Il fenomeno della Superluna: di cosa si tratta?

La sera del 24 Giugno abbiamo assistito all’ultima Superluna del 2021, detta ‘’Superluna di fragola’’. Il nome deriva dalla raccolta di questi frutti che, negli Stati Uniti nordorientali e nel Canada orientale, avveniva nel mese di Giugno. Si è sentito spesso parlare di questi fenomeni negli scorsi mesi, ma cos’è esattamente una ‘‘Superluna”?

  1. Cos’è la Superluna
  2. Come si verifica il fenomeno
  3. Elementi che provocano la Superluna
  4. Il 14 Novembre 2016
  5. L’illusione della Luna

Cos’è una Superluna

Il termine ‘’Superluna’’ è stato coniato nel 1979 dall’astrologo americano Richard Nolle e riportato per la prima volta in un articolo per la rivista Dell Horoscope.
Venne definita come una Luna nuova o piena, visibile quando il nostro satellite si trova entro il 90% del suo avvicinamento alla Terra nella sua orbita. Non è chiaro perché R.N abbia scelto proprio questa percentuale. Inoltre sostenne che questo evento avrebbe causato catastrofi naturali. Tuttavia si rivelò una previsione infondata e fallimentare.

La quasi piena Superluna sorge sopra il fiume Syr Darya vicino al cosmodromo di Baikonur in Kazakistan il 13 Novembre 2016  Fonte: NASA/Bill Ingalls
La quasi piena Superluna sorge sopra il fiume Syr Darya vicino al cosmodromo di Baikonur in Kazakistan il 13 Novembre 2016  Fonte: NASA/Bill Ingalls

 

Come  si verifica il fenomeno

L’orbita della Luna ha una distanza media di 382.900 chilometri. Inoltre, l’attrazione gravitazionale del Sole e dei pianeti fa in modo che non abbia la forma di un cerchio perfetto.
A caratterizzare l’orbita lunare sono due punti: l’apogeo, che rappresenta il punto più lontano dalla Terra e il perigeo, il più vicino alla stessa.
Quando la Luna si trova in perigeo si parla di Superluna,  quando invece si trova in apogeo è chiamata Microluna. La sua distanza dalla Terra ha anche dei lievi effetti sulle maree.

Elementi che provocano la Superluna

Affinchè si possa verificare una Superluna sono necessari due elementi: il primo è che la Luna deve essere al perigeo nella sua orbita di 27 giorni, il secondo è che deve anche essere alla fase completa, che accade ogni 29,5 giorni, cioè quando il Sole la illumina nella sua totalità.
Tale fenomeno si verifica poche volte all’anno, poiché l’orbita del satellite cambia orientamento mentre la Terra compie la sua orbita intorno al Sole.
La Superluna appare più luminosa del 30% e più grande del 14% rispetto a una luna piena all’apogeo.

La Superluna è del 14% più grande e del 30% più luminosa della Microluna. – Fonte: timeanddate.com

Il 14 Novembre 2016

La fine del 2016 ha visto ben tre Superlune, ma la più affascinante è stata quella osservata nel Novembre 2016 e definita come ‘’la più grande e più brillante Superluna in 69 anni’’. Il suo perigeo si trovava a 356.508 chilometri di distanza dalla Terra.

Confronto della Luna nella notte della Superluna del 13-14 Novembre 2016. – Fonte: solarsystem.nasa.gov

L’immagine a sinistra è stata scattata successivamente al sorgere della Luna, circa alle 18:00, poco sopra l’orizzonte.
L’immagine a destra, invece, è stata scattata quando la luna si trovava in prossimità della sua massima altitudine, circa alle 00:30.
Le linee che uniscono le due immagini mostrano una differenza in termini di dimensioni. Questo è dovuto al fatto che la Luna che sorge è più piccola data la sua lontananza dal nostro Pianeta. In quel momento, il centro della Luna era circa alla stessa distanza dal centro della Terra e dall’osservatore.
Nella seconda immagine, la Terra aveva compiuto un quarto di giro e la Luna era più alta nel cielo, a circa 6400 chilometri vicino all’osservatore.
La rotazione della Terra ha variato la distanza dall’osservatore, in questo caso il suo centro era più lontano. La diminuzione della distanza tra la Luna e l’osservatore è dimostrata dalla coppia di fotografie.

L’illusione della Luna

La Superluna può sembrare particolarmente grande se è vicina all’orizzonte. Questo in realtà non ha niente a che fare con l’astronomia, piuttosto dipende dalla percezione che ne ha il cervello umano. Questo effetto prende il nome di “illusione della Luna’’.
Secondo gli scienziati, l’illusione avviene perché il cervelloconfronta la Luna con edifici o oggetti vicini. Un’altra spiegazione è che il nostro cervello percepisce gli oggetti all’orizzonte più grandi rispetto a quelli presenti nel cielo.

È tutta colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti.”
Shakespeare

Serena Muscarà

Bibliografia

I misteri della pioggia extraterrestre tra diamanti, rubini e zaffiri

Si avvicina la stagione autunnale e come ben sappiamo le piogge insieme a essa. Diamo per scontato ciò che abbiamo ma bramiamo ciò che ci manca. Nel nostro pianeta piove acqua, in base alle zone è un evento eccezionale o meno, ma comunque un evento a cui siamo abituati e al quale quasi non facciamo più caso. Ma cosa succederebbe se al posto di acqua piovesse ferro o meglio ancora diamanti? Impossibile direte voi, ma come scopriremo, questi eventi non sono poi così lontani dalla realtà in altri pianeti.

Cosa piove sugli altri pianeti?

Come vedremo in base alla composizione dell’atmosfera di ogni pianeta cambia la tipologia di pioggia.

Venere (Acido solforico)

Venere è il secondo pianeta dal Sole e, per molti versi, è proprio come la Terra. È simile per dimensioni, massa, composizione e persino vicinanza al Sole, ma è qui che finiscono le somiglianze. L’atmosfera di Venere è composta per il 96,5% da anidride carbonica, mentre la maggior parte del restante 3,5% è azoto.

La sua atmosfera è estremamente densa e si stima che la massa atmosferica sia 93 volte quella dell’atmosfera terrestre, mentre la pressione sulla superficie del pianeta è circa 92 volte quella sulla superficie terrestre. Le prime prove indicavano il contenuto di acido solforico nell’atmosfera, ma ora sappiamo che si tratta di un costituente piuttosto minore (sebbene ancora significativo) dell’atmosfera.

Poiché la CO2 è un gas serra e Venere ne ha così tanto, le temperature sul pianeta raggiungono i 462 °C, molto più alte di quelle di Mercurio, che è molto più vicino al Sole.

L’atmosfera venusiana sostiene nuvole opache di acido solforico, che si estendono da circa 50 a 70 km. Sotto le nuvole c’è uno strato di foschia fino a circa 30 km e al di sotto è chiaro. Al di sopra del denso strato di CO2 vi sono spesse nubi costituite principalmente da anidride solforosa e goccioline di acido solforico.

Composizione dell’atmosfera di Venere

Il fatto è che non piove sulla superficie di Venere, mentre la pioggia di acido solforico cade nell’atmosfera superiore, evapora a circa 25 km sopra la superficie.

HD 189733 b (Vetro)

HD 189733 b è un pianeta extrasolare a circa 63 anni luce dal Sistema Solare. Il pianeta è stato scoperto nel 2005.

Con una massa del 13% superiore a quella di Giove, HD 189733 b orbita attorno alla sua stella ospite una volta ogni 2,2 giorni, rendendolo un cosiddetto Giove caldo. I Giove caldi sono una classe di pianeti extrasolari le cui caratteristiche sono simili a Giove, ma che hanno temperature superficiali elevate perché orbitano molto vicino alla loro stella.

Il pianeta è stato scoperto utilizzando la spettroscopia Doppler, un metodo indiretto per rilevare pianeti extrasolari. Fondamentalmente, non osservi il pianeta stesso, studi le sue stelle e noti piccole oscillazioni in esso con spostamenti Doppler. Nel 2008, un team di astrofisici è riuscito a rilevare e monitorare la luce visibile del pianeta, il primo successo di questo tipo nella storia. Questo risultato è stato ulteriormente migliorato dallo stesso team nel 2011. Hanno scoperto che l’albedo planetario è significativamente più grande nella luce blu che nel rosso. Ma il blu non proviene da un oceano o da qualche superficie acquosa, proviene da un’atmosfera nebulosa e turbolenta che si crede sia intrisa di particelle di silicato, la materia di cui è fatto il vetro naturale.

Il pianeta ha venti incredibilmente veloci e una temperatura stimata di oltre 1000 °C, quindi la pioggia è probabilmente più orizzontale che verticale.

Ricostruzione di HD 189733 b della Nasa

Nettuno (Diamanti)

Nettuno è l’ottavo pianeta del Sistema Solare. La composizione di Nettuno è simile a quella di Urano e diversa da quella dei giganti gassosi come Saturno e Giove.

L’atmosfera di Nettuno è composta principalmente da idrogeno ed elio, insieme a tracce di idrocarburi e forse azoto; tuttavia, contiene una percentuale maggiore di “ghiacci” come acqua, ammoniaca e metano.

Il tempo di Nettuno è caratterizzato da sistemi di tempeste estremamente dinamici, con venti che raggiungono velocità di quasi 600 m/s (2160 km/h). L’abbondanza di metano, etano ed etino all’equatore di Nettuno è 10-100 volte maggiore che ai poli. È stato teorizzato che Urano e Nettuno frantumino effettivamente il metano in diamanti e gli esperimenti di laboratorio sembrano confermare che ciò è possibile. Tuttavia, hai bisogno di pressioni significative per farlo, e devi percorrere circa 7000 km all’interno del pianeta, ma il pianeta è fatto di gas (grosso modo l’80% di idrogeno, il 19% di elio e l’1% di metano).

Si stima che ad una profondità di 7000 km le condizioni possano essere tali che il metano si decomponga in cristalli di diamante che piovono verso il basso come chicchi di grandine.

I diamanti possono essere molto rari sulla Terra, ma gli astronomi ritengono che siano molto comuni nell’universo. Diamanti di dimensioni molecolari sono stati trovati nei meteoriti e recenti esperimenti suggeriscono che grandi quantità di diamanti si formano dal metano sui pianeti giganti del ghiaccio come Urano e Nettuno. Alcuni pianeti in altri sistemi solari possono essere costituiti da un diamante quasi puro.

Nettuno e Urano non sono unici in questo senso. C’è una buona possibilità che molti altri giganti gassosi nella nostra galassia abbiano atmosfere simili. In effetti, uno studio recente ha scoperto che un particolare pianeta chiamato 55 Cancri E ha un mantello che potrebbe essere principalmente diamante. Questo perché la composizione del pianeta contiene alti livelli di atomi di carbonio che, a temperature e pressioni previste, verrebbero compressi in diamanti.

OGLE-TR-56b (Ferro)

Gli astronomi dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) di Cambridge lo rilevarono nel 2003. All’epoca era il pianeta più lontano mai scoperto e, sebbene quel record sia stato battuto da tempo, non abbiamo davvero imparato molto a proposito.

OGLE-TR-56b è anche un Giove caldo, con una temperatura superficiale stimata di 2000 °C, che è abbastanza calda da formare nuvole fatte di atomi di ferro. Non abbiamo informazioni dirette per confermarlo, sebbene gli astronomi abbiano riportato prove della pioggia di ferro sulle nane brune, le cosiddette “stelle fallite“, oggetti troppo grandi per essere un pianeta ma troppo piccoli per essere una stella.

Le dimensioni di Ogle-tr-56b messe a confronto con quelle di Giove

Titano (Metano)

Titano è la più grande luna di Saturno. È l’unico satellite naturale noto per avere un’atmosfera densa e l’unico oggetto diverso dalla Terra in cui è stata trovata una chiara evidenza di corpi stabili di liquido superficiale. Titano ha mari liquidi fatti di idrocarburi, laghi, montagne, nebbia, oceani sotterranei e sì, piove metano su Titano. In effetti, la Terra e Titano sono gli unici mondi del Sistema Solare in cui piove liquido su una superficie solida. Anche in questo caso, la pioggia è metano e non acqua.

HAT-P-7b (Rubini e Zaffiri)

I diamanti non sono abbastanza? Segnali di potenti venti mutevoli sono stati rilevati su un pianeta 16 volte più grande della Terra chiamato HAT-P-7b, ma non è certo la cosa più impressionante di questo pianeta. Sebbene sia difficile confermarlo, gli astronomi ritengono che le nuvole su questo pianeta sarebbero fatte di corindone, una forma cristallina di ossido di alluminio che forma rubini e zaffiri.

Anche se uno spettacolo del genere sarebbe senza dubbio visivamente sbalorditivo, è anche un posto infernale. A parte queste nuvole insolite, HAT-P-7b rimane molto importante come primo rilevamento del tempo su un pianeta gigante gassoso al di fuori del sistema solare.

Questi casi sono solo l’inizio della conversazione sulla pioggia su altri pianeti. Non siamo nemmeno entrati nella neve di ghiaccio secco su Marte, pioggia di elio liquido su Giove o della pioggia di plasma sul Sole.

L’universo è un luogo grande e selvaggio e stiamo appena iniziando a graffiarne la superficie. Sebbene possa piovere acqua sulla Terra, questa non è assolutamente la regola: su molti pianeti diversi, può piovere molte cose diverse. Chissà cosa scopriremo in futuro?

Gabriele Galletta

 

Come finirà l’universo?

Ammettiamolo: fin da piccoli siamo a conoscenza della teoria del Big Bang sull’origine dell’universo, ma sconosciamo del tutto quale possa essere il destino ultimo del cosmo.

In realtà, nemmeno la scienza è in grado di darci una risposta univoca, anzi: sono nate nel corso degli anni una notevole quantità di teorie, dalle più intuitive alle più bizzarre.

Fino a non molto tempo fa si riteneva che l’universo fosse statico, ovvero sempre uguale a se stesso, non in moto. Persino Albert Einstein inserì del tutto arbitrariamente un valore, la costante cosmologica, nella relatività generale per impedire che venisse confutata questa teoria, della quale era un grande sostenitore.

Di parere opposto erano sia Lemaître che Hubble: entrambi osservarono che la radiazione emessa dalle galassie vicine alla terra andava nel corso del tempo ad assumere sempre più un colore rosso. A meno che questa variazione cromatica non fosse dovuta a un capriccio astrofisico, questo fenomeno richiedeva una spiegazione: è il moto di allontanamento delle galassie a causarlo, dunque l’universo è in espansione. Questa prova, insieme a molte altre, ha di fatto eliminato definitivamente il modello di universo statico, con buona pace di Einstein.

Ma quali sono le forze in gioco in grado di spiegare questa espansione?

Intuitivamente verrebbe da pensare che la forza di gravità, responsabile dell’attrazione tra i corpi celesti, li avvicini sempre più tra loro, causando una contrazione dell’universo, piuttosto che un’espansione. Proprio per questo motivo Einstein inserì la costante cosmologica, che però secondo il fisico controbilanciava esattamente la gravità, rendendo l’universo statico.

Ovviamente la gravità agisce, ma deve essere presente una qualche forma di energia in grado di spiegare la tendenza all’espansione: questa energia, per via della sua origine sconosciuta, è stata chiamata energia oscura e la sua caratterizzazione rappresenta una delle maggiori sfide della fisica moderna.

Avrete sicuramente capito che il destino dell’universo dipenderà quindi dalla quantità di energia oscura, che si oppone alla tendenza “collassante” della gravità.

A ciò va aggiunto un altro parametro fondamentale: la forma dell’universo.

Abbiamo 3 possibilità, in base al valore della densità critica dell’universo stesso (Ω).

  1. Ω>1: universo sferico, chiuso.
  2. Ω<1: universo aperto a curvatura negativa, forma simile a una sella.
  3. Ω=1: universo piatto, come un foglio di carta.

In un universo chiuso, appare intuitivo che prima o poi la gravità prenda il sopravvento causando prima l’arresto dell’espansione, poi la contrazione fino a uno stato di estrema condensazione di tutta la materia (singolarità), il Big Crunch.

Da qui in poi è impossibile stabilire cosa accadrà. Un’ipotesi suggestiva prevede che essendo il Big Crunch di fatto uno stato identico al Big Bang, dopo esso l’universo possa nuovamente riformarsi, in un ciclo infinito. Da ciò nascono due teorie simili: l’universo oscillante di Penrose e il Big Bounce (grande rimbalzo), che stanno tuttavia perdendo importanza, in quanto oggi si ritiene che l’energia oscura sia talmente abbondante da mantenere l’espansione indefinitamente, anche in un universo chiuso.

Schema dell’ipotetico Big Bounce

Anzi, l’espansione si starebbe verificando sempre con velocità maggiore. Inoltre, la maggior parte dei dati indica che Ω=1.

Sono nate dunque altre due teorie (valide anche per Ω<1): il Big Freeze (“morte termica”) e il Big Rip.

La prima rappresenta una diretta conseguenza del secondo principio della termodinamica: l’entropia, ovvero il “disordine” che per definizione è in costante crescita, aumenta al punto tale da rendere impossibile l’esistenza di una qualsiasi forma di materia “ordinata”, dall’essere umano a una stella, dall’acqua a un cuscino. Alla fine di tale processo, la materia così come la conosciamo (composta da protoni, elettroni ecc.), verrebbe disgregata a tal punto da essere sostituita da una “nuvola” di fotoni, particelle prive di massa con vita infinita.

Ancora più “catastrofico” è il Big Rip (grande strappo): la velocità di espansione crescerebbe al punto tale da determinare un improvviso “strappo” dello spazio-tempo, con il venir meno della capacità delle forze gravitazionale, elettromagnetica e nucleare di tenere unita la materia. Le conseguenze sono simili al Big Freeze: un universo freddo e inerte, incompatibile con la vita. Oggi si ritiene che non ci sia tuttavia una quantità tale di energia oscura da giustificare questa ipotesi.

Concludiamo con la teoria forse più affascinante: il multiverso.

Quanti di voi hanno visto almeno un film o una serie tv che parla di universi paralleli?

Il fascino di questo argomento non ha risparmiato nemmeno la comunità scientifica, da Stephen Hawking ad Andrej Linde. Secondo alcuni fisici, l’esistenza di più universi sarebbe giustificata dalla cosiddetta inflazione caotica, sostenuta persino da conferme sperimentali (link a fondo pagina). Secondo la fisica quantistica, in realtà, il vuoto, inteso come “il nulla”, non esiste: esso è formato da una “schiuma quantistica”, nella quale c’è un continuo “ribollire” dello spazio dovuto a fluttuazioni energetiche del tutto casuali (da cui il termine “caotica”). Un po’ come in una coppa di spumante, nella quale si formano continuamente bolle in modo casuale. Questa teoria prende il nome di teoria delle bolle.

Se una di queste bolle possiede un’energia sufficiente, può avere origine un universo a sé stante dall’universo di partenza.

I due universi sarebbero inizialmente collegati da un wormhole (ponte di Einstein-Rosen, figura in basso), per poi diventare indipendenti.

Pur essendo questo un modello di universo senza fine, in quanto si formano infiniti universi, ogni singolo universo può andare incontro a un Big Freeze o un’altra sorte.

Ad ogni modo, se vi state preoccupando per la fine del cosmo, non disperate: nessun lettore di questo articolo vivrà tanto a lungo da poterla testimoniare.

Emanuele Chiara

Per approfondire:

https://www.cfa.harvard.edu/CMB/bicep2/papers.html

Buchi neri, grande passo avanti della scienza

Oggi per la prima volta nella storia vedremo le foto di un buco nero.
Un evento di portata storica.
È lo straordinario successo di un gruppo di ricerca formato da scienziati internazionali che ha riunito una rete di telescopi sparsi su tutta la Terra per raggiungere la risoluzione necessaria a “fotografare” il misterioso fenomeno.

La diretta della conferenza dell’Eso (European Southern Observatory) avrà inizio alle ore 15 e sarà trasmessa su Youtube nel canale della Commissione europea.
Su Focus lo speciale sarà trasmesso dalle ore 14:30 fino alle 16:00, e ancora in seconda serata questa sera alle 23:15.

I risultati del progetto, dal nome Event Horizon Telescope, segneranno una pietra miliare nell’astrofisica, che potrebbe confermare ma anche smentire alcune delle principali teorie che costituiscono la base della nostra comprensione del cosmo, inclusa la teoria della relatività di Albert Einstein.

 

 

 

I buchi neri si generano quando le stelle muoiono, collassano su se stesse e creano una “regione” dove la forza di gravità è così forte che nulla può sfuggire venendo risucchiati per sempre.

Fino ad oggi gli scienziati non sono mai stati in grado di fotografarli, ma sono riusciti solo ad ascoltarli: quando i buchi neri si scontrano l’uno con l’altro, rilasciano infatti enormi onde gravitazionali che sono state rilevate da appositi strumenti negli osservatori degli Usa e anche dell’Italia.

L’impossibilità di fotografare questi fenomeni è dovuta ad una serie di motivi.

La loro attrazione gravitazionale rende impossibile la fuga della luce.

Inoltre i buchi neri si trovano molto distanti dalla Terra.

Ciò che gli scienziati stanno cercando di catturare è “l’orizzonte degli eventi”, il confine di un buco nero e il punto di non ritorno oltre il quale tutto viene risucchiato per sempre.

 

 

 

Sebbene sia uno dei luoghi più violenti dell’universo, gli scienziati ritengono che i radiotelescopi possano catturare i fotogrammi dell’orizzonte degli eventi.

Oltre a mostrare l’immagine, gli scienziati sperano di fare chiarezza su alcuni dei temi più dibattuti in astronomia e fisica teorica. Uno di questi è la forma dei buchi neri: secondo la teoria della relatività, essi sono circolari, ma altri scienziati ritengono sia ‘prolata’, ovvero schiacciata lungo l’asse verticale, o ‘oblata’, schiacciata lungo l’asse orizzontale.

Se non fossero circolari, questo – secondo gli scienziati di Event Horizon Telescope – non vorrebbe dire che la teoria della relatività è sbagliata, ma che semplicemente “nella fisica c’è ancora molto da capire”.

Un evento di portata astronomica, proprio per restare in tema, che traccia un solco nello studio dell’astrofisica e che rischia di porre in discussione perfino il buon vecchio caro Albert Einstein.

Antonio Mulone