Il Buco, la metafora dell’ingordigia e del consumismo

“La panna cotta è il messaggio”

Una delle citazioni che meglio comunicano il senso narrativo de Il Buco, uno tra gli ultimissimi contenuti originali prodotti e promossi dal colosso Netflix.

Film horror di matrice spagnola (esordio alla regia di Galder Gaztelu-Urritia) che ha stuzzicato la sensibilità anche dei meno appassionati del genere.

Questa pellicola noir, pregna di sfumature drammatiche e connotata da una forte denuncia sociale, trova tempo e spazio (con originalità) nella narrazione per parlare di cibo.

Il cibo diventa simbolo dell’opulenza e delle contraddizioni della contemporaneità, della lotta per la dignità e per la sopravvivenza.

Il Buco si dispiega nella logica di un futuro distopico, nel quale gli esseri umani vengono rinchiusi in una prigione speciale.

Strutturata come una torre altissima e costruita sotto terra, la fossa – com’è chiamata dai detenuti – accoglie un numero indefinito di prigionieri.

Fonte: Skycinema.it

Ogni piano ha una cella in cui vivono due detenuti, nella parte centrale c’è un buco all’interno del quale ogni giorno una sola volta rotea una piattaforma imbandita da delizie culinarie preparate da chef di alta cucina.
Dal primo piano della torre la piattaforma rotante, un piano alla volta, e si ferma solo 120 secondi.
La piattaforma rotante diviene espediente narrativo che svela un meccanismo semplice: i detenuti dei piani alti hanno la possibilità di sfamarsi, chi si trova ai livelli inferiori finirà invece con l’avere da mangiare solamente gli scarti.

Il nuovo film spagnolo esplica ancora di più la sua potenza emotiva in questi momenti fatti di incertezza e paura.

Il cibo viene rappresentato come dicotomia tra paradiso e inferno: una bidimensionalità che separa l’impeccabile cucina, ed i detenuti sudici che si avventano come avvoltoi sul cibo strappandolo, divorandolo con ferocia animalesca.

Fonte: Cinematography.it

Tutte le pietanze succulente sulla piattaforma corrispondono alle scelte fatte dai detenuti nel momento di compilazione del questionario sottopostogli prima di accedere alla prigione.

Questo horror, mediante la sua simbologia originale rimanda molto alla nostra collettività e alla divisione in classi sociali.

Valori fondanti quali unione, solidarietà, compassione e carità risultano sempre più arenati verso l’individualismo più sfrenato.

Ne Il Buco il binomio grottesco cibo/sopravvivenza viene estremizzato.

Fonte: Movieplayer.it

Goreng, il protagonista, è costretto a cibarsi del suo compagno di cella per sopravvivere; il cibo come metafora del “mangiare noi stessi”, dell’impoverimento dei valori della moderna società verticale.

Persino il suicidio, nello specifico di una donna morta affinché venisse compiuta la rivoluzione, si intreccia con inedita originalità al concetto di cibo come sacrificio, ribellione e condivisione di valori.

Il Buco rivela, esasperandole, le dinamiche della società neocapitalista nella quale l’equità è un’utopia che si configura nel fururo distopico in cui domina la pochezza umana. Temi centrali sono  appunto l’incoscienza umana, l’egoismo e l’indifferenza nei confronti del più debole.

Questa pellicola può essere vista con leggerezza ed al contempo riflessione, entrambe sotto la propulsione registica incalzante e ritmata.

Uno di quei film – come si suol dire – fatto con due lire ma che sprigiona tutta la sua forza nel senso metaforico del suo racconto.
Preciso e che sa esattamente come colpire lo spettatore creando degli inaspettati colpi di scena, ma anche attraverso crescendo di tensione che parte dal primo minuto e arriva ad esplodere nel finale della pellicola.

Il Buco è mosso da una  critica feroce ed esplicita agli sprechi scellerati del consumismo, protagonista assoluto del nostro quotidiano.

Un’ invettiva sulla disuguaglianza e l’egoismo umano, un ammonimento artistico travestito da thriller sci-fi del quale, probabilmente, avevamo bisogno.

Antonio Mulone

“Fleming”: un messinese nella lotta all’antibiotico-resistenza

Paolo Pino, 23enne messinese doc, ex archimedino, Dottore in Ingegneria industriale presso UNIME e specializzando in Ingegneria dei materiali presso il Politecnico di Torino, è l’ideatore di Fleming, una nuova piattaforma che ha tutte le carte in regola per diventare uno strumento indispensabile per il mondo sajnitario del futuro. Noi di UniVersoMe lo abbiamo intervistato, spinti a capire quanto Fleming potrà essere utile.

Paolo, puoi spiegarci cos’è “Fleming”?

“Partiamo da alcuni dati allarmanti: gli antibiotici stanno perdendo di efficacia a un ritmo esponenziale. Questo costa al mondo 700 mila vite ogni anno, ed entro il 2050 potrebbero diventare 10 milioni.
Fleming vuole essere uno strumento moderno nel contrasto di questa minaccia. Si tratta di una piattaforma informatica in grado di assistere tutti gli attori in gioco a diversi livelli. Si parte dagli ospedali, dando ai medici gli strumenti per coordinarsi e monitorare in tempo reale l’evoluzione della popolazione batterica locale, delle resistenze, delle malattie e del consumo di antibiotici, ottimizzando tempi e risultati delle terapie.

A questo punto, i dati dai singoli presidi confluiscono in un processo avanzato di trattamento dei dati in grado di ricostruire una mappa dettagliata del fenomeno e di distribuire informazione a governi e industrie farmaceutiche, consentendo loro di orientare al meglio interventi e risorse cruciali. Con Fleming pensiamo di poter raggiungere un livello di flessibilità e scalabilità del tutto nuovo, e di farlo mentre tutte le parti in gioco ne traggono vantaggio.”

La questione della resistenza agli antibiotici sarà tra le emergenze del 21° secolo, questa idea sembra essere la risposta alle necessità di un’era in cui la digitalizzazione può davvero fare la differenza tra la vita e la morte. Come e quando nasce questo progetto?

“L’idea è nata in occasione della European Innovation Academy, una scuola internazionale dedicata all’imprenditoria e all’innovazione durante la quale team di studenti da tutto il mondo lavorano per tre settimane allo sviluppo accelerato di nuove idee, sotto la guida di mentori ed esperti che vengono da Google, da Berkley, dalla Silicon Valley, e così via. Quando ho scoperto che avrei avuto un’opportunità così grande, mi sono detto che avrei dovuto sfruttarla per fare qualcosa di buono. Per la mia tesi al Politecnico sto studiando delle nanotecnologie che possano assistere – e in futuro, magari, sostituire – gli antibiotici nell’eradicazione dei batteri resistenti. E così ho proposto Fleming, e un team fantastico si è formato intorno a questa idea. La squadra è composta da due ingegneri informatici, Callum e Marina, che vengono dall’Australia e dalla Macedonia, da Aniket, un bioingegnere della Virginia Commonwealth University, e da Mallory, un’economista texana. Siamo molto affiatati e sin da subito ho messo in chiaro una cosa fondamentale: si dice arancino e non arancina.

Paolo nell’atto di “sicilianizzare” il team.

Sicilianizzare il team fa di te un vero “buddace in missione”, complimenti! Tornando a Fleming, perché sarà utile soprattutto ai medici di domani?

“I medici di domani vivranno in un mondo a iperdigitalizzato, in cui Big Data, intelligenze artificiali e tecnologie avanzate acquisiranno un ruolo centrale nell’evoluzione delle civiltà. In questa prospettiva, i medici capaci di cogliere la portata e le potenzialità di questi strumenti saranno gli artefici di un contributo rivoluzionario alla salute dell’uomo. Gli studenti che conosciamo hanno sempre dimostrato una spiccatissima sensibilità e una grande apertura nei confronti di questi temi, quindi siamo molto fiduciosi.”

Da studente di medicina posso confermarti quanto dici. Quali sono i prossimi step di evoluzione e promozione di questa piattaforma?

“Qui alla scuola ci ripetono sempre: “Build, measure, learn, repeat”: ci aspetta un susseguirsi di fasi di progettazione, sperimentazione e miglioramento del prodotto, da condurre sulla base di una continua interlocuzione con gli utenti finali. Abbiamo avuto un primo feedback positivo all’ospedale Regina Margherita, qui a Torino, e una clinica in Brasile ha mostrato interesse per l’idea, ma ovviamente c’è ancora molto lavoro da fare.”

Come possiamo noi, oggi, contribuire alla crescita di Fleming?

“Attualmente sarebbe per noi di grandissimo aiuto poter lavorare con medici e studenti per raccogliere suggerimenti e opinioni e per testare i prototipi. Un’iniziativa del genere non può prescindere dalla collaborazione con gli esperti del settore.
In più abbiamo una piccola pagina su internet che è la nostra prima interfaccia con il pubblico, e attraverso la quale raccogliamo i contatti degli interessati per coinvolgerli ed informarli sugli sviluppi.”

Il mio sogno è che Messina possa essere tra i pionieri del progetto!
Per finire, Antonio, consentimi di ringraziare te e UniVersoMe per il tempo e l’attenzione dedicateci. Non solo questo ci entusiasma e ci incoraggia, ma mi fa anche sentire il calore di casa. Grazie a nome mio e di tutto il team Fleming.

Grazie a te Paolo, e a tutti gli altri ragazzi che, come te, rappresentano un vanto per la città e il Sud Italia in generale. Ci aiutate a credere più fortemente nei nostri sogni, nelle nostre capacità, nella nostra “identità meridionale”, troppo spesso denigrata da pregiudizi che la fanno vacillare. Abbiamo bisogno di voi.

Antonio Nuccio