La strage di Piazza Fontana: il brusco risveglio dal sogno democratico

La mente umana tende a rimuovere i traumi, una sorta di meccanismo di autodifesa.

Vale lo stesso per la memoria collettiva?

Se così fosse, sarebbe saggio interrogarsi su quanto possa essere utile allo sviluppo e alla serenità del nostro vivere insieme pacificamente come società. 

 Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo.

È la frase di George Santayana, incisa in trenta lingue sul monumento all’ingresso del campo di concentramento di Dachau’.  

Senza dubbio è assodato, anche se passa inosservato che, se non conosciamo il passato, non possiamo comprendere il presente e la realtà che ci circonda.  

Nell’anniversario della strage di Piazza Fontana, dopo cinquantacinque anni, ricordiamo le diciassette vittime che non hanno mai avuto giustizia, se non nelle parole di chi mantiene viva la loro memoria.

1. Giovanni ARNOLDI, anni 42
2. Giulio CHINA, anni 57
3. Eugenio CORSINI
4. Pietro DENDENA, anni 45
5. Carlo GAIANI, anni 37
6. Calogero GALATIOTO, anni 37
7. Carlo GARAVAGLIA, anni 71
8. Paolo GERLI, anni 45
9. Luigi MELONI, anni 57
10. Vittorio MOCCHI
11. Gerolamo PAPETTI, anni 78
12. Mario PASI, anni 48
13. Carlo PEREGO, anni 74
14. Oreste SANGALLI, anni 49
15. Angelo SCAGLIA, anni 61
16. Carlo SILVA, anni 71
17. Attilio VALE’, anni 52

prima pagina del quotidiano l'Unità 13/12/1969
Parte della prima pagina del quotidiano l’Unità del 13/12/1969 – Strage di Piazza Fontana – Attentato a Milano

 

Le bombe a Milano e Roma inaugurarono la strategia della tensione

Il 12 dicembre 1969, il sincero spirito democratico della giovane Repubblica Italiana veniva messo sotto tortura.

Alle 16:37 una valigetta contenente sette chili di tritolo esplodeva all’interno della Banca Agricola di Milano, provocando diciassette morti e ottantotto feriti.

Nell’arco dei cinquantadue minuti successivi, altri tre ordigni esplosivi mutilarono anche la città di Roma. In successione il terrore esplose nella Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio, in piazza Venezia e all’Altare della Patria. Le tre bombe, a Roma, causarono in totale altri diciassette feriti.

Un quinto ordigno per difetti di fabbricazione non esplose e venne ritrovato nei pressi della Banca Commerciale di Milano.  

Questa strage fu il primo sanguinoso episodio che inaugurò la cosiddetta “strategia della tensione”. Un modo per chiamare con meno imbarazzo quella che fu la lunga stagione delle “stragi di Stato” iniziate quel giorno e conclusasi nel 1993.  

 

La democrazia e i diritti costituzionali finiscono dove inizia il segreto di Stato

Ventiquattro anni di bombe, stragi, attentati al popolo italiano, di traffici di armi, di droga e terrorismo nero. Vergogne della Repubblica Italiana, insabbiate da depistaggi clamorosi.

Fondamentale è ricordare che il terrorismo non è la fantomatica identità di un gruppo X di individui, ma una strategia militare e politica.

Sono stati anni in cui gli esecutori materiali di tale strategia furono svariati. I mandanti non furono mai individuati, intoccabili, su cui è stato vietato indagare in quanto posti al di sopra della legge.

Tutto grazie al sistematico uso del “segreto di Stato”. Tuttavia, i veri registi delle stragi sono facilmente individuabili in attori statali internazionali, i quali hanno diretto dall’esterno insieme alla collusione di deviati apparati dei servizi segreti italiani. Meschini nemici della Repubblica, traditori della patria e della sua rifondazione democratica.

I mandanti si sono serviti, nel corso di questi decenni, della manovalanza sia di gruppi eversivi dell’estrema destra Italiana che della massoneria. Tutto reso possibile grazie al fondamentale supporto logistico e di intelligence dei servizi segreti, che spesso e volentieri hanno agito al servizio… e qui sorge la spontanea domanda: al servizio di chi?

Non solo neofascisti e servizi segreti, il pragmatismo assoldò paramilitari e mafie

L’epilogo di questa stagione di morte e terrore ha visto l’ampio uso della mano armata delle mafie per colpire i servitori dello Stato che a esso erano fedeli.

Inoltre, troppa poca luce è stata fatta su quell’apparato segreto comprendente una rete paramilitare al servizio della Cia e della Nato. Una rete disseminata in tutta Italia, che ha operato durante tutta la guerra fredda. Un vero e proprio esercito clandestino, denominato GLADIO. Un apparato ombra di cui erano a conoscenza solo i vertici dello Stato. Un esercito mimetizzato nella società italiana, dotato di depositi di armi, a cui è stata data carta bianca su tutto il territorio nazionale.

Suo scopo ufficiale era quello di sabotare le retrovie nemiche nel caso l’Italia fosse stata invasa dall’Unione Sovietica o dalla Yugoslavia

L’invasione non arrivò mai e questo esercito di canaglie, composto da persone con una doppia vita, operò per conto della Cia fino alla caduta del muro di Berlino, macchiandosi di efferati crimini e sporchi traffici, sempre protetti dall’impunità sistematica. Un agire al di sopra della legge che ha portato morte e miseria alla società italiana, silenziando col piombo chi per sbaglio incappò nel loro cammino.

Tutti loro sono rimasti impuniti e sono ancora tra noi.

L’Italia tra i teatri principali della guerra fredda

L’Italia, durante la guerra fredda, era terra di confine tra il blocco occidentale e quello orientale. Un confine non meno teso rispetto alla Berlino divisa dal muro. Rappresentava una portaerei naturale, posta al centro del Mediterraneo.

In Italia, non entrava e usciva una mosca senza che gli apparati della Nato, deputati al controllo, non ne fossero a conoscenza. Le armi da guerra, gli esplosivi, le materie prime per produrre le droghe pesanti che hanno distrutto intere generazioni  sarebbero state impossibili da recuperare per le mafie e i terroristi neri nel corso di quegli anni.

Quasi nulla sarebbe stato possibile se non ci fosse stata la diretta collusione, un agire in concerto tra servizi segreti, l’apparato gladio, le mafie e i terroristi neri.

Il popolo italiano è stato vittima del grande gioco. Una scacchiera dove la vita dei cittadini, posti come pedine, valeva nulla.

Pagina del quotidiano Liberazione
Pagina del quotidiano Liberazione

La giustizia e l’ordine democratico italiano sono solo una favola per il popolo ingenuo?

Se così non fosse, resterebbe inspiegabile come fu possibile che tutti gli attentati ai danni del popolo italiano e dei suoi sinceri servitori (tra cui ricordiamo, oltre che quella di Piazza Fontana, anche la strage di piazza della Loggia, di Ustica, della stazione di Bologna, la bomba sul treno italicus o la strage di Pizzo Lungo, l’omicidio del generale Dalla Chiesa, dei giudici Falcone e Borsellino, il Moby prince) abbiano tutte sempre avuto tra le vittime la verità.

Nel corso degli anni ‘70, ’80 e 90, si è assistito al manifestarsi di depistaggi clamorosi. Omicidi di testimoni e di giornalisti, atti giudiziari misteriosamente spariti dentro le aule di tribunale, assoluzioni e prescrizioni vergognose si sono puntualmente verificate a beneficio degli autori materiali, individuati nel corso delle inchieste. Inoltre, pesa come un macigno insormontabile il sistematico e compulsivo ricorso al “segreto di Stato”, atto ad impedire al popolo italiano e alla sua democrazia di ottenere giustizia.  

Quando si fa ricorso al segreto di Stato,  giustificandolo per motivi di interesse nazionale, al netto degli eventi è chiaro che l’interesse nazionale non è quello nazionale italiano. Bensì quello di attori statali internazionali, i quali limitano e decretano i confini della nostra sovranità e democrazia.

La carta costituzionale e i diritti che la stessa dovrebbe tutelare sono stati sospesi e violentati ripetutamente nel corso di questi eventi, senza il minimo rispetto.  

Una strage pianificata per spianare la strada al golpe

In particolare, il 12 dicembre 1969  ebbe luogo la collaborazione di militari italiani, che tradirono la patria, e membri del SID (Servizio informazioni difesa). Una collaborazione che utilizzò la mano nera dei gruppi eversivi neofascisti come “ordine nuovo” per piazzare le bombe e destabilizzare l’ordine democratico italiano.

Tra gli obiettivi strategici vi era, per una mano quello di addossare la colpa alle sinistre, che all’epoca godevano di un crescente consenso popolare, spingendo così l’opinione pubblica a destra; e dall’altra, il tentativo di indurre l’allora presidente del consiglio Mariano Rumor a dichiarare lo stato d’emergenza, in modo da sospendere le garanzie e i principi democratici, e facilitare l’avvento di un regime autoritario, sul modello della dittatura dei colonnelli greci all’epoca al potere nello Stato ellenico.  

pagina del quotidiano ''Il Fatto''
Pagina del quotidiano Il Fatto

Le sentenze della vergogna

La collusione dei servizi segreti militari italiani nel depistaggio è stata confermata dalla sentenza, passata in giudicato dal tribunale di Bari, confermata dalla Cassazione il 27 Gennaio 1987.  

Depistaggio con il quale si cercò di utilizzare come capro espiatorio la corrente anarchica e che portò alla morte di un’altra vittima, la diciottesima. Una morte collaterale agli eventi di Piazza fontana, quella dell’ex partigiano Giuseppe Pinelli, colpevole di essere anarchico e volato misteriosamente dalla finestra della questura di Milano, durante un interrogatorio. Fu sospettato arbitrariamente per l’attentato di Piazza Fontana.

Ben presto, però, il fallace tentativo di depistaggio non resse e sempre più palese fu la manovalanza neofascista utilizzata nel commettere la strage.

Questi tragici eventi rendono quasi profetiche le parole scritte dal filosofo Karl Popper, che scrisse:

Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.

Parole, oggi come ieri, più che mai attuali.

Oggi, ricordiamo le 18 vittime di Piazza Fontana e, insieme a loro, anche l’ingiustizia morale e storica, oltre che materiale, che il sistema giuridico italiano e lo Stato tutto hanno riservato per le vittime innocenti. Un crimine storico che ha gettato chi crede nella giustizia nello sconforto, poiché dopo cinquantacinque anni nessuno ha pagato per il vile atto terroristico che ha spezzato le vite di questi cittadini italiani.

Sebbene gli autori materiali siano stati individuati, la Corte li ha scandalosamente assolti.

Così recita la sentenza che ha sancito per gli stragisti, protetti da certi apparati dello Stato, l’impunità. Sentenze che hanno dichiarato irreversibile la morte celebrale della giustizia e della democrazia italiana, che dall’esplosione di quelle bombe si trova in stato di coma terminale.  

La sentenza del 30 giugno 2001 condanna Maggi, Zorzi e Rognoni all’ergastolo per la strage e dichiara invece il non doversi procedere contro l’armiere Digilio, che resta l’unico autore giuridicamente riconosciuto della strage, ma con il reato prescritto, grazie alle attenuanti per la collaborazione. Tale giudizio è riformato dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello del 12 marzo 2004: questa assolve Maggi e Zorzi dal reato di strage ex art. 530 secondo comma c.p.p., assolve Rognoni per non aver commesso il fatto. Le assoluzioni sono confermate dalla Cassazione con sentenza del 3 maggio 2005.

 

 

 

Fonti:
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/261-cronaca/87215-piazza-fontana-52-anni-fa-la-strage-che-segno-l-inizio-della-strategia-della-tensione.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_piazza_Fontana
https://memoria.cultura.gov.it/en/w/scheda-sul-processo-per-la-strage-di-piazza-fontana-procura-
https://www.vittimeterrorismo.it/vittime/la-strage-di-piazza-fontana/
https://www.passaggilenti.com/giuseppe-pinelli-piazza-fontana/