Il dono dello spettro autistico: Michelangelo Buonarroti, l’artista universale che liberava gli angeli

Cari lettori, in questo terzo appuntamento della serie Il dono dello spettro autistico, che si propone di mettere in luce le potenzialità dei neurodivergenti senza spettacolarizzarle, viaggeremo molto indietro nella storia della cultura con Michelangelo Buonarroti.

Pittore, scultore, architetto e poeta italiano che, sin dal Rinascimento, ci insegna che “diverso” non è mai “sbagliato”, bensì possibilità di essere infiniti.

Ritratto di Michelangelo Buonarroti, di Daniele da Volterra 
Ritratto di Michelangelo Buonarroti, di Daniele da Volterra 

Vita

Michelangelo Buonarroti, nato a Caprese nel 1475, è soprannominato Divin Artista” e definito Artista universale”.

Visse il Rinascimento italiano, e già in vita fu riconosciuto dai suoi contemporanei come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.

Michelangelo cresce in un ambiente toscano segnato dalla sua appartenenza a una famiglia di modesta estrazione. La sua infanzia è caratterizzata da difficoltà che lo portano ad avvicinarsi all’arte sin da piccolissimo.

A Firenze, all’età di tredici anni, entra nella bottega di Domenico Ghirlandaio, dove apprende la pittura e le tecniche rinascimentali. Ma l’aspirazione alla scultura emerge sin da subito come la sua vocazione predominante.

Nel 1496, a ventun’anni, si trasferisce a Roma, dove realizza la “Pietà”, scultura che segna l’inizio della sua fama.

Avvoltosi nella solitudine, a Roma, inoltre, Michelangelo entra in contatto con le più alte sfere artistiche e religiose, rimanendo sotto la protezione di cardinali e papi.

Nel 1501, torna a Firenze, dove realizza la celebre statua del “David”, un’opera che lo consacra come scultore di prim’ordine.

Sempre qui, poi, subisce anche il suo primo contatto con la politica locale e con i Medici. Gli commissionano vari lavori, ma il suo legame con loro sarà sempre turbolento e segnato da tensioni.

Nel 1505, Michelangelo torna a Roma e, durante il suo soggiorno, si distingue anche come pittore, decorando la “Cappella Sistina”, un’opera titanica che mostra il suo genio visionario, anche frutto di una lotta interiore per raggiungere la perfezione.

Morirà a Roma nel 1564, all’età di ottantotto anni, lasciando una lista di opere molto più lunga di quelle citate, e un’eredità di capolavori che non solo segnerà la storia dell’arte, ma anche quella della complessità umana, in cui si intrecciano visioni grandiose e tratti di inconsueto approccio alla società.

Buonarroti riusciva a percepire, scoprire e, infine, liberare dalla pietra l’anima di un oggetto apparentemente inanimato.

Lo stesso artista scrisse:

Ho visto un angelo nel marmo ed ho scolpito fino a liberarlo.

Ed è forse con questa citazione che si può esprimere la sua essenza di artista e persona, la cui unicità ha dato vita all’immenso dei suoi capolavori.

La Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro, Roma
La Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro, Roma

La Pietà

Michelangelo Buonarroti ha saputo scolpire, dipingere e plasmare la storia dell’arte come pochi.

La Pietà, realizzata tra il 1498 e il 1499, è una delle sue prime opere e mostra un controllo assoluto sul marmo.

La scultura è alta 174 cm, larga 195 cm e profonda 69 cm ed è oggi collocata nella Basilica di San Pietro.

La delicatezza con cui è rappresentato il corpo morente di Cristo, pur nella sofferenza, e la discrezione di Maria, che lo tiene in grembo, è una fusione di perfezione tecnica e carica emotiva.

La composizione spaziale è incredibilmente equilibrata: il corpo di Cristo, in diagonale rispetto a Maria, crea un gioco di linee che guida lo sguardo dell’osservatore, come se volesse catturare l’essenza del dolore cristiano.

La mano sinistra della Madonna è aperta e rivolta verso lo spettatore, a significare che tutto si è compiuto e nulla più è in suo potere.

Da notare la giovane età della donna, che stravolge quella che era stata l’iconografia raffigurata fino a quel momento, vicina a quella del Cristo morente, a rappresentare la purezza, la santità e l’incorruttibilità.

Il volto rassegnato della Vergine esprime il superamento delle fattezze terrene e il raggiungimento della bellezza ideale.

L’estrema levigatezza della superficie marmorea, nonostante la veste drappeggiante di Maria che contrasta il corpo nudo del figlio, conferisce un effetto mimetico straordinario, paragonato da Vasari a un miracolo.

La volta della Cappella Sistina e il Giudizio Universale 

Interno della Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma
Interno della Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma

Il genio di Michelangelo si manifesta anche nella Cappella Sistina, che ha una larghezza di oltre 13 metri, una lunghezza di 40 metri e quasi 21 metri di altezza.

Un capolavoro che, tra il 1508 e il 1512, ha rivoluzionato il concetto di affresco.

Vista da fuori, la Cappella Sistina assomiglia a una fortezza, solida e austera, con finestre strette e nessun parato decorativo.

Tanto è semplice l’esterno quanto ricca e preziosa la decorazione interna. Con il lavoro di Michelangelo, la volta non è più solo una superficie decorativa, come in precedenza, ma un palcoscenico dove si svolge la tragedia umana e divina.

Buonarroti accetta l’incarico di eseguire nove scene tratte dalla Genesi, insieme alle figure di profeti, sibille e antenati di Cristo. Queste non sono più statiche, ma sembrano quasi vibrare di energia.

Dal punto di vista figurativo, tutta la volta è un inno al corpo umano, alla sua forza, bellezza, capacità espressiva. Ogni tipo di torsione viene sperimentato, ogni muscolo messo in evidenza. I colori sono accesi, brillanti e cangianti.

Tra i suoi affreschi, spiccano la Creazione di Adamo e la Separazione della luce dalle tenebre, che mostrano non solo una tecnica straordinaria, ma un’interpretazione radicale della Bibbia. Michelangelo riesce a mettere in scena non solo l’arte figurativa, bensì una filosofia visiva, dove ogni gesto, ogni linea, racconta una storia di lotta e redenzione.

Con il Giudizio Universale, dipinto venti anni più tardi, l’artista supera ogni limite.

Le figure, ora quasi deformate dall’intensità emotiva, sembrano spingersi fuori dal muro, come se volessero uscire dal contesto sacro per invadere il nostro mondo.

L’affresco di Michelangelo, realizzato tra il 1536 e il 1541, rappresenta un vortice azzurro che parte dal Cristo giudice al centro, con Maria accanto a lui come mediatrice. Intorno, i santi martiri con gli strumenti della loro morte, che diventano simboli di salvezza, e angeli che risvegliano i morti. A destra, i demoni trascinano i dannati verso l’Inferno, mentre nelle lunette gli angeli mostrano e conducono in gloria gli strumenti della Passione.

ll sacrificio di Cristo è necessario alla salvezza dell’uomo.    

Il David

David di Michelangelo, Galleria dell'Accademia, Firenze
David di Michelangelo, Galleria dell’Accademia, Firenze

Il David (1501-1504), scolpito nel marmo di Carrara, è l’emblema della perfezione fisica e morale dell’uomo rinascimentale.

Eppure dietro a quell’integrità c’è una tensione palpabile, un’energia che preannuncia l’azione.

Oggi, è ubicata nella Galleria dell’Accademia a Firenze.

Le dimensioni sono: altezza 5,17 m, basamento 1,07 m, statua 4,10 m.

La posizione del corpo nudo del protagonista, come da tradizione classica, è chiastica: il braccio sinistro è piegato verso la spalla, sulla quale il David poggia la fionda e corrisponde alla gamba destra in tensione, sorretta dal puntello. Su questa poggia l’intero peso del corpo. Il braccio destro è rilassato, nonostante la mano regga il sasso. La gamba sinistra, rilassata anch’essa, sporge leggermente verso l’esterno, poggiando il piede sul limite estremo del basamento; il tallone è sollevato ad indicare che si sta preparando al movimento.

L’eroe, infatti, non è scolpito nel momento del trionfo, ma nell’attimo prima della battaglia contro Golia. Il corpo non esprime solo forza fisica, quanto una forza interiore, che si traduce in un senso di controllo assoluto.

Michelangelo ha lavorato per mesi su questo blocco di marmo, estrapolando ogni muscolo, ogni vena, ogni fibra del corpo umano. Le proporzioni, studiate con precisione, non sono più solo anatomia: sono l’immagine di un uomo che affronta il destino con consapevolezza e determinazione. La scultura diventa così un messaggio di potenza, ma anche di introspezione.

Non finito 

 

I Prigioni di Michelangelo, Galleria dell'Accademia, Firenze 
I Prigioni di Michelangelo, Galleria dell’Accademia, Firenze 

In un’epoca in cui la perfezione estetica era il massimo ideale, Michelangelo ha saputo spingersi oltre anche nel concetto di non finito.

Le sue opere incompiute, come i Prigioni (1513-1516) o i Non Finito degli anni successivi, sono il risultato di qualcosa di irrisolto, di un progetto che non si conclude mai.

Qui, il blocco di marmo sembra resistere all’arte stessa, però è proprio questa resistenza a dare vita a una nuova poetica. La figura emergente dal marmo incompleto non è solo una “non finita”, ma una promessa di completezza che non verrà mai realizzata.

C’è un contrasto potente tra la materia grezza e ciò che prende forma: l’artista non la plasma, la lascia nascere, quasi in un dialogo continuo con la pietra.

Questa scelta non è solo estetica, ma una riflessione sul processo creativo, sull’incapacità dell’uomo di raggiungere la perfezione e sull’eterno conflitto tra la forma e il caos.

Michelangelo dimostra che, nel non finito, l’arte è viva, pulsante, mai definitiva.

Michelangelo e lo spettro autistico

Lettera di Michelangelo a Vasari, Palazzo Medici Riccardi, Firenze
Lettera di Michelangelo a Vasari, Palazzo Medici Riccardi, Firenze

Michelangelo Buonarroti è un personaggio misterioso della storia della nostra cultura.

Viveva in un mondo a parte, tutto suo.

Le sue opere, dalla maestosità della Cappella Sistina al monumentale David, sono il risultato di una visione unica, quasi ossessiva, dove ogni gesto e ogni forma sembrano esplodere da una realtà che solo lui riusciva a vedere.

Alcune testimonianze dicono che fosse difficile da avvicinare e che avesse un rapporto controverso con i propri committenti. Preferiva la solitudine alla compagnia, spesso concentrandosi per lunghi periodi di tempo solo al lavoro.

Inoltre, le lettere del pittore mostrano un certo distacco emotivo, così come un innegabile grado di irritabilità quando le sue opere venivano criticate o si trovava sotto pressione.

Dei tratti che oggi potremmo interpretare come neurodivergenti, ma che, ai suoi tempi, venivano giudicati come “decisamente strambi” dai suoi contemporanei.

Se Michelangelo fosse vissuto nel XXI secolo, probabilmente qualcuno avrebbe parlato di lui come una persona Asperger. Ma, chiaramente, non possiamo fare diagnosi retroattive.

Quel che è certo è che la sua genialità è figlia anche di quella diversità che lo rendeva lontano dai canoni. Perché, alla fine, è proprio essere “diversi” che spesso consente di lasciare il segno nel mondo.

Fonti:

https://www.studenti.it/cappella-sistina-storia-descrizione-analisi-affreschi-michelangelo.html

https://www.studenti.it/pieta-di-michelangelo-descrizione-analisi.html

https://www.studenti.it/david-di-michelangelo-descrizione-e-analisi.html

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Michelangelo_Buonarroti

Il cinema si reinventa: una via dell’arte per Messina, scommessa e opportunità

Giorno 30 aprile il Cinema Apollo ha finalmente riacceso le sue luci, ed in attesa di collocare i nuovi manifesti in vista delle tanto attese proiezioni cinematografiche, ha arricchito i suoi spazi esterni con opere d’arte, ridando luce e colore alla via San Filippo Bianchi. Il progetto “Apollo & Arte” nasce dall’idea di Daniele Mircuda e Loredana Polizzi che, osservando quella strada, una volta tanto animata dal via vai di persone che occupavano le sale della struttura, si trova adesso vuota e priva di quei colorati manifesti che riempivano gli espositori  del multisala. Proprio per questo motivo Mircuda e Polizzi hanno deciso di organizzare una rassegna temporanea per ricordare, non solo al pubblico dell’Apollo, ma a tutti i cittadini, la bellezza ed il piacere dell’osservazione attraverso l’arte. Gli artisti che si sono messi in gioco in questa meravigliosa iniziativa esporranno opere pittoriche, fotografiche, illustrative e di collage digitali.

“Apollo&Arte” via San Filippo Bianchi

Per la pittura sarà possibile osservare le opere di Sofia Bernava, giovane messinese classe ’98, da sempre appassionata all’arte, che si forma dapprima da autodidatta e, dopo il Liceo, decide frequentare l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, dove ha poi conseguito il diploma di primo livello in Grafica d’Arte. Espone svariate volte negli anni alle mostre dell’associazione “Be Art”, all’evento “La città sommersa” nel 2019 e più recentemente alla mostra “Art Container 019” nell’Accademia da lei frequentata; vince inoltre il secondo ed il terzo premio a due estemporanee, rispettivamente “Visioni dall’interno”, tenutasi al Monte di Pietà, e “Castello e
d’intorni” presso Santa Lucia del Mela.

Altra protagonista dell’evento è Alessia Borgia, messinese nata nel ’86, che attraverso fotografie street racconta nitide immagini di vita quotidiana. Il suo approccio a quest’arte visiva avviene da giovanissima attraverso la fotografia analogica, dedicando i suoi rullini al paesaggio e a contesti familiari, per poi subire il fascino del digitale e cambiare soggetti per le sue opere. La sua sensibilità fotografica si sposa perfettamente con la precisione datale dalla sua professione di architetto, creando dunque il binomio ideale per trasmettere attraverso i suoi scatti il messaggio di una fotografia a sfondo sociale.

“Apollo&Arte” via San Filippo Bianchi

Tra le illustrazioni in mostra vi sono quelle di Lucia Foti, nata a Messina nel 1992, che, da sempre autodidatta, si avvicina all’arte sin da giovanissima, sviluppando un forte interesse per tutte le arti visive, interesse che, nel corso del tempo, la condurrà ad esporre le proprie opere sulle giacche artigianali della stilista Marcella Magistro, ed ad organizzare due mostre, una personale presso TOTù a Milazzo, ed un’altra, “Abyssu” in collaborazione con NessunNettuno, noto artista messinese, presso Le Retrò Studio a Messina; inoltre si occupa della locandina per il cortometraggio “Vittoria per Tutti” della casa di produzione “8 Production” regia di Elia Bei,
vincitore del Premio al Miglior Corto Italiano di Rai Cinema Channel al RIFF (Roma Indipendente Film Festival). La sua passione per le arti figurative giunge anche al ritratto attraverso cui, sperimentando tra penne, matite ed acquerelli, riesce ad immortalare l’anima dei volti che rappresenta.

Non solo però si avrà il piacere di rivedere artisti già noti, infatti, tornando alla pittura, saranno esibite le opere di Grazia D’Arrigo, classe ‘86 che, proprio in quest’occasione esporrà, per la prima volta, il frutto dei suoi lavori.

“Apollo&Arte” via San Filippo Bianchi

Altro talento proveniente dall’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria è la messinese Ylenia Bottari, classe ’94, che vedrà negli espositori del multisala i suoi lavori fotografici. L’artista, acquisito il diploma di primo e di secondo livello in Scuola di Decorazione, frequenta poi uno stage di restauro “Un’estate tra Arte e Fede nella Diocesi di Locri-Gerace” e si occupa nel 2019 dell’allestimento della mostra “Artcontainer 019” organizzata dall’Accademia da lei frequentata. Partecipa alla terza edizione della Mostra “ContaminArt-Arti visive” nel 2019 ed alla collettiva tenutasi al Palazzo della Regione di Reggio Calabria per le “Giornate Cardiometaboliche Reggine”.

Altro protagonista dell’esposizione è il venticinquenne messinese Daniele Commito, un giovane illustratore, che ha coltivato la sua arte da autodidatta acquisendo sempre più consapevolezza della sua capacità di spostare le sue idee su “carta”. Sono svariate le mostre a cui ha già preso parte, sia in città, quali Be Art Tropical session, Mood art al Centro Multiculturale Officina o ancora, la più recente, Segnalibro d’artista presso la Libreria Mondadori, ma anche nella metropoli Catanese alla galleria d’arte Nukleika.

“Apollo&Arte” via San Filippo Bianchi

Altra già nota pittrice messinese è poi Anna Viscuso, classe ’99, anche lei studentessa
dell’Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria, e che fa parte del collettivo Be
Art . Ha già esposto, non solo a tutte le mostre organizzate dall’associazione, ma anche a Viareggio alla collettiva NEROBIANCO.

Inoltre all’estemporanea sarà possibile ammirare le opere di uno degli organizzatori, Daniele Mircuda, che esporrà i suoi collage digitali in cui unisce note opere pittoriche a fotografie di personaggi noti e non, creando immagini interessanti e innovative. Ed è proprio l’artista in questione che, in veste di organizzatore, ha rilasciato una dichiarazione sull’evento descrivendo come si sia sviluppata l’idea della mostra.

Mircuda racconta infatti del profondo senso di tristezza che suscitava in lui la visione di quegli espositori vuoti, che un tempo coloravano la via del cinema. Così proprio osservando la strada ha ben pensato di domandare a Loredana Polizzi, gestore dello storico multisala messinese, di usare gli espositori come pannelli per una mostra d’arte. Polizzi si è subito mostrata entusiasta dell’idea ed ha dato immediatamente la sua disponibilità, permettendo così che l’estemporanea venisse organizzata nel più breve tempo possibile. Mircuda aggiunge poi, che “l’arte è bellezza pura e totale” e grazie a questa è possibile abbellire una via ormai vuota, divenendo così un “raggio di sole metaforico” per quella via ormai ingrigita. Tutto ciò rende il cinema un luogo ancora più culturale, ha proseguito l’artista, poiché la struttura che solitamente viene vissuta soltanto all’interno delle sue sale, viene così sfruttato a pieno per l’arte in ogni sua forma.

“Apollo&Arte”, gli artisti, via San Filippo Bianchi

Il Multisala Apollo, tra l’altro si è da sempre fatto sede di mostre, tuttavia fruibili solo dall’interno, ciò che rende particolare quest’estemporanea è proprio il fatto che sarà visitabile dall’esterno h24 e tutti i giorni della settimana. Gli espositori saranno ben illuminati, così che chiunque si trovi a passare di lì, anche la sera, possa goderne, e magari questa iniziativa potrebbe pure incuriosire chi non è molto vicino al mondo dell’arte. L’estemporanea sarà visibile per quindici giorni, allo scadere dei quali gli espositori non torneranno ad essere vuoti, ma vi sarà un ricambio di artisti, che con le loro opere continueranno ad impreziosire la nota via. Un’incantevole iniziativa che nella nostra città mette in luce come la voglia di fare possa portare ad idee innovative, come quelle di una mostra fruibile semplicemente passeggiando per le vie del centro città , e che soprattutto evidenzia come sia possibile reinventare degli spazi per far continuare a vivere l’arte, e quindi a goderne, anche al di fuori dei musei.

Laura La Rosa

L’OSPE, il precursore delle moderne coworking?

Come avrete intuito dal titolo, questo articolo non si vuole limitare a raccontare una parentesi della storia messinese. Ci sono infatti delle pillole di conoscenza che andrebbero rinfrescate per fornire spunti di riflessione, guardando al presente ed al futuro della città dello Stretto.

La nascita dell’OSPE

Una di queste pillole riguarda la storia dell’OSPE, una piccola libreria del centro messinese esistita tra gli anni ’50 e gli anni ’80. Quel luogo, nella sua semplicità, è stato testimone del passaggio di numerosi artisti e scrittori, attratti da un ignoto centro gravitazionale che rendeva quelle quattro mura un luogo sicuro in cui dare libero sfogo alla creatività.

La libreria, sita in origine in via Tommaso Cannizzaro n.100, prendeva il nome dall’acronimo O.S.P.E., Organizzazione Siciliana Propaganda Editoriale (un’agenzia di distribuzione di giornali operante nel ventennio fascista). L’agenzia fu rilevata e trasformata da Antonio Saitta, gentiluomo d’altri tempi, libraio e poeta messinese. Intorno a lui sono nati numerosi movimenti ed iniziative culturali, come la galleria del Fondaco e l’Accademia della Scocca.

L’OSPE, liberatosi dell’acronimo, pochi anni dopo trovò la sua collocazione definitiva a Piazza Cairoli, in posizione attigua all’attuale Bar Santoro.

Gli accademici della Scocca. Fonte: Villaroel G., Messina anni 50′

La galleria del Fondaco

Il Fondaco è stato un punto di ritrovo in cui pittori emergenti e di ogni età potevano mostrare i propri quadri, i quali venivano tenuti esposti nel retrobottega dell’OSPE, frequentato dai curiosi che volessero immergervisi, ma anche dagli affezionati amici del libraio Saitta. Tra questi, in particolare il Professor Salvatore Pugliatti era stimato con affetto dai molti artisti e poeti di passaggio a Messina, che non mancavano di fare tappa all’OSPE.

Lo ricorda lo stesso Salvatore Quasimodo nella sua lirica Vento a Tindari : “Tindari mite ti so / fra larghi colli pensile sull’acque […]/ E la brigata che lieve m’accompagna / s’allontana nell’aria […]/ Soave amico (ecco Pugliatti, n.d.r.) mi desta“.

Nell’attività del Fondaco si annoverano anche numerosi premi, come la Tavolozza d’Oro, riconosciuto ad artisti siciliani che non avessero esposto in altre mostre nazionali.

Salvatore Quasimodo fotografato dentro l’OSPE. Fonte: D’Arrigo C., Antonio Saitta, OSPE: la scocca della cultura.

L’Accademia della Scocca

La libreria dell’OSPE non fu solo un luogo d’incontro tra intellettuali ed artisti, bensì un’occasione per stringere nuovi legami, vere e proprie amicizie per la vita. È così che tra una poesia ed un quadro, tra uno scaffale impolverato e la contabilità del negozio, nacque nel piano interrato dell’OSPE, un vero e proprio convivium, in cui gli assidui frequentatori della libreria si recavano per banchettare, ma anche per organizzare le iniziative future, viaggi di gruppo, in un’atmosfera di totale leggerezza e fraternità.

È in quest’ambiente che nacque una vera e propria “accademia”. Una scocca di amici, come si sarebbero definiti di lì a poco, tanto bastava a far rivivere lo spirito goliardico che animava quegli anni. Ai membri dell’accademia (tra i quali comparivano Vann’Antò, Pugliatti, Quasimodo, Saitta e molti altri) venivano conferite delle onorificenze ad personam con i quali i commensali si appellavano con scherno (come Gran Collare dell’Ordine dei Fichi d’India, Cavaliere dell’Abbacchio, Cigno della Scocca, Cocca della Scocca e così via).

La fine dell’OSPE (?)

Come il Sole d’estate, di cui si desidera rimandare il tramonto, così la felice esperienza dell’OSPE dovette pian piano volgere al termine. La scomparsa di alcuni compagni della Scocca, in particolare del Prof. Pugliatti, determinò il venir meno di quella magica atmosfera che si veniva a creare nel retrobottega della libreria. Il poeta libraio Antonino Saitta, ormai anziano, era riuscito a costruire un ambiente culturale e di confronto che difficilmente sarebbe sopravvissuto senza qualcuno che ne rifondesse la linfa vitale.

Eppure, da quella piccola bottega di Piazza Cairoli, sommersa dai corsi di gestione, l’essenza dell’OSPE ha lasciato i confini materiali della libreria per trascendere in qualcosa di più ampio, nel pieno spirito del suo fondatore. Se infatti la libreria non esiste più (i locali sono stati acquistati dal vicino bar), a permanere è una forte voglia di rivalsa e di rilancio. In un mondo che oggi va ad una velocità ben diversa da quegli anni, la cultura non è più qualcosa di elitario, ma è libera di spostarsi dai confini del passato grazie alle moderne tecnologie ed ai nuovi lavori, sempre più trasversali e creativi.

Una moderna coworking in cui i content creator si trovano per lavorare, studiare o prendere una piccola pausa.- Fonte: www.sharedspace.work

La voglia di mettersi in gioco, incontrandosi e creando nuovi legami, sono tutti aspetti che erano incarnati dalle sagge menti che vollero creare – dopo il buio del secondo dopoguerra – un mondo migliore di quello che si lasciavano alle spalle. Questo spirito si spiega bene con la parola inglese serendipity, che indica “l’occasione di fare felici scoperte per puro caso” e anche “il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra”.

Forse la vecchia libreria dell’OSPE oggi non esiste più, se non nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di viverla ormai tanti anni fa. Tuttavia, quel luogo di fortunato incontro continua a rivivere tutte le volte in cui persone così diverse avranno modo d’incontrarsi, dialogare, in qualche modo unendosi in una sinfonia di scienze e di arti, dettata dalla seducente imprevedibilità del caso.

 

Salvatore Nucera

Fonti:

D’Arrigo C., Antonio Saitta. OSPE: la scocca della cultura, 2016, Messina. 

Grasso S., La libreria inghiottita dal bar, in Corriere della Sera, 21.12.1988

 

Neovisionismo “I paesaggi dell’Anima”: vernissage in memoria di Flavia Rosa

Sabato 30 marzo 2019. Messina. Via Enzo Geraci 27. Art Gallery Fadibè. Una galleria d’arte, un atelier, uno spazio espositivo, sorto negli stessi locali dell’ex libreria Colosi, nel pieno centro cittadino, composto da tre stanze, ha ospitato ed ospiterà, sino al 6 aprile 2019, circa un centinaio di opere di Fabio di Bella, in arte Fadibè, docente di Pittura, e, 22 tarocchi provenienti da alcuni talenti emergenti di una prima liceo dell’I.I.S. E. Basile.

Il vernissage di arte moderna, a sfondo benefico, è stato ideato e realizzato da Bruno Barlassina, giovanissimo architetto, in ricordo della madre: Flavia Rosa, scomparsa di recente. Prezioso l’aiuto di Donatella Salerno – Donatella è un’amica di famiglia, senza la sua collaborazione oggi non saremmo qui –  come afferma lo stesso Bruno.

“Mia madre ha sempre fatto beneficenza. Una volta che è venuta a mancare, sentivo la necessità di ricordarla, di seguire i suoi passi, di star dietro le sue orme. Sentivo di poterle stare vicino facendo qualcosa che le avrebbe fatto piacere e che avrebbe procurato del bene alla comunità. L’idea nasce da due fattori scatenanti: in primis sono un architetto e sono un grandissimo appassionato di arte. Infatti ho sempre avuto il cruccio di organizzare un vernissage. Così ho riunito due dei miei più grandi desideri. Il progetto, chiaramente, non è nato dal nulla ma ha radici profonde un anno, ammetto che non è stato affatto semplice: ho riscontrato molteplici difficoltà, tra richieste di concessioni e problemi burocratici.”

La kermesse è stata organizzata a sostegno dell’Associazione “Walking together”, che promuove un’iniziativa di raccolta fondi a favore dell’Anoalite Hospital di Mungbere, R.D. Congo, che si occupa dello sviluppo dei mezzi di prevenzione del cancro alla mammella.

La gente accorsa durante l’inaugurazione è il chiaro sintomo di una città affamata di cultura e sensibile ad un tema così delicato. Una città che ultimamente è sempre più cosciente e attiva verso argomenti di tale portata. Lo dimostra la partecipazione numerosa. Circa un centianio gli avventori che si sono recati nella piccola pinacoteca complimentadosi e contribuendo all’iniziativa.

Le opere esposte, fuori dagli schemi convenzionali, riprendono tutte il manifesto che Fabio di Bella ha lanciato alla Camera di Commercio nel 2016: Neovisionismo-Sacro contemporaneo. Come spiega lo stesso artista:

“Neovisionismo-Sacro contemporaneo: va interpretato alla lettera, cioè, la visione del sacro nel nostro contemporaneo, che in questo momento, cammina in largo e in lungo senza avere una giusta direzione. È un mio modo di vedere, che nasce dalla mia intimità. Oggi la gente sta perdendo il contatto reale con ciò che è il sacro. Vorrei far capire con le mie opere che il sacro è insito nell’essere umano. Non ha un volto. Sacro in quanto umano. La riconoscenza di una dimensione sacra, di un qualcosa attraverso cui si può vedere oltre per arrivare alla profonda natura delle cose.”

Gabriella Parasiliti Collazzo

Zeitspace | Un anno di pittura bastarda

SALA LETTURA
25 gennaio 2019, 18:00

Un anno di pittura bastarda

pittura e note di Gianfranco Anastasio

testo di Marco Bazzini

foto di Gerri Gambino

grafica di Laura Anastasio

Edizioni Sido, 2018

ZEITSPACE raccoglie segni, parole e immagini in un intreccio di linguaggi e sguardi che rendono conto di un anno di pittura. La formula meticcia del titolo riprende quello del ciclo di pitture di cui il libro/quaderno è opera conclusiva.

Con la partecipazione di:

Gianfranco Anastasio, artista

Marco Bazzini, curatore, presidente ISIA Firenze

Gerri Gambino, fotografo

Valeria Patrizia Livigni, direttrice del Polo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo

In occasione della presentazione, sarà allestita una striscia di “bastardi”, piccole tele dove il colore è il risultato di infinite mescolanze, quale “dispositivo” di accesso ai temi e agli esiti del quaderno.

INGRESSO LIBERO

Il MACRO si trova a Roma, nel quartiere Salario-Nomentano, in via Nizza 138.

Si può accedere al museo anche da via Reggio Emilia 54.

Mostre a Palermo: Vittorio Storaro e Antonello da Messina

A Palermo è stata accolta presso il Palazzo Chiaramonte Steri la mostra dedicata a Vittorio Storaro dal titolo “Scrivere con la luce”. Ha rappresentato un’occasione innovativa per scoprire la maestria di un importante autore della fotografia cinematografica.

Vincitore di numerosi premi tra cui tre premi Oscar per Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore, Vittorio Storaro ha lavorato con diversi registi come Bernardo Bertolucci e Francis Ford Coppola, e curato la fotografia di film rimasti nella storia (“Il Conformista”, “Ultimo tango a Parigi”, “Giordano Bruno”, “Novecento”, “Il tè nel deserto”). 

Innanzitutto, un po’ di chiarezza. Chi è l’autore della fotografia cinematografica? Una figura professionale, fondamentale per un set di un film, che ne cura la resa visiva, cioè l’aspetto dell’immagine in movimentoLa mostra è stata distribuita all’interno della Sala delle Armi e la Sala delle Verifiche, ed è stata allestita partendo dalla trilogia di libri scritti dall’artista per poi fare un confronto tra opere pittoriche (dal ‘700 in poi) e la cinematografia dei vari film.

La speranza è quella che in futuro verranno ideate ulteriori esposizioni riguardo alla settima arte, cercando anche di coinvolgere personalità della realtà cinematografica siciliana, in modo da fare sempre meglio e da espanderne la conoscenza con ampia risonanza.

L’Annunciazione, Antonello da Messina

La mostra di Antonello da Messina al Palazzo Abatellis invece è forse la più frequentata dal pubblico, nella quale sono presenti diverse opere provenienti da musei sparsi in molte città italiane e non solo.

Il percorso è suddiviso in diverse sale e presenta una sequenza cronologica della carriera artistica dell’autore. A partire dalla giovane età con dipinti del periodo fiammingo, per poi arrivare al periodo veneziano, che comprende la collaborazione con il figlio Jacobello nell’opera la Madonna col Bambino. Il tragitto viene seguito da grandi pannelli didattici che mostrano la vita e la storia delle opere dell’artista.

Questa monografica è una prova di come sia possibile realizzare mostre di grandi autori che, anche se spesso considerati minori, non hanno nulla da invidiare a quelli europei. L’unica nota negativa di questa mostra è l’assenza di altri lavori altrettanto rilevanti realizzati dal pittore, che rimangono visionabili solo fuori porta.

Avendo assistito nello stesso giorno a due mostre di impostazione e tipologia diverse, ma ugualmente interessanti, ho maturato alcune riflessioni. Sorge dunque spontaneo proporre il seguente confronto: la mostra di Antonello da Messina è organizzata sulla base di un ordinato orientamento spaziale; quella di Storaro, pur rispecchiando parzialmente questi canoni, risulta a tratti dispersiva, aspetto probabilmente attribuibile all’ampiezza delle sale.

“Scrivere con la luce” Vittorio Storaro, Palazzo Steri

Nonostante sia sicuramente una scelta valida confrontare i vari film con opere pittoriche che risalgono a epoche dal ‘700 in poi, questo aspetto rimane poco comprensibile e accessibile a quella parte di pubblico che non ha già visto preventivamente tutti i film.

Se le stampe dei frame fossero state sostituite con l’installazione di pannelli virtuali proiettanti pochi secondi di film, si sarebbe garantita maggiore dignità al maestro della luce Vittorio Storaro, mostrandola in tutta la sua interezza.

“Il cinema non è un’opera singola. Il cinema è un linguaggio di immagini attraverso cui si esprime un concetto, essendo l’immagine rilevata dal conflitto e dall’armonia dell’ombra e della luce e, come li chiamava Leonardo da Vinci, dei loro diretti figli: i colori. Infatti una diversa impostazione della luce, comporta nel film una differente struttura figurativa.”  Vittorio Storaro

 

Marina Fulco

Loving Vincent

Dopo la morte di Vincent Van Gogh il figlio del suo postino fidato viene incaricato di recapitare una lettera al fratello Theo Van Gogh. Scoprirà però che quest’ultimo però è morto a distanza di sei mesi dal fratello. La consegna diventa a questo punto una vera e propria indagine sulla vita e la morte di Vincent.

Questo piccolo capolavoro è nato dalla collaborazione dei registi Dorota Kobiela e Hugh Welchman. Un team di artisti è stato radunato e ha ricalcato fotogramma dopo fotogramma scene reali di attori in un teatro di posa, in piena tecnica Van Gogh e ispirandosi a sue 94 opere diverse.

Attraverso l’utilizzo di questa tecnica lo spettatore è interamente catapultato in un thriller di arte e pittura che non può che coinvolgere completamente.

Dietro il film abbiamo un lavoro immane ma il risultato è assolutamente soddisfacente.

La narrazione non risulta affatto noiosa, siamo interamente catapultati nel mondo e nella vita del grande padre dell’arte moderna

Un’opera simile non era mai stata realizzata e ha ovviamente riscosso successo immediato dal pubblico e dalla critica, vari riconoscimenti e una candidatura come miglior film d’animazione al Golden globe 2018.

 

 

 

Benedetta Sisinni

…uno tra i più talentuosi protagonisti del barocco italiano ha vissuto a Messina?

Caravaggio in un celebre ritratto d’epoca

 Forse non tutti sanno che la città di Messina può vantarsi di essere stata, anche se per un breve periodo, la casa di Michelangelo Merisi, noto come Caravaggio.

Ma cosa spinge il geniale pittore lombardo a stabilire la sua dimora a Messina? Prima di rispondere, bisogna fare delle premesse.

Caravaggio ebbe un’ indole violenta, oggi lo si definirebbe una testa calda. Non stupisce infatti che la sua vita sia stata un susseguirsi di risse, denunce e processi. Momento cruciale è quando, nel maggio del 1606, a Roma, ferisce mortalmente un nobile romano. Per sfuggire alla pena capitale, ossessionato dalla paura della morte, il pittore passerà il resto della sua breve vita -morirà quattro anni dopo, a soli 38 anni– scappando dalle guardie del Papa.

Prima si rifugia a Napoli, poi a Malta. Inizialmente viene accolto nell’ ordine dei Cavalieri di Malta, poi, a causa di una rissa, viene imprigionato dall’Ordine stesso. Grazie all’aiuto della famiglia Colonna, riesce ad evadere e fugge in Sicilia. Dopo essere stato a Siracusa ospite del pittore Mario Minniti (amico e forse anche amante) i due approdano nella città di Messina. Caravaggio vi si ferma per meno di un anno (dalla fine del 1608 fino all’estate successiva), ma è un periodo particolarmente fecondo per la sua produzione artistica.

Ma quindi, perché proprio Messina?

Perché la città offre tutto quello che un artista potrebbe desiderare. In quel tempo a Messina, grazie alla grande crescita economica e alla presenza del suo porto, si sviluppa una borghesia mercantile cosmopolita con un grande senso estetico. Caravaggio, infatti, trova subito diversi committenti, disposti a tutto pur di avere un suo quadro. C’è anche da dire che la protezione di persone potenti, come l’arcivescovo di Messina, e la possibilità di approfondire la conoscenza delle opere di Antonello, potrebbero aver influito sulla sua scelta.

Purtroppo,  nonostante il periodo messinese sia stato piuttosto proficuo, sono pochi i quadri certamente attribuibili alla permanenza del pittore in città.

“La resurrezione di Lazzaro” (a sinistra) e “L’adorazione dei pastori” (a destra). Messina, Museo Regionale.

Sicuramente in quei mesi Caravaggio dipinge “La resurrezione di Lazzaro” e “L’adorazione dei pastori”, opere che è possibile osservare al Museo Regionale. Curioso il fatto che, mentre nella maggior parte delle tele prodotte in quel periodo ricorrono temi come morte e penitenza, gli unici due dipinti sicuramente messinesi hanno come soggetto la vita.

C’è da dire che “La resurrezione di Lazzaro” è protagonista di uno degli aneddoti più noti della vita dell’irrequieto pittore, avvenuto al momento della consegna del dipinto. Sembrerebbe infatti che, a seguito di una critica mossa da un accompagnatore del committente, Caravaggio abbia preso a colpi di pugnale la tela con veemenza. Dopo essersi ricomposto egli si rivolse al committente, dicendogli di non preoccuparsi, in quanto presto avrebbe sostituito la tela appena distrutta con un’altra migliore.

È bello pensare che Caravaggio, il pittore della luce, tra gli artisti italiani più apprezzati al mondo, osservando il sole che emerge dallo Stretto ed illumina la città di Messina, come tutti quelli che giornalmente vedono tale spettacolo, sia rimasto a bocca aperta.

Renata Cuzzola

Image credits:

  1. By Ottavio Leoni – milano.it, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=331612
  2. Ph: Giulia Greco

Antonello: il genio che rese grande il nome di Messina

 

Riapriamo dopo un lungo periodo di silenzio la rubrica dedicata ai Personaggi storici che hanno legato il loro

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Antonello da Messina: Ritratto d’uomo, (probabilmente autoritratto). 1475 ca. National Gallery of London.

nome alla città di Messina, alla sua storia e alla sua cultura. L’elenco sarebbe lunghissimo, ma senza dubbio uno di questi merita di spiccare su tutti gli altri. La sua fama, infatti, continua a far risuonare in tutto il mondo, da Dresda, a Londra, a Madrid fino agli Stati Uniti, il nome della nostra Città. Stiamo parlando, infatti, di uno dei più grandi pittori del primo rinascimento italiano: Antonio di Giovanni d’Antonio, noto ai più come Antonello da Messina.

Poco sulla sua vita è noto con certezza: la maggior parte delle notizie storiche su di lui sono frutto di un paziente lavoro archivistico su documenti che lo riguardavano, una ricostruzione ardua, povera di certezze e spesso punteggiata da ipotesi e congetture sul suo conto. A cominciare dalla data di nascita, ignota ma collocabile a Messina intorno al 1430; nulla sappiamo della sua formazione artistica, se non che una lettera scritta circa un secolo dopo la sua nascita, nel 1524, da un colto umanista appassionato d’arte, lo indica come allievo a Napoli del maestro Colantonio, pittore della corte aragonese.

 

Giorgio Vasari, noto artista e storico dell’arte cinquecentesco, autore nel 1568 di una mastodontica opera biografica sui maggiori artisti del Rinascimento, attribuisce al giovane Antonello un viaggio nelle Fiandre nel corso del quale conobbe e assimilò l’opera degli artisti fiamminghi a lui contemporanei; secondo la storiografia contemporanea un tale viaggio non avvenne mai (non ne avrebbe avuto il tempo) ed è più probabile che proprio a Napoli Antonello abbia avuto il primo contatto con l’arte fiamminga, che godeva in quel momento di grande popolarità alla corte angioina (e difatti lo stesso Colantonio era a sua volta stato allievo di un maestro fiammingo, Barthelemy d’Eyck). Quel che è certo è che l’arte fiamminga lascia una traccia indelebile nella formazione del giovane Antonello, la cui intera opera potrebbe essere inquadrata come il punto d’incontro fra la grande tradizione fiamminga quattrocentesca e il primissimo Rinascimento italiano. Dai fiamminghi Antonello impara la tecnica della pittura ad olio, l’attenzione maniacale e quasi miniaturistica per i dettagli, l’uso della luce, e l’impostazione a tre quarti dei ritratti, che consente una migliore resa psicologica dei personaggi.

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Antonello da Messina: Crocifissione di Sibiu. 1460 ca. Muzeul de arta, Bucarest.

È al 1460 che sono datate le sue prime opere, come la Crocifissione di Sibiu (sul cui sfondo appare quella che verosimilmente è una rappresentazione del porto falcato della città di Messina) o la cosiddetta Madonna Salting: in questo periodo Antonello si trova verosimilmente a Messina e ha una sua personale bottega. Negli anni successivi al 1470 invece, il pittore risale tutta l’Italia fino a raggiungere Venezia, nel 1474 circa; questo viaggio nella fucina del nascente Rinascimento gli fa apprendere la prospettiva geometrica di Piero della Francesca e l’attenzione alla resa dello spazio dei maestri veneti come Giovanni Bellini, che costituiranno ulteriori elementi di maturazione del suo stile.

 

È in questi anni che Antonello realizza i suoi capolavori: la tavoletta del San Girolamo nello studio, datata al 1475, racchiude in pochissimo spazio un intero mondo ed è unanimemente considerata uno dei più importanti manifesti della cultura dell’Umanesimo; l’Annunziata del 1476, oggi al Palazzo Abatellis, che fonde il rigore geometrico della struttura piramidale disegnata dal mantello azzurro con la vivace caratterizzazione dello sguardo intenso della Madonna; il San Sebastiano di Dresda, forse del 1478, mostra nella disposizione geometrica dello spazio il tributo a Piero della Francesca mentre il delicato lirismo della Pietà (1478) oggi al Prado di Madrid anticipa con la morbidezza delle forme la pittura rinascimentale.

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Antonello da Messina: San Girolamo nello studio. 1475 ca. National Gallery of London

Di ritorno a Messina nel 1476, è verosimilmente qui che Antonello muore, nel 1479, dopo aver chiesto nel suo testamento di vestire il saio da frate minore francescano; a Messina viene probabilmente seppellito, al monastero di Santa Maria del Gesù a Ritiro, anche se del suo sepolcro si sono perse le tracce. Di questo suo grande figlio Messina non serba dunque nulla se non il ricordo e due dipinti, la Madonna con bambino ed Ecce homo e il Trittico di San Gregorio, custoditi al Museo Regionale.

Gianpaolo Basile

Immagini: https://it.wikipedia.org/wiki/Ritratto_d’uomo_(Antonello_da_Messina_Londra)

https://it.wikipedia.org/wiki/Antonello_da_Messina

https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Saint_Jerome_in_his_study_by_Antonello_da_Messina?uselang=it