Antonello: il genio che rese grande il nome di Messina

 

Riapriamo dopo un lungo periodo di silenzio la rubrica dedicata ai Personaggi storici che hanno legato il loro

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Antonello da Messina: Ritratto d’uomo, (probabilmente autoritratto). 1475 ca. National Gallery of London.

nome alla città di Messina, alla sua storia e alla sua cultura. L’elenco sarebbe lunghissimo, ma senza dubbio uno di questi merita di spiccare su tutti gli altri. La sua fama, infatti, continua a far risuonare in tutto il mondo, da Dresda, a Londra, a Madrid fino agli Stati Uniti, il nome della nostra Città. Stiamo parlando, infatti, di uno dei più grandi pittori del primo rinascimento italiano: Antonio di Giovanni d’Antonio, noto ai più come Antonello da Messina.

Poco sulla sua vita è noto con certezza: la maggior parte delle notizie storiche su di lui sono frutto di un paziente lavoro archivistico su documenti che lo riguardavano, una ricostruzione ardua, povera di certezze e spesso punteggiata da ipotesi e congetture sul suo conto. A cominciare dalla data di nascita, ignota ma collocabile a Messina intorno al 1430; nulla sappiamo della sua formazione artistica, se non che una lettera scritta circa un secolo dopo la sua nascita, nel 1524, da un colto umanista appassionato d’arte, lo indica come allievo a Napoli del maestro Colantonio, pittore della corte aragonese.

 

Giorgio Vasari, noto artista e storico dell’arte cinquecentesco, autore nel 1568 di una mastodontica opera biografica sui maggiori artisti del Rinascimento, attribuisce al giovane Antonello un viaggio nelle Fiandre nel corso del quale conobbe e assimilò l’opera degli artisti fiamminghi a lui contemporanei; secondo la storiografia contemporanea un tale viaggio non avvenne mai (non ne avrebbe avuto il tempo) ed è più probabile che proprio a Napoli Antonello abbia avuto il primo contatto con l’arte fiamminga, che godeva in quel momento di grande popolarità alla corte angioina (e difatti lo stesso Colantonio era a sua volta stato allievo di un maestro fiammingo, Barthelemy d’Eyck). Quel che è certo è che l’arte fiamminga lascia una traccia indelebile nella formazione del giovane Antonello, la cui intera opera potrebbe essere inquadrata come il punto d’incontro fra la grande tradizione fiamminga quattrocentesca e il primissimo Rinascimento italiano. Dai fiamminghi Antonello impara la tecnica della pittura ad olio, l’attenzione maniacale e quasi miniaturistica per i dettagli, l’uso della luce, e l’impostazione a tre quarti dei ritratti, che consente una migliore resa psicologica dei personaggi.

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Antonello da Messina: Crocifissione di Sibiu. 1460 ca. Muzeul de arta, Bucarest.

È al 1460 che sono datate le sue prime opere, come la Crocifissione di Sibiu (sul cui sfondo appare quella che verosimilmente è una rappresentazione del porto falcato della città di Messina) o la cosiddetta Madonna Salting: in questo periodo Antonello si trova verosimilmente a Messina e ha una sua personale bottega. Negli anni successivi al 1470 invece, il pittore risale tutta l’Italia fino a raggiungere Venezia, nel 1474 circa; questo viaggio nella fucina del nascente Rinascimento gli fa apprendere la prospettiva geometrica di Piero della Francesca e l’attenzione alla resa dello spazio dei maestri veneti come Giovanni Bellini, che costituiranno ulteriori elementi di maturazione del suo stile.

 

È in questi anni che Antonello realizza i suoi capolavori: la tavoletta del San Girolamo nello studio, datata al 1475, racchiude in pochissimo spazio un intero mondo ed è unanimemente considerata uno dei più importanti manifesti della cultura dell’Umanesimo; l’Annunziata del 1476, oggi al Palazzo Abatellis, che fonde il rigore geometrico della struttura piramidale disegnata dal mantello azzurro con la vivace caratterizzazione dello sguardo intenso della Madonna; il San Sebastiano di Dresda, forse del 1478, mostra nella disposizione geometrica dello spazio il tributo a Piero della Francesca mentre il delicato lirismo della Pietà (1478) oggi al Prado di Madrid anticipa con la morbidezza delle forme la pittura rinascimentale.

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Antonello da Messina: San Girolamo nello studio. 1475 ca. National Gallery of London

Di ritorno a Messina nel 1476, è verosimilmente qui che Antonello muore, nel 1479, dopo aver chiesto nel suo testamento di vestire il saio da frate minore francescano; a Messina viene probabilmente seppellito, al monastero di Santa Maria del Gesù a Ritiro, anche se del suo sepolcro si sono perse le tracce. Di questo suo grande figlio Messina non serba dunque nulla se non il ricordo e due dipinti, la Madonna con bambino ed Ecce homo e il Trittico di San Gregorio, custoditi al Museo Regionale.

Gianpaolo Basile

Immagini: https://it.wikipedia.org/wiki/Ritratto_d’uomo_(Antonello_da_Messina_Londra)

https://it.wikipedia.org/wiki/Antonello_da_Messina

https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Saint_Jerome_in_his_study_by_Antonello_da_Messina?uselang=it

Io uccido

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Uno dei primi aspetti che il lettore nota di un libro quando si trova in libreria a sbirciare tra gli scaffali in cerca
di una nuova lettura è sicuramente la copertina…

Un semplice foglio di cartoncino o di carta lucida piegato a dovere con stampata un’immagine e un titolo, accompagnato dal nome dello scrittore, al quale quasi nessuno riesce a resistere.
Dietro questo semplice particolare si nasconde il lavoro di migliaia di professionisti del marketing che studiano la posizione, il colore, la grandezza di ogni carattere e pixel perché, dopotutto, non sempre “il libro non si giudica dalla copertina”

“Io uccido” di Giorgio Faletti è uno di questi. Ci dice subito ciò a cui stiamo andando incontro, ci fa capire che ciò che stiamo per leggere ha la stessa forza di quello che si vede prima di sfogliare la prima pagina: uno sfondo rosso sangue con “incisa” una semplice frase sopra, appunto “io uccido”.La storia è ambientata a Montecarlo, mecca della ricchezza, dell’eccesso, della vita mondana, degli yatch e dei grandi casinò, città rinomata per l’alta sicurezza e per la grande efficienza della polizia (la Surete National) che viene però sconvolta da un caso che mai si era registrato nel Principato: un serial killer sta terrorizzando la popolazione e nessuno riesce a catturarlo.

Il tutto ha inizio in una calma notte d’estate quando, durante una trasmissione radio notturna, il Dj Jean-Loup Verdier riceve una telefonata in studio da parte di un ascoltatore, ma la sua voce non è normale, è piatta, senza emozione, come se fosse stata privata di ogni tipo di colore o sfumatura. Durante la telefonata ogni parola del misterioso ascoltatore non fa altro che portare l’oscurità dentro la sala, finché la situazione non precipita quando l’uomo ammette di essere un killer…

E allora tu che cosa fai, di notte, per curare il tuo male?

Io uccido…

Dopo un primo momento di silenzio, dagli altoparlanti della radio risuonano flebili le note di una vecchia canzone: “Un uomo, Una donna” di Francis Lai, poi il silenzio. La telefonata viene archiviata come un brutto scherzo fatto da qualche ascoltatore annoiato, ma lascia comunque sbigottito il conduttore. La stessa notte Jochen Welder, campione di Formula Uno, e la sua compagna, Arijane Parker, campionessa di scacchi, allontanatisi con la barca in mare aperto, vengono sorpresi da un uomo misterioso che, prima affoga la giovane donna in mare, e poi uccide il compagno a coltellate. La mattina seguente la polizia scopre i cadaveri sulla barca, ad entrambi è stato terribilmente mutilato il volto, e sullo stesso tavolo su cui giacciono vi è una frase scritta con il sangue “Io uccido…”. Il caso verrà affidato al commissario Nicolas Hulot che verrà aiutato dall’amico Frank Ottobre, agente dell’FBI in congedo.

Così inizierà una serie di omicidi efferati, tutti anticipati da una chiamata in radio, sempre alla stessa trasmissione, sempre con un indizio musicale e sempre con la stessa firma…

In questo libro Faletti dimostra la forte conoscenza del luogo in cui cala la storia e lo si può capire dalle descrizioni delle strade, degli edifici, dei comportamenti delle persone, che riescono a far immedesimare il lettore nella scena e a fargli comprendere l’essenza di ogni singola frase presente nelle pagine di questo romanzo. Nulla è lasciato al caso, ogni tassello è sapientemente inserito nel testo per far risaltare gli eventi e le emozioni che lo scrittore vuole trasmettere a chi legge.

Fondamentale è la musica, nella quale il killer cela la soluzione di ogni omicidio, l’unica possibilità di salvezza per le sue vittime, e l’ultimo barlume di lucidità della sua mente malata e ferita da un passato doloroso di cui non riesce a fare a meno.

La musica non tradisce, la musica è la meta del viaggio. La musica è il viaggio stesso.”

È una lettura consigliata per gli amanti dei thriller psicologici che ti lasciano con il fiato in gola fino all’ultima riga, di quelli che fanno dell’angoscia l’elemento fondante. È un libro per tutti quelli che odiano le storie semplici, lineari, atone. È un romanzo per coloro che riescono a comprendere il “senso della copertina” già dal primo sguardo…

Giorgio Muzzupappa

 

 

“Il primo uomo cattivo” di Miranda July

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“Questo libro vi farà ridere, sussultare e immedesimarvi in una donna che non avreste mai previsto di essere. E quando Miranda July parla della maternità, il libro diventerà la vostra bibbia.” Lena Dunham

Ci sono persone che scelgono i libri basandosi sulla copertina , non rientro fra questi ma nella scelta de “Il primo uomo cattivo” mi è capitato di sceglierlo proprio per il disegno e i colori esterni e per l’autrice : Miranda July della quale avevo visto solo un film e letto qualche intervista.

 

Cheryl Glickman è la protagonista-narratrice del racconto, lavora alla Open Palm una società no profit che si occupa di autodifesa per le donne.

Conduce una vita piuttosto semplice, forse monotona, minimale soprattutto nell’economia domestica dove vige il principio di efficienza.

E’ affetta da globus hystericus, un nodo alla gola, ed infatuata di un collega, una figura ricorrente nella narrazione. C’è la maternità, ma non descritta come nella maggior parte dei film o libri, Cheryl ha una relazione quasi karmica basata sul “primo sguardo” con Kubelko Bondy lo spirito di un bambino che lei immagina di vedere nei figli altrui.

La vita di Cheryl prende una direzione inaspettata quando deve ospitare Clee, figlia ventenne dei suoi capi all’Open Palm. Una ragazza che è totalmente opposta a lei, dalla fisicità, Cheryl molto magra, quasi androgina, Clee viene definita “molto donna”, allo stile.

Clee è un personaggio un po’ sgradevole, sporca, una passiva-aggressiva, in alcune situazioni attiva-aggressiva.

Ed è in questo momento che il libro prende una piega che non mi sarei mai aspettata e la July si dimostra perfetta narratrice: tracciando il crescere della libido di Cheryl con una nota ironica e , di contrappasso, delicatamente il suo istinto materno. Ci rende partecipi ai sussulti della protagonista.

 

I meno puritani di me non si scioccheranno delle crude scene di violenza , le descrizioni delle condizioni igieniche di Clee mi hanno nauseata ma sono funzionali al personaggio , non le si perdonano ma si accettano.

Cheryl vede solo il suo mondo non c’è contorno, essenziale.

Sono personaggi sgradevoli in parte, così maniacali, strani, imprevedibili da essere in realtà comuni e umani , che alla conclusione del libro li accettiamo.

Miranda July è una artista stimolante e provocatoria, a vent’anni trasferitasi a Portland entra nel movimento delle Riot grrrl (il movimento punk-rock femminista) e inizia a frequentare, colei che è la sua più stretta amica, Carrie Brownstein (altra artista eccezionale) chitarrista e voce delle Sleater Kinney , band simbolo del movimento e ancora oggi una delle migliori rock band femminili.

Definirla è difficile, è una regista, scrittrice, musicista, attrice, creatrice di app , è un soggetto molto stravagante, irriverente a tal punto da pensare che sia folle : è geniale.

“Il primo uomo cattivo” è il suo primo romanzo, caldo, ironico, disgustoso è pura vita comune.

Arianna De Arcangelis 

 

 

Oggi in sala: ”Genius”, storia di uno scrittore nascente

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“Ho scritto cose strappate a forza dalle mie viscere e tu dici che non c’è spazio?”

Nella New York di fine anni venti, Max Perkins (Colin Firth), editor della Scribner’s Son, dopo aver portato alla luce scrittori del calibro di Fitzgerald ed Hemingway, ha il suo primo incontro con Thomas Wolfe (Jude Law); il ragazzo, con la passione per la scrittura ed un carattere eccessivo, è autore di un enorme manoscritto dal titolo “O Lost”, continuamente rifiutato da qualunque casa editrice. Sarà proprio Max, l’unico a leggere ed apprezzare l’opera e l’autore stesso, a cui sarà legato non solo dalla collaborazione lavorativa ma soprattutto da un profondo rapporto d’amicizia.

Il film di Michael Grandag racconta la storia vera della nascita letteraria di Wolfe ed è basato sulla biografia “Max Perkins. Editor of Genius”.

Punto focale della pellicola non è tanto la figura dello scrittore, bensì il rapporto quasi morboso che si crea tra quest’ultimo e l’editor; Thomas vedrà in Max una guida, un padre, un amico e Max sarà a sua volta attratto da quel “ragazzetto” dal carattere acceso e così differente dal suo, il tutto porterà alla creazione di un legame destinato a durare nel tempo.

Dal punto di vista tecnico il film è realizzato perfettamente. Ottime la regia, la sceneggiatura e la fotografia. Magistrale l’interpretazione di Colin Firth nei panni dell’editor, professionale e umano al tempo stesso; così come quella di Jude Law che interpreta perfettamente lo scrittore dal carattere tormentato. Meno presente ma altrettanto brava Nicole Kidman, che interpreta la compagna dello scrittore, innamorata ma messa in secondo piano rispetto al lavoro dell’uomo che ama e al suo rapporto con l’editor.

Il film merita di esser visto, anche se nel complesso non riesce ad emozionare particolarmente il pubblico, in quanto presenta una narrazione quasi sempre piatta e non sono presenti particolari colpi di scena .

 

Benedetta Sisinni

Dicembre 2016: ecco a voi la Nuova Tavola Periodica degli Elementi

Gioite a festa, amici miei, per la vostra felicità sono stati ufficialmente inseriti 4 nuovi elementi nella tavola periodica.

Io, con gaudio, tiro un sospiro di sollievo per me stessa. A voi, invece, studenti del liceo o dei vari dipartimenti scientifici dell’Unime e del mondo (primo tra tutti il dipartimento di Chimica, sicuramente quello maggiormente interessato alla notizia) mando un caloroso abbraccio virtuale.

Già lo scorso gennaio era stata ufficializzata la scoperta di questi nuovi 4 elementi che, inizialmente, furono chiamati con identificativi nomi provvisori: ununtrium (Uut, elemento 113), ununpentium (Uup, elemento 115), ununseptium (Uus, elemento 117) e ununoctium (Uuo, elemento 118).

Solo adesso che hanno un nome approvato, però, sono stati ufficialmente inseriti nella Tavola Periodica realizzandone, quindi, una completamente nuova: vanno a completare, chiudendola, la settima riga della stessa.

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La nuova tavola periodica la potete scaricare e stampare da questo link.

Ma quali sono i nomi di questi nuovi elementi? E come sono stati scelti?

I nomi dei nuovi elementi scoperti vengono presentati alla IUPAC (Unione Internazionale per la Chimica Pura e Applicata) che vaglia le proposte scegliendo quelle valide. In questo caso la scelta si è conclusa dopo mesi di dibattito in quanto erano vari i nomi proposti.

Alla fine sono stati scelti (in ordine di simpatia):

  • niboNihonio, nome assegnato all’elemento 113. Nihonio, infatti deriva da “Nihon” che in giapponese significa «terra del sole nascente». L’Nh-113 è stato scoperto da una squadra di scienziati asiatici, per l’appunto, guidati dal professor Kosuke Morita operando collisioni tra ioni di zinco e bismuto. È il primo elemento chimico scoperto in un Paese asiatico;

 

  • moscoMoscovio, che assume il nome della regione dove ha sede l’Istituto unito di ricerche nucleari di Dubna (Russia) dove è stato scoperto l’elemento 115. Si tratta di una sostanza inserita nel gruppo 15 della Tavola periodica che si piazza sotto il bismuto (numero atomico 83);

 

 

 

  • tennesioTennessinio, dedicato allo Stato del Tennessee, dove sorge il Laboratorio nazionale di Oak Ridge della Vanderbilt University, il cui gruppo ha scoperto l’elemento Ts-117 insieme ai ricercatori dell’Università del Tennessee di Knoxville. La sostanza viene inserita nel gruppo 17 della Tavola periodica sotto l’astato (numero atomico 85), un alogeno radioattivo molto raro;

 

  • organesOganessio, anch’esso scoperto in Russia e dedicato al professor Yuri Oganessian, 83 anni, studioso di elementi transuranici. La sostanza viene inserita nel gruppo 18 della Tavola periodica: quello dei gas nobili, proprio perché, il nuovo elemento, è un gas nobile. Viene a trovarsi sotto il radon (numero atomico 86).

 

 

Tra le varie proposte compare ‘’Levium’’, nome che era stato suggerito in onore del chimico e letterario italiano Primo Levi. Tante sono state le petizioni presentate alla IUPAC per riuscire ad onorare lo scrittore di ‘’Se questo è un uomo’’ e ‘’La Tavola Periodica’’ (ritenuto uno dei più bei libri mai scritti sulla chimica) che, purtroppo, non ha potuto fare niente a riguardo in quanto: “non abbiamo potuto accogliere queste indicazioni, dal momento che le attuali linee guida stabiliscono che solo gli scopritori hanno il diritto di proporre nomi e simboli”.

Elena Anna Andronico

Violante per il SI, Ingroia per il NO-Intervista doppia in esclusiva su UniVersoMe

LUCIANO VIOLANTE

Perché è importante votare Sì?

Innanzitutto credo sia importante andare a votare. Certamente rispetto anche gli amici e i cittadini che votano No. Credo sia importante votare Sì, perché il No non ha nessuna proposta alternativa. Questa riforma raggiunge tre obiettivi molto importanti a mio avviso: la stabilità dei governi, una maggiore velocità delle decisioni politiche, un maggiore controllo sull’operato del governo. Tutte cose fondamentali per far cambiare passo all’Italia ed aprire così una strada di riforma profonda del nostro sistema istituzionale. Capisco ci sia sempre un inseguimento dell’ottimo, ma è dal 1983 che ne parliamo, penso abbiamo procastinato a sufficienza visto anche che oggi nel mondo interdipendente, la reputazione degli Stati si basa sulla loro solidità, sulla loro stabilità e sulla loro velocità.

La cosa che meno le piace di questa riforma?

Io avrei preferito che ci fosse stata una omissione riguardo la “sfiducia costruttiva”.

Ingroia ha detto che in uno scenario favorevole al Sì ci sarà un accentramento dei poteri del Premier. Lei si trova d’accordo con questa affermazione?
 No, non sono assolutamente d’accordo. Il presidente del consiglio sarà molto più controllato domani rispetto ad oggi. Per esempio il Senato potrà fare il controllo delle politiche pubbliche del governo, il controllo delle attuazione delle leggi e dello stato, il controllo della pubblica amministrazione ed il controllo delle direttive europee sul territorio. Tutte cose che oggi non fa nessuno. Mentre oggi il governo può mettere la fiducia anche al Senato, domani non potrà più metterla. Mentre il governo oggi abusa dei decreti legge, dei maxiemendamenti e della Fiducia , domani non sarà più possibile. Mentre oggi il  governo ha messo la fiducia sull’Italicum, legge che io non condivido per nulla , domani ci potrà essere la minoranza parlamentare che potrebbe votare sulle leggi elettorali e poi ricorrere alla Corte Costituzionale, cosa che adesso non si può fare. Ad oggi  i cittadini non hanno il referendum propositivo, domani l’avranno. Per me tutto questo significa maggiore controllo e maggiore tutela dei cittadini.

 

Recentemente ha dichiarato “Sì e No hanno pari dignità ma le conseguenze sono ben diverse”. Cosa pensa dei toni decisamente meno concilianti usati sia dal Premier: “Chi vota No difende la casta”; sia dal fronte del No: “Aboliamo la Schiforma”. Qual’è il senso di politicizzare un Referendum Costituzionale? 

Io sono contrario a questi toni. Non tanto perché si tratta di una materia di diritto, ma perché io rispetto le persone e rispetto chi la pensa diversamente da me. Ritengo sia sempre positivo ascoltare le opinioni dell’altro con rispetto , quindi non  posso condividere i toni offensivi che che li usino quelli del Sì o quelli del No. Questo è il mio metodo di confronto.

Che cosa pensa riguardo le affermazioni del 2013 di Antonio Ingroia da magistrato :”…io confesso che non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione.”?

Ritengo siano formule più adatte ad un dibattito pubblico.

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Perché bisogna votare No?
Perché questa è una riforma che azzera i diritti di partecipazione dei cittadini. Mi piace dire che è un vero e proprio furto di democrazia. Il fatto che gli elettori non potranno più votare per il loro senatore, il fatto che il Senato pur ridimensionato mantenga ancora tanti poteri sia dal punto di vista al potere legislativo sia per elezione del Presidente della Repubblica, ed il fatto che possa essere tirato in ballo in altri momenti cruciali, già di per sè costituisce una ottima ragione per votare No. In più ritengo che ci sia un significativo anche uno squilibrio di potere in favore di un rafforzamento del potere esecutivo.

 

Qual è la cosa che più le piace di questa riforma?

Di questa riforma non mi piace nulla. L’unica cosa che posso condividere è l’abolizione del CNEL, poiché effettivamente è inutile e si risparmia. Ma la bilancia è troppo “sbilanciata” a favore delle ragioni per cui questa riforma è non solo inutile ma anche dannosa.

Dopo una carriera brillante e piena di soddisfazioni nella magistratura, nel 2013 ha deciso di scendere in politica e adesso di schierarsi per il No in questa campagna elettorale referendaria.  Mi chiedo chi ha più bisogno di Ingroia ?Un frammentato fronte del No o la Costituzione italiana?

Io credo che sia la Costituzione. Io sono innamorato della Costituzione, da magistrato mi sono definito “partigiano della Costituzione” e questo mi costò anche un provvedimento disciplinare ai tempi del governo Berlusconi, che poi venne ritirato. Oggi continuo questa mia battaglia ma con maggiore libertà di espressione, non facendo più il magistrato e facendo attività politica però fuori dai partiti.
Il presidente Violante dice che in nessun modo ci potrà essere nel caso in cui vincesse il Sì, un accentramento dei poteri del premier. Perché lo dice secondo lei?
Perché questa è una riforma furba poichè introduce un presidenzialismo mascherato. Dal punto di vista formale non c’è nessun ampliamento dei poteri del governo, tantè che non sono stati toccati dalle modifiche gli articoli relativi ad esso. Ad essere modificata è stata però tutta la parte relativa all’ iter legislativo, dove si sono introdotti dei potere il governo prima non aveva. Sono stati  alleggeriti un po’ i poteri di decretazione d’urgenza, però si sono introdotti alcuni meccanismi privilegiati del governo come ad esempio  il “Voto a data certa” ,e quindi c’è un vero e proprio controllo del Parlamento anche attraverso l’Italicum. È facile ora dire:”lo riformeremo”, intanto al momento è legge dello Stato e quando gli italiani voteranno il Referendum voteranno con l’Italicum quindi è meglio ragionare con il combinato disposto: Italicum e Referendum costituzionale. In questo meccanismo non solo c’è un aumento dei poteri del Governo ma anzi, c’è un innalzamento del potere di un’altra figura, che coincide con il Capo del Governo cioè il leader del partito di minoranza relativa il quale avrà, pur essendo una figura extraistituzionale ed extraparlamentare, di fatto in mano le sorti del Paese.
Alessio Gugliotta

Pesce Zebra: come può un minuscolo pesciolino aiutare l’essere umano

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Pesce Zebra, Daino Zebrato, Zebrafish, Danio Rerio: questi sono i nomi con cui viene chiamato lo stesso piccolo pesciolino d’acqua dolce, appartenente alla famiglia Cyprinidae.

Il pesce zebra è molto comune in Asia, anche se lo si ritrova in quasi tutti gli acquari del mondo poiché si adatta facilmente ai vari habitat. Negli ultimi anni è diventato il modello animale più utilizzato negli studi di sviluppo e di funzione di geni, in tossicologia, oncologia e di rigenerazione.

La ragione di questo ampio utilizzo è sia di natura genetica, il suo genoma sequenziato nel 2001, è infatti molto simile a quello umano, sia di natura pratica poiché è un pesce che si riproduce molto velocemente ed i suoi embrioni, trasparenti, facilitano l’osservazione di numerosi aspetti biologici legati allo sviluppo e differenziazione cellulare.

La particolarità, in assoluto, del pesce zebra è che il suo organismo è in grado, allo stadio larvale, di rigenerare tutti i tessuti, per questo motivo è un modello di grande interesse per la medicina rigenerativa.

Negli ultimi mesi, grazie ai ricercatori della Duke University, è stato visto che, tra i tessuti dell’animaletto, anche il tessuto nervoso detiene questa capacità di rigenerazione. Se, infatti, l’animale va incontro a una lesione al midollo spinale, nell’arco di 8 settimane questa si rigenera.

L’esatto contrario accade nell’uomo. Il midollo spinale dell’essere umano, essendo il nostro tessuto nervoso di tipo permanente e quindi perdendo la capacità di rigenerarsi, non può andare incontro a tale fenomeno. Succede quindi che, se il midollo spinale si lede, si va incontro a paralisi o, nei casi più gravi, a morte.

Ma, qual è il meccanismo biologico che avviene nel pesce zebra? Se c’è una lesione nel midollo spinale dello zebrafish, questo va incontro ad una fase di rigenerazione durante la quale si crea un ponte cellulare al di sopra di essa. Un gruppo di cellule nervose di supporto (le cellule della glia) forma proiezioni che si estendono a distanze di decine di volte la loro lunghezza: solo a questo punto nuove cellule nervose le seguono a ruota, riempiendo il “buco” della ferita.

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Tra le decine di geni di zebrafish che si sono mostrati più attivi dopo una lesione spinale, i ricercatori ne hanno identificati sette che codificano per proteine secrete dalle cellule. Una di queste, chiamata CTGF (fattore di crescita del tessuto connettivo) ha calamitato l’attenzione perché i suoi livelli sono massimi nelle cellule della glia che intervengono a far da ponte in caso di danno. Quando gli scienziati hanno eliminato geneticamente il CTGF dagli zebrafish, gli animali sono risultati incapaci di riparare alle lesioni.

La versione umana di CTGF condivide il 90% degli amminoacidi con quella degli zebrafish: quando i ricercatori hanno aggiunto il nostro fattore di crescita alle lesioni dei pesci, gli animali sono ritornati a nuotare a due settimane dal danno.

La differenza sembra essere nel modo in cui la proteina viene controllata: la semplice presenza di proteina CTGF nell’uomo non garantisce infatti la medesima capacità di rigenerazione. Gli stessi studi compiuti sui topi chiariranno forse perché, nei mammiferi, non avvenga un simile processo di guarigione e se, in qualche modo, si possa “insegnare” al nostro Dna il segreto del pesce zebra e, finalmente, trovare una cura anche per noi.

Elena Anna Andronico

The Big Bang Theory: essere Nerd is the new essere popolari

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Le donne, dicono, sono il problema di tutti gli uomini. Arrivano nella loro vita e gliela distruggono, li destabilizzano.

Voi immaginate se questo accade a quattro 30enni nerds, bruttini e sfigatelli. Quello che ne esce è la serie tv che ormai va in onda da 10 stagioni: The Big Bang Theory.

Per chi non l’ha mai vista perché ‘’facendo zapping ci sono capitato più volte ma, a me, non fa ridere’’, posso dire solo questo: ERRORE. Vai, prendi il tuo pc e clicca play sulla prima puntata della prima stagione. Non te ne pentirai.

The Big Bang Theory è costruita sul classico format americano: 20 minuti in cui vediamo i personaggi spostarsi tra poche locations, con tanto di pubblico che applaude e ride quando viene fatta una battuta. Ma tu, caro mio, non te ne accorgerai perché sarai impegnato a sganasciarti (con tanto di lacrime e pipì che corre).

I personaggi principali sono, come detto, questi quattro 30enni nerds: Leonard, il classico ragazzo geniale, bruttino, timido e con gli occhiali; Sheldon, alto e allampanato ma con un QI superiore a qualsiasi media normale e, tra l’altro, affetto dalla sindrome di Asperger. Questo lo porta a non avere senso dell’umorismo, a essere anaffettivo e a dover pianificare tutto: anche gli orari in cui il suo coinquilino può andare di corpo.

Howard, il perverso del gruppo, che ci prova a trovare una donna e alla fine, incredibilmente, ci riesce; Raj, indiano ricco e di colore, accusa problemi nel parlare con le donne a cui sopperisce con l’uso dell’alcool.

Insieme trascorrono la maggior parte della giornata perché, non solo lavorano insieme, ma hanno gli stessi interessi che includono videogames, Star Wars e fumetti.

Un giorno, nell’appartamento di fronte quello di Leonard, arriva Penny: un’oca giuliva bionda di cui, ovviamente, tutti si innamorano (tranne Sheldon, che si limita a dispregiarla e basta come fa con tutto il resto degli esseri umani). Il resto, se volete, lo andrete a vedere.

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La bellezza di The Big Bang Theory è l’evoluzione di tutti i personaggi che, nelle prime stagioni, rimangono e permangono nei loro ‘’status quo’’ ma, piano piano, riescono a sbloccare alcuni lati del loro carattere. Con lo stesso umorismo di sempre, è una serie che, non solo facilmente può fare compagnia con la sua leggerezza, porta ad affezionarsi ai protagonisti mantenendo alta la curiosità.

Rumors dicono, da un paio di mesi, che la 10 stagione, quella attualmente in onda, dovrebbe essere l’ultima. In attesa di scoprire se la notizia è reale (e, quindi, prepararsi a un eventuale lutto) c’è solo una cosa poter fare: metterla in play!

Elena Anna Andronico

“A tutte le unità: triplo nove. Agente a terra” – Recensione Codice 999 (Triple 9) di John Hillcoat

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Poliziotti, criminali, sparatorie e sangue, misti ad un’ atmosfera quasi “noir”, solo le caratteristiche fondamentali per formare un prodotto quale “Triple 9” (“Codice 999” in Italia) rappresenta. Diretto da John Hillcoat, la pellicola – dopo brevi dialoghi – ci immerge subito nell’azione, senza alcuna premessa o un tentativo di conoscenza dei personaggi presenti sullo schermo. Cinque uomini, che attraverso conversazioni fra gli stessi capiremo essere: Russell Welch (Norman Reedus),  Michael Atwood (Chiwetel Ejiofor), Marcus Belmont (Anthony Mackie), Gabe Welch (Aaron Paul) e Franco Rodriguez (Clifton Collins Jr.), rapinano una banca con un unico obiettivo, ovvero ottenere il contenuto di una determinata cassa di sicurezza in meno di tre minuti, così da poter sfuggire senza troppi problemi dalla polizia.

Procedendo secondo un accurato piano, in maniera assolutamente efficiente, riescono a portare a termine il loro compito ma non senza i classici intoppi di norma. Veniamo così a scoprire che i nostri protagonisti sono, per la maggior parte, poliziotti corrotti divisi fra chi è ancora in servizio e chi invece ha abbandonato la propria vocazione già da tempo , incaricati di compiere il lavoro su comando di una rilevante frazione della mafia russa che opera in terra americana. Benché il loro accordo stabilisse questa sola operazione, i russi sembrano non essere ancora contenti, chiedendo alla squadra nuovamente la loro “collaborazione” che trova il dissenso di tutti. Ma la posta in gioco è troppo alta…

Triple 9, uscito nelle sale a febbraio 2016 (aprile in Italia), vanta un cast importante con stelle del calibro di Aaron Paul (Breaking Bad), Chiwetel Ejiofor (12 Anni Schiavo), Norman Reedus (The Walking Dead), Anthony Mackie (Captain America), Woody Harrelson (True Detective), Kate Winslet (Titanic), Gal Gadot (Wonder Woman) e tanti altri. Tuttavia, nonostante la presenza di notevoli attori che sicuramente non mancano al loro talento recitativo , l’opera di Hillcoat convince poco. Con buone premesse, ricade nei classici stereotipi dei poliziotti corrotti e delle società consumate dalla criminalità interna ed esterna, con mancanza di veri e propri colpi di scena.

Interessante, invece, è l’impegno messo nel creare del realismo coinvolgendo reali agenti della SWAT, poliziotti e paramedici americani per alcune scene di azione di rilievo. Nel complesso il film non è definibile come un fallimento nella maniera più assoluta, ma manca quello scatto in più per renderlo migliore.

                                                                                                                                                             Giuseppe Maimone

Umberto Veronesi: cosa l’umanità ha ereditato da lui

© Roberto Monaldo/LaPresse 22-02-2008 Pd: tra i candidati Umberto Veronesi Nella foto: Umberto Veronesi ¤foto di repertorio¤
© Roberto Monaldo/LaPresse
22-02-2008
Pd: tra i candidati Umberto Veronesi
Nella foto: Umberto Veronesi
¤foto di repertorio¤

L’importante non è sapere, ma cercare.

Sconfiggere l’ignoranza sia il vostro impegno primario, perché l’ignoranza non ci dà alcun diritto.

Continuate a cercare fino alla fine, con la consapevolezza che non potete fare a meno del bene e della vita.

 

 

 

 

L’8 novembre 2016 è venuto a mancare un grande medico e scienziato: Umberto Veronesi. Quel giorno, quindi, non verrà ricordato solo per l’ascesa politica di Donald Trump che è stato eletto 45° presidente degli Stati Uniti d’America, ma anche per la perdita di una delle menti più acute della storia italiana.

Umberto Veronesi non era solo un medico e un ricercatore: era un vero e proprio pioniere. Le sue idee, dalle più piccole alle più grandi, hanno contribuito a cambiare il mondo scientifico e non solo.

Per quanto alcuni dei suoi pensieri possano non essere condivisi da alcuni di noi, non vi è alcun dubbio sul fatto che ha lasciato a tutta l’umanità una grande eredità.

Cosa ha cambiato Veronesi?

Umberto Veronesi nasce come oncologo. Lo studioso si è occupato per decenni della ricerca sul cancro, soprattutto per quanto riguarda il carcinoma mammario. Il carcinoma mammario è tra le prime cause di morte (spesso prematura) della donna. Esso può svilupparsi a partire dalle cellule di due strutture della mammella: o dalle cellule dei dotti galattofori o dalle cellule dei lobuli mammari. Parleremo, quindi, di carcinoma duttale o carcinoma lobulare.

Questo tumore, a prescindere dalle sue caratteristiche anatomo-patologhe, veniva eradicato attraverso una tecnica chirurgica detta mastectomia radicale, ovvero l’asportazione dell’intera mammella (o di ambedue). Tale intervento fu ‘’collaudato’’ nel 1894 dal chirurgo William Halsted e viene tutt’ora praticato. All’epoca era l’unica tecnica conosciuta: tutte le donne, quindi, anche quelle con tumori poco invasive, ‘’subivano’’ questa manovra del tutto radicale che lascia senza la mammella malata e che, chiaramente, ha un grave peso psicologico.

Nel 1969, però, il maestro Veronesi espose, a Ginevra, il rivoluzionario intervento che, in alcuni casi di tumore non invasivo può essere utilizzato: la quadrantectomia. Tale tecnica ha lo scopo di asportare solo il quadrante malato della mammella, risparmiando la restante parte dell’organo e preservando la femminilità della paziente.

Ma non solo: grazie a lui ora conosciamo la regola del linfonodo sentinella. Se esso è stato metastatizzato allora anche gli altri lo saranno e si procederà con la linfoadenectomia, se invece non è metastatizzato non c’è bisogno di procedere.

Ancora, Veronesi, rivoluzionò ed evolse il suo stesso intervento: infatti perfezionò la quadrantectomia con l’introduzione del ‘’nipple- sparing’’. La ‘’nipple-sparing’’ è un ulteriore modifica del professore che consente di salvaguardare il capezzolo.

In ultimo, ma non per importanza, la radioterapia intraoperatoria: durante i suoi interventi vide come attuare in itinere la radioterapia sul tessuto malato non solo era più efficace ma, in alcuni casi, risparmia anche un lungo e arduo percorso alla paziente.

Grazie a tutto questo è stato definito il paladino delle donne, nonché ‘’Donna ad Honorem’’ da parte di varie associazioni femministe. Ma non se n’è mai sentito offeso, definendo lui stesso il genere femminile come ‘’superiore in qualsiasi campo al genere maschile’’.

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A parte la sua lotta contro il cancro, lo abbiamo visto esporsi nei riguardi di due argomenti dal grande peso sociale: l’aborto e l’eutanasia.

Seppur dichiarandosi contro l’aborto, ha sempre spronato le ragazze e le donne a non praticare aborti nascosti per vergogna: se è una decisione di cui non si può fare a meno che venga praticata da specialisti competenti. Si è sempre, infatti, manifestato contro le ‘’mammane’’ e i metodi fai da te.

Sostenitore dell’eutanasia, inoltre, si espose in un suo libro cominciando a rompere il tabù italiano nei riguardi di tale argomento.

Certo, la sua carriera ed etica, possiamo dire girassero solo intorno a una cosa: il benessere del paziente.

Elena Anna Andronico