Una domenica pensante

Questa domenica
mi sento nemica
di me stessa
persa in un’essenza
di pensieri
negativi
ora e ieri
diventano il futuro
di un muro davanti a me
di felicità sempre a metà

Questa domenica
in una casa spenta
di anime ubriache
da utopiche realtà
di un troppo che si desidera
e di un poco che si detesta
il denaro sempre
resta la priorità
nella loro testa

Questa domenica
non cambia
il peso di un cuore appeso
in un sogno arreso
la mia domanda è lecita
un sole esiste
In un buio che persiste?

Questa domenica
pesco sogni
ma trovo sempre fallimenti
di sbagli ripetuti
e delusioni inevitabili
non cambia niente
in questa mente
che tutto crede
E niente sente

Miriana Postiglione

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Ode

Combattere il disgusto di un nuovo acquisto
Il magnetismo di un tozzo di pane
Nutrito dalla farina di un altro sacco
Uso le poche parole che so
Che ho
Per giustificare la mia prepotenza
Nel dargli voce
Non hanno stile o
Grazia o arguzia
Sono trite e ritrite
Dentro lo studio di un
Macellaio
Sono lo strazio
Tra le urla di un vitello
E il silenzio di una
Vita avariata

Chiara Tringali

Caterina

Raccolse il cellulare, lo sbloccò e guardò.
Quando la vide il suo cuore sussultò, come era sempre stato.
Indossò le cuffie, lo faceva sempre quando voleva riflettere, sfogarsi o fuggire dalla realtà.
Si chiese se quello fosse amore, ma come poteva avere una risposta? Quando mai l’aveva provato? Quando mai l’aveva vissuto?
Cos’è l’amore? Domanda che una moltitudine di donne e uomini s’è posto almeno una volta nella vita in ogni epoca del mondo, chi trovando una risposta, chi non trovandola mai, chi prendendo la realtà traslandola a sogno.
Sapeva solo che quegli occhi scuri, quei ricci bruni, quelle dita screpolate e mangiucchiate, quel corpo scricciolo eppure così energico, quel sorriso pieno di sogni, quella voglia di vivere erano le cose più belle che avesse mai visto in vita sua.
E lui ne era degno? Era degno di tutto quell’amor di vivere?
Mille volte l’aveva sognata, mille e una s’era svegliato senza di lei, ma nemmeno per un secondo quel nome, Caterina, era scomparso dai suoi pensieri.
L’avrebbe mai incontrata? Le avrebbe mai parlato? Avrebbe mai avuto il coraggio di dire quel “ti amo”?
Forse anche quello era solo l’ennesimo sogno.
Aveva affogato quel sentimento, reprimendolo dietro un “non succederà mai”, ma passavano i giorni, le settimane e i mesi, ed esso riaffiorava più forte e doloroso di prima, e l’agro nella sua bocca constatando l’assenza di lei si faceva cento volte più aspro.
Affogare quel desiderio convivendo col rimpianto, con il “come sarebbe stato se…”, oppure accoglierlo accettando il rischio di veder appassire quel sogno come una foglia d’autunno?
Ancora una volta non trovò risposta, trincerandosi dietro un cuore virtuale che tra altri cento sarebbe andato perduto nell’anonimato.
Rabbia, tristezza, esasperazione, desiderio, attrazione ed esitazione, paura e voglia di rivelare ciò che provava.
Camminava tra decine d’emozioni come un equilibrista su una fune, un equilibrio che era al contempo rifugio e prigione.
E intanto la musica era finita, il suo cuore ancora sussultava, e quel nome gli sarebbe ancora balenato in testa, “Caterina”, finché non avesse deciso di abbandonare la prigione del silenzio, assaporando la libertà del reale, qualunque fosse il suo vero sapore.

Giuseppe Libro Muscarà

In questa terra arida

In questa terra arida
che era la mia vita,
hai scavato a fondo con le dita
una buca dritta e profonda,
che hai riempito con tanti
piccoli semi di te.

In questa terra arida
che era il deserto del mio cuore,
da quei piccoli semi di te
è nata, nel sole di maggio,
una distesa d’amore,
fatta di frutti e di fiori,
verde di speranza e
profumata di petricore.

In questa terra arida
era sbocciata la primavera,
ma ora è tornato l’autunno
che mi spoglia di ogni cosa,
lasciandomi inerme al gelo,
e nella solitudine del dolore,
vorrei solo essere ancora
quella nuda terra che t’accoglie.

 

Gaetano Aspa

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Serpi d’Oleandro

La mia passeggiata era accompagnata dal vermiglio Oleandro e la sua bellezza mi ripagava di tutti gli sforzi fatti per raggiungerlo. Di consueto, quel luogo, era così privo di rumori che riuscivo a sentire il suono del mio battito, ma quel giorno qualcosa interruppe il mio rituale. Si trattava di una serpe che strisciava vicino agli eleganti fiori. Mi fermai un attimo a guardare questo quadro e ad un tratto tutto mi sembro più nitido: Entrambi eran portatori di veleno, ma uno dei due lo nascondeva meglio. Passandoci accanto nella mia abitudinaria quotidianità, non l’avrei mai notato, distratto dai suoi doni tra profumo ed incanto, non avrei dubitato di lui, continuando a regalargli il mio tempo, proprio come la persona che amavo.

Carla Mascianá

*Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia.

Goccia nera

Ora è tardi, lo ammetto
sono stanco anch’io,
mentre guardo la finestra
con la pioggia che trema
in fondo a quella strada.

In piedi sul pendio
scorgo la luce che mi attraversa
e vorrei poter avere
quell’ultima carezza,
mentre scivolo giù insieme a te.

In questo limbo penso a cosa è giusto,
forse è giusto buttarsi
senza pensare più a niente,
neanche un pezzo di me
dentro ad una goccia nera.
Cade e non fa rumore.

Benedetto Lardo

Immagine in evidenza: illustrazione di Benedetto Lardo

Catena di lana

Viaggia
Coperto dal vento il tuo ricordo,
Ed io non so
Se mi è compagno
Se mi è nemico
Perché mi sorregge
E al contempo mi intrappola,
Mi fa vivere il presente
Ma mi àncora al passato.
Ed io non so
Se ciò che mi avvolge
È una coperta di lana
O una catena d’acciaio.

Francesco Pullella

*Immagine in evidenza: illustrazione di Giovanni Pullella

Frammenti di quotidianità

I miei occhi, nomadi, ingoiano raggi di luna,
andati di traverso per la gola
e si incastrano nella pupilla dell’infinito.

Un uomo, trascinandosi il cielo in spalla,
si nasconde dietro il sole in silenzio,
inventa passi di luna e mi strizza l’anima dal pianto.

Vene rotte mi cadono a terra, brontolano le mani,
strappo le viscere del cielo e me le infilo in tasca,
mi brucia la pelle, sento le stelle battermi nelle vene.

Sbircio dentro: ho lo stomaco pallido e l’universo in subbuglio.

Domenico Leonello

Il Silenzio

Ogni brivido sulla pelle, ogni
goccia di vento che cade senza perdono
e mai scuserò quegli occhi rossi di rabbia,
poche volte l’indifferenza ha regnato,
in mezzo al nulla.
Una volta attraversato il fiume rosso,
più ha cambiato il suo sguardo.

Geme un canto disordinato
e nella confusione del suo desiderio
non agisce più per ragione
ma per spavento,
e il mio lamento, che soffoca il respiro…

Non voglio più capire
e solo sentire le sue parole
sembra inebriare l’anima di nero,
cieco ma sento ancora
ogni tuo verbo di disprezzo,
stringi a te il silenzio che manca.

Lardo Benedetto

 

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Benedetto Lardo

Tacito accordo

Arte.
Travolgente,
arriva lenta, resta sopita per un po’,
non urla, non è un vulcano in eruzione.

Arte.
Arriva silenziosa, si infiltra dove trova una porta rimasta socchiusa.
Smonta certezze,
crea domande.
Riempie un vuoto per crearne un altro subito dopo.

Guardando tra le pennellate
si scorge qualcuno che ha vissuto come me,
qualcuno che è stato me prima di me.

Io, immobile, davanti a un Picasso,
che urla in silenzio senza colori
la pece nera della guerra.

Io, immobile, davanti a un Kandinskij,
che scardina l’ordine imposto dal mondo
nel momento stesso in cui è nato.

Io, immobile, davanti a Bernini,
che dona il soffio al marmo,
corpi vivi intrecciati più autentici degli uomini.

Semplici artisti?
Forse qualcosa di più.
Si sentono urla anche se tutti stanno in silenzio.

Diventa un gioco di fiducia,
un tacito accordo,
un patto mai davvero siglato:
accetto di ritrovarmi in te
perchè so che conservi qualcosa per me
tra le veloci pennellate,
tra le pieghe del marmo.

Un delicato urlo,
un gioco di scacchi.
A ogni quadro il suo spettatore,
a ogni spettatore il suo artista.

Pur restando in un museo deserto,
non potrebbe mai esserci solo silenzio.
Mille voci si accavallano,
attendono solo un orecchio attento.

 

Giulia Cavallaro

 

 

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia