Da tradito a “Traditore”: ritratto dell’uomo che svelò Cosa nostra a Falcone

Esattamente un anno fa veniva proiettata nelle sale italiane la pellicola “Il traditore” del regista Marco Bellocchio, incentrata sulla figura del boss pentito Tommaso Buscetta. Emblematica la data scelta per l’esordio, il 23 maggio, ricorrenza della strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Una provocazione dunque? Decisamente no. È noto a tutti infatti il ruolo che Buscetta giocò nel far conoscere a Falcone personaggi, vita, segreti e comportamenti di Cosa nostra.

 Fonte: Periodico Daily                      

Il traditore non vuole essere il classico biopic che racconta staticamente la vita di un determinato personaggio dalla nascita fino alla morte. Bellocchio tira fuori un ritratto psicologico anziché biografico di Don Masino, non lo assolve del tutto, come molta letteratura ha fatto, e non lo condanna, ma mostra semplicemente l’uomo o – per meglio dire – l’uomo d’onore.

La trama

La trama si concentra sulle vicende più significative che porteranno poi Buscetta a diventare collaboratore di giustizia, passando dai colloqui con Falcone fino a giungere al maxiprocesso. Il film comincia in medias res nel pieno folklore della festa palermitana di Santa Rosalia. Il mafioso Buscetta capisce che i Corleonesi con a capo Totò Riina stanno prendendo il sopravvento su Cosa Nostra e sulle famiglie dei mandamenti palermitani (di cui lui fa parte) e decide di scappare in Brasile: sarà noto alle cronache infatti come “il boss dei due mondi”.

Siamo al tempo della seconda guerra di mafia, Totò Riina fa uccidere molti familiari di Don Masino tra cui i figli. In Brasile Buscetta viene arrestato ed estradato In Italia. Totò Riina e Don Masino entrambi mafiosi ma anche così diversi: Bellocchio quasi gioca nel contrapporli. Riina vuole emergere in Cosa nostra mentre Don Masino preferisce godersi la vita,come una sorta di edonista.

Fonte: Sentieri selvaggi – Buscetta in Brasile

Cosa nostra si è trasformata, gli ideali di Don Masino e della vecchia mafia che non faceva del male a donne e bambini (cliché che tutti conosciamo e più volte rimarcato nella pellicola) non esistono più. Adesso gli affiliati fanno affari con il mercato della droga che uccide i giovani. Don Masino si sente tradito da Cosa nostra e da tradito decide di divenire il Traditore, linfame. Dunque uno degli interrogativi che il film ci lascia potrebbe essere questo: Tommaso Buscetta si sta pentendo della vita da criminale oppure si pente di aver fatto parte di un’organizzazione che non è più quella di quando egli stesso si era affiliato?

Fonte: Linkabile – Incontro tra i due schieramenti

L’incontro con Giovanni Falcone

Giungiamo così alle scene più emotivamente cariche di tutto il film. L’uomo dello Stato e delle istituzioni ha davanti a sé l’uomo dell’Antistato che confessa e svela nomi e segreti di una delle organizzazioni criminali più potenti di sempre. Due figure così diverse, così distanti, due figure che vengono accomunate dai gesti quotidiani, come offrire una sigaretta durante l’interrogatorio. L’uno rispettoso della dignità che l’altro a suo modo ha e viceversa. Insomma Falcone seduto alla scrivania di fronte a Don Masino che “racconta i fatti di Cosa nostra”. E qui si procede con qualche flashback.

Fonte: Dules.it – Falcone interroga Buscetta

                                   

È Fausto Russo Alesi a calarsi nel difficile compito dell’interpretazione del magistrato, il quale ha affermato di non aver scelto la strada dell’imitazione così da cercare di dare una carica quanto più realistica ad un personaggio di tale calibro.

L’interpretazione di Pier Francesco Favino

L’attore romano supera sé stesso. Diviene Don Masino e ora deve esprimersi in siciliano, ora in portoghese sino a giungere ad uno stentato italiano durante l’interrogatorio con Falcone e nel corso del maxiprocesso; il tutto avviene con una tale naturalezza da non sembrare neanche che Favino stia recitando.

Si passa poi ad una accurata mimica facciale e gestualità che imprimono quasi un certo elegante carisma ad un personaggio per sua natura rozzo. Grazie a questa sublime prova attoriale Favino ha conquistato un sacco di riconoscimenti tra cui il David di Donatello al miglior attore protagonista.

Fonte: Anonima Cinefili – Favino interpreta Buscetta nella scena del maxiprocesso

                    

Innumerevoli sono state le nomination e i premi cinematografici nazionali e internazionali per Il Traditore: ai David di Donatello riesce a portare a casa ben sei statuette tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista a Luigi Lo Cascio, miglior montaggio e miglior sceneggiatura originale.

 

Perché proprio in questa ricorrenza parliamo de “Il traditore” e di una figura come quella di Buscetta? Sicuramente per l’apporto che diede alle indagini di Falcone, ma non solo: conoscere il fenomeno mafioso è il primo passo per scardinarne le basi, nel ricordo di chi – nel farlo – ha dato tutta la sua vita.

                                                                                                                                                                                      Ilenia Rocca

 

A casa tutti bene

“Io sono cresciuto orfano, a me la famiglia mi sta sul cazzo!”

Cosa succede quando una numerosa e aggrovigliata famiglia si riunisce dopo tanto tempo?
Può un banale festeggiamento di un anniversario mettere fortemente in bilico la tranquillità apparente di così tante persone? E può un luogo così bello e tranquillo da apparire quasi fuori dal tempo, quale un’isola, diventare scenario di tradimenti, litigi, concerti improvvisati e crisi isteriche?
Se dietro la macchina da presa c’è Gabriele Muccino, e sulla scena un cast di attori di un livello indiscutibilmente alto, la risposta è sì, è assolutamente possibile!

Per i loro 50 anni di matrimonio, i due pensionati Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti), che da tempo si sono ormai ritirati a vita privata su di un’isola, decidono di riunire la loro numerosa famiglia per un tranquillo pranzo in casa.
Quando la giornata e i festeggiamenti volgono al termine, tutti si affrettano, decisamente sollevati, a dirigersi verso i traghetti che li riporteranno a casa. Ma il caso, il destino o semplicemente un’immensa sfortuna fanno sì che infuri un tempo talmente brutto da impedire ai traghetti di partire. Nonostante il generale sgomento, a tutti non resta che rassegnarsi ad un inatteso, forzato, breve ma intenso prolungamento del soggiorno. Ed è a questo punto che inizia tutto quello che mai si sarebbero aspettati.

Il cast è eccezionale, Sabrina Impacciatore da prova per l’ennesima volta della sua immensa bravura; unica figlia femmina della coppia, è la classica donna, moglie e madre, che pur essendo sull’orlo di un esaurimento nervoso e pienamente cosciente dei tradimenti del marito, fa finta che tutto vada bene e continua a cantare Jovanotti.

Altrettanto bravo e perfettamente calato nel suo personaggio è Pierfrancesco Favino, altro figlio della coppia, che si ritrova diviso tra la vecchia e la nuova famiglia; lì entrambe le donne sono presenti, la ex Valeria Solarino e l’attuale, Carolina Crescentini, bravissima a interpretare la moglie isterica possessiva e con evidenti crisi di inferiorità che passa dal chiedere “perché non mi fai sentire amata?” a “perché non mi scopi più spesso?“.
Terzo e ultimo figlio della coppia è Stefano Accorsi, eterno Peter Pan, scrittore, che di ritorno da un viaggio in bicicletta decide di aprire le danze del caos generale che si andrà poi creando, portandosi a letto la cugina. Ma, vuoi la banalità delle affermazioni con cui se ne esce, molto più adatte ad uno pseudo film adolescenziale, vuoi che la figura dell’artista giramondo ormai non convince più molto, il suo personaggio è decisamente quello meno riuscito dell’intero film.

Dunque, tradimenti nuovi e tradimenti vecchi che vengono a galla. Scenate di gelosia che portano a tentativi di “omicidio”.
Canzoni suonate al pianoforte da un Gianmarco Tognazzi che insieme alla moglie Giulia Michelini, sono la coppia assolutamente più fuori luogo ma anche la più vera. Ed è proprio della Michelini l’ultimo sfogo, un’esplosione di rabbia, dolore e verità nei confronti di tutti gli altri.
Esplode in una crisi isterica anche Claudia Gerini, moglie di un eccellente Massimo Ghini, malato di Alzheimer che è l’unico che, purtroppo o per fortuna, non si accorge del malessere generale che incombe su quella casa.
“Li trovo così inquieti i miei figli” afferma la Sandrelli.

Lo stile Mucciniano è inconfondibile. Il senso di inquietudine, di smarrimento e di angoscia, la fanno infatti da padrone; questo accade grazie ad un perfetto lavoro di sceneggiatura, ad una grandiosa caratterizzazione dei personaggi, che pur essendo molto numerosi vengono tutti perfettamente descritti, nessuno viene messo maggiormente in luce rispetto agli altri.
La bravura del regista si mostra ancora una volta. Tratta un tema apparentemente semplice, quello della famiglia, dell’eterno attaccamento alle nostre origini. Ma va oltre i grandi pranzi, il cibo, i classici racconti e pettegolezzi familiari e le vecchie canzoni cantate a squarciagola. Ci mostra inizialmente la facciata di una famiglia apparentemente serena che non si aspettava certamente forti scosse e poi ne rivela violentemente la realtà, i segreti, tutto quello che si nasconde dietro.

Gabriele Muccino ha creato un film decisamente superiore ai suoi lavori precedenti, sensibile e insieme destabilizzante. Un piccolo capolavoro del cinema nostrano assolutamente da non perdere.

Benedetta Sisinni