Amnesty International e l’anno nero per la pena di morte

Sono in totale 883 le persone giustiziate in tutto il mondo nel 2022, un aumento pari al 53% rispetto al 2021 e il più alto numero dal 2017. Anche quest’anno, l’Amnesty International, un’organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani, rende pubblico il suo report annuale sulla pena di morte nel mondo.

Tra i metodi di esecuzione più utilizzati la fucilazione e l’iniezione letale, senza dimenticare l’impiccagione e la decapitazione. Ma vediamolo insieme più nel dettaglio.

Amnesty: uno sguardo al rapporto

In una premessa fondamentale, Amnesty International tiene a sottolineare che:

Si oppone incondizionatamente alla pena di morte, senza eccezioni riguardo alla natura o alle circostanze del reato; alla colpevolezza, all’innocenza o ad altre caratteristiche dell’imputato; al metodo usato per eseguire la condanna a morte. Attraverso una campagna permanente, Amnesty International lavora per l’abolizione della pena capitale in tutto il mondo.

Tra gennaio e dicembre 2022, le informazioni sono state raccolte catalogando diverse fonti. Inclusi: dati ufficiali, pronunce giurisdizionali, notizie provenienti dagli stessi condannati a morte, resoconti dei mezzi di comunicazione e dei rapporti di altre organizzazioni della società civile. Nella ricostruzione dei grafici e nei dati finali, sono state riportate esclusivamente esecuzioni, condanne a morte e altri aspetti legati all’uso della pena di morte, come commutazioni o proscioglimenti, di cui ci sia ragionevole certezza. Nonostante la natura pragmatica, è anche vero che in molti paesi i governi non rendono pubbliche le informazioni riguardanti l’uso della pena capitale.

Cosa ci dicono i dati?

I dati parlano chiaro, esclusa la Cina, il 90% delle esecuzioni registrate hanno avuto luogo in soli tre paesi: Iran, Arabia Saudita e Egitto. In Cina, Corea del Nord e Vietnam i dati sull’uso della pena di morte sono classificati come segreto di stato. Proprio per questo i dati raccolti nel report di Amnesty sono da considerarsi incompleti e parziali, quelli reali sono probabilmente molto più alti. Si evidenzia poi che nel 2022 sono state riprese le esecuzioni in cinque stati: Afghanistan, Kuwait, Myanmar, Palestina e Singapore.

Ne parla Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Le prove raccontano come la pena di morte ha un impatto nullo sulla riduzione del crimine. Moltissimi studi hanno dimostrato che nei paesi in cui è stata abolita, i tassi di omicidi sono rimasti invariati o addirittura sono diminuiti. La pena capitale nei paesi viene spesso utilizzata per scopi impropri: per infondere paura, reprimere l’opposizione e annullare il legittimo esercizio delle libertà.

sede amnesty international
Sede centrale di Amnesty International, sito a Londra. Fonte: alamy

 

D’altronde, la pena di morte esiste ancora in tutto il mondo ed è praticata in 58 Stati, tra cui: Nigeria, Somalia, Sudan, Usa, Iraq, Giappone, Pakistan, Thailandia ed Emirati Arabi. Un dato allarmante, che mette in allerta i vertici di Amnesty International. Come dichiara Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International:

Aumentando il numero delle esecuzioni, gli Stati dell’area Medio Oriente-Africa del Nord (la cosiddetta Mena) hanno violato il diritto internazionale e mostrato un profondo disprezzo per la vita umana. Il numero delle persone private della loro vita è enormemente cresciuto. L’Arabia Saudita ha incredibilmente messo a morte 81 prigionieri in un solo giorno. Nella seconda parte dell’anno, nel disperato tentativo di stroncare le proteste popolari, l’Iran ha messo a morte persone che avevano solo esercitato il loro diritto di protesta

Una tendenza positiva verso l’abolizione

Le prospettive non sembrano delle migliori, ma un po’ di speranza sembra arrivare da sei Stati che, nel 2022, hanno abolito in tutto o in parte la pena di morte. Kazakistan, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone l’hanno abolita per tutti i reati, Guinea Equatoriale e Zimbabwe per i reati comuni. Senza contare che 112 Stati avevano abolito la pena di morte per tutti i reati e altri nove Stati l’avevano abolita per i reati comuni.

Questa tendenza positiva prosegue nel 2023. In Liberia e Ghana sono state avviate iniziative di legge abolizioniste; i governi delle isole Maldive e dello Sri Lanka hanno annunciato che verranno interrotte le condanne a morte. Anche in Malesia il parlamento nazionale sta discutendo delle proposte di legge per annullare la pena capitale.

Sembra quindi che un vento a favore stia soffiando nella direzione dell’abolizione. La stessa Callamard sembra sia ottimista:

Molti Stati continuano a consegnare la pena di morte alla discarica della storia ed è tempo che altri seguano l’esempio. Gli atti di brutalità in Iran, Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord e Vietnam appartengono ormai a una minoranza di Stati. Ma sono proprio questi che devono mettersi al passo coi tempi, proteggere i diritti umani e assicurare giustizia invece di mettere a morte persone. Di fronte a 125 stati membri delle Nazioni Unite, un numero mai così elevato, in favore di una moratoria sulle esecuzioni. Non ci siamo mai sentiti così fiduciosi che quell’orrenda punizione possa essere e sarà consegnata agli annali della storia. Ma i tragici dati nel 2022 ci ricordano che non bisogna  rimanere indifferenti e inoperosi. La nostra campagna continuerà fino a quando la pena di morte non sarà abolita a livello globale!

 Victoria Calvo

Pena di morte per chi indossa jeans attillati. La nuova guerra di Kim Jong-Un contro l’occidentalizzazione

In un mondo la cui logica è la non-logica anche indossare un paio di jeans può essere un reato punibile con la pena di morte. È questo uno dei nuovi folli provvedimenti del supremo imperatore della Corea del Nord Kim Jong-Un e che fanno parte delle disposizioni di legge contro il pensiero “reazionario” .

Una guerra contro la verità

Per il leader Nordcoreano la nemica assoluta, da combattere con le armi più potenti, è la verità. La sua paura più grande? L’ Occidente. Verità e Occidente rappresentano le due più potenti minacce per un sistema costruito sulla menzogna e sull’illusione che quella vita sia l’unica vita possibile.

Anche indossare un paio di jeans attillati, avere un piercing, ascoltare musica pop sudcoreana, portare un taglio di capelli all’occidentale, guardare un film straniero (soprattutto le soap opera sudcoreane), utilizzare slang stranieri, possono rivelare che esiste un altro mondo, forse più libero, forse più eterogeneo, forse più desiderabile. Un mondo del quale cancellare ogni traccia.

È questo quello che tenta di fare Kim Jong-Un con la nuova legge varata nel mese di maggio contro “il pensiero reazionario”, per proteggere i giovani dal vento del capitalismo e dal pericoloso veleno della cultura occidentale che potrebbe diffondere condotte sgradevoli, individualiste e antisocialiste.

Una legge che si inserisce, dunque, in uno scenario più ampio: quello della guerra permanente contro la verità.

Cosa è vietato in Nord Corea – Fonte: www.tgcom24.it

Le dure pene previste

Il dittatore ha inviato una lunga lettera alla Lega della gioventù nordcoreana preannunciando le nuove strette, rivolte in particolare al mondo dei giovani nordcoreani che abbracciano sempre più le tendenze della moda occidentale.

Chiunque adotterà usi e costumi considerati occidentali o verrà sorpreso in possesso di contenuti multimediali della Corea del Sud, Stati Uniti o Giappone rischierà una condanna fino alla pena di morte. Il minimo previsto dalla legge è di 15 anni di reclusione in un campo di internamento.

A questo proposito, secondo il Daily NK, sito di news basato a Seul e specializzato sulle vicende del Nord, a tre adolescenti dello Stato-caserma colpevoli di essersi acconciati i capelli alla maniera dei gruppi sudcoreani K-pop e di aver indossato pantaloni corti sopra le caviglie, sarebbe stato imposto il campo di rieducazione.

La repressione non si limita ai soli trasgressori: se un ragazzo viene considerato “colpevole”, anche i genitori possono essere processati; se un lavoratore viene arrestato la punizione può ricadere anche sul direttore della fabbrica in cui è impiegato.

Le sanzioni non risparmiano neanche i piani alti. Infatti, secondo l’intelligence di Seul, pochi anni fa lo stesso Choe Ryong-hae, il vicepresidente del Partito dei lavoratori della Corea, decise di passare alcuni mesi in un campo di rieducazione per placare l’ira del leader, dopo che suo figlio era stato sorpreso con un cd-rom di film sudcoreani.

Blocco di internet, dei social network e il canale Youtube Echo of Truth

Fa parte del quadro della guerra condotta in nome della menzogna anche il blocco di internet e dei social network. Infatti, in Corea del Nord è vietato utilizzare i social media o la VPN, una rete virtuale privata che ha anche la funzione di proteggere l’identità online. Tutti i contenuti di informazione politica pubblicati nel Paese sono creati dalla Korean Central News Agency (KCNA), l’unica fonte autorizzata a pubblicare notizie.

Alla rimozione della verità, si associa la fabbricazione di nuove verità-menzogna. Ne è un esempio il canale YouTube Echo of Truth, uno strumento di propaganda che diffonde dei video realizzati e promossi (seppur non ufficialmente) dal governo, che raccontano momenti di vita quotidiana per trasmettere l’immagine di un paese pacifico e tranquillo.

Uno dei video più visti è quello che riguarda la gestione della pandemia e che racconta che nel paese, grazie alla costante vigilanza, la gente ha potuto riprendere a trascorrere le proprie giornate, mentre il governo ha potuto dedicarsi alla costruzione del nuovo ospedale generale di Pyongyang. Un racconto in perfetta armonia con quanto sostenuto da Kim Jong-Un sul Corona virus: in Corea del Nord non si sarebbero registrati decessi.

La storia della Corea del Nord è quella di una menzogna che si regge sull’oppio diffuso e permanente, di cui l’arrivo di informazioni, di usanze, di pratiche dall’estero potrebbe rappresentare l’antidoto.

Chiara Vita