Kennedy moriva 60 anni fa: uno zoom sul politico

John Fitzgerald Kennedy nasce il 29 maggio del 1917 a Brookline nel Massachusetts. La sua famiglia aveva origini irlandesi; suo padre Joseph Kennedy era il presidente della commissione Borsa e Finanze a Wall Street.

Nel 1937 John Kennedy si laurea ad Harvard e durante la Seconda Guerra Mondiale partecipa come volontario in Marina. Congedato con onore, decise di intraprendere la carriera politica in parte anche per compensare il vuoto lasciato dal popolare fratello Joseph Jr., deceduto in guerra. Si confronta con il candidato repubblicano Richard Nixon nel primo dibattito presidenziale trasmesso alla televisione.

Qui Kennedy trasmise al pubblico un’immagine sicura e composta a differenza del suo rivale. Nel novembre del 1960  il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America divenne proprio Kennedy. E’ stato il primo Presidente ad essere nato nel XX secolo ed il più giovane a morire mentre era in carica.

“Non chiedete cosa il vostro Paese può fare per voi; chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese”.

Vita privata di Kennedy

Il 12 settembre 1953 John Kennedy sposa Jacqueline Bouvier detta Jackie:  con lei ha avuto ben quattro figli. Le morti premature dei suoi figli, gli omicidi dello stesso John (assassinato nel 1963) e del fratello Robert (assassinato nel 1968), oltre alla lobotomia per un ritardo mentale alla sorella Rosemary (che la danneggiò a livello sia fisico che mentale) hanno diffuso la credenza della maledizione dei Kennedy.

Kennedy
Kennedy con la moglie. Fonte: Toda Matéria

Sono state molte le amanti di John negli anni, tra queste anche personaggi di spicco di Hollywood come l’attrice Marilyn Monroe (Blonde): le note di Happy Birthday Mr. President” sembrano risuonare ancora oggi tra le mura del Madison Square Garden di New York. La performance, avvenuta dieci giorni prima dell’effettivo compleanno di Kennedy, è ancora oggi ricordata. Marilyn Monroe indossava il suo famoso abito color carne, impreziosito da una cascata di duemilacinquecento perline luccicanti cucite a mano. A cause delle voci in merito alla liason amorosa tra Marilyn Monroe e il presidente, i servizi segreti si erano occupati di distruggere tutte le prove di quell’incontro.

Politica interna e riforme sociali

John ha promosso leggi a favore dell’istruzione e contro la discriminazione razziale nei luoghi pubblici e nelle scuole. Con la sua ‘’Nuova Frontiera’’ infatti, Kennedy sostenne l’integrazione razziale e i diritti civili. Chiamò inoltre a sé durante la campagna elettorale del 1960 la moglie dell’imprigionato reverendo Martin Luther King, guadagnandosi il consenso della popolazione nera alla sua candidatura.

Kennedy fece  pressione affinché gli Stati Uniti guidassero l’esplorazione dello spazio. Chiese al Congresso di finanziare il Programma Apollo per oltre 22 miliardi di dollari, con lo scopo di portare un uomo statunitense sulla Luna entro la fine del decennio.

“nessuna nazione che aspiri a essere alla guida delle altre può attendersi di rimanere indietro nella corsa per lo spazio, abbiamo scelto di andare sulla Luna e di fare altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili”.

Politica estera: i rapporti con l’Unione Sovietica

John Kennedy, in piena Guerra Fredda, si disse favorevole al disarmo nucleare e una politica distensiva nei confronti del blocco sovietico. Kennedy considerava Berlino parte della Germania Federale, mentre i tedeschi la volevano libera. La costruzione del Muro di Berlino fu allora la risposta che rendeva impossibili le fughe.

Il confronto più drammatico tra le due potenze ebbe luogo a Cuba: Kennedy cercò subito di soffocare il regime di Fidel Castro. Lo sbarco alla Baia dei Porci (Bahìa de Cochinos), l’avventuroso tentativo di invasione effettuato il 17 aprile 1961 si risolse in un insuccesso completo. Il giorno seguente gli assalitori si resero conto della situazione insostenibile e fu ordinato il ritiro.

La celebre frase «Ich bin ein Berliner», pronunciata il 26 giugno 1963 a Berlino Ovest dal Presidente Kennedy, aveva l’intento di comunicare alla città di Berlino e alla Germania stessa, seppur entrambe divise, una sorta di vicinanza e amicizia degli Stati Uniti.

Kennedy
Kennedy in auto. Fonte: National Geographic

22/11/63: l’assassinio

Il 22 novembre 1963 Kennedy fu ucciso a Dallas in un attentato il cui colpevole non fu mai realmente identificato. Kennedy si trovava in visita ufficiale nel Texas. Mentre il Presidente e sua moglie Jacqueline salutavano la folla, diversi colpi di arma da fuoco furono esplosi da un fucile in direzione della vettura: uno di essi colpì JFK alla testa. Responsabile dell’assassinio venne ritenuto Lee Harvey Oswald, un impiegato. Dopo la morte di Kennedy, venne immediatamente eletto nuovo presidente Lyndon Johnson.

John Kennedy non è stato soltanto un personaggio storico e un uomo di potere, ma è entrato nell’immaginario collettivo, insieme alla sua famiglia, come un vero e proprio mito. Oggi ricorrono i 60 anni dal suo assassinio: i proiettili che quel giorno lo assassinarono colpirono al cuore la sua nazione e sconvolsero anche tutto il mondo intero.

Kennedy nella cultura contemporanea

Il mistero dell’assassinio del presidente Kennedy affascina ancora il grande pubblico. Questo è uno dei motivi per cui sono presenti così tanti esempi di adattamento cinematografico o letterario a questo singolo avvenimento. Si pensi già solamente al noto romanzo di Stephen King 22/11/63: il libro, portato anche sul grande schermo con una serie adattamento con James Franco e George McKay (1917), racconta il viaggio nel tempo di Jake per evitare l’uccisione del presidente.

La morte di Kennedy viene analizzata nel cinema da vari punti di vista: il dramma Jackie con Natalie Portman nel ruolo di Jacqueline Kennedy ne è un esempio. Il film, diretto dal regista Pablo Larrain (Spencer), analizza l’avvenimento con un focus sulla first lady.

Sarebbero moltissimi gli altri esempi da ricordare. Qui ci limiteremo a sottolineare come questo evento abbia colpito nel profondo la comunità mondiale e come ancora oggi la morte di un grande presidente come Kennedy venga ricordata in tutto il mondo.

 

Carmen Nicolino

Lucio Piccolo, il poeta dell’ancestrale

 Nel vasto panorama letterario italiano, sono tantissime le figure di letterati che sfuggono al canone o che, per considerazione della critica, rientrano nella definizione di “poeti minori”

Tra questi, troviamo Lucio Piccolo, poeta, esoterista e musicologo italiano.  

Biografia

Lucio Piccolo nacque il 27 ottobre 1901 a Palermo, ultimo dei tre figli del barone Giuseppe Piccolo di Calanovella e della duchessa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò (di antica discendenza principesca, risalente ai Normanni), imparentati con l’alta nobiltà siciliana

Il poeta trascorse la sua giovinezza a Palermo, dove frequentò il liceo classico, dimostrando una grande curiosità e una straordinaria capacità di apprendimento. In seguito, non andrà all’università, approfondendo da autodidatta le conoscenze linguistiche, di musica, poesia, filosofia ed esoterismo, insieme ai fratelli Casimiro e Giovanna.

«Pertugi, sgabuzzini, ambienti / nascosti tra le quinte / dove monomania / di specchi in ombra / accolse i sedimenti / d’epoche smorte, di fasi sbiadite / che il riflusso dei giorni in un torpore / lasciò fuori del sole»

(“Gioco a nascondere”, in Gioco a nascondere, Canti barocchi e altre liriche, Mondadori, Milano, 1960).

 

Due eventi inaspettati, quale la morte del padre avvenuta nel 1928 e la grave crisi economica del ’29, scombussolarono la famiglia Piccolo, che fu costretta a vendere la villa a Palermo per trasferirsi a Capo d’Orlando, in una villa di campagna (che attualmente ospita la casa-museo di Villa Piccolo). 

«Il palazzo di Capo d’Orlando più che una casa sembrava una favola campata in aria. Onde marine, nubi, folate di vento, gabbiani, corvi, gatti neri, spiriti, anime di crociati, anime in pena e santi vagabondi stanchi di paradosi dividevano con il nostro poeta quella solitudine dorata»

(Gonzalo Alvarez Garcia, Le zie di Leonardo, Scheiwiller, Milano, 1985).

 

Lucio Piccolo e Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Importante per la crescita culturale del giovane Lucio, fu il rapporto con il cugino primo di parte materna e futuro fortunato autore de Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Tra i due vi sarà un sodalizio che durerà tutta la vita. Sulla natura del loro rapporto, basta leggere le parole rilasciate dallo stesso Lucio Piccolo nell’intervista a Ronsisvalle:

«C’era fra di noi una sorta di gara, a chi fosse più abile scopritore di interessanti novità. Ricordo che fu così a proposito del grande poeta Yeats, il grande poeta d’Irlanda che fui io il primo a leggerlo prima ancora di Lampedusa […] E così ci siamo accaparrati tutta la letteratura contemporanea europea, tedesca, francese. Ricordo anzi che fu proprio Lampedusa a introdurre a Palermo, nella Palermo colta, Rilke […] Poi passarono Joyce, Proust. Di Proust mi ricordo che una volta mi disse “Sai, c’è uno scrittore francese il quale per fare due passi da lì a qui ci impiega dieci pagine”. La prima immagine che io ho avuto di Proust è stata questa».

Lucio Piccolo e Giuseppe Tomasi di Lampedusa su una panca nella stradella di accesso a Villa Piccolo, Capo d’Orlando. Fonte: wikimedia.org

La consacrazione letteraria

Nel 1954, Lucio Piccolo, alla soglia dei 53 anni, pubblica una silloge di 9 liriche che invia ad Eugenio Montale, il quale rimane colpito dalla perfezione stilistica dei versi, al punto da presentare Piccolo nel prestigioso convegno letterario di San Pellegrino Terme

Al convegno, accompagnato dal cugino principe Lampedusa, Lucio diventa centro dell’attenzione di tutti, passando da sconosciuto barone siciliano a famoso poeta consacrato da Montale e dagli altri “marescialli di Francia”, così definiti da Tomasi.  

«Quella coppia stranissima di titolati siciliani, goffi e un po’ traballanti, suscitò immediatamente la curiosità di ognuno: quasi un’apparizione carnevalesca di piena estate, un intermezzo in costume con due personaggi di fine secolo in cerca di autore».

 

Il Piccolo, ottenuto il successo della critica, pubblica nel 1956 i Canti Barocchi, editi da Mondadori; successivamente, nel 1960, Gioco a Nascondere. In seguito pubblicherà altre due raccolte, Plumelia (1966) e l’opera in prosa poetica Le Esequie della Luna

Lucio Piccolo muore improvvisamente il 26 maggio 1969, lasciando diverse opere inedite, tra cui una composizione musicale del Magnificat, d’ispirazione wagneriana, ancora oggi inedita. 

 

Lucio Piccolo
Lucio Piccolo a Villa Piccolo. Fonte: fondazionepiccolo.it

La poetica

Nella poetica di Piccolo s’intrecciano cristianità, paganesimo e religioni orientali, al punto da creare il contatto con un’altra realtà.  Nella stesura dei versi che riempivano il bianco delle pagine, avveniva un trasferimento ancestrale, si passava da una percezione del reale al mondo surreale, solamente attraverso l’unicità di quell’atto creativo attuato da Lucio. 

«Scrivevo versi come altri passeggia o sta alla finestra: era un fatto naturale».

Nelle liriche di Lucio Piccolo, caratteristiche sono la musicalità, il fine gioco letterario delle assonanze e delle dissonanze, oltre il frequente uso degli interrogativi che l’uomo si pone. Come, ad esempio, le domande poste davanti alle ombre fisiche e concrete, ricavate dal gioco di luci, così come quelle ombre provenienti dall’ignoto, espletate in Gioco a nascondere: 

«Hai visto come al varcare la soglia / il lume ch’era nella mano manca / mentre l’altra fa schermo, ha dato uno svampo / leggero dal vetro s’è spento. / Tardo il passo né fu colpo di vento, / forse ha soffiato qualcuno, un volto / subito svaporato nell’aria? […] Ma non c’è nessuno / e sai che non bisogna tentare / il buio: rimemora, ha nostalgie, imprevisti, / l’ombra e le ombre, meglio pregare / a quest’ora, quel che gioco / sembra di giorno fa vero / di notte la notte che sogna – […] I morti / non hanno cifre per i nostri tesori, / singulti hanno in noi, / veglie / di fiamme basse, aneliti, / d’angoscia verso un nodo di vita / incompreso, e a volte una sera / che scende dall’alto a candori infiniti»

Questo esempio, esplicita i poli cardine dell’indagine metafisica di Lucio Piccolo, racchiusa nei suoi versi: da una parte l’esteriorità attraverso la natura ammaliatrice e seduttrice, dall’altra l’interiorità, la coscienza che si materializza attraverso i richiami simbolici. 

 

«Ci sono uomini che in determinate epoche arrivano alla perfezione, sciogliendosi dall’ambiente in cui vivono e dalle cose del loro tempo, assumendo coscienza della fine e salvandosene nel distacco, nella superiorità, nell’autosufficienza. E in questo senso, Piccolo partecipa di una tale perfezione, nella sua vita come nella sua poesia»

(Leonardo Sciascia, “Le soledades di Lucio Piccolo”in La corda pazza, Einaudi, Torino, 1976).

 

Gaetano Aspa

Fonti:

www.fondazionepiccolo.it 

http://www.flaneri.com/2013/01/12/lucio_piccolo_poeta_tra_le_ombre/

 

5 canzoni di maggior successo per i 50 anni di Eminem

Oggi compie gli anni un gigante del rap americano, ossia Eminem (al secolo Marshall Bruce Mathers III). Conosciuto anche dietro lo pseudonimo di Slim Shady, nasce a Detroit il 17 ottobre del 1972.

Nel corso della sua vita ha collezionato una serie di riconoscimenti, uno fra questi il premio Global Icon in occasione degli MTV Europe Music Awards nel 2013. In parallelo alla sua attività come rapper, Eminem si è affermato anche come produttore di album hip hop, producendo artisti attraverso la propria etichetta discografica, la Shady Records, fondata con il suo manager Paul Rosenberg. Ripercorriamo la sua carriera attraverso cinque sue canzoni che più hanno segnato il panorama musicale!

1) Lose Yourself (2002)

Non si può non cominciare da quella che è considerata a tutti gli effetti, la canzone più iconica della carriera di Shady. Estratta come singolo da Music from and Inspired by the Motion Picture 8 Mile, è stata la colonna sonora del film 8 Mile, basato sulla sua vita personale. Per 12 settimane rimase al primo posto nella classifica singoli di Billboard ed è stato anche al primo posto di varie classifiche mondiali.

Il testo è chiaramente la rappresentazione del personaggio che incarna il rapper, Jimmy “Rabbit” Smith Jr.

Nella prima strofa viene riassunta per buona parte la trama del film, mentre nelle altre due vengono descritti avvenimenti non presenti poiché probabilmente è ciò che accade nella vita di Rabbit/ Eminem dopo la storia raccontata in 8 Mile.

La canzone è un incoraggiamento a non abbattersi di fronte alle difficoltà della vita, continuando a perseguire i propri sogni anche quando ci sembrano impossibili da realizzare.

2) My Name Is (1999)

“Hi kids! Do you like violence?”

Altro singolo iconico, probabilmente il più dirompente nella carriera del rapper di Detroit, contenuto nell’album The Slim Shady LP che arrivò a vendere oltre 18 milioni di copie in tutto il mondo. Nel brano, Eminem si presenta con la maschera del suo alter ego Slim Shady, sputando in rima un insieme di frasi politicamente scorrette e oscenità, tratto essenziale del personaggio che ha costruito nel tempo, elemento ricorrente tra l’altro nei primi dischi della sua carriera.

A causa del carattere fortemente esplicito dei testi originari, la versione ufficiale del brano ha subito forti rimaneggiamenti. Il brano ha permesso al rapper di ottenere il il primo Grammy Awards nel 2000, vincendo nella categoria di Best Rap Solo Performance.

3) Stan (2000)

Uno dei brani più interessanti e al tempo stesso controversi, Stan è estratto dall’album The Marshall Mathers LP in cui il rapper, attraverso l’occhio di un fan accanito (di nome Stan appunto), riflette sull’attaccamento morboso di quest’ultimo nei suoi confronti. La canzone vanta la collaborazione della cantante Dido, che fornisce un valore aggiunto. Inoltre, la base in sottofondo è tratta da un campionamento di una canzone della stessa Dido, ossia Thank You.

Lo storytelling di Stan rappresenta ciò che accade spesso a moltissimi fan di un qualsiasi artista che – prima della fama -abbia vissuto situazioni di difficoltà simili a quelle dei suoi seguaci. I fan rimangono talmente ossessionati da tale figura poiché lo vedono come una sorta di punto di riferimento, che li porta a cercare di somigliare al proprio idolo il più possibile, toccando purtroppo il limite del patologico.

Grandiosa anche l’interpretazione di Eminem, che rappa con una voce più “giovanile” e nasale le strofe di Stan, mentre l’ultima strofa (in cui interpreta se stesso) è eseguita in maniera più naturale.

4) Not Afraid (2010)

Certamente Eminem lo ricordiamo per le controversie scatenate da molte sue canzoni (Kim, Without Me, Kill You, White America e molte altre), ma nel corso della propria carriera il rapper si è evoluto verso forme più introspettive e moderate rispetto agli esordi. Not Afraid, contenuta nell’album Recovery, rappresenta una vera e propria presa di posizione rivolta all’affrontare con coraggio questioni delicate, tra cui la terapia per contrastare la tossicodipendenza, di cui Shady era vittima.

Tra i propositi che più si evincono, vi è la promessa di rimanere fedele alla sua professione musicale perché – come lo dice lo stesso rapper – è “sposato con il gioco”. Egli esprime questo sentimento non solo in termini di continuare a fare musica in generale, ma anche canzoni che siano un autentico riflesso di chi è come individuo.

Tutto ciò lo vediamo nel video musicale, dove predominano momenti in cui l’artista cerca di fuggire dal suo passato e sul finale, finalmente, la rivalsa espressa attraverso un frame in cui il rapper guarda tutta la città dall’alto, vittorioso.

5) Rap God (2013)

 “Why be a king when you can be a God?”

Concludiamo questa disamina con Rap God, tratto da The Marshall Mathers LP2. Forse è la canzone in cui il rapper dà pieno sfogo della sua tecnica eseguendo barre intrise di punchline, rime e una serie di parole concatenate tra loro. Infatti, il brano è entrato nel Guinness dei primati con il maggior numero di parole pronunciate, ovvero 1.560  in 6 minuti e 4 secondi, con una media di 4,28 parole al secondo. Vanta anche un extrabeat in cui Eminem rappa 97 parole in 15 secondi.  
Insomma, tra successi e controversie, non potevamo che concludere con questa canzone per celebrare tutto il mostruoso talento del rapper più iconico degli anni 2000. Buon compleanno, Rap God!
Federico Ferrara

Marcello come here!

“Marcello è un magnifico attore. Ma è soprattutto un uomo di una bontà incantevole, di una generosità spaventosa. Troppo leale per l’ambiente in cui vive. Gli manca la corazza, certi pescicagnacci che conosco io, sono pronti a mandarselo giù in un boccone”. (Federico Fellini)

Perché parlare proprio oggi di Marcello Mastroianni? Non è il suo compleanno, ma semplicemente i miti non muoiono mai, dopo anni il loro nome ancora riecheggia, perché Marcello era un attore vero, non costruito. Con i suoi film torniamo indietro nel tempo, a quell’Italia in bianco e nero dove vedevi una coppia di innamorati, trasportati dalle due ruote di una vespa che sfrecciava nei vicoli e nelle strade del bel paese.

Marcello e le maschere

Marcello viene considerato come uno tra i maggiori artisti di sempre. Non solo in Italia, ma anche all’estero molti registi lo volevano con sé. Nella maggior parte dei film a cui ha preso parte, ha sempre ricoperto ruoli da protagonista, ha lavorato con cineasti i cui i nomi sono leggenda, tra cui il mitico Federico Fellini. Ha recitato con la bellissima Sophia Loren, Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Ugo Tognazzi. Attore molto versatile, ha indossato mille volti, dai ruoli drammatici fino ad arrivare a quelli comici.

Per tre volte è stato candidato all’Oscar, senza mai portarsi a casa l’ambita statuetta, ma in compenso ha vinto numerosi premi: due Golden Globe, otto Nastri D’argento ( di cui uno postumo), due Premi BAFTA, otto David di Donatello, cinque Globi d’oro e un Ciak d’oro. Nel 1990 ha vinto il Leone D’oro alla Carriera. Insomma il suo talento è stato riconosciuto, (anche se il genio non viene consacrato da un premio ma da ciò che un artista lascia ai posteri e Marcello ha trionfato in pieno).

Marcello Mastroianni in una scena de “La Dolce Vita”. Fonte: Cineriz

Marcello comincia a incamminarsi verso il mondo del cinema dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando inizia a prendere lezioni di recitazione e nel 1948 fa il suo debutto nel film I Miserabili tratto dal romanzo di Victorio Hugo, diretto da Riccardo Freda. Pian piano comincia a interpretare piccoli ruoli teatrali in compagnie di dilettanti, facendosi notare da Luchino Visconti, che gli offre il primo ruolo importante in “Rosalinda o Come vi piace”. Da lì in poi l’ascesa del nostro protagonista non conoscerà mai la parola fine.

Sono tanti e sono troppi i film di Marcello memorabili: oggi avrei voluto parlare di almeno due pellicole che sono entrate nel mio cuore, due opere che racchiudono non dialoghi, ma vere e proprie poesie, ma ci vorrebbe un articolo a parte …

La Dolce Vita (1960)

“Vorrei vivere in una città nuova, e non incontrare più nessuno”

Piccolo tesoro del cinema mondiale, La Dolce Vita è un film diretto e scritto da Federico Fellini e considerato uno dei suoi più grandi capolavori. Ha ottenuto quattro candidature agli Oscar vincendone una, nonché la Palma d’oro al 13º Festival di Cannes. Il titolo del film rappresenta il periodo storico di fine anni ’50 e inizio ’60 e racchiude tutte quelle vite mondane sbocciate in quell’era, tra champagne e hotel lussuosi.

In quelle stanze scintillanti troviamo Marcello Rubini (Marcello Mastroianni) giornalista di cronaca mondana, il cui sogno però è quello di diventare un romanziere, stanco di quella vita costruita in cui l’immagine viene prima di ogni cosa.

“A me invece Roma piace moltissimo: è una specie di giungla, tiepida, tranquilla, dove ci si può nascondere bene.”

 

Marcello Mastroianni in “La Dolce Vita”. Fonte: Cineriz

Il nostro protagonista non è così, è un artista, quindi una persona che vede il mondo con occhi diversi. Il suo lavoro l’ha portato a vivere quella vita di eccessi che tanto detesta.

Marcello Rubini è fidanzato e convive con Emma (Yvonne Furneaux), ma la sua natura da “don Giovanni” lo fa passare da una donna all’altra, poi c’è Maddalena (Anouk Aimée), una donna che ama, ma con cui vuole solo un rapporto carnale. Con l’arrivo della bellissima Sylvia (Anita Ekberg), una celebre attrice americana, il nostro giornalista comincerà a provare emozioni nuove.

“Sylvia ma chi sei?”

Lei sembra la salvezza per il nostro Marcello. Quella scena che tanto amiamo della Fontana di Trevi, nient’altro rappresenta che l’illusione di una cambiamento per il protagonista che ormai odia quella vita mondana che Fellini ha messo in scena. Con Sylvia vorrebbe una storia d’amore ma non ci riesce, non si impegnerà nemmeno con Emma e Maddalena, illudendole e trattandole come meri oggetti, come gli ha insegnato la vita da “giornalista mondano”.

“Marcello, come here, hurry up”

Il declino dell’uomo contemporaneo ne La Dolce Vita

Come ci insegna Fellini, la dolce vita non può essere eterna, e quel vuoto che attanaglia Marcello rimarrà ancorato ad esso, nei suoi occhi spenti che vediamo alla fine del film. Lo spettatore quasi si arrabbia con Marcello, perché è un uomo che non si impegna e si abbandona a quella vita che dolce non è, arrendendosi a quell’esistenza che disprezza tanto, ma che, allo stesso tempo, non riesce a lasciare: una realtà fatta di donne, tradimenti e materialismo. Fellini, in tre ore di film, riesce a mostrare la decadenza dell’essere umano contemporaneo che tutto ha, ma per inerzia non fa niente per cambiare e migliorare la realtà.

Marcello (Marcello Mastroianni) e Sylvia (Anita Ekberg) nella celebre scena della fontana. Fonte: Cineriz

Che cos’è il Cinema se non l’arte di raffigurare il vero? Cos’è la recitazione se non il modo di mettere a nudo le emozioni umane? Chi sei tu Marcello? Che hai reso grande il nostro paese con il talento e la bontà, che abbiamo visto nei tuoi lavori? E dimmi, Marcello, ti sei mai rivisto in qualche tuo personaggio, ti sei mai rispecchiato in Guido Anselmi o in Domenico Soriano? Te ne sei andato via troppo presto, a soli 72 anni, ma purtroppo – si sa – non tutte le leggende vivono fino ai 100 anni.

“Marcello ritorna da noi!” Il cinema non è più lo stesso senza di te, il perfetto gentleman che ha rubato il cuore di milioni di italiane e che il talento ha consacrato come uno dei migliori attori che la cinepresa abbia mai inquadrato.

Alessia Orsa

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Con gli stessi Brividi di Mahmood e Blanco

Arrivavano al Festival di Sanremo da favoriti, ma nessuno si aspettava un risultato così unanime e plebiscitario. L’affetto li ha travolti, sin dal primo giorno: un’ondata di amore per i due vincitori di quest’edizione del Festival di Sanremo, Mahmood e Blanco. Il duo che non ti aspettavi ha funzionato sin dal primo momento. Per Alessandro Mahmud si tratta di una riconferma dopo la vittoria con “Soldi” nel 2019; Riccardo Fabbriconi (vero nome di Blanco), invece, è il più giovane cantante maschio di sempre a vincere il Festival, a soli 18 anni.

La loro Brividi è balzata da subito ai primi posti di tutte le classifiche, sbancando anche per quanto riguarda gli ascolti in streaming, segnando il record italiano assoluto di ascolti nelle prime 24 ore su Spotify ed entrando nella top 10 mondiale. Una canzone che potremmo definire “trasversale”,  in grado di conquistare la Generazione Z, ma anche un pubblico più adulto, restio – molto spesso – ad aprirsi a questo genere musicale che –  erroneamente – viene liquidato come “solo autotune”.

Entrambi hanno invece dimostrato di saper usare le proprie voci con delicatezza e passione, dando voce ad un’idea di amore universale, un amore che non ha bisogno di etichette, un amore che vuole essere libero dagli schemi imposti dalla società.

Mahmood e Blanco, i nuovi vincitori di Sanremo. Fonte: t_info.it

Parole a nudo

“La tua paura cos’è?
Un mare dove non tocchi mai”

Insicurezza, paura di non farcela, un corollario di dolore che spezza in due quella fase dell’innamoramento considerata prematuramente eterna. Il brano arriva subito al punto: non esistono segreti quando si tratta di chi apre il cuore e scrive di getto. Mahmood questo lo rende subito evidente con la sua penna, in un testo struggente che sussurra un grande terremoto interiore, quello che Blanco poi decide di raccontare sdraiato sui mille coriandoli dell’Ariston, quasi come se il dolore lo lasciasse disteso lì di fronte a milioni di persone.

“Nudo con i brividi”

Poi, l’impossibilità di parlare, perché i sentimenti grandi a volte non si sanno raccontare e non si trovano mai le parole. La sfacciata voglia di regalare l’intero mondo coperto di perle e diamanti solo a quella persona, nonostante la continua e imperterrita insicurezza di sapersi tremendamente ai bordi, con la paura di non essere visti dall’altro con gli stessi occhi.

“A volte non so esprimermi
E ti vorrei amare, ma sbaglio sempre
E ti vorrei rubare un cielo di perle”

I due vincitori di Sanremo, Fonte: tuttogossipnews.it

Seguono parole, come se fossero le descrizioni di immagini perfette di un ricordo o forse di qualcosa che sta per sfumarsi.

“Tu, che mi svegli il mattino
Tu, che sporchi il letto di vino
Tu, che mi mordi la pelle
Con i tuoi occhi da vipera
E tu, sei il contrario di un angelo
E tu, sei come un pugile all’angolo
E tu scappi da qui, mi lasci così.”

Due voci e un panorama idilliaco

Spesso succede che a causa dell’immaturità una relazione tentenni o non riesca più a camminare e rimaniamo in ginocchio a guardare tutto ciò che si è costruito annichilirsi e crollare.

Nonostante il testo di Brividi nasca da un sogno “su una bici di diamanti”, sembra quasi che a pochi centimetri di inchiostro, diventi subito qualcosa di più grande e complesso: una sorta di elogio all’amore libero. Un sentimento contrastante mette da parte ogni cosa e diventa protagonista: la sensazione di voler regalare il mondo ma portandosi dietro un bagaglio di insicurezze.

“Vivo dentro una prigione
Provo a restarti vicino
Ma scusa se poi mando tutto a puttane”

Un chiaro esempio di come nonostante sia finita tragicamente questa storia d’amore, si abbia comunque ancora la forza di confessare le proprie colpe come se fosse una remissione dei peccati. Brividi si trasforma così in una poesia, in qualcosa di più candido che riesce ad adattarsi bene ad un’esperienza vissuta da ognuno di noi.

Alcune cose non si possono spiegare a parole, è vero, ma la musica ci è di grande aiuto.
Per questo, grazie Mahmood e grazie Blanco. Ci avete regalato un pezzo di storia di cui tutti avevamo bisogno.

Annina Monteleone

Chiara Gambuzza

 

 

NextGenerationMe: gli artisti di “Apollo&Arte”

In occasione della mostra temporanea “Apollo&Arte, che ridona vita alla via San Filippo Bianchi, torna la rubricaNextGenerationMe”. 

I protagonisti di oggi sono i giovani messinesi che hanno esposto le loro opere, ai quali abbiamo chiesto di raccontarci la storia del loro rapporto con l’arte e delle loro esposizioni.

Anna Viscuso

Classe ’99, ha iniziato ad avvicinarsi all’arte all’età di 15 anni grazie ad una professoressa del suo liceo linguistico. 

La cosa che ho imparato in questi anni è come qualsiasi forma d’arte non si limiti alla tecnica, anzi come inglobi totalmente la personalità di chi si avvicina”. Così Anna ci parla del suo vivere l’arte.

Il suo dipinto, dal titolo “E ti senti un po’ un fallito se ripensi alla tua età e cammini per la strada e provi a perderti”, riprende nel titolo una citazione di Cosmo, noto cantante pop italiano che riflette lo stato d’animo di quel Pierrot: “un po’ malinconico per non essersi riuscito a vivere a pieno i suoi vent’anni.”

©Cristina Geraci  – “E ti senti un po’ un fallito se ripensi alla tua età e cammini per la strada e provi a perderti” di Anna Viscuso, Messina 2021

Sofia Bernava 

Classe ’98, disegna fin da bambina, ma con l’inizio del liceo ha iniziato a volersi specializzare nei ritratti e da qui è “cominciata la ricerca di uno stile sempre più personale, ricerca infinita perché non si smette mai di evolversi insieme alla propria arte”. 

Il dipinto, già stato esposto in altri allestimenti, è un mix perfetto di molte forme d’arte ed è per questo che Sofia ha deciso di renderlo parte di questo progetto: “non desidero che chi lo guardi provi una determinata sensazione; il mio scopo è spingere l’osservatore a sentire qualcosa, qualsiasi sentimento esso sia.”

©Cristina Geraci  – “La poesia rende sempre giovani” di Sofia Bernava, Messina 2021

Lucia Foti

Classe ’92, l’arte è sempre stata la sua “seconda vita”, grazie al nonno che l’ha iniziata a questo mondo e a quello dei tarocchi, mondo dal quale proviene la sua opera . “La mia sensibilità all’arte non si riduce solo al disegno: ho avuto vari amori tra cui la street art e la fotografia perché a mio parere la sensibilità all’immagine è unica, se si è sensibili al disegno lo si è anche alla fotografia. Poi alla fine le mie radici mi hanno riportata a disegnare e a ottenere molte soddisfazioni”.

Ha scelto di esporre il suo disegno dell’arcano XXI, il mondo“, in cui una dea sorregge tutte le energie del mondo, “per esprimere il compimento del ciclo della vita, si impara una lezione e quindi si può  ricominciare da capo con la carta del matto.

©Cristina Geraci – “Arcano XXI, il Mondo” di Lucia Foti, Messina 2021

Grazia d’Arrigo

Classe ’86, ci dimostra come una passione può nascere per caso. Da poco tempo ha iniziato a “scarabocchiare per sfogare le sue emozioni” come piace dire a lei, nonostante fosse sempre stata affascinata dall’arte in generale. Il suo dipinto nasce durante i due mesi in cui è stata positiva al Covid-19: “l’isolamento mi ha provocato la necessità di un qualcosa di cui non ho mai sentito la mancanza, ho sognato un contatto con persone che non fossero i miei familiari. Ho deciso di rappresentare con questo bacio astratto ciò che prima ci teneva in vita e che adesso può addirittura metterla in pericolo.

©Cristina Geraci –”Tenuta astratta” di Grazia d’Arrigo, Messina 2021

Ylenia Bottari

Classe ’94, la sua sensibilità all’arte è sfociata in una “sensibilità a ciò che visivamente mi colpisce”. La fotografia esposta è stata scattata al teatro greco di Siracusa: “ho deciso di scattare questa fotografia e in generale tutte le altre perché sentivo il bisogno di immortalare quel momento, quel sentimento che provava chi ho fotografato”.

©Cristina Geraci – “Compianto” di Ylenia Bottari, Messina 2021

Daniele Commito

Classe ’96, ha iniziato a disegnare per “uscire fuori dagli schemi imposti dalla routine”. Non ama spiegare i suoi quadri: “perché posso manifestare al pubblico ciò che ho provato io nel realizzarlo, ma chiunque può avere una reazione diversa e sono contento sia così”. 

Il disegno che ha esposto “è nato dal bisogno di raffigurare la sensazione che ha il genere umano di limitare le sue emozioni contrapposta all’istintività del mondo animale, mondo dal quale dovremmo imparare la spontaneità”.

©Cristina Geraci – “Vorremmo essere animali”  di Daniele Commito, Messina 2021

Alessia Borgia

Classe ’86, ha sempre scattato fotografie, ma “molto inconsapevolmente”. 

“È diventata una passione nel momento in cui ho capito che mi piace osservare le persone e provare a capire quali siano le loro emozioni in quel momento.”

La foto esposta è stata scattata durante l’erasmus in Spagna: “vedevo questa bambina agitarsi continuamente, ma a colpirmi è stato il momento in cui si è calmata. Aveva un espressione che non riuscivo a decifrare e quindi ho deciso di fotografarla”.

©Cristina Geraci – “Sakura” di Alessia Borgia, Messina 2021

 

Sofia Ruello

 

Immagine in evidenza:

©Cristina Geraci – Gli artisti di “Apollo&Arte”, Messina 2021

Gaetano Martino: un messinese che sembriamo aver dimenticato

“L’Italia appartiene a due differenti sistemi storico-politici. Essa è insieme continentale e mediterranea. […] Tra i vantaggi c’è quello di poter collegare le parti diverse e distinte dell’Europa. […] In particolare, noi possiamo congiungere, mediare, collegare i problemi del Mediterraneo.”

Con queste parole lo statista Gaetano Martino descriveva l’immagine geopolitica del suo Paese, che servì per buona parte della sua vita, ora come studioso, ora come Ministro, ora come visionario. Siciliano, nato a Santo Stefano di Briga (ME) il 25 novembre 1900, visse gli anni di grande cambiamento dell’Italia e del mondo, essendone vero e proprio attore. Medico – laureatosi alla Sapienza di Roma – dimostrò fin da subito due grandi amori: uno per la scienza e l’accademia universitaria (fu Rettore prima a Messina e poi alla Sapienza di Roma), l’altro per la politica, in particolare la politica estera.

Salvatore Nucera © – Statua di Gaetano Martino, situata nei pressi di Piazza Unione Europea

Ma cosa rese grande questa persona?  E – soprattutto – in che modo il suo ricordo può essere da esempio nei burrascosi tempi odierni?

Ripercorriamo insieme la sua storia, durante la quale riuscì non solo a portare Messina nel mondo, ma anche il mondo a Messina.

1° Giugno 1955, I ministri degli esteri riuniti a Messina; nell’ordine (da sinistra verso destra): Johan Beijen (Paesi Bassi), Gaetano Martino (Italia), Joseph Bech (Lussemburgo), Antoine Pinay (Francia), Walter Hallstein (Danimarca), Paul-Henry Spaak (Belgio).

È proprio con questo spirito che egli è ricordato come fautore della “Conferenza di Messina”, evento – tenutosi tra l’1 ed il 3 Giugno 1955 – rievocato come occasione di “rilancioper l’Europa. In quegli anni il progetto europeo stava capitolando rovinosamente, vista la mancata creazione della Comunità europea di Difesa per il voto contrario della Francia. Da qui, gli Stati del Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi avvertirono la necessità di convocare d’urgenza una conferenza per gettare le basi di una più fattibile integrazione economica. L’evento si tenne a Messina poiché Martino – allora Ministro degli Esteri – si trovava in Sicilia per partecipare all’appuntamento delle elezioni regionali (tenutesi il 5 giugno 1955).

Joseph Bech filma sotto lo sguardo divertito dei colleghi Paul-Henry Spaak e Johan Beijen durante il loro soggiorno a Messina

Senza dilungarci troppo sui tecnicismi della conferenza, basti qui ricordare due cose: la prima è che è grazie a quell’evento si si approdò ai Trattati di Roma del 1957 (con cui si fondarono la CEE e l’EURATOM); la seconda – che forse non tutti sanno – è che gran parte delle trattative non si svolsero a Palazzo Zanca, bensì sui gradini del Teatro greco di Taormina!

Questo è quanto emerge da fonti ufficiali: il Ministro del Lussemburgo J. Bech ammise che non era stato ancora raggiunto alcun accordo e che serviva una nuova riunione (la quale si svolse proprio a Taormina, dove i ministri si erano recati per villeggiare). Dopo ore di negoziato – tra le due e le cinque del mattino del 3 giugno – i sei riuscirono a trovare un accordo definitivo.

Salvatore Nucera © – Lapide commemorativa della Conferenza di Messina posta sulla facciata destra di Palazzo Zanca

In quell’occasione Gaetano Martino dimostrò le sue abilità politiche. Con parole di stima lo ricordava il Ministro del Belgio P. H. Spaak:

“Martino era effettivamente un uomo del Mezzogiorno, con i suoi entusiasmi, le sue passioni, i suoi eccessi e le sue suscettibilità. […] Le sue convinzioni atlantiche ed europee gli hanno sempre permesso nelle grandi discussioni e nei momenti delle decisioni importanti, di essere dalla parte buona”

Meridionale, europeo e ben conscio dello scacchiere internazionale, Martino diede prova del suo valore in numerose occasioni. Nel 1956 fece da mediatore nella crisi del Suez tra Francia, Regno Unito, Spagna ed Egitto. Tali Stati intendevano estendere il proprio controllo sul quel territorio, che assicurava la via più veloce per collegare l’Europa all’India. Contrariamente al controllo esclusivo del canale, Martino lottò per il riconoscimento di un “principio di libera di navigazione comune” tanto alle forze d’Occidente quanto a quelle del Levante, in coerenza con una prospettiva internazionale in cui l’Italia ha sempre assunto un ruolo cruciale, sia in termini geografici che culturali.

La NATO information service ricorda Gaetano Martino a due mesi dalla scomparsa nell’editoriale del settembre 1967

Quest’opera di mediazione gli valse il titolo di “saggio” dell’Alleanza Atlantica. Quando il confronto-scontro USA-URSS era particolarmente avvertito, egli, insieme ai ministri degli esteri norvegese e canadese, fu autore di un dettagliato reportage sulle politiche di cooperazione internazionale non-militare, fondando le basi per il Comitato Occidentale per il Disarmo.

La sua esperienza fu provvidenziale anche nel suo incarico di delegato ONU per la risoluzione del conflitto tra l’Alto Adige e l’Austria, riuscendo a placare le pretese di estensione nazionali provenienti da Vienna.

Il comitato dei “tre saggi” della NATO; nell’ordine (da sinistra verso destra): Halvard Large (Norvegia), Gaetano Martino, L. B. Perarson (Canada)

Esponente di spicco del Partito Liberale Italiano, nelle istituzioni europee ci si riferisce ancora a lui come “lo spirito di Messina”, ricordando quella conferenza che cambiò le sorti delle generazioni successive. Tuttavia, anch’egli conobbe le brutture che la vita spesso riserva agli uomini di Stato. Nel 1963 – eletto da un anno Presidente del Parlamento Europeo – la Storia gli fece incontrare un altro gigante dei suoi tempi: il Presidente USA John F. Kennedy.

 

L’incontro avvenne un mese prima dell’assassinio del Presidente americano, il quale era divenuto celebre anche per l’essere riuscito a ridurre le tensioni tra USA e Russia, trovando un accordo con il Presidente Nikita Chruščёv sul controllo militare di Cuba.

Martino ricordò la morte di Kennedy con queste parole:

“Io non so se l’atteggiamento assunto da Kennedy al tempo di Cuba sia all’origine della tragica conclusione della sua vita. Certamente è stato proprio quell’atteggiamento a dare l’avvio ad una nuova fase della politica internazionale, la quale, mentre ha visto accrescersi la forza morale dell’Occidente, ha anche permesso all’unanimità […] di intravedere una nuova luce che conforta la comune speranza in un avvenire meno incerto e meno oscuro”.

Scomparso all’età di soli 67 anni, Gaetano Martino pare aver ancora molto da insegnare. Il suo essere visionario lo aveva addirittura portato a concepire un’Università Europea, che vedesse “la cultura come fine e non come mezzo”, affinché l’unità dell’Europa fosse serva della cultura invece che servirsi di essa (il progetto ha avuto un esito positivo, fondando l’European University Institute sito a Fiesole).

Stando alle recenti cronache, il mondo sembra aver dimenticato i principi valoriali da lui professati: solidarietà, multiculturalismo, democrazia. Esempio ne siano i tragici eventi verificatisi in America, le recenti notizie di politica espansionistica turca, le titubanze di alcuni Stati europei nel dare una risposta chiara e netta alla crisi economica.

A noi il dovere di portare alto il ricordo della sua memoria.

Salvatore Nucera

 

Bibliografia

Danielli L., Gaetano Martirio e le trattative del disarmo, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 34, No. 4 (Ottobre-Dicembre 1967), pp.528-563.
Danis F., Hofmann H, Robins P., Delorenzi F., Hurring M., Roquet M., Il rilancio europeo: dalla conferenza di Messina ai trattati di Roma, 1955-1956, in Catalogo dell’esposizione elaborato dagli archivi generali della Commissione della Comunità europea.
Martino G., L’università europea, in Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 29, No. 1 (Gennaio-Marzo 1962), pp. 9-27.
Melchionni M.G., Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 22, No. 3 (Luglio-Settembre 1955), pp. 496-500.
Melchionni M. G., Gaetano Martino e l’Europa: le testimonianze di Roberto Ducci e Giuseppe Vedovato, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 61, No. 3 (243) (Luglio-Settembre 1994), pp. 386-392.
NATO Letter, Death of a wise man, 1967, n.15, 1-[xxxviii], p.27.
Vedovato G., Ricordo di uno statista liberale: il disegno politico di Gaetano Martino, in Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 44, No. 3 (175), (Luglio-Settembre 1977), pp. 517-519.
Vedovato G., Gaetano Martino: l’Italia e l’Europa, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 45, No. 1 (177) (Gennaio-Marzo 1978), pp. 97-1012.
Archivio Storico del Senato, Gaetano Martino

Tommaso Cannizzaro: biografia di un letterato poliglotta

Quante volte, nel caos cittadino, cerchiamo di dare un punto di riferimento ai nostri amici dicendo di trovarci vicino al Tribunale, sulla Tommaso Cannizzaro?

Quante altre ci viene chiesto dai turisti dove sia, e nessuno, soprattutto i residenti in città, ha dubbi sulla sua posizione? Via Tommaso Cannizzaro, situata tra il centro storico e l’area deputata allo shopping, congiunge due parti  fondamentali della città. La via, spesso trafficata, vede sorgere ai suoi lati il Tribunale e il Rettorato, palazzi storici e modernissimi e collega la Zona Falcata con i Colli San Rizzo.

Ma chi è il personaggio storico da cui prende il nome?

Tommaso Cannizzaro nacque a Messina il 17 agosto 1838 e fu un poeta, critico letterario e traduttore italiano di rilievo nazionale ed europeo. Ebbe un orientamento politico di sinistra che lo portò nel 1860 ad arruolarsi con Garibaldi nel corpo dei cacciatori del faro, bersaglieri cui capo era Ferdinando Beneventano del Bosco, che avevano l’obbiettivo di scacciare i Borboni da Torre Faro, liberando così tutta Messina e potendola annettere, dopo la vittoria su Palermo, al resto della neo Italia. Dovendo interrompere la missione per la morte del padre tornò a Messina per amministrare il patrimonio familiare e dopo la morte anche della madre decise allontanarsi dalla città natale.

Nei i suoi numerosi viaggi che lo portarono in Francia, Spagna, Inghilterra e Malta potè vantarsi di aver conosciuto Victor Hugo, e la figlia Adèle, della quale si innamorò perdutamente. Pur avendola chiesta in sposa per ben due volte fu rifiutato e ciò lo portò nel 1888 ad allontanarsi, continuando a scrivere e facendosi conoscere anche come traduttore in lingua francese, spagnola, portoghese, inglese, tedesca, svedese, boema, americana e magiara. Tornò in sicilia dove si stabilì definitivamente dopo aver conosciuto Maria Kubli, sua sposa e madre dei suoi 7 figli. È in questo periodo, a cavallo tra l’ottocento e il novecento, che si dedicò alla scrittura di numerose poesie, alcune delle quali furono raccolte nel volume Výbor básní –Tom. Cannizzaro (Praga 1884).

Dopo il terremoto del 1908, nel quale morì una delle sue figlie, trascorse gli ultimi anni in solitudine. Nelle volontà testamentarie lasciò buona parte del proprio patrimonio alla città di Messina; tra tutto spiccano i suoi 5000 volumi personali, che oggi fanno parte della biblioteca messinese a lui intitolata. Abbandonato da tutti e solo per la morte prematura dei sette figli morì il 25 agosto 1921 e venne sepolto nel cimitero monumentale della città. Tra le opere troviamo liriche che vanno dai temi filosofico-scientifici a quelli filantropici. La sua fatica più grande fu senz’altro tradurre la Divina Commedia di Dante Alighieri in siciliano, pubblicandola poi nel 1904. Come traduttore si dedicò principalmente a sonetti scritti da poeti francesi e inglesi, ma non mancarono poesie in spagnolo e portoghese.Si dedicò anche alla prosa con dei canti popolari sulla provincia di Messina, ma anche con opere che avevano come temi principali la vita, la società, l’amore e le donne.

Era di nostra vita a mità juntu
quannu ‘nton scuru boscu mi trovai
pirdennu la via dritta, ntra ddhu puntu.

Paola Puleio

Pietro Castelli: il docente che fondò a Messina il più antico Orto Botanico in Sicilia

Pietro Castelli. Questo nome, riferito al contesto messinese, in un primo momento evoca nient’altro che il nome di una via o quello dell’Orto Botanico cittadino. Eppure, soprattutto noi studenti, dovremmo sapere che il signore in questione è stato uno dei più illustri Professori del nostro Ateneo.

http://www.ortobotanico.messina.it/home_page/storia_dell_orto/00000192_PIETRO_CASTELLI__1580_1661_.html

Romano, nato intorno al 1570, è stato un medico e un botanico. Studiò medicina nella sua città, sotto le direttive di Andrea Cesalpino, di cui fu discepolo. Presso la stessa università di Roma cominciò ad insegnare sul finire del secolo. In quegli stessi anni diresse, all’interno degli Orti farnesiani (considerati il più antico orto del mondo occidentale, che sorse per volere della famiglia Farnese sul Palatino), l’orto dei semplici, ossia quella superficie ove venivano coltivate le piante medicinali per la preparazione dei farmaci. A quel periodo, precisamente al 1625, risale Hortus Farnesianus, una descrizione delle piante presenti in quell’orto, corredata da realistici disegni. Tale opera fu stampata sotto il nome del medico e direttore degli Orti farnesiani Tobia Aldini, ma in realtà secondo molti studiosi fu scritta interamente da Castelli.

Al 1631 risale il suo trasferimento nella città dello Stretto; qui, nel ruolo di Professore dell’Università, fin da subito sollecitò la realizzazione di un orto in cui fossero presenti le varie tipologie di piante medicinali. Scrisse egli stesso: «Arrivato che qui fui, considerando quanto era necessario l’Horto de’ semplici [] ne feci più volte istanza all’Ill.mo Senato; finalmente fui inteso nell’anno 1638 [] E mi fu consegnato il fosso fuori delle mura, tra i due ponti, lungo canne 72 et largo 24 et oltre il ponte canne 200…». Nacque così a Messina, nel 1638, il primo Orto Botanico della Sicilia, che successivamente verrà intitolato proprio al suo fondatore. In esso, cominciarono ad essere coltivate tantissime specie vegetali, provenienti da tutta Italia, dalla Sicilia (specialmente dalla zona dell’Etna) e anche dai vicini paesi africani. Innovativo fu anche il modo in cui Castelli procedette a dividere le varie specie, attraverso dei criteri che riflettevano le sue idee in merito alla classificazione degli organismi vegetali. In poche parole, la suddivisione da egli operata si basava sulla parentela tra le piante, che era dedotta paragonando le caratteristiche dei fiori e dei frutti di ognuna di esse. Un metodo sistemico-filogenetico, insomma, che diventò poi il punto di partenza per l’organizzazione degli orti botanici moderni.

Nel 1640 Castelli volle mettere nero su bianco quanto aveva creato e così pubblicò un’opera, dal titolo “Hortus Messanensis”, in cui descrisse minuziosamente l’orto e in particolare la suddivisione che ivi aveva attuato, in quattordici sezioni (“hortuli”) in base appunto al suo metodo di classificazione delle piante. Ognuno di questi hortuli portava il nome di un Santo e a sua volta era diviso al suo interno in numerose aiuole.

http://www.ortobotanico.messina.it/home_page/storia_dell_orto/00000030_Primo_periodo__L_antico_Orto_Botanico.html

 

Pietro Castelli avrebbe vissuto a Messina ancora per oltre un ventennio, finché la morte non lo colse proprio nella città dello stretto nel 1661, non prima però che venisse nominato Nobile della città di Messina dal Senato cittadino che riconobbe certamente i suoi grandi meriti. Dopo la sua morte, l’Orto botanico fu intitolato alla sua memoria e venne affidato alle cure e alla direzione di un altro eminente medico e botanico, Marcello Malpighi.

Francesca Giofrè

Gaetano Salvemini: professore, storico, meridionalista, antifascista

https://parentesistoriche.altervista.org/salvemini-luchaire-fantarella-donzelli/

Il nostro antico Ateneo ha vantato illustri Professori, tra di essi sicuramente da ricordare è Gaetano Salvemini. Importante storico e politico italiano, insegnò all’Università di Messina nei primissimi anni del Novecento.

Pugliese di nascita (nacque a Molfetta nel 1873), trascorse diversi anni in Sicilia. Dopo essersi laureato in lettere a Firenze a soli ventitré anni, lavorò infatti in una scuola media di Palermo come professore di latino. Era comunque chiara fin da allora la sua predilezione per gli studi storici: fin dagli anni universitari si era appassionato alla storia medievale, dimostrandosi uno dei migliori in tal campo. Ed infatti, dopo la parentesi palermitana, insegnò storia nei licei classici di Faenza e di Lodi.

Giungiamo dunque al 1901, quando, giovanissimo, ottenne la cattedra di Storia medievale e moderna presso l’Università di Messina. A questa città rimarrà, suo malgrado, legato per sempre… e non solo perché sede della sua prima esperienza da docente universitario, ma anche e soprattutto perché qui perse la sua famiglia nel terremoto del 28 dicembre del 1908. La moglie, la sorella e cinque figli perirono in quella terribile notte, mentre lui solo si salvò e per giorni vagò alla ricerca di qualcuno che lo aiutasse a scavare tra le macerie di quella che era la sua casa. Di quella notte scrisse: “Ero in letto allorquando sentii che tutto barcollava intorno a me e un rumore di sinistro che giungeva dal di fuori. In camicia, come ero, balzai dal letto e con uno slancio fui alla finestra per vedere cosa accadeva. Feci appena in tempo a spalancarla che la casa precipitò come un vortice, si inabissò, e tutto disparve in un nebbione denso, traversato come da rumori di valanga e da urla di gente che precipitando moriva”. Lui stesso fu creduto morto, finché non fece sapere della sua sorte attraverso una lettera all’ Avanti!, pubblicata l’8 gennaio 1909.

Quella tragedia lo segnò inevitabilmente, anche sul piano professionale e politico: avvicinatosi al Psi fin dal periodo fiorentino, da quel momento portò avanti le sue battaglie con maggiore fervore, in particolare quelle relative alla piena realizzazione della democrazia italiana (si battè per l’introduzione del suffragio universale) e al riscatto del Sud, funzionale alla crescita economica e civile dell’Italia intera (a tal proposito tentò di saldare le rivendicazioni degli operai del Nord con quelle dei braccianti del Sud). Fu inoltre molto critico nei confronti di Giolitti, ad egli infatti dobbiamo la coniazione dell’epiteto “ministro della malavita” riferito proprio al politico piemontese.

In occasione dello scoppio della prima guerra mondiale, Salvemini si schierò sulle posizioni dell’interventismo democratico, tant’è che addirittura si arruolò volontario quando l’Italia entrò in guerra.

Eletto deputato nel 1919, all’avvento del fascismo si schierò subito contro Mussolini e lo fece con ancor più vigore dopo l’uccisione di Matteotti, nel 1924. L’anno dopo fu arrestato dalle milizie fasciste e messo in carcere, dove rimase qualche giorno. Una volta scarcerato, si dimise dall’Ateneo di Firenze dove insegnava e fuggì clandestinamente in Francia.  Da lì continuò la sua battaglia antifascista e con i fratelli Rosselli fondò il movimento Giustizia e libertà.

Nel 1934 il suo prestigio fu riconosciuto a livello internazionale: ottenne infatti la cattedra di Storia della Civiltà Italiana, creata appositamente per lui, all’Università di Harvard. Tornò definitivamente in Italia solo nel 1949, anno in cui gli fu restituita la cattedra all’Università di Firenze.

Trascorse i suoi ultimi anni a Sorrento, da dove continuò la sua battaglia politica, finché la morte non lo colse, nel 1957.

Ancora oggi la sua figura, dall’alta caratura morale, è ricordata in ambito politico come in quello storico. A Messina porta il suo nome l’Istituto di Studi Storici, fondato nel 1977 da un gruppo di docenti di materie storiche operanti nelle Università siciliane e calabresi.

Francesca Giofrè

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