I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Giovanni Giolitti

Nuova puntata del filone sui parlamentari italiani eletti a Messina: oggi ripercorriamo le tappe salienti della vita di Giovanni Giolitti, il più celebre Presidente del Consiglio dell’età monarchica pre-fascista. In occasione delle elezioni per la XXIII legislatura si candidò nei collegi “Messina I” e “Messina II”, nei quali risultò eletto il 7 marzo 1909.

Come nel caso di Francesco Crispi, anche Giolitti utilizzò lo strumento della pluricandidatura, candidandosi anche nel suo storico collegio di Dronero (Cuneo). Risultando eletto anche in quest’ultimo, rinunciò all’elezione nei collegi messinesi; in entrambi si tennero le elezioni suppletive, che videro trionfare Lodovico Fulci (Messina I) e Rosario Cutrufelli (Messina II).

Le origini e la gioventù

Giovanni Giolitti nasce a Mondovì, in provincia di Cuneo, il 27 ottobre del 1842.

In seguito a qualche problema di salute Giolitti -orfano di padre- si trasferisce con la madre in montagna presso l’abitazione del nonno paterno a San Damiano Macra in Valle Maira.

La carriera scolastica del giovane è contraddistinta da scarsa disciplina e poco applicazione come egli stesso racconterà  -“il meglio del tempo passato lassù sui monti lo spesi a giocare e a rinforzarmi la salute”-. Giolitti non ama studiare la matematica né tantomeno la grammatica greca e latina ma si appassiona non poco alla Storia e alla lettura dei romanzi di Walter Scott e Honoré de Balzac.

Successivamente si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell” Università degli Studi di Torino e consegue la laurea a soli 19 anni, grazie ad una deroga del Rettore che gli permette di svolgere gli ultimi  tre anni in uno solo.

Ritratto di Giovanni Giolitti – Fonte: wikipedia.org

Attività politica: gli inizi

Grazie ad un parente deputato nel 1848, Giolitti conosce Michelangelo Castelli segretario di Cavour. Con lui partecipa a lunghe passeggiate sotto i portici di Piazza Castello, alle quali spesso partecipa lo stesso Cavour.

Giolitti non sembra interessato ai discorsi riguardo le vicende risorgimentali ne tantomeno viene colpito dalla “chiamata” di Vittorio Emanuele II, che spinge molti suoi coetanei ad arruolarsi e partecipare alla Seconda Guerra di Indipendenza nel 1859.

Nel 1962 comincia a lavorare al Ministero di Grazie e Giustizia, riceve una nomina alla Corte dei conti nel ’77 e poi nel 1982 al Consiglio di Stato su invito di Depretis. Sempre nel 1982 si candida alla Camera dei deputati e viene eletto a Cuneo.

La Presidenza del Consiglio e lo scandalo della Banca Romana

Da parlamentare, Giolitti segue con particolare interesse la politica finanziaria e critica più volte l’operato del ministro del Tesoro Magliani; così, quando lo stesso Magliani si dimette nel 1989, Giolitti lo sostituisce diventando il leader del partito delle economie nella sinistra liberale. Questa esperienza lo mette particolarmente in luce agli occhi del re, tanto da far cadere la scelta su Giolitti come Presidente del Consiglio dopo la caduta del governo di Rudinì.

La fine della sua presidenza è causata dallo scandalo della Banca Romana. Un Comitato di parlamentari accusa Giolitti di irregolarità commesse quando ricopriva il ruolo di ministro del Tesoro; gli atti d’accusa vengono archiviati nel 1895, ma Giolitti, per evitare un probabile arresto, si trasferisce qualche mese prima in Germania.

Vignetta della rivista “L’asino” – Fonte: donadoniblog.wordpress.com

L’età giolittiana

Con l’inizio del nuovo secolo Giolitti occupa un posto di grande rilievo nella scena politica italiana. Ricopre il ruolo di ministro degli Interni durante il governo Zanardelli ( 1901-1903) e ne ispira la politica governativa; successivamente diventa Presidente del Consiglio dei Ministri per tre ministeri fino al 1914, interrotti solo dai gabinetti Tittoni, Fortis e Sonnino e da quelli Sonnino e Luzzati.

La politica di Giolitti è orientata verso un “ordinato progresso civile”, accentua il carattere liberale della linea governativa, ponendo lo Stato in posizione neutrale nei conflitti del lavoro. In ambito puramente economico sostiene -con un cauto protezionismo- lo sviluppo dell’ industria.

Giolitti viene aspramente criticato dalla sinistra per la politica meridionale, infatti, il protezionismo sul grano favoriva non poco il sistema latifondista. Nel 1909 Gaetano Salvemini etichetta Giolitti “ministro della mala vita“, per criticarne la spregiudicata prassi elettoralista.

Ad appoggiare fortemente Giolitti sono il socialismo riformista, alcuni settori intellettuali- specialmente Croce- e ampi strati della nuova borghesia. Questo gli permette di costruire un articolato sistema di potere che entrerà in crisi solo verso la fine del decennio a causa delle grandi trasformazioni sociali.

In particolare il movimento operaio comincia a pretendere un serio coinvolgimento nel potere e allo stesso tempo i cattolici rivendicano una presenza non più marginale nello Stato.

Nonostante l’accordo elettorale con i cattolici (patto Gentiloni) del 1913 , la nuova composizione della Camera non gli permette più liberta di manovra; per questo decide di dimettersi nel 1914.

Giovanni Giolitti- Fonte: wikipedia.org

Gli ultimi incarichi e la morte

Da Neutralista convinto quale era rimane ai margini della politica durante il periodo bellico, ma viene richiamato a formare un governo nel 1920. La situazione socio-politica del paese era prfondamente mutata e questo rende praticamente impossibile in quanto obsoleta l’attuazione della tradizionale mediazione giolittiana.

Dopo una nuova sconfitta elettorale nel 1921 rassegna le dimissioni, anche se come depuatato liberale fa parte dell’opposizione a Mussolini nel 1924.

Colpito da broncopolmonite nel 1928, muore dopo una settimana di agonia a Cavour.

Il nipote Antonio Giolitti -futuro partigiano e politico tra le fila del PCI- riguardo la morte del nonno racconterà: “Lui giaceva su un grande letto di ferro, ci benedisse. Fuori c’era una gazzara di giovani fascisti che stazionavano sotto la finestra, in attesa: quel vecchiaccio non si decide a morire“.

 

 

  Emanuele Paleologo

 

Fonti: 

wikipedia.org/wiki/Giovanni_Giolitti

treccani.it/enciclopedia/giovanni-giolitti

 

 

 

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Francesco Crispi

Torna il filone legato ai Parlamentari d’Italia eletti a Messina con il primo Presidente del Consiglio meridionale della storia del Regno: il siciliano Francesco Crispi, candidato ed eletto nel collegio plurinominale (sono eletti diversi -non soltanto uno- candidati) di Messina alle elezioni della XVII legislatura, il 23 novembe 1890.

Come succede ancora oggi con il meccanismo delle pluricandidature, l’allora Presidente del Consiglio fu eletto anche in altri quattro collegi siciliani -tra cui quello di Palermo-; per questo motivo qualche mese dopo a Messina si svolsero le elezioni suppletive, vinte da Ernesto Cianciolo, deputato della città dello Stretto dalla XVII alla XX legislatura.

Origini e gioventù

Francesco Crispi nasce nel 1818 a Ribera, paese nei pressi di Agrigento, da una famiglia di origini albanesi. Il nonno Francesco era di Palazzo Adriano, cittadina costruita alla fine del XV secolo da esuli albanesi in fuga dai turco-ottomani.

Nel 1829 Crispi diventa alunno del famoso seminario italo-albanese di Palermo; durante questo periodo -grazie alla supervisione del cugino Giuseppe, rettore del seminario- riceve una formazione prettamente classica e si appassiona fortemente alla Storia.

Dopo qualche anno si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo e qualche anno dopo conosce Rosina D’Angelo, sua futura moglie.

Nel 1839 una tragedia scuote la vita di Crispi: la moglie -già madre della prima figlia Giuseppa- muore poco dopo aver dato alla luce il secondogenito Tomasso, che sarebbe morto qualche giorno dopo essere nato; nel mese di dicembre dello stesso anno anche Giuseppa perde la vita.

Qualche mese prima della grave tragedia familiare, Crispi aveva fondato un giornale, “L’Oreteo”; tramite questa esperienza era entrato a contatto con il mondo politico del tempo e, soprattutto, con gli ambienti antiborbonici.

Dopo aver conseguito la laurea nel 1843, tenta l’avvocatura a Napoli, considerata a quel tempo tra le città più liberali della penisola.

L’elezione di papa Pio IX (1846) aveva fatto crescere il fermento negli ambienti liberali e rivoluzionari  di cui faceva parte Crispi, tantochè nel 1847 viene mandato a Palermo per organizzare -appunto- la rivoluzione in Sicilia.

Francesco Crispi- Fonte: agi.it

La rivoluzione siciliana

La sommossa contro i Borboni scoppia il 12 gennaio del 1948 ed il governo provvisorio, presieduto da Ruggero Settimo, assegna a Crispi la guida del Comitato della Difesa.

Dopo i primi successi in campo militare, i comitati vengono riorganizzati diventando una sorta di ministeri provvisori e Crispi viene posto al comando del comitato di “Guerra e Marina”.

Contestualmente fonda il suo secondo giornale, chiamato “L’Apostolato, per esprimere le proprie tesi riguardo il futuro prossimo dell’Isola. Crispi sosteneva che la soluzione migliore sarebbe stata quella federale e sottolineava l’importanza di dare una base legale alla rivoluzione siciliana; in tal senso propone il ripristino della vecchia Costituzione siciliana del 1812.

Queste posizioni, che abbracciavano una svolta federalista, creano non pochi attriti tra Crispi e i componenti dei comitati rivoluzionari, fautori di una soluzione totalmente indipendentista.

Il 29 marzo del 1849 i Borboni sferrano un nuovo attacco per reimpossessarsi della Sicilia. I comitati rivoluzionari  -a causa di numerose spaccature interne- si fanno trovare impreparati ed il 14 aprile l’ammiraglio Baudin offre, a nome del governo francese, una mediazione per la pace;  la Camera siciliana è fondamentalmente costretta ad accettare, viste le pesanti sconfitte militari subite.

Crispi amareggiato e contrario alla pace si imbarca su una nave diretta a Marsiglia, lasciando provvisoriamente la Sicilia.

Francesco Crispi (1818-1901) a metà ottocento – Fonte: wikipedia.org

La spedizione dei Mille  e la svolta “unitaria “

Dopo aver girovagato per l’ Europa, tra Piemonte, Malta e Londra, Crispi intensifica la sua corrispondenza con Mazzini e con altri esuli di parte democratica; questo lo porta ad abbandonare l’ideale dell’autonomismo siciliano ed ad abbracciare la soluzione unitaria.

Nel 1860 contribuisce significativamente a convincere Garibaldi riguardo la spedizione dei Mille: Crispi è -difatti- la mente politica della spedizione, sia per la sua esperienza da amministratore sia per la sua idea di ritardare l’annessione dei territori conquistati fino alla liberazione di Roma e Venezia.

Proclamata l’Unità, viene eletto alla Camera dei deputati; inizialmente tra le fila dei mazziniani, successivamente aderisce alla Sinistra storica, ritenendo ormai la Monarchia unica garanzia di unità. Con la caduta della Destra storica diventa Presidente della Camera (1876) e, successivamente, Ministro degli Interni (1877), carica da cui si dimette per l’accusa di bigamia, avendo sposato Lina Barbagallo nel ’78 e Rosalia Montmasson nel ’54 a Malta.

La “spedizione dei Mille” in un celebre quadro di Guttuso – Fonte: quotidiano.net

Gli ultimi incarichi e la morte

Torna al Ministero degli Interni nel 1887 nel governo di Depretis, al quale succede poco dopo come Presidente del Consiglio. Al governo sostiene la Triplice Alleanza e combatte fortemente la Francia; inoltre è promotore dell’espansione coloniale italiana in Etiopia (trattato di Uccialli del 1889), rivelatasi fallimentare in seguito alla pesante disfatta di Adua.

Mosso da una forte considerazione di sè e dell’ Italia, ma racchiuso dentro ideali ormai in via di superamento, Crispi esaurisce le sue forze in vani conati di grandezza, anticipando, in un certo senso, motivi ripresi successivamente dal nazionalismo e dal fascismo.

Muore a Napoli ad 83 anni nel 1901, dopo anni di sofferenze e gravi problemi alla vista.

 

                                                                                                                                                   Emanuele Paleologo

Fonti:

it.wikipedia.org

treccani.it

dati.camera.it/apps/elezioni

 

Medaglia d’oro alla memoria di Willy Monteiro e Don Malgesini, esempi di coraggio

E’ successo ieri 7 ottobre 2020: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato, su proposta del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il decreto con il quale la Repubblica Italiana conferisce la medaglia d’oro alla memoria di Willy Monteiro Duarte e di Don Roberto Malgesini per il loro sacrificio e per l’esempio di coraggio offerto in merito alle tragedie che li hanno colpiti.

(fonte: adkronos.com)

 

Medaglia al Valor Civile per Willy

“Con eccezionale slancio altruistico e straordinaria determinazione, dando prova di spiccata sensibilità e di attenzione ai bisogni del prossimo, interveniva in difesa di un amico in difficoltà, cercando di favorire la soluzione pacifica di un’accesa discussione.”

Si legge nel comunicato della Presidenza della Repubblica, disponibile per la lettura sul sito ufficiale Quirinale.it, riguardo alla vicenda di Willy Monteiro Duarte. Lo studente di 21 anni è stato infatti ucciso lo scorso 6 settembre nei pressi di Colleferro (Roma) mentre tentava di sedare una rissa in cui era stato coinvolto l’amico. Fatale il suo incontro coi fratelli Bianchi e Mario Pincarelli, principali responsabili dell’avvenimento, che su di lui si sono avventati fino ad ucciderlo.

Il Presidente della Repubblica ha così voluto onorare la sua memoria conferendogli una Medaglia d’oro al Valor Civile per essersi prodigato ad aiutare l’amico in difficoltà.

I fratelli Marco e Gabriele Bianchi assieme a Mario Pincarelli si trovano al momento nel carcere di Rebibbia di Roma, così come disposto dal gip del Tribunale di Velletri Giuseppe Boccarrato, in attesa della sentenza che valuti le sorti dell’accusa aggravata di omicidio volontario. Di recente sono stati trasferiti nel braccio G9 (definito ‘Braccio degli infami’), che ospita rei di pedofilia e di violenza sulle donne, in seguito ad alcuni episodi di violenza di cui si sono resi protagonisti nei confronti di un detenuto di nazionalità marocchina.

 

(Willy Monteiro Duarte ritratto in una foto coi compagni di classe – fonte: cronacaonline.it)

Medaglia al merito civile per Don Roberto

Il comunicato prosegue con l’esegesi delle ragioni che hanno spinto il Presidente a conferire la Medaglia d’oro al Merito civile a Don Roberto Malgesini, ucciso lo scorso 15 settembre davanti la chiesa di San Rocco (Como) da uno dei bisognosi che era solito aiutare:

“Con generosa e instancabile abnegazione si è sempre prodigato, quale autentico interprete dei valori di solidarietà umana, nella cura degli ultimi e delle loro fragilità, offrendo amorevole accoglienza e incessante sostegno.”

Don Roberto era infatti conosciuto ed amato dagli abitanti del comune lombardo per gli aiuti che prestava ai più deboli della comunità, in particolare senzatetto e migranti. Il Prete degli ultimi, così veniva chiamato, perché capace di riconoscere negli occhi dei più deboli il volto di Dio.

Ad ucciderlo, un senzatetto di nazionalità tunisina affetto da problemi psichici. Secondo una prima ricostruzione, il movente dell’omicidio risiederebbe nel tentativo nascosto del parroco di rimpatriare l’uomo traendolo in trappola coi propri aiuti. Proprio in ragione di tal movente, poi ritrattato, è stato richiesto per l’imputato il parere di uno psichiatra.

E mentre la Presidenza della Repubblica decide di conferire la medaglia d’oro alla memoria del parroco, la città per cui ha servito fino alla morte, Como, gli ha invece negato la massima onorificenza dell’Abbondino d’oro.

(fonte: ilgiorno.it)

 

Il riconoscimento dopo la tragedia

Alla base del riconoscimento starebbe l’estremo sacrificio di due persone divenute modelli illustri per la comunità italiana. Willy viene infatti definito nel decreto come un esempio “per le giovani generazioni, di generosità, altruismo, coraggio e non comune senso civico”;

Malgesini, invece, lo si descrive come esempio “di uno straordinario messaggio di fratellanza e di un eccezionale impegno cristiano al servizio della Chiesa e della società civile”.

Due tragedie senza dubbio inaspettate e sentite, frutto di profonde falle nella società, da cui è dovere civico di ogni cittadino trarre esempio ed insegnamento affinché la loro memoria non vada sprecata.

 

Valeria Bonaccorso

Tommaso Cannizzaro: biografia di un letterato poliglotta

Quante volte, nel caos cittadino, cerchiamo di dare un punto di riferimento ai nostri amici dicendo di trovarci vicino al Tribunale, sulla Tommaso Cannizzaro?

Quante altre ci viene chiesto dai turisti dove sia, e nessuno, soprattutto i residenti in città, ha dubbi sulla sua posizione? Via Tommaso Cannizzaro, situata tra il centro storico e l’area deputata allo shopping, congiunge due parti  fondamentali della città. La via, spesso trafficata, vede sorgere ai suoi lati il Tribunale e il Rettorato, palazzi storici e modernissimi e collega la Zona Falcata con i Colli San Rizzo.

Ma chi è il personaggio storico da cui prende il nome?

Tommaso Cannizzaro nacque a Messina il 17 agosto 1838 e fu un poeta, critico letterario e traduttore italiano di rilievo nazionale ed europeo. Ebbe un orientamento politico di sinistra che lo portò nel 1860 ad arruolarsi con Garibaldi nel corpo dei cacciatori del faro, bersaglieri cui capo era Ferdinando Beneventano del Bosco, che avevano l’obbiettivo di scacciare i Borboni da Torre Faro, liberando così tutta Messina e potendola annettere, dopo la vittoria su Palermo, al resto della neo Italia. Dovendo interrompere la missione per la morte del padre tornò a Messina per amministrare il patrimonio familiare e dopo la morte anche della madre decise allontanarsi dalla città natale.

Nei i suoi numerosi viaggi che lo portarono in Francia, Spagna, Inghilterra e Malta potè vantarsi di aver conosciuto Victor Hugo, e la figlia Adèle, della quale si innamorò perdutamente. Pur avendola chiesta in sposa per ben due volte fu rifiutato e ciò lo portò nel 1888 ad allontanarsi, continuando a scrivere e facendosi conoscere anche come traduttore in lingua francese, spagnola, portoghese, inglese, tedesca, svedese, boema, americana e magiara. Tornò in sicilia dove si stabilì definitivamente dopo aver conosciuto Maria Kubli, sua sposa e madre dei suoi 7 figli. È in questo periodo, a cavallo tra l’ottocento e il novecento, che si dedicò alla scrittura di numerose poesie, alcune delle quali furono raccolte nel volume Výbor básní –Tom. Cannizzaro (Praga 1884).

Dopo il terremoto del 1908, nel quale morì una delle sue figlie, trascorse gli ultimi anni in solitudine. Nelle volontà testamentarie lasciò buona parte del proprio patrimonio alla città di Messina; tra tutto spiccano i suoi 5000 volumi personali, che oggi fanno parte della biblioteca messinese a lui intitolata. Abbandonato da tutti e solo per la morte prematura dei sette figli morì il 25 agosto 1921 e venne sepolto nel cimitero monumentale della città. Tra le opere troviamo liriche che vanno dai temi filosofico-scientifici a quelli filantropici. La sua fatica più grande fu senz’altro tradurre la Divina Commedia di Dante Alighieri in siciliano, pubblicandola poi nel 1904. Come traduttore si dedicò principalmente a sonetti scritti da poeti francesi e inglesi, ma non mancarono poesie in spagnolo e portoghese.Si dedicò anche alla prosa con dei canti popolari sulla provincia di Messina, ma anche con opere che avevano come temi principali la vita, la società, l’amore e le donne.

Era di nostra vita a mità juntu
quannu ‘nton scuru boscu mi trovai
pirdennu la via dritta, ntra ddhu puntu.

Paola Puleio

… ci sono ben due Messinesi illustri sulla Luna?

La luna piena fotografata da un obiettivo telescopico

Ebbene sì: c’è chi guardando la Luna pensa all’amore, chi, come Leopardi, ci intesse sopra riflessioni sul senso della vita. Ma d’ora in avanti, cari lettori di UniVersoMe, quando volgerete lo sguardo al cielo in una bella notte di luna piena, non penserete più a nulla di tutto questo, ma alla nostra città di Messina.

Come mai? Perchè Messina ha l’onore di avere non uno, ma ben due Messinesi illustri sulla Luna. Ovviamente non di persona, ci mancherebbe: ma i loro nomi sono stati assegnati rispettivamente a un cratere lunare e a un Dorsum, una sorta di catena montuosa formata da creste lunari.

Chi sono questi due personaggi messinesi e come mai hanno ricevuto una così singolare onorificenza? 

Francesco Maurolico

Il primo, probabilmente, lo conoscete un po’ tutti: è Francesco Maurolico, matematico, scienziato, letterato, storico, erudito, in poche parole grande mente del Cinquecento messinese. Di questo incredibile personaggio, che più di ogni altro forse riuscì a incarnare l’archetipo dell’intellettuale rinascimentale a tutto tondo, ci resta una enorme quantità di scritti, molti dei quali testimoniano appunto il suo vivo interesse per l’astronomia.

Il più importante di questi, una opera massiccia intitolata “Cosmographia”, rappresenta una sorta di grande rassegna del sapere astronomico dell’epoca: la prima edizione,

Superficie lunare. In giallo, il cratere Maurolycus

datata 1543, è dedicata all’amico e letterato Pietro Bembo.

Per i suoi importanti contributi allo sviluppo di una disciplina che all’epoca era quanto mai attuale, Maurolico fu molto apprezzato tanto dai suoi contemporanei, quanto dai posteri. Nel 1615, infatti, quando l’astronomo gesuita Giovan Battista Riccioli pubblica la sua mappa della superficie lunare, non manca di onorarne la memoria attribuendo il suo nome a un cratere del diametro di 117 km, il Maurolycus, che lo conserva tutt’ora.

Una delle tavole paleontologiche di Scilla, con disegni di fossili

Il secondo personaggio invece è sicuramente meno noto, ma non meno affascinante, e, per certi versi, bizzarro: forse perchè visse e operò circa un secolo dopo Maurolico, nel Seicento, in un’epoca permeata dalle bizzarrie del barocco.

Stiamo parlando di Agostino Scilla, anche lui messinese e anche lui, come il Maurolico, genio a 360 gradi: dopo una formazione da letterato, si dedicò alla pittura, e diverse delle sue opere sono custodite al Museo Regionale di Messina.

Ma i suoi interessi non si fermano all’arte: fu anche appassionato di geologia, e instancabile collezionista di fossili. Scoprì per primo, quasi in contemporanea con il danese Niccolò Stenone, e in contrasto con le credenze dell’epoca, che i fossili sono resti di esseri viventi, gettando così le basi della moderna paleontologia.

Il Dorsum Scilla in una foto telescopica

Proprio per questo, nel 1976 gli venne dedicato un Dorsum lunare, il Dorsum Scilla, lungo circa 108 km: la Unione Astronomica Internazionale, che regola la nomenclatura delle strutture lunari, prevede infatti che ai Dorsa vengano assegnati i nomi di geologi, paleontologi e studiosi della Terra. 

Quando si parla di “portare in alto” il buon nome della città di Messina, dobbiamo dunque ricordare che c’è stato chi, come Francesco Maurolico e Agostino Scilla, è riuscito a portarlo così in alto… da raggiungere addirittura la Luna! 

Gianpaolo Basile

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  1. Di Gregory H. Revera – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11901243
  2. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=697197
  3. http://www.osservatoriogalilei.com/home/index.php/rirorse/fly-me-to-the-moon/839-il-cratere-maurolycus
  4. Di Colonna, Fabio; Scilla, Agostino – http://www.biodiversitylibrary.org/pageimage/39707030, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44716771
  5. Di Naval Research Laboratory from Clementine data – Quelle: http://solarviews.com/raw/moon/moonmap.tif, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=482921

Nietzsche a Messina: un viaggio “alla fine del mondo”

Era il 31 marzo del 1882: una mattina come tante al porto di Messina, allora florido e importante approdo commerciale, a cui continuamente facevano scalo navi mercantili da tutta Italia e dal mondo. E, molto probabilmente, nessuno sapeva che quel mercantile appena arrivato da Genova trasportava con se un ospite davvero speciale. Proprio quella mattina, infatti, viene portato a terra in barella, stanco, provato da una notte insonne, dal mal di mare e dai dolorosi attacchi di emicrania di cui soffre ormai da diversi anni, uno dei personaggi più importanti e controversi della cultura europea e occidentale: Friedrich Wilhelm Nietzsche. 

Il soggiorno messinese del grande filosofo tedesco è una delle tappe forse meno conosciute della sua biografia: un po’ per la sua brevissima durata ( poco meno di un mese), e un po’ perché è scarsa la documentazione riguardante le ragioni della sua permanenza in Sicilia; tutto ciò che si sa a riguardo proviene dalla sua ricca corrispondenza privata con parenti ed amici, mentre pare che di questo viaggio temporaneo del grande pensatore, che pure all’epoca godeva già di una certa notorietà negli ambienti colti dell’epoca, non sia trapelato niente di pubblico. 

Facciamo un po’ di storia: in quel periodo, Nietzsche ha 38 anni ed ha già lasciato da alcuni anni l’insegnamento di Lingua e Letteratura greca all’Università di Basilea, per ritirarsi a vita privata nel famoso “rifugio” di Sils Maria, in Engadina. Le precarie condizioni di salute non gli consentono più di adempiere ai suoi doveri didattici: soffre infatti di violente emicranie con aura,  che oggi sappiamo essere probabilmente nient’altro che la fase prodromica di quella devastante malattia neurologica su base genetica (l’arteriopatia cerebrale ereditaria nota oggi con l’acronimo di CADASIL) che aveva già ucciso suo padre e che, di lì a qualche anno, lo porterà allo scompenso psicotico (il celebre “crollo mentale” di Torino del 1889, a seguito del quale scriverà i famosi “biglietti della follia”) e, successivamente, alla morte.

Un Nietzsche fisicamente fragile, quindi, ma intellettualmente in fermento: sono gli anni della sua piena maturazione dal periodo “wagneriano” del suo pensiero agli sviluppi nichilisti che lo renderanno, negli anni, così importante e rivoluzionario per la storia della filosofia occidentale.  Sono anni di intensa attività filosofica, punteggiati qua e là da frequenti viaggi, alcuni dei quali a scopo di cura termale, nelle vicine mete del Nord Italia (Venezia, Torino, Genova e la Liguria) e del sud della Francia. Ed è in questo contesto che si inquadra il viaggio a Messina, successivo, o forse addirittura contemporaneo, alla stesura dei suoi “Idilli di Messina”, la raccolta di poesie successiva alla sua celebre opera filosofica, “La gaia scienza”

Perché proprio Messina? Le certezze sono poche, ma le ipotesi, come al solito, si sprecano. Forse quel grande intellettuale, appassionato lettore di Goethe, era rimasto suggestionato dalla sua pittoresca descrizione della Sicilia nel suo “Viaggio in Italia” (non era forse Goethe a scrivere che “l’Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna?”). O forse intendeva incontrare il vecchio amico e compositore Richard Wagner, l’idolo della sua giovinezza filosofica, con cui da tempo aveva interrotto i rapporti, e che in quel periodo si trovava a Palermo e avrebbe in seguito raggiunto Messina, l’11 di Aprile del 1882. Non sono del tutto chiaro i motivi della partenza, ma quel che è certo è che per Nietzsche si trattava di una esperienza esaltante: all’amico e discepolo, il compositore Heinrich Koeselitz, quel “Peter Gast” che diventerà anche, dopo la sua morte, uno dei principali revisori della sua opera omnia assieme alla sorella, Nietzsche scrive: “Alla fine del mese, vado alla fine del mondo”.

A Messina Nietzsche, che pernotta nei primi tempi in un ostello vicino al Duomo, sembra trovarsi molto bene e provare persino un effimero giovamento dalle sue condizioni di salute. Dalle lettere alla famiglia e agli amici, si evince tutta la sua meraviglia riguardo la bellezza dei luoghi e l’ospitalità dei messinesi, insieme alle sue intenzioni di prolungare la permanenza fino all’estate, o anche oltre. Non si sa nulla di come impiegasse il suo tempo nell’Isola: è probabile che abbia girato a fondo la città e i dintorni, e  forse visitò anche Taormina, la città in cui Goethe partorì una delle opere che gli erano più care, il poema drammatico “Nausicaa”.

Nemmeno è noto se alla fine sia riuscito a incontrare Wagner; è verosimile infatti che l’eccelso musicista non sapesse nulla della sua presenza a Messina, mentre al contrario, la breve visita del compositore tedesco alla città dello Stretto ebbe una notevole e calorosa accoglienza da parte della stampa e del pubblico. Quel che è certo, invece, è la data della sua partenza: il 23 di Aprile del 1882, vinto dal caldo e dallo scirocco, che evidentemente non era abituato a sopportare, Nietzsche rientra da Messina per ricongiungersi, a Roma, con l’amico Paul Rée. 

Così finisce il breve viaggio “alla fine del mondo” di uno dei pilastri della storia del pensiero nella Sicilia del mito, della bellezza classica, del Mediterraneo; il suo viaggio nella calda e bella Messina della fine dell’800, del suo crepuscolo dorato prima della rovina, è forse una tappa insignificante di una delle tante peregrinazioni della sua travagliata vita; ma chissà se, come alcuni studiosi ipotizzano, alcune delle opere di questo colosso della filosofia, come “Così parlò Zarathustra” non abbiano visto la luce, o perlomeno il primo concepimento, proprio qui, sulle assolate rive dello Stretto… 

Gianpaolo Basile

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Di sconosciuto – http://ora-web.swkk.de/nie_brief_online/nietzsche.digitalisate?id=234&nr=1, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=95964

 

 

Scienza e ricerca nella Messina del 600: Marcello Malpighi e la nascita dell’Anatomia microscopica

Marcello Malpighi

Il Seicento è considerato universalmente dagli storici della scienza un secolo di svolta nella nascita e definizione delle moderne discipline scientifiche: l’affermarsi progressivo di un nuovo metodo sperimentale, la cui concettualizzazione si fa classicamente risalire a Galileo Galilei, costituisce una autentica ventata di rinnovamento nelle conoscenze inerenti tantissimi campi dello scibile umano. Lo sviluppo della tecnica, in particolare dell’ottica, fornisce ai ricercatori lenti e strumenti di ingrandimento assolutamente innovativi per l’epoca, mentre l’affermarsi di questo nuovo approccio metodologico toglie loro ogni paura di usarli, nonostante le numerose remore da parte dei pensatori ancorati alla tradizione scolastica. Così, se Galileo con i suoi cannocchiali punta queste lenti verso il cielo, ad ingrandire oggetti distantissimi come pianeti e asteroidi, altri preferiscono usarle per studiare ciò che è troppo piccolo per essere visto ad occhio nudo: è la nascita dei microscopi. Tra questi studiosi, pionieri della microscopia, ce n’è uno che prima degli altri riuscì ad applicare questo nuovo sguardo allo studio della struttura fine della materia vivente di animali e vegetali. Parliamo di Marcello Malpighi, anatomico, medico e botanico considerato oggi il padre dell’Anatomia Microscopica: una scienza senza la cui affermazione praticamente nessuno dei progressi in campo medico e biologico di cui oggi godiamo giornalmente sarebbe stato possibile.

Fino a qui è storia relativamente nota: ma quello che forse non tutti sanno è che proprio l’Università degli Studi di Messina fu teatro di alcune di queste fondamentali scoperte scientifiche. Proprio a Messina infatti, Marcello Malpighi insegnò come docente primario di Medicina teorica nel periodo che va dal 1662 al 1666, ed è a Messina che diede alla luce alcune delle sue opere più importanti. 

Giovanni Alfonso Borelli

L’Università di Messina in quel periodo è una università giovane, ma assolutamente all’avanguardia per quanto riguarda gli studi scientifici: nel 1635 un altro grande scienziato, Giovanni Alfonso Borelli, magari meno noto ma non meno importante per lo sviluppo della scienza e della medicina moderna, vi insegna matematica. Borelli non è stato un microscopista, ma un fisico, matematico e fisiologo, padre della moderna biomeccanica; lo accomunano a Malpighi l’interesse verso il nuovo metodo sperimentale e l’appartenenza all’Accademia del Cimento, cenacolo di studenti galileiani e terreno fertile per le nuove idee scientifiche. Fu dunque probabilmente Borelli, che di Malpighi era fraterno amico e corrispondente, a fare il nome di Malpighi negli ambienti colti messinesi; così quando nel 1661 si viene a rendere necessario un nuovo professore di Medicina teorica, anche se Borelli da tempo non si trova più a Messina (città in cui ritornerà qualche anno dopo), i membri del Senato sembrano non avere alcun dubbio e, all’unanimità, lo fanno convocare nella città dello Stretto.

Sezione e anatomia microscopica dei polmoni di rana, in una tavola disegnata da Malpighi.

Senza dubbio Malpighi non era certo stato con le mani in mano fino a quel periodo. Docente a Bologna, nel 1661 era stata pubblicata una delle sue prime grandi scoperte scientifiche: la prima descrizione dell‘anatomia microscopica degli alveoli polmonari, che contiene la prima dimostrazione di come vene e arterie siano tra di loro comunicanti attraverso i capillari. Una scoperta che cambierà il corso della storia della Medicina e avrà una notevole risonanza anche internazionale già negli anni successivi; una scoperta che però si pone in netto contrasto con le teorie di Galeno che venivano allora sostenute da buona parte dei suoi contemporanei, e che gli costa quindi numerose antipatie accademiche. Per questo quando allo scienziato arriva l’offerta di insegnare a Messina, non si fa sfuggire l’occasione di cambiare aria e fa subito i bagagli alla volta dell’ateneo peloritano.

Il periodo messinese è per Malpighi un periodo estremamente produttivo: a Messina, Malpighi studia l’anatomia del rene, descrivendo per la prima volta i corpuscoli renali, che oggi portano il suo nome (corpuscoli del Malpighi); si dedica anche alla neuroanatomia, descrivendo i recettori responsabili del senso del gusto e del tatto; studiando la circolazione del sangue, descrive per primo i globuli rossi; cura inoltre il suo interesse verso la botanica, divenendo direttore del celebre Orto botanico, che era stato fondato dal suo predecessore, Pietro Castelli, anche egli medico e botanico.

Una rappresentazione moderna del corpuscolo del Malpighi.

Nonostante questo, la tappa di Messina resta per Malpighi una semplice stazione di transito: nel 1666 fa ritorno a Bologna, dove acquista fama come medico pratico; negli anni successivi collabora con la Royal Society inglese, che ne pubblica l’opera omnia; dopo numerose altre scoperte (e altrettanti caotici ed aspri screzi accademici con i colleghi bolognesi) finisce la carriera a Roma, in carica di medico privato del Papa, ricco, potente ed affermato. 

Seppure breve, la parentesi messinese resta comunque una importante tappa della carriera di questo insigne scienziato e vale la pena ricordare che alcune delle conoscenze che oggi fanno parte dei pilastri della moderna scienza medica, sono state scoperte proprio nel nostro Ateneo… 

Eppur si smuove…

Dopo quasi dieci anni, alla Casa dello Studente partiranno i lavori di adeguamento alle normative post terremoto dell’Aquila, che ne avevano decretato la chiusura nel 2008. Non appena terminate le festività pasquali, il presidente dell’ERSU Messina Fabio D’amore incontrerà gli operai a cui sono stati assegnati i lavori. Si stima che questi porteranno a termine la messa in sicurezza e l’adeguamento in 8 mesi.

Nella centralissima via Cesare Battisti, ad appena 350 metri dalla facoltà di Giurisprudenza, si erge la Casa dello Studente, una struttura di quattro piani che conta 240 posti letto ripartiti in 120 stanze doppie. Nel 1927 il Comune di Messina delibera e concede all’Università il terreno della Maddalena per la costruzione di un dormitorio universitario. L’ingegnere Salvadore, per conto del Rettore Rizzo, in pochi anni progetta e costruisce una struttura di tre piani sul terreno dove prima sorgeva l’Orto della Maddalena, luogo di interesse storico nei moti antiborbonici.

S.A.R. il Duca di Genova alla casa dello studente con i “Goliardi”

Visitata anche da Sua Altezza reale il Duca di Genova nel 1939, la Casa dello Studente diviene punto di aggregazione del corpo studentesco, e negli anni oltre i comuni lavori di ristrutturazione, si contano anche importanti ammodernamenti. Nel 1973 viene ristruttura tutta la casa, costruito il 3° piano aggiunti altri posti letto, biblioteca, sala per riunioni e due nuove mense efficienti e moderne. Il Rettore era Pugliatti e pensando sempre agli studenti, specialmente ai fuori sede, si utilizzano alcune delle stanze per creare un Centro Medico completo di laboratori di analisi cliniche, di oculistica, di radiografia e di medicina generale, con medici della facoltà di medicina. Questi servizi, gratuiti per tutti gli studenti, furono affidati al Prof. Diego Cuzzocrea, che ne fu il Direttore per anni.

 

Purtroppo negli anni questi fasti vanno scemando fino alla chiusura nel 2008 per inagibilità, passando per i traffici illeciti segnalati nelle dichiarazioni riportate dal procuratore Croce nella sua relazione sull’andamento del fenomeno mafioso a cavallo tra gli anni ’80 e ‘90, secondo cui la Casa dello Studente di Messina veniva utilizzata come deposito dalle associazioni mafiose e «la pistola era cosa normale come la penna stilografica».

 

Dunque chiusa dal 2008, potrebbe tornare ad aprire nei primi mesi del 2018. Con il denaro recuperato saranno anche acquistati gli arredi interni andati distrutti in questi anni. Insomma, nel dormitorio dove molti volevano collocare il secondo Palagiustizia, c’è stata anche una lunga occupazione da parte del Collettivo Unime e del Teatro Pinelli occupato, i cui effetti sugli interni della struttura sollevarono non poche polemiche.

“Che questa possa essere la volta buona”, forse l’unico auspicio che come studenti siamo portati a dire, in un momento in cui più che mai si riscontra quel bisogno di sentirsi presi in considerazione nella realtà locale. Una realtà questa che troppo spesso emargina coloro i quali, destreggiandosi tra un esame e l’altro, sperano un giorno di affermarsi come professionisti e classe dirigente di questa ed altre città.

Foto crimea-sicilia.it

Alessio Gugliotta

Giuseppe La Farina: strenuo propugnatore dell’unità e libertà d’Italia.

Giuseppe La Farina
Giuseppe La Farina

Avete presente quel viale lungo, lungo, lungo che, passato Tremestieri vi porta dritti dritti al centro di Messina? Si, proprio quello dove c’è traffico a qualsiasi ora del giorno e che funge da via di transito per tutti gli autobus diretti verso la Sicilia orientale: il rinomato Viale La Farina, dedicato, come si può intuire, a Giuseppe La Farina. Solitamente le piazze, i parchi e le strade vengono dedicate a chi, originario o non della città, si è comunque fatto ricordare compiendo grandi o piccole cose, ma dall’enorme significato morale. Ma chi era Giuseppe La Farina? Perché dedicargli una via?

Giuseppe La Farina nasce il 20 Luglio 1815 a Messina. Si dedica agli studi letterari e laureatosi in Giurisprudenza, diviene patriota, politico e scrittore.

La sfera patriottica e quella letteraria si fondono dopo i moti rivoluzionari del 1837, quando, costretto a rifugiarsi a Firenze, si dedica alla scrittura e pubblica diverse opere tra le quali: L’Italia nei suoi monumenti, ricordanze e costumi; Studi storici sul secolo XIII e Storia d’Italia narrata dal popolo italiano. A Firenze diresse anche un giornale, l’Alba, il primo di stampo democratico-sociale ma, lo scoppio della rivoluzione in Sicilia, lo riportò sull’isola per vederlo, nel 1848, deputato alla Camera dei Comuni.

Emigrato in Francia, scrisse una Istoria documentata della rivoluzione siciliana e una Storia d’Italia dal 1815 al 1850 . verso la fine del 1856 assieme a Daniele Manin e a Giorgio Pallavicino Trivulzio fondò la Società nazionale italiana, una associazione avente l’obiettivo di orientare l’opinione nazionale verso il Piemonte di Cavour. La Farina ebbe parte attiva alle annessioni del regno sabaudo e favorì la spedizione dei Mille in Sicilia.

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Sepolcro di Giuseppe La Farina, Messina, Cimitero Monumentale. Ph: Giulia Greco

Ritorna in Italia per fondare la Rivista contemporanea e scrive un romanzo storico. Nel 1856, aderisce alla monarchia, divenendo fidato collaboratore di Cavour, la cui politica appoggiò la Società nazionale italiana, precedentemente fondata. Eletto deputato al primo parlamento italiano, nel 1860 fu nominato Consigliere di Stato, successivamente Ministro dell’istruzione, dei lavori pubblici dell’interno e della guerra. Inoltre, fu membro di alcune Logge massoniche di Torino, tra cui: “Ausonia”, “Il Progresso” e “Osiride”. Nello stesso 1860, si recò in Sicilia per affrettarne l’annessione al Piemonte, ma Garibaldi lo espulse clamorosamente. Non riuscì più a ritornare in Sicilia per via dell’ostilità delle fazioni autonomista e repubblicana. Dopo la morte di Cavour, passò all’opposizione. Si spense nel 1863, tumulato a Torino tra le tombe di Vincenzo Gioberti e Gugliemo Pepe, le sue ceneri furono trasferite a Messina nel 1872 per l’inaugurazione del Gran Camposanto per giacere nel Famedio degli uomini illustri.

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Cenotafio del La Farina nel chiostro della Basilica Santa Croce, Firenze

La vita di Giuseppe La Farina, è stata maggiormente vissuta, come si può intuire, in due delle città itliane più illustri; proprio per questo, a Firenze, sul lato nord del chiostro della Basilica di Santa Croce, è presente un monumento a lui dedicato riportante sul fronte la seguente iscrizione:

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Monumento a La Farina, Torino, Piazza Solferino.

«A Giuseppe La Farina – messinese – Amò il vero gli uomini la patria – patì dolori disinganni esili – operò con fede costante alle sorti nuove dell’Italia combattendo col braccio e coll’ingegno – soldato poeta istorico sostegno dell’italica gloria moriva il 5 settembre 1863 di anni 47 – alle vegnenti generazioni esempio imitabile»

A Torino, invece, nella centralissima Piazza Solferino, è stato eretto in suo onore un monumento in marmo bianco che lo effigia nell’atto di leggere un documento. L’iscrizione recita:

«storico illustre antesignano e strenuo propugnatore dell’unità e libertà d’Italia»

Nel 1932, a Messina è stato intitolato in suo onore, il “Liceo Classico La Farina-Basile”.

 

Erika Santoddì

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Dalla scienza alla poesia, dalla storia alla tecnica: Francesco Maurolico, l’uomo del Rinascimento a Messina

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Francesco Maurolico. Incisione di M.Bovis, copia da un perduto ritratto di Polidoro Caldara da Caravaggio.

Quando pensiamo al Rinascimento, a questo periodo storico fertile di idee che proiettò la cultura europea, fra Quattrocento e Cinquecento, ai primi albori della modernità, pensiamo innanzitutto a una sorta di graduale trasformazione culturale, alla nascita di un nuovo modello di cultura e di una nuova concezione del sapere e del sapiente. Semplificando, se il dotto medievale se ne stava ben chiuso tra le mura del suo monastero dedito alla contemplazione di una Verità vissuta come unica e immutabile, il colto intellettuale del Rinascimento si volge verso l’esterno, riscopre l’antichità classica e le sue grandezze, rinnova il suo interesse verso la matematica e le scienze naturali, guarda con occhi nuovi alla volta celeste e al Cosmo, ed inizia anche a conquistarsi un proprio ruolo nelle dinamiche politiche della città in cui vive e a cui appartiene. Anche Messina, che pure viene considerata una sorta di periferia geografica di questo cambio di paradigma culturale (che inizia nel centro Italia, a Firenze, a Roma, per poi espandersi a tutta l’Europa), ha visto l’opera di un personaggio in grado di incarnare quasi per eccellenza questa nuova visione della cultura: Francesco Maurolico.

È a Messina che Maurolico nasce, nel 1494, da una ricca e potente famiglia borghese, forse di origine greca, i Maurolì o Marulí; sarà poi egli stesso a mutare il suo cognome, latinizzandolo (o meglio grecizzandolo) in Maurolycus. Il padre Antonio, funzionario della Zecca e allievo del grande grecista bizantino Costantino Lascaris (alla cui scuola si formò anche il letterato veneziano Pietro Bembo), ne cura per primo una ricca e completa educazione che passa, come di norma per l’epoca, dall’apprendimento delle arti liberali (grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica) oltre che del latino e del greco.

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Prima edizione della Cosmographia di Francesco Maurolico, con la dedica a Bembo. Venezia, 1543.

È però all’ottica che inizialmente il Maurolico si interessa, dopo aver preso nel 1521 gli ordini sacerdotali, componendo due trattati che rimaneggerà a lungo nel corso della sua vita e che verranno pubblicati postumi, nel 1611. Nel frattempo, arrivano le sue prime opere pubblicate, come un trattato di grammatica datato 1528. In quell’anno, Maurolico riceve un mandato pubblico di insegnamento delle discipline matematiche a Messina. Inizia così un periodo importante di produzione scientifica: Maurolico studia infatti, come i suoi contemporanei, la geometria, la matematica e l’astronomia dai testi classici in latino e in greco di periodo ellenistico, come Tolomeo, Euclide e molti altri; di questi stessi testi, però, Maurolico compila compendi e ricostruzioni che non si limitano all’aspetto filologico, ma ne innovano, ampliano e rivisitano i contenuti. È in questi testi che sono contenuti i suoi più ampi contributi al pensiero matematico e scientifico dei suoi tempi: una autentica valanga di documenti, alcuni dei quali (come la monumentale Cosmographia del 1543, dedicata a Bembo) vengono pubblicati a stampa, mentre altri sono pubblicati postumi o restano tutt’ora sotto forma di manoscritto.

Negli anni ’40 del ‘500 Maurolico, ormai famoso e affermato intellettuale, tocca l’apice della sua produzione culturale. I suoi interessi molteplici non si arrestano alle matematiche e all‘astronomia, ma toccano filosofia, storiografia, storia della letteratura, ingegneria, teoria musicale… Il suo sapere non è però qualcosa di astratto e lontano dalla realtà dei suoi tempi, ma viene sempre messo al servizio della comunità, che difatti lo ricompenserà, nel corso della sua vita, con la nomina ad Abate e con lauti vitalizi. Quando nel 1535 Carlo V entra in trionfo a Messina dopo la vittoria di Tunisi, è lui, assieme al pittore Polidoro Caldara da Caravaggio, che cura gli allestimenti temporanei in suo onore; presentato di persona al cospetto dell’Imperatore, viene da lui stesso incaricato di occuparsi delle fortificazioni della città, contribuendo così alla progettazione del Forte Gonzaga; assieme al fiorentino Montorsoli concepisce la struttura delle due più belle fontane rinascimentali di Messina, quella di Orione e quella del Nettuno, e scrive di suo pugno i versi latini che le adornano; è a lui che il Senato si rivolge per scrivere un trattato di storia siciliana che permetta alla città di Messina di competere con la rivale Palermo per il ruolo di Capitale della Sicilia, il Sicanicarum rerum compendium; ed è con lui che si mettono in contatto i Gesuiti di Ignazio di Loyola quando, negli anni ’50, decidono di far nascere a Messina una istituzione di insegnamento che in seguito diventerà il nucleo dell’Università. Persino quando nel 1571 la flotta della Lega Santa è a Messina pronta a salpare verso la battaglia di Lepanto, è proprio all’ormai anziano Maurolico che i comandanti dell’armata cristiana si rivolgono per la realizzazione di carte nautiche…

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Il sepolcro di Francesco Maurolico, opera di Rinaldo Bonanno, situato nella chiesa di San Giovanni di Malta a Messina. Ph: Giulia Greco

 

 

Quando Maurolico muore, nel 1575, lascia ai posteri una produzione letteraria sconfinata. Il suo corpo è sepolto nella chiesa di San Giovanni di Malta, ma il suo sapere attraverserà i secoli: nel 1651 l’astronomo Riccioli gli dedica addirittura un cratere sulla Luna (Maurolycus); a seguito della rivolta antispagnola e dell’intervento francese (1674-1678), molti dei suoi manoscritti affascinano il primo ministro del Re Sole, Colbert, che li vuole nella sua biblioteca personale, e tutt’ora si trovano a Parigi per questo motivo. Un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Università di Pisa sta ad oggi curando la pubblicazione estensiva e digitalizzata delle sue opere: a prova dell’importanza che ha avuto, e continua ad avere, questa grande mente messinese, nella storia del pensiero scientifico e culturale europeo. 

Gianpaolo Basile

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