settore delle energie rinnovabili e intende portare avanti una legge per il consumo 0 di suolo. Legando anche l’argomento tasse ad un’ ottica più green, propone di legare le imposte indirette al consumo di CO2, premiando così chi inquina meno e penalizzando chi invece produce maggiori emissioni.

Per quanto riguarda la sanità, punta a sostenere maggiormente un sistema sanitario nazionale, per cercare di porre un freno allo squilibrio tra pubblico e privato e fra Stato e Regioni.

In relazione ai rapporti fra Stato e regioni, vorrebbe discutere i servizi essenziali, ipotizzando una legge che segni in modo chiaro e univoco le competenze specifiche di Stato e Regioni. No alle trattative separate fra lo Stato e le singole regioni su temi chiave come la scuola, primo grande strumento di emancipazione sociale da difendere per il bene delle nuove generazioni.

In relazione ai diritti civili parla esplicitamente anche di una legge contro omolesbobitransfobia e contro le discriminazioni di genere.

Sul versante internazionale, in quanto sostenitrice degli aiuti all’Ucraina, insiste su una soluzione pacifica del conflitto e si impegna a rilanciare un progetto federalista europeo.

Per di più, afferma di voler varare le proposte più importanti con dei referendum e potenziando il ruolo della Conferenza programmatica annuale, per un confronto con gli elettori.

Infine, sul tanto discusso reddito di cittadinanza conferma che il reddito è un valido strumento contro la povertà, di cui propone il miglioramento secondo le indicazioni del Comitato scientifico di valutazione e ascoltando le proposte degli enti locali.

Chi è Elly Schlein

Fonte: La Stampa

Attivista, ex parlamentare e adesso deputata, Elly Schlein nasce in Svizzera da madre italiana e padre americano. La sua è una storia multiculturale che parte già dal nome, come ha spiegato in una recente intervista al Corriere della Sera:

«Elly è un soprannome. Porto i nomi delle due nonne. Purtroppo non le ho mai conosciute, e non volevo far torto a nessuna. La nonna fiorentina, Elena; e la nonna di origine lituana, Ethel». Poi ha anche spiegato l’origine del suo cognome, ebraica: «La versione originaria è Schleyen, semplificata quando il nonno emigrò a New York in cerca di fortuna.»

Prima di dedicarsi alla politica attiva in Italia ha partecipato alle due campagne che hanno portato all’elezione alla presidenza degli Stati Uniti di Barack Obama.  Nel 2013 è l’ideologa di Occupy PD e nel 2014 viene eletta al Parlamento europeo con oltre cinquantamila preferenze.

Il 20 settembre il quotidiano britannico The Guardian l’aveva definita «la stella nascente della sinistra italiana», paragonandola alla deputata Alexandria Ocasio-Cortez.

Il commento del Circolo di Cultura Omosessuale “Mario Mieli”

Il Pd riparte finalmente da una donna, bisessuale, progressista e attenta alle istanze della comunità Lgbtqia+

Ha affermato Mario Colamarino, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale “Mario Mieli”.

Evidente come quella di Schlein sarà una leadership femminile ma soprattutto femminista. Che sia finalmente un punto di svolta per l’opposizione? Non manca la determinazione, come sembra trasparire dalle parole della stessa leader:

Lavoreremo per l’unità, il mio impegno è di essere la segretaria di tutte e di tutti, per tornare a vincere.

Serena Previti

Dentro la XIX Legislatura col Prof. Giovanni Moschella: l’intervista ai microfoni di Radio UniVersoMe

In esclusiva per il podcast di Radio UniVersoMe The Box, abbiamo intervistato il prorettore vicario dell’Università degli Studi di Messina, Prof. Giovanni Moschella.

La locandina della puntata © Gianluca Carbone

A seguito delle elezioni politiche del 25 settembre scorso, si è insediata la nuova, XIX legislatura. Si tratta della prima volta dopo il referendum sul taglio dei parlamentari del 2020, il cui esito positivo confermò la scelta di ridurre il numero dei deputati e dei senatori rispettivamente da 630 a 400 e da 315 a 200.

Assieme al Prof. Moschella, abbiamo riflettuto sulla nuova maggioranza di destra, ma anche sulle opposizioni e sulle rispettive fragilità. Abbiamo toccato temi nevralgici come le riforme sulle autonomie regionali a livello differenziato e sul Presidenzialismo come forma di governo alternativa al Parlamentarismo.

© Gianluca Carbone

In che stato risultano, oggi, gli equilibri parlamentari? Quali effetti avrà avuto il taglio dei parlamentari? Quali sono le prospettive di questa nuova maggioranza? E quale futuro dovremo aspettarci noi giovani? Tutto questo e molto altro nella nostra intervista, da oggi disponibile su Youtube, Spotify, Spreaker e sugli altri social media di UniVersoMe.

Valeria Bonaccorso


Ascoltalo su

Il Brasile come Capitol Hill, nuovo attacco alla democrazia. Lula si scaglia contro Bolsonaro, che è indagato

Domenica, i sostenitori dell’ex Presidente del Brasile Jair Bolsonaro hanno invaso e deturpato il Congresso, il palazzo del Presidente e la Corte Suprema, in una data volutamente vicina a quella in cui si svolse l’assalto al Campidoglio negli USA.

La sommossa rappresenta il culmine di una tensione accumulatasi a partire dall’inaugurazione del Presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva, che ha vinto le elezioni dello scorso 30 ottobre.

I rivoltosi hanno distrutto gli interni del palazzo presidenziale, allagato il Congresso con gli impianti antincendio e saccheggiato le aule della Corte Suprema, ma non ci sono stati feriti. Tuttavia, attorno alle sei del pomeriggio, le forze di sicurezza sono riuscite a riprendere il possesso degli edifici, disperdendo i riottosi.

Secondo il Governatore del Distretto Federale di Brasilia, Ibaneis Rocha, sarebbero più di 1500 gli arresti – e continuano le identificazioni.

L’organizzazione dell’assalto

Gli assaltatori, già da tempo, avevano cercato di bloccare le strade e l’accesso alle raffinerie, secondo quanto riportato dal portavoce del presidente Paulo Pimenta. Questi piccoli atti di vandalismo assieme all’accamparsi attorno al Congresso avevano reso più che chiare le intenzioni dei manifestanti.

fonte: reuters.com

L’organizzazione dell’attentato si è svolta sui social, sotto gli occhi di tutti, soprattutto su Telegram, TikTok e Twitter. Si parlava, infatti, di una «Festa da Selva», dove “Selva” in Brasile è un tipico saluto militare e un grido di battaglia. Per cercare di aggirare la censura, però, i rivoltosi avevano cambiato una lettera a “Selva”, e parlavano di una “Festa da Selma”.

Proprio per i modi espliciti dei rivoltosi, la popolazione brasiliana ha lamentato il fatto che le forze dell’ordine non avrebbero fatto abbastanza per prevenire l’assalto alle istituzioni.

Le parole del Presidente Lula

Questi vandali, questi fanatici fascisti, hanno fatto ciò che non si era mai verificato nella storia di questo Paese. Tutte le persone responsabili di ciò saranno trovate e punite.

Queste le parole di rabbia del Presidente Lula, che subito dopo si è lanciato in un’accusa nei confronti dell’ex presidente Bolsonaro, su cui graverebbe la responsabilità (proprio come fu nel caso Trump) di aver incoraggiato l’assalto.

Infatti, dopo la sconfitta, il presidente uscente aveva – allo stesso modo – sollevato l’accusa del voto elettronico truccato ed incline alla frode, dando il via al movimento negazionista che l’ha sostenuto fino ad oggi. Lula ha poi affermato:

Questo genocida sta incoraggiando tutto questo tramite i social media da Miami. Tutti sanno che ci sono diversi discorsi dell’ex presidente che lo incoraggiano.

Ad oggi, Jair Bolsonaro si trova ricoverato in Florida in condizioni stabili. Alcuni esponenti del Partito Democratico degli USA ritengono che stia cercando asilo politico e ne avrebbero richiesto l’estradizione.

L’ex Presidente, rimasto in silenzio per diverse ore dall’attentato, ha risposto su Twitter negando qualsiasi accusa nei suoi confronti e sostenendo che: «le manifestazioni pacifiche sono parte della democrazia, ma invadere e danneggiare gli edifici pubblici significa superare il limite».

Bolsonaro sotto accusa

In realtà, su Bolsonaro gravano già accuse non meno pesanti. Secondo la Costituzione brasiliana, un Presidente in carica può essere arrestato solo se condannato dalla Corte Suprema. Una volta terminato l’incarico, però, può essere processato normalmente anche dalle corti minori.

Con la perdita dell’immunità a partire da gennaio, il presidente uscente si ritrova indagato per diversi capi d’imputazione: avrebbe sfruttato la polizia federale per proteggere i propri figli, diffuso falsità elettorali, sostenuto dei troll che spargevano disinformazione durante il suo mandato. Ad ogni modo, Bolsonaro sostiene di essere sempre stato fedele a Costituzione.

fonte: reuters.com

Non sarebbe dello stesso parere il neo-eletto Lula, che dopo aver ottenuto l’incarico ha affermato:

Non abbiamo alcuno spirito di vendetta contro coloro che hanno provato a soggiogare la nazione alle proprie ideologie, ma garantiremo il corso della giustizia. Chi ha sbagliato pagherà per i propri errori.

Tecnicamente, Lula avrebbe la possibilità di perseguire giuridicamente il rivale. Infatti, la polizia federale è subordinata al suo Ministro della Giustizia ed è guidata da Andrei Rodrigues, un suo alleato. A partire da settembre, il Presidente potrà insediare il proprio procuratore generale, che avrà la possibilità di punire Bolsonaro. Tuttavia, l’attuale procuratore generale è – al contrario – accusato di proteggerlo.

Valeria Bonaccorso

Manovra finanziaria 2023 del governo Meloni: stanziati 35 miliardi

Dopo poco più di un mese dall’insediamento del nuovo governo guidato da Giorgia Meloni iniziano i primi bilanci sul futuro del nostro paese. Lo scorso 21 novembre il Consiglio dei ministri si è riunito a Palazzo Chigi per approvare, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, il disegno di legge recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e il bilancio pluriennale per il triennio 20232025.

Il testo del decreto ancora non è presente per intero, però possiamo cogliere alcune delle tematiche  trattate tramite le parole pronunciate in conferenza stampa dalla premier Meloni, che ritiene questa manovra economica «importante e coraggiosa» affinché l’Italia possa «tornare a correre». Il documento deve essere ancora approvato da ambo le camere prima della fine dell’anno; da quel momento capiremo in che direzione i nostri rappresentanti vorranno condurre il paese.

Dalla teoria alla pratica: STOP al reddito di cittadinanza dal 2024

Fonte: Money.it

«Lo Stato si deve occupare delle persone aiutandole a trovare un lavoro, non mantenendole all’infinito nella loro condizione».

Queste le parole della Meloni su una delle più centrali tematiche nei programmi di riforma dei partiti di centro-destra, ovvero il Reddito di cittadinanza. Tale misura, voluta dal Movimento 5 Stelle durante il primo governo Conte, per una politica attiva nel lavoro per il contrasto della povertà e disuguaglianza, tra poco più di un anno sarà totalmente abolita.

Infatti, dal primo gennaio 2024 chi potrà lavorare, i cosiddetti “occupabili”, perderà completamente questo beneficio. Mentre per chi non potrà lavorare come disabili, anziani e donne in gravidanza, verrà rivisto. Ci sarà per loro un sussidio economico ma con diverse modalità.

«Noi abbiamo sempre detto che il Reddito di cittadinanza era una misura sbagliata, perché uno Stato giusto non mette sullo stesso piano dell’assistenza chi può lavorare e chi non può farlo».

Il Reddito sarà abolito per chi è in condizioni di lavorare alla fine del 2023. Quindi, la paura per molti è che venga tolto senza offrire un’alternativa. Ma sembrerebbe che ancora nell’imminente nuovo anno, chi non potrà lavorare, in quanto soggetto fragile, continuerà a riceverlo come in questi ultimi anni. Per tutti coloro definiti “abili al lavoro tra i 18 e i 59 anni”, che non hanno nel nucleo familiare disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età, entreranno in vigore alcune modifiche. Infatti, il Reddito non potrà essere percepito per più di otto mesi e salterà al primo rifiuto di un’offerta di lavoro. Inoltre, per agevolare fino al 2024 l’ingresso nel mondo del lavoro, sono stati previsti corsi di formazione e altre iniziative.

Allarme caro energia: stanziati 21 miliardi 

La crisi energetica incombe sullo scenario nazionale e internazionale e la guerra in Ucraina è una delle cause. Ad esempio, nel nostro paese circa il 46% del gas utilizzato arriva dalla Russia, per poi produrre circa il 60% dell’energia. È chiaro che questa dipendenza ha portato a delle forti conseguenze, come il caro dei costi sulle bollette.

La premier Meloni in conferenza, Fonte: Leggo.it

«Come avevamo promesso la voce maggiore di spesa di questa manovra di bilancio riguarda il tema del caro bollette. Su una manovra complessiva di 35 miliardi, i provvedimenti destinanti al caro energia sono circa 21 miliardi di euro».

Sul versante delle imprese è stata confermata l’eliminazione degli oneri impropri delle bollette. Si prevede un rifinanziamento fino al 30 marzo 2023 del Credito d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale. «Noi confermiamo e aumentiamo i crediti d’imposta- dichiara la Meloni- che passano dal 40% al 45% per le aziende energivore e gasivore», mentre per bar, ristoranti ed esercizi commerciali  «passeranno dal 30% al 35%». Per il comparto sanità e per gli enti locali, compreso il trasporto pubblico locale, vengono stanziati circa 3,1 miliardi.
Sempre su questo tema a sostegno delle famiglie, lo Stato vuole intervenire con un “bonus sociale bollette”. La platea si allarga e la misura si concretizza sui nuclei più bisognosi, così viene innalzata la soglia ISEE da 12.000 euro a 15.000 euro.

La legge di bilancio e le decisioni d’impatto fiscale 

Questo disegno di legge per il 2023 riporta tre misure che riguardano prettamente le tasse:

  1. Espansione del tetto per il regime forfettario delle partite IVA 
  2. Taglio al cuneo fiscale
  3. Tregua fiscale, condono che prevede la cancellazione di cartelle esattoriali inviate prima del 2015.

Nella manovra si parla di Flat tax come l’equivalente di “tasse piatte”. La più dibattuta è quella che riguarda l’aumento della soglia di ricavi o compensi per i beneficiari del regime agevolato della partita IVA. Quel regime che attualmente permette di versare le tasse con una quota fissa o piatta del 15%. Ad oggi, la soglia sta a 65 mila euro annui, ma con la legge di Bilancio verrebbe alzata a 85 mila euro, per giungere a 100 mila euro nel 2025. Sarà così?

Per quanto riguarda la tregua fiscale, le cartelle esattoriali (atti con i quali la pubblica amministrazione intima ai contribuenti di pagare cifre non ancora pagate) saranno cancellate a due condizioni:

  • In primo luogo, queste devono risalire ad un periodo antecedente al 2015
  • In secondo luogo, devono essere di un importo di massimo mille euro 

Per la riduzione del cuneo fiscale, ovvero delle tasse che il singolo lavoratore paga allo Stato ogni mese in detrazione dal proprio stipendio, la manovra stanzia 4,2 miliardi per aumentare le buste paga dei dipendenti con redditi medio-bassi.

Aiuti mirati con Quota “103” per le pensioni, famiglie e natalità  

In materia di pensioni il decreto prevede l’avvio di un nuovo schema di anticipo pensionistico, che possa consentire di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica e non gli attuali 67. Da “Quota 100” si lasserebbe a “Quota 103”, un punto caro al vicepremier e ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, il quale ha aggiunto che “chi rimarrà a lavoro beneficerà del 10% in più di stipendio”.

Il ministro dell’Economia Giorgetti insieme alla premier, Fonte: QuiFinanza

Il ministro dell’Economia Giorgetti ha dichiarato anche che «la più grande riforma delle pensioni è quella che premia la natalità». Infatti, per le famiglie sono previste maggiorazioni sull’assegno unico per i figli, l’aggiunta di un mese di congedo parentale facoltativo retribuito all’80% e utilizzabile fino al sesto anno di vita del bambino.

Queste certo sono solo alcune delle tematiche affrontate in conferenza stampa. «In tanti si aspettavano- dichiara il ministro Giorgetti- che facessimo un po’ di follie, mega-scostamenti di bilancio, così non è stato. Anzi abbiamo avuto coraggio anche su scelte impopolari». In un paese come l’Italia in cui l’economia è stagnante, i tassi di disoccupazione sono esorbitanti, queste scelte saranno quelle giuste? Verranno portate a termine?

Marta Ferrato

L’invio delle armi in Ucraina accende una forte tensione nel M5S. Di Maio accusato da una parte del partito

Il Movimento 5 Stelle nelle ultime ore sta respirando aria di crisi: Luigi Di Maio ha scatenato il dissenso del consiglio nazionale del partito con la sua posizione in merito alla questione dell’invio delle armi all’Ucraina.

Scontro tra Di Maio e una parte del M5S di cui Conte si è fatto portavoce (fonte: www.ilmessaggero.it)

La bozza che ha innescato gli scambi di accuse tra i pentastellati

I pentastellati avevano subito il crollo nelle elezioni amministrative svoltesi pochi giorni fa e ora si ritrovano davanti a uno scontro interno. “Non si proceda, stante l’attuale quadro bellico in atto, ad ulteriori invii di armamenti che metterebbero a serio rischio una de-escalation del conflitto pregiudicandone una soluzione diplomatica”: così recita il passaggio principale della bozza stilata dal M5S per il 21 giugno, giornata in cui sono previste le comunicazioni del premier Mario Draghi per il Consiglio europeo del 23-24 giugno.

Il contenuto del testo, da cui si è originato l’acceso dibattito, ha iniziato a circolare, nella mattina di venerdì 18 giugno, tramite alcune agenzie di stampa, quando Di Maio e i viceministri, rispettivamente, dell’Economia, Laura Castelli e, allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde si trovavano a Gaeta per presenziare un evento della Confcommercio di Frosinone.

Nella bozza era stata fatta una premessa che si soffermava soprattutto sulla durata ormai consistente del conflitto e sul fatto che questo si stia trasformando in una guerra di logoramento.

L’Italia, secondo quanto emerso tramite il testo, per i sostenitori della linea contraria all’invio di altre armi, dovrebbe rafforzare la sua azione diplomatica.

Proprio da Gaeta sono state scagliate le prime accuse, la viceministro Castelli è stata la prima ad esporsi sulla pubblicazione della bozza redatta da alcuni membri del partito: «Io di sicuro non voterei una risoluzione, qualora presentata dal mio gruppo, che va fuori dalla collocazione storica dell’Italia».

Castelli è nota per essere vicina a Di Maio, perciò le sue dichiarazioni non potevano che essere di biasimo rispetto alle critiche mosse al ministro degli Esteri, il quale ha, subito dopo, risposto in maniera più netta al contenuto della bozza, generando l’escalation di tensione all’interno del partito:

«C’è una parte del Movimento che ha proposto una bozza di risoluzione che ci disallinea dall’alleanza della Nato e dell’Ue, la Nato è un’alleanza difensiva, se ci disallineiamo dalla Nato mettiamo a repentaglio la sicurezza dell’Italia.».

Di Maio è convinto della sua posizione favorevole all’invio dell’armi, considerandolo un dovere rispetto all’Alleanza Atlantica.

Successivamente, il viceministro Todde, si è, invece, espressa in difesa e a favore della linea ufficiale adottata dal resto del partito anche in relazione allo stesso testo. Con lei d’accordo anche Michele Giubitosa, il quale aveva parlato di “fango sul Movimento 5 Stelle” e “punto di non ritorno”, per poi, nei giorni successivi essere ancora più deciso nelle sue critiche:

«È gravissimo che un ministro degli Esteri, in un periodo di guerra delicato come quello che viviamo, alimenti un clima di incertezza e di allarme intorno alla sicurezza del proprio Paese, accusando con delle palesi falsità la sua stessa comunità politica di attentare alle sue alleanze e credibilità internazionale.».

Così, nella giornata di ieri, ha avuto inizio la resa dei conti tra Giuseppe Conte, postosi a portavoce di tutti coloro che sono contrari alla scelta di Di Maio sulla questione relativa all’Ucraina, e quest’ultimo.

 

La lotta per la leaderhip

Tra Conte e Di Maio, però, lo scontro si era acceso già qualche mese fa, precisamente lo scorso gennaio, durante le votazioni per il presidente della Repubblica. Gli attriti erano stati smorzati solo in virtù delle elezioni amministrative.

Quella di ora è solo una ripresa di dissapori già in atto, che, in realtà, vanno oltre l’attuale decisione in merito alle armi per l’Ucraina: lo scontro è per la leadership nel Movimento.

Per l’ex premier, Di Maio non oserebbe criticare le scelte di Draghi, rinnegando alcuni importanti principi del partito, per tornaconto personale: il ministro degli Esteri vorrebbe assicurarsi la possibilità di un altro mandato, in vista delle prossime elezioni politiche del 2023. A breve, gli iscritti al M5S, verranno consultati per votare sulle regole del partito in merito proprio al doppio mandato. Conte e Beppe Grillo sperano che le regole non cambino. Dunque, i prossimi giorni saranno decisivi per le sorti del partito, non sono escluse scissioni.

«Mi sorprende molto che mentre Draghi è a Kiev, Di Maio tiri fuori beghe interne al M5S. – ha detto Conte – Oggi il nostro ministro degli Esteri ha rischiato di sporcare questo passaggio di Draghi, questa visita così importante, che il M5S ha chiesto a gran voce perché l’Europa deve essere protagonista verso un negoziato di pace. Mi sorprende che il ministro degli esteri tiri fuori beghe che rischiano di indebolire il governo.».

Il no all’invio di nuove armi all’Ucraina è un tema caldo per il Movimento, ormai da mesi. Conte aveva votato a favore all’inizio del conflitto, per iniziare a schierarsi contro solo in un secondo momento, fino a farsi principale portavoce di questa corrente di pensiero nel partito. La maggioranza stava cercando di arrivare a una risoluzione che facesse accordare tutti i pentastellati, venerdì scorso c’era stato un incontro proprio tra gli esponenti che avevano deciso di rinviare il dibattito sulle armi alla giornata di oggi e che avevano fatto sapere di non ci sarebbe stato “un testo separato”, ma poi sono iniziate le accuse reciproche, il giorno dopo, a partire da Gaeta.

 

Di Maio rischia l’espulsione dal partito?

Durante la scorsa notte, si è svolta una riunione notturna dei 14 membri consiglio nazionale del M5S, durata più di quattro ore. Si pensava che l’esito di tale incontro potesse portare all’espulsione di Di Maio dal partito. La questione è stata “congelata”. L’ipotesi, ventilata durante tutta la giornata di ieri, era stata rafforzata dalle parole del vicepresidente del Movimento, Riccardo Ricciardi, che aveva definito il ministro “un corpo estraneo” e che si auspicava dei provvedimenti ai danni di questo. Si pensava persino che Di Maio potesse anche auto-espellersi, vista la rottura che si era verificata. Però, per ora, il Movimento ha scelto di perseguire la stabilità che sembra comunque vacillare.

Uno dei partecipanti alla riunione ha chiarito che con la bozza che aveva riacceso la crisi nel partito non si voleva in alcun modo mettere in discussione la posizione dell’Italia nella linea euroatlantica.

È stato discusso della risoluzione che dovrà essere votata al Senato domani e dopodomani, 21 e 22 giugno: il movimento non sarà di impedimento alla scelta sull’invio delle armi, si cercherà solo di premere per una una de-escalation militare e perché venga mantenuta la centralità del Parlamento.

Lo scontro nel Movimento è stato messo in stand-by, ma potrebbe riaccendersi presto e forse per mano dello stesso Beppe Grillo. Nelle scorse ore, il fondatore del partito è ritornato sulla questione della regola dei due mandati, che “previene il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo”.

 

Rita Bonaccurso

 

 

 

Draghi annuncia la fine dello stato di emergenza: verso il ritorno graduale alla normalità

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi dichiara che è «intenzione del governo» non prorogare oltre il 31 marzo lo stato di emergenza, introdotto dal Governo Conte II il 31 gennaio 2020, venti giorni prima della scoperta del paziente 1 a Codogno. L’obiettivo è quello di «riaprire del tutto, al più presto», ha affermato il Premier durante il suo intervento al Teatro del Maggio musicale ieri pomeriggio a Firenze. La notizia è stata accolta da un lungo applauso della platea, costituita da rappresentanti delle istituzioni e da categorie economiche.

Le dichiarazioni di Draghi

In apertura, il Premier ha tenuto a sottolineare che:

Il governo è consapevole del fatto che la solidità della ripresa dipende prima di tutto dalla capacità di superare le emergenze del momento

Quest’ultima frase è significativa, considerato l’andamento della campagna vaccinale. In virtù di ciò, il Presidente ha anche sostenuto che:

La situazione epidemiologica è in forte miglioramento, grazie al successo della campagna vaccinale, e ci offre margini per rimuovere le restrizioni residue alla vita di cittadini e imprese

È stato questo il momento che ha preceduto l’annuncio dello stop della proroga. Dopodiché, Draghi ha chiarito quali saranno i cambiamenti successivi: dal 1° aprile, dunque, non sarà più in vigore il sistema delle zone colorate, già abbondantemente svuotate delle loro funzioni negli scorsi mesi e ormai senza alcuna differenza dal bianco all’arancione per chi è vaccinato. Inoltre, le scuole resteranno sempre aperte per tutti, poiché «saranno eliminate le quarantene da contatto». E ancora: cesserà ovunque l’obbligo delle mascherine all’aperto e quello delle mascherine FFP2 in classe.

Rimozione graduale del Super Green Pass

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Un passaggio importante del discorso del Premier Draghi è stato quello inerente all’utilizzo del Super Green Pass (o Green Pass rafforzato):

Metteremo gradualmente fine all’obbligo di utilizzo del certificato verde rafforzato, a partire dalle attività all’aperto tra cui fiere, sport, feste e spettacoli

Aggiungendo, inoltre, che l’esecutivo continuerà a monitorare «con attenzione la situazione pandemica, pronti a intervenire in caso di recrudescenze». Da ciò si può dedurre come, sotto il profilo organizzativo, il governo dovrà mettere mano a diversi aspetti nella gestione delle strutture che da oltre due anni hanno gestito la pandemia. E avrà un’influenza anche sulla gestione dello smartworking, che dovrà essere definito con accordi individuali tra azienda e lavoratori.

Come cambia la gestione sanitaria

Il Generale Francesco Paolo Figliuolo (fonte: openpolis.it)

Il generale Francesco Figliuolo e Fabrizio Curcio, rispettivamente Commissario per l’emergenza e Capo della Protezione civile, dovranno predisporre gli interventi per il ritorno alla normalità. In concreto significa che alcune competenze, come la gestione dell’acquisto dei vaccini, resteranno in capo al Ministero della Salute, la cui competenza dovrebbe estendersi anche agli acquisti di farmaci per la lotta al virus (Il Fatto Quotidiano). Da riorganizzare anche logistica e distribuzione di farmaci e vaccini ora in carico a Figliuolo, compresi mascherine e ventilatori polmonari.

Dichiarazioni sulla situazione economica

Il premier ha approfittato anche per chiarire le intenzioni sulla situazione economica: «Nel più recente decreto ristori – ha detto –stanziamo altri 100 milioni per il Fondo Unico Nazionale del Turismo, che si aggiungono ai 120 milioni stanziati con la Legge di Bilancio. Sempre nello stesso decreto aiutiamo gli operatori del settore con la decontribuzione per i lavoratori stagionali e un credito d’imposta per gli affitti di immobili». E sull’energia, ha aggiunto che:

Il Governo è intervenuto più volte per aiutare imprese e famiglie e per trovare soluzioni strutturali perché questo problema non si riproponga in futuro. La settimana scorsa abbiamo stanziato quasi 6 miliardi di euro, che si aggiungono agli oltre 10 miliardi che abbiamo già impiegato a partire dallo scorso anno, Incrementiamo la produzione nazionale di energia rinnovabile e di gas, che potrà essere venduto a prezzi più contenuti di quello importato

Sul finire della conferenza, Draghi ha voluto ribadire l’importanza del Pnrr in questa fase della gestione della pandemia, dicendo che:

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un’opportunità storica per affrontare i problemi che sono rimasti irrisolti per decenni, come la carenza di infrastrutture o le diseguaglianze generazionali e di genere

L’attuazione del piano dovrà avvenire infatti «a stretto contatto con associazioni ed enti locali, perché non esiste una sola ricetta per tutto il Paese, ma dobbiamo adattarci alle esigenze e alle caratteristiche di ogni territorio».

La reazione della politica

La fine dello stato di emergenza era richiesta da mesi da molte forze politiche, e in particolare dal centrodestra. Si tratterebbe, per queste alee politiche, di un importante passaggio per il ritorno a una normalità post-pandemica, di convivenza con i contagi e con i problemi sanitari che ne derivano. Il segretario della Lega Matteo Salvini si è espresso a proposito in un tweet:

Grazie a Pres. Draghi per aver confermato che #statodiemergenza non sarà prorogato. Un’altra buona notizia per Italia, fortemente auspicata dalla Lega.

Anche l’ex Premier Giuseppe Conte si è espresso a riguardo:

 

Federico Ferrara

Crisi Russia-Ucraina: espulso il viceambasciatore americano da Mosca, tensioni fortissime nel Donbass

Le speranze del mondo intero convergono verso una “de-escalationnella crisi Russia-Ucraina. Dei precedenti sviluppi ne abbiamo parlato qui. Ora, passiamo agli ultimi aggiornamenti, i quali sembrano suggerire tutt’altro che passi in avanti, verso una pacifica risoluzione della questione.

Vecchia foto di un incontro tra Biden e Putin, alcuni mesi fa (fonte: startmag.it)

Una mappa con gli obiettivi sensibili in Ucraina

Come gli Stati Uniti continuano a ritenere vicina un’invasione dell’Ucraina, la Russia non crede che gli Usa vogliano aiutare solo a ristabilire l’equilibrio geopolitico. Dopo la smentita della presunta data del 16 febbraio per un attacco, ipotizzata dai primi, l’allarme resta alto per i prossimi giorni.

Dall’Estonia, peraltro, arriva una notizia clamorosa: ci sarebbe una cartina che segnalerebbe i punti sensibili puntati dal presidente russo Vladimir Putin in Ucraina. A dichiararlo il ministero degli Esteri estone, su Twitter: “Sono gli obiettivi individuati dall’intelligence russa che, se neutralizzati, possono interferire con il comando, il recupero e l’approvvigionamento delle forze armate ucraine e l’approvvigionamento energetico dell’Ucraina”.

 

La lettera di Mosca in risposta a Washington e le accuse

Continua, intanto, la corsa della diplomazia: il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha proposto al ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, un ulteriore vertice Usa-Russia.

Mosca, negli ultimi giorni, ha risposto a Washington con una lettera di undici pagine alle pretese degli Usa: il ritiro dei militari statunitensi dall’Europa orientale e dal Baltico e il non avanzamento della Nato a Est, sono per la Russia necessarie per dei passi indietro da parte sua. Quest’ultima si è detta pronta al dialogo con l’Occidente e a una cooperazione con gli Stati Uniti per realizzare “una nuova equazione di sicurezza“. Però, ha anche sottolineato che, dall’altra parte, la Nato stia da tempo ignorando la necessità di mantenere l’area cuscinetto costituita dall’Ucraina, così come gli Stati Uniti, ma anche che l’Ucraina in sette anni non abbia rispettato gli accordi di Minsk.

«È stata ignorata – accusa Mosca – la natura del pacchetto delle proposte russe, da cui sono stati estrapolati deliberatamente argomenti convenienti che, a loro volta, sono stati distorti per creare vantaggi agli Stati Uniti e ai loro alleati.».

 

 

Il ritiro delle truppe russe: gli Usa non ci credono e ricordano a Mosca il rischio di sanzioni

Il 15 febbraio, il presidente russo ha incontrato, presso il Cremlino, il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Quest’ultimo ha dimostrato una grande apertura al dialogo e ha dichiarato che la sicurezza dell’Europa “non può essere costruita contro la Russia ma in cooperazione con la Russia”. Il leader russo si è detto contento di questa apertura, ma ha ribadito che la Russia non crede che l’Ucraina rinuncerà effettivamente al suo ingresso nella Nato.

Finalmente, in seguito all’incontro, Putin ha dichiarato chiaramente di aver autorizzato l’inizio del ritiro delle truppe dal confine, assicurando di non volere la guerra. Eppure, la Nato ha espresso ancora dubbi su una reale de-escalation.

Putin ha voluto dare un segnale di distensione con il ritiro, pur insistendo nelle sue richieste. Anche da parte sua la diffidenza è tanta. Gli Usa non hanno dichiarato chiaramente di non voler entrare a Kiev.

Dalla Casa Bianca sono poi giunte voci di una forte diffidenza al riguardo, secondo le quali la ritirata non sarebbe avvenuta, anzi, che sarebbe stato predisposto lo schieramento di altri 7mila militari russi e la costruzione di un ponte galleggiante in Bielorussia, a 6-7 km dalla frontiera ucraina. Il ponte, successivamente smantellato, non è ancora chiaro se sia stato costruito dalla Russia o dai suoi alleati nella regione.

Immagini satellitari del ponte, poi smantellato, come dimostrano successive acquisizioni (tg24.sky.it)

Il presidente americano Joe Biden continua a dirsi pronto a qualsiasi eventualità, anche ad a ricevere cyber-attacchi. Con tono duro ha avvertito chiaramente la Russia delle sanzioni che verrebbero applicate contro di essa, in caso di invasione dello Stato confinante:

«Se la Russia attacca l’Ucraina, sarà una guerra frutto di scelta. Le sanzioni sono pronte».

 

Espulsione del viceambasciatore americano da Mosca

Nella giornata di ieri, 17 febbraio, la via diplomatica si è fatta più difficilmente percorribile. La Russia ha espulso il viceambasciatore americano a Mosca, Bart Gorman.

Questo ha spinto ancor di più Biden verso la convinzione di un attacco imminente e ha aggiunto altre dichiarazioni forti: la Russia starebbe cercando un alibi falso per giustificare l’invasione dell’Ucraina, potrebbe stare architettando persino “un’operazione sotto falsa bandiera” (“false flag“). Blinken sostiene che potrebbe inventare attacchi terroristici, inscenare attacchi con droni contro i civili o attacchi con armi chimiche – ma anche compierli veramente – rivelare false fosse comuni, nonché convocare teatralmente riunioni di emergenza per rispondere a operazioni sotto falsa bandiera e poi cominciare l’attacco contro obiettivi già identificati e mappati.

 

La grave situazione in Donbass potrebbe divenire il casus belli

Cartina del Donbass (fonte: Wikipedia)

A sostegno delle accuse, gli americani avevano fatto circolare anche un documento all’Onu in cui la Russia rievocacrimini di guerra” e un “genocidiocontro la popolazione russofona del Donbass. In questa regione ormai indipendente, sul confine russo-ucraino, ieri, è stato condotto un attacco ad un asilo, da parte dei separatisti filo-russi. Ferite due maestre, ma nessuna vittima e nessun bambino colpito. Poi intorno alle 10.25 di mattina, durante il bombardamento del villaggio di Vrubivka, un colpo è stato sparato nel cortile di un liceo.

L’asilo colpito durante le tensioni con i ribelli filo-russi (fonte: www.cbsnews.com)

Nelle ultime ventiquattro ore, ci sarebbero state sessanta di violazioni al cessate il fuoco da entrambe le parti. Si credeva che quello potesse essere la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. La regione, in passato, fu teatro dello scontro tra russi e nazisti durante la Seconda guerra mondiale, poi zona sempre sotto controllo da parte di Kiev per le tensioni createsi da quando essa si è dichiarata, nel 2014, unilateralmente indipendente dall’Ucraina, e i separatisti costituirono la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk.

 

Tutti, compresa l’Italia, lavorano a un incontro tra Putin e Zelensky

Nelle suddette undici pagine, Mosca, oltre a dimostrarsi aperta alla collaborazione, ha rimarcato anche la sua fermezza in un vero e proprio aut aut:

«In assenza della disponibilità da parte americana a concordare garanzie giuridicamente vincolanti della nostra sicurezza, la Russia sarà costretta a rispondere, anche attuando misure di natura tecnico-militare.».

La prossima settimana si svolgerà in Europa un altro vertice. Prenderà parte anche il premier italiano Mario Draghi, che di ritorno dal Belgio, ieri ha dichiarato con preoccupazione: “Per il momento episodi di de escalation sul terreno non si sono visti”.

«L’obiettivo – ha detto il presidente del Consiglio- è ora far sedere al tavolo il presidente russo Vladimir Putin e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’Italia sta facendo il possibile per sostenere questa direzione».

L’Italia ci tiene al sostegno della diplomazia. Non solo la classe politica, nelle persone di Draghi e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ma anche i cittadini sono molto preoccupati. La Comunità di Sant’Egidio ha persino promosso delle manifestazioni in strada, a Roma, contro la possibilità della guerra, poiché in tal caso, a rimetterci, come sempre durante le guerre, è soprattutto la gente comune.

Corteo manifestazione promossa dalla Comunità di Sant’Egidio. Striscioni “No war” (Fonte: rainews.it)

 

Rita Bonaccurso

Roberta Metsola è il nuovo presidente del Parlamento europeo, il primo di nazionalità maltese. Dopo l’elezione, la polemica

La terza donna presidente, nella storia, scelta per la guida del Parlamento Europeo e la prima persona di nazionalità maltese: parliamo di Roberta Metsola, esponente dei Popolari (Ppe), è lei il successore dell’ex presidente europeo David Sassoli, scomparso pochi giorni fa dopo una lunga malattia. Eletta con 113 voti in più rispetto al suo predecessore, per di più nel giorno del suo quarantatreesimo compleanno, il 18 gennaio scorso, risulta essere anche il più giovane presidente donna dell’Assemblea di Strasburgo.

Roberta Metsola è la più giovane tra i presidenti della storia del Parlamento Ue (fonte: leggo.it)

L’elezione a Strasburgo è il coronamento di una carriera brillante

Le altre candidate erano la svedese Alice Kuhnke, per i Verdi, e la spagnola Sira Rego, per La Sinistra, che hanno ottenuto rispettivamente 101 e 57 sì. Ben 458 voti, invece, quelli a favore, su un totale di 617, per l’eurodeputata maltese Metsola. La sua elezione è stata improvvisa e necessaria per la scomparsa di Sassoli. In onore di quest’ultimo ha riservato il suo primo intervento appena dopo l’ottenimento della carica, durante la plenaria del 18 gennaio, pronunciando un discorso di commiato proprio in italiano:

“La prima cosa che vorrei fare, come Presidente, è raccogliere l’eredità che ci ha lasciato David Sassoli. Lui era un combattente per l’Europa. Credeva nel potere dell’Europa. Grazie David! Voglio che le persone recuperino un senso di fede ed entusiasmo nei confronti del nostro progetto. Credo in uno spazio condiviso più giusto, equo e solidale.”.

La politica è parte fondamentale dell’intera quotidianità della neopresidente: ironia della sorte, il marito, Ukko Metsola, è anche lui politico, europarlamentare (finlandese), con il quale ha avuto quattro figli. Una carriera, quella di Roberta Metsola, costellata da importanti traguardi, di cui quest’ultimo mandato europeo costituisce un coronamento. Ha mosso i suoi primi passi divenendo membro della formazione giovanile del Partito Nazionalista (Moviment Zgħazagħ Partit Nazzjonalista) e dell’European Democrat Students, per cui è stata anche segretario generale. Un’importante conferma del suo grande talento arrivò già il 12 novembre del 2020, quando, a soli 41 anni, divenne la prima vicepresidente vicaria del Parlamento Europeo.

 

Il discorso da neo presidente

Appena eletta, la Metsola, di fronte all’Assemblea ha tenuto un discorso con il quale ha toccato tematiche attualissime in Europa, come quella dell’antieuropeismo e della disinformazione, combattute tenacemente, come lei stessa ha ricordato, da Sassoli:

“Dobbiamo controbattere la narrativa antieuropeista che si diffonde così rapidamente. – ha dichiarato sempre in italiano – La disinformazione che si è diffusa durante la pandemia ha alimentato il nazionalismo, l’autoritarismo, il protezionismo. Sono illusioni false che non offrono soluzioni, perché l’Europa è esattamente l’opposto di questo.”.

 

(fonte: quifinanza.it)

Poi l’accento su clima e transizione energetica. Ha sottolineato l’importanza del “green deal”, del lottare uniti contro i cambiamenti climatici, anche sostenendo l’economia.

Ha parlato di immigrazione, dicendosi fiduciosa verso l’ipotesi di trovare, all’interno del Parlamento, entro i prossimi due anni e mezzo, un accordo, una maggioranza, trovata in realtà cinque anni fa, ma poi bloccata. Riguardo la proposta di alcuni Paesi membro dell’Ue, che chiedono di finanziare la costruzione di muri ai confini, la Metsola si è dichiarata contraria, pur riconoscendo che alcuni Stati vivono situazioni difficili e che per questo vanno comunque aiutati:

«Per me la protezione della vita viene prima di tutto. Non possiamo avere una politica di migrazione che non dà valore alla vita, ma nemmeno lasciare soli ad affrontare una sfida enorme i Paesi di frontiera. Gli altri Stati non possono abbandonarli, pensando che non sia anche un problema loro. – ha detto – Ci sono molti strumenti, ma non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di esseri umani.».

Così, ha parlato anche delle Ong che intervengono nel Mediterraneo per salvare i migranti in pericolo e della necessità di trovare una soluzione al più presto, magari aprendo un dialogo approfondito con i Paesi di partenza, di transito e di arrivo dei flussi di immigrazione, per impedire che le partenze per l’Europa siano viaggi in cui le persone rischino la vita. Non più.

 

La polemica

Subito dopo l’elezione, sono arrivati i primi commenti dal mondo della politica, si è accesa inoltre la polemica, in particolare su certe dichiarazioni della Metsola in merito al diritto all’aborto. Dopo le vicende che hanno scosso l’Europa, in particolare, la Polonia, la presidente sembra voler cambiare linea, più precisamente, farsi portavoce del pensiero della maggioranza del Parlamento europeo, dichiarando che fino ad oggi si era schierata come sostenitrice delle posizioni antiabortiste perché largamente diffuse nel suo Paese, Malta, dove l’aborto è illegale:

«Da eurodeputata maltese, ho difeso una posizione nazionale. Ora che sono presidente del Parlamento europeo non voterò più su questo tema e difenderò all’esterno la posizione dell’istituzione da me guidata.».

Dunque, a Malta, la questione è più intricata di quanto sembri:

«C’è un protocollo – ha rivelato la Metsola – che noi tutti eurodeputati maltesi siamo costretti a seguire. Non bisogna votare provvedimenti che possano portare a un dibattito sull’aborto a Malta. Perché un dibattito su questo tema deve rimanere a livello nazionale. Ma adesso ho una responsabilità e per mantenere l’oggettività non voterò più su questi rapporti e su queste risoluzioni. Voglio difendere l’uguaglianza tra i sessi. E lo farò sempre e ovunque». Queste, dunque, le intenzioni del nuovo presidente.

Il presidente francese Emmanuel Macron, in merito a queste dichiarazioni, durante la plenaria ha suggerito, probabilmente riferendosi direttamente all’appena eletta presidente, di inserire nella Carta dei Diritti fondamentali europea il diritto all’aborto e la protezione ambientale: «A 20 anni dalla proclamazione della Carta, vorrei che fosse aggiornata con un riferimento esplicito all’ambiente e al riconoscimento del diritto all’aborto.».

I due sono stati insieme protagonisti di un’altra polemica, scoppiata in occasione della presentazione del semestre francese di presidenza Ue. Dopo aver letto un discorso durato due minuti e mezzo, il capo dell’Eliseo ha alzato i tacchi e ha abbandonato la sede francese del Parlamento europeo. Presente appunto anche la neo eletta Metsola, che ha seguito Macron. Diversi giornalisti hanno abbandonato in segno di protesta la sala stampa del Parlamento europeo di Strasburgo. La reazione a caldo della Federazione internazionale dei giornalisti è stata:

(fonte: europa.today.it)

“Non puoi dire che ti interessa la libertà dei media e poi non rispondere alle domande dei giornalisti alle conferenze stampa”

Ora tre donne guidano l’Europa

Con la nomina della maltese, sono diventate tre le donne che guidano le principali istituzioni comunitarie: oltre Metsola, Lagarde e Von der Leyen.

(fonte: parismatch.com)

Che sia stata eletta una donna per una carica tanto importante per la vita di milioni di persone, è sicuramente un dato positivo, una voce femminile in più. Però, ogni donna è diversa dalle altre e come ogni persona, indipendentemente dal genere, ha pregi e difetti e opinioni personali anche non rappresentative di tutto una categoria, se di categorie si può parlare.

Il presidente Metsola è una figura complessa come la complessa politica maltese, per la quale è una “nazionalista”, mentre lei si definisce democristiana. La sua ideologia sembra, in effetti, quelle di una persona di sinistra, anche alla luce delle ultime dichiarazioni. Le sue opinioni personali contrarie all’aborto rispecchiano, dunque, una mentalità ancora molto diffusa a Malta, ma l’impegno a rispettare la posizione del Parlamento europeo su ciò, come anche su altri temi, sembra molto concreto.

Almeno per ora, sembra che vi sia la volontà di continuare una missione che anche Sassoli aveva promesso di portare a termine, in nome di un’Europa più proiettata verso libertà, sicurezza e uguaglianza.

 

Rita Bonaccurso