Filippo Juvarra: da Messina a Roma e Torino, l’architetto delle capitali

Filippo Juvarra

Nella Messina del lontano 1588, su disegni di Andrea Calamech, fu edificata la Chiesa di San Gregorio, oggi inesistente a causa del terremoto del 1908 che mise in ginocchio l’intera città. Il suo completamento, nel 1703, vide impegnati numerosi professionisti, e non, tra cui il giovane Filippo Juvarra, architetto siciliano. 

Il “nostro” architetto nasce proprio a Messina nel 1678 da una famiglia di artigiani argentieri e sin dalla giovinezza si trova a lavorare con il disegno e l’arte orafa; si possono a lui ricondurre, infatti, alcuni dei candelieri del Duomo di Messina e forse collaborò, assieme al padre e al fratello maggiore, alla realizzazione del meraviglioso paliotto d’argento oggi inglobato nell’altare maggiore. Parallelamente alla sua attività manifatturiera, Juvarra condurrà studi teologici che lo porteranno a pronunciare i voti sacerdotali nel 1703. Data la vocazione per l’architettura, si trasferì a Roma per perfezionare gli studi ma si ritrovò comunque autodidatta e volenteroso di imparare così da riuscire a mettersi in contatto con l’architetto Carlo Fontana che, rimasto entusiasta delle capacità del giovane, riuscì a farlo distogliere dal mito di Michelangelo per farlo approdare al metodo da lui proposto.

Il paliotto d’argento datato 1701, opera della famiglia Juvarra, custodito nell’altare maggiore del Duomo di Messina.

Grazie al trampolino di lancio offertogli dal Fontana, Juvarra debutta, nel 1705, a Roma vincendo il “concorso clementino” con la presentazione di un “palazzo in villa per il diporto di tre illustri personaggi”. Successivamente alla vittoria si ristabilì nella sua città natale, dove ebbe l’onore di occuparsi della ristrutturazione del Palazzo Spadafora e della sistemazione del coretto della chiesa di San Gregorio. Qualche mese dopo, grazie alla proficua attività svolta a Napoli, riuscì ad ottenere la nomina di accademico di merito all’Accademia di San Luca; a testimonianza dell’onore per questa nomina, Juvarra fece dono all’Accademia di un suo progetto, utilizzato poi come soluzione per la Basilica di Superga.

Poco dopo, sul piano accademico, si  ritrovò a ricoprire il ruolo di professore unico di architettura al San Luca; mentre sul piano professionale, si limitò a collaborazioni con i Fontana, ricevendo la commissione per la cappella di famiglia dell’avvocato Antamoro nella chiesa di San Girolamo della carità.

Basilica di Superga

Tuttavia, Juvarra iniziò ad ambire a impieghi di corte: inizialmente per quella di Federico IV di Danimarca; successivamente per Luigi XIV per poi essere chiamato presso la corte Ottoboni come scenografo. Qui troverà un’ambiente stimolante che ne influenzò l’iscrizione all’Accademia dell’Arcadia, con il nome pastorale di Bramanzio Feeseo, dove poté insegnare il proprio mestiere ad un giovane Luigi Vanvitelli.

Con la morte del maestro Fontana,  Juvarra spezza il legame con Ottoboni per tornare a Messina dove incontrerà Vittorio Amedeo II di Savoia, al quale presentò il progetto del palazzo reale di Messina, che lo porterà alla volta di Torino per l’elezione della Basilica intitolata alla Vergine sul colle di Superga, universalmente considerata uno dei suoi capolavori. La sua attività architettonica fu impegnata principalmente nell’ampliamento della città sabauda e nella realizzazione della facciata e dello scalone di Palazzo Madama, ma anche nel completamento della Reggia di Venaria e della Reggia di San Uberto.

Palazzina di caccia di Stupinigi

A questo punto della sua vita, Juvarra si trasferì in Portogallo per la realizzazione di alcune opere architettoniche che

però non avranno buon esito; decise quindi di spostarsi a Londra, poi nei Paesi Bassi e a Parigi per poi ritornare in Italia muovendosi tra Roma e Torino dove costruirà la sua casa studio e, accanto ad altri progetti, porterà avanti la realizzazione ex novo della palazzina di Stupinigi, villa di caccia.

Nella capitale sabauda, divenuta, grazie a lui,  un polo di architettura europea, progettò la chiesa del Carmine; la sua abilità conquistò  Filippo V Re di Spagna che gli commissionò il completamento del Palazzo Reale a  Madrid, dove morì il 31 gennaio del 1736.

Erika Santoddì

Image credits:

  1. Di Agostino Masucci – [1], Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29317803
  2. Di I, Sailko, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7420752
  3. Di Geobia – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18987550
  4. Di Ziosteo1982, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20529372

Quando artisti e intellettuali tedeschi soggiornavano in Sicilia: Richard Wagner e il teatro di Messina

Cosa ci faceva, all’alba del XX secolo, un musicista tedesco a passeggio davanti al teatro Vittorio Emanuele di Messina? Bibliografie locali del primo Novecento lo attestano passeggiare, all’inizio degli anni Ottanta del Milleottocento sotto i portici dell’edificio, a braccetto con la moglie, amante anche lei delle opere rappresentate sul palco cittadino, ove, nel 1891 andò in scena una delle produzioni del marito, il “Lohengrin”, vent’anni dopo il suo primo esordio italiano al Comunale di Bologna.

“La musica è la lingua della passione” – è una delle frasi che ci ha lasciato, e, Richard Wagner, il più classicista tra i Romantici della musica europea, nonché “il più shopenhaueriano dei compositori” per via del contagioso pessimismo filosofico che caratterizza la trama del “Tristano e Isotta”, ebbe la Sicilia tra le tappe affezionate della sua vita.

Nato a Lipsia nel 1813 fu nella università cittadina che si appassionò alla filosofia, saggiando i pensatori classici sino ai più moderni Hegel, Feuerbach e, su tutti, Shopenhauer, al quale deve l’ispirazione per i caratteri di Tristano e Isotta. Conobbe in tarda età, il maestro, la nostra isola, nel 1881 quando sbarcò a Palermo, città in cui resterà sino all’anno successivo, dove, ai piedi del Monte Pellegrino, nacque il terzo atto di “Parsifal”.

Quanti tedeschi hanno legato la propria storia alla Sicilia? Nel capoluogo, ripercorrendo a ritroso la memoria storica, nel lontano XIII secolo, fu un normanno di Svevia, Federico Hohenstaufen il Secondo ad innamorarsi dell’isola, al punto da presentarsi sempre come siciliano e a regalare a questa terra quella meraviglia culturale ed economica che fu la Magna Curia di Palermo, in cui fiorì la prima versificazione poetica d’amore della letteratura italiana, sull’impronta provenzale e a cui, grande contributo diedero i ben noti messinesi Guido delle Colonne e Stefano Protonotaro.

Ben cinque secoli dopo, tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800, fu un altro tedesco a innamorarsi della Sicilia, lasciandoci delle bellissime pagine del suo diario di viaggio, le quali costituiscono una sintesi dell’entità della nostra terra: “L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto» […] «La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra…chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”.

Richard Wagner conosceva bene queste righe di Wolfgang Goethe quando giunse a Palermo e, dopo aver vissuto, stretto amicizie con l’aristocrazia locale ed apprezzato i monumenti del capoluogo, decise di legare anche la sua progenie a questa terra, concedendo l’amata figlia Blandine alla mano del conte Biagio Gravina di Ramacca, figlio del principe Gravina di Ramacca a Palermo, dopo aver visitato i possedimenti del borgo catanese e le città di Catania ed Acireale. Padre attento e affezionato, il maestro visitò con più attenzione artistica di Goethe il patrimonio artistico e storico delle città in cui soggiornò, sempre con animo spasmodico, in attesa dell’ispirazione per il terzo atto del suo “Parsifal”.

Nello stesso periodo, sapendo della presenza di Wagner, venne a Messina Friedrich Nietzche nell’Aprile 1882, per curare il proprio precario stato di salute. Come sostiene Massimo Fini nel suo “Nietzsche, l’apolide dell’esistenza”, probabilmente, il filosofo affrontò questo suo viaggio peloritano, a suo dire – “ai confini del mondo” – per incontrare il maestro, lasciando così Genova, città in cui aveva alleviato nei favori del clima, sino a quel momento, i suoi malesseri. Non si conoscono testimonianze che possono documentare un ipotetico incontro messinese tra Wagner e Nietzsche, il quale rapporto si interruppe alla pubblicazione del “Parsifal”, opera disprezzata dal filosofo per i riferimenti mistici cristiani uniti a richiami mitologici germanici, malgrado i rapporti con la moglie Cosima fossero più antichi di vent’anni rispetto alla conoscenza con Richard, risalenti  ai tempi in cui la signora Wagner era ancora signorina Von Bülow, seppur figlia illeggittima del musicista ungherese Franz Litz.

La famiglia Wagner resta molto legata alla Sicilia, nello special modo alla memoria palermitana e, soprattutto, ramacchese. Richard lasciò l’isola un anno prima della morte, ma su questo dato le fonti sono contrastanti: nel suo articolo “Wagner a Ramacca?”, Antonio Cucuzza scrive che lo scrittore e musicista Giuseppe Tornello, in una produzione del 1961, attesta Wagner a Palermo, nell’occasione del battesimo del nipote Manfredi Gravina, nel 1883, mentre, la nascita del figlio del conte di Ramacca si data in giugno, ben quattro mesi dopo la morte del compositore per attacco cardiaco a Venezia.

Nulla, né epigrafi, né monumenti a Messina ricordano il passaggio di uno dei più grandi nomi del romanticismo musicale europeo.

Francesco Tamburello