Pelorias Sea Sound: la leggenda che suona ancora a Capo Peloro

Nel punto più orientale della Sicilia, dove il mare si restringe come una ferita sottile tra due terre, c’è un luogo che ha la forza di un archetipo: Capo Peloro. È una soglia, un confine, ma anche un inizio. Da secoli è stato teatro di partenze, di naufragi, di ritorni, di visioni. Ma ancora prima di essere uno spazio geografico, Capo Peloro è un luogo del mito. E come ogni mito, ha il volto di una dea.

Il suo nome era Pelorias.

La leggenda

Pelorias è una figura avvolta nel mistero. Il suo nome deriva dal greco “pelorios”, che significa “immensa”, “mostruosa” nel senso arcaico del termine: non qualcosa di orrendo, ma qualcosa che supera ogni misura, ogni comprensione. Secondo alcune versioni del mito, Pelorias era una creatura marina, una divinità antica che abitava le acque dello Stretto di Messina. Proteggeva le rotte, confondeva i venti, osservava i viaggiatori.

Ma c’è una leggenda ancora più antica che la vuole dea del suono. Si dice che Pelorias raccogliesse i suoni del mondo: i lamenti del mare, i sussurri del vento, i canti dei naviganti, e li custodisse tra le rocce del capo. Di notte, quando tutto taceva, li restituiva al mondo sotto forma di echi, vibrazioni, sussurri ancestrali. Era una sorta di archivio vivente dell’emozione umana, della memoria acustica della Sicilia.

Per altri, era la personificazione stessa del promontorio, Capo Peloro porterebbe infatti il suo nome. Una dea fusa con la terra, con la pietra, con il sale. Una presenza femminile, materna e primordiale, capace di custodire ma anche di pretendere rispetto.

In un Sud in cui le divinità si sono spesso confuse con i paesaggi, Pelorias è diventata simbolo di quel Sud che osserva e accoglie, che respira silenzioso ma eterno. Un Sud che non ha bisogno di gridare per esistere.

Capo Peloro tra mito e geografia

Capo Peloro è il punto più a nord-est della Sicilia. Le sue acque sono tra le più agitate e spettacolari del Mediterraneo. I due mari che lo lambiscono, lo Ionio e il Tirreno, si scontrano con violenza in una danza continua di correnti e riflessi.

Qui le leggende si fanno materia: si racconta che Ulisse, nel suo viaggio, passò dallo Stretto sfuggendo a Scilla e Cariddi. Virgilio lo cita, i Greci lo temevano, i Romani lo adoravano. Ogni popolo che abbia solcato questo tratto di mare ha lasciato qualcosa.

Il faro, i piloni, i villaggi di pescatori, le torri di avvistamento, tutto parla di un Sud che è stato punto strategico, nodo di traffici, soglia di culture. Ma anche rifugio per chi cerca la bellezza e la quiete.

E proprio qui, su questa terra intrisa di storia e leggenda, nasce una nuova forma di rito: il Pelorias Sea Sound.

Pelorias Sea Sound

Il Pelorias Sea Sound non è solo un festival. È un rito contemporaneo, un richiamo ancestrale mascherato da musica elettronica.

Quest’estate, artisti, dj e performer si danno appuntamento a Capo Peloro per dar vita a un evento che mescola suono, paesaggio e memoria. La spiaggia si trasforma in un altare. Le casse diventano tamburi tribali.

La scelta del nome non è casuale: Pelorias è la forza evocativa che unisce passato e presente. E il “Sea Sound” è proprio questo: il suono del mare, il suono della memoria, il battito di una Sicilia che vuole raccontarsi senza folklore, ma con verità e visione.

In questo spazio, la musica non intrattiene: trasforma. Accende ricordi, risveglia appartenenze. Diventa atto poetico, politico, identitario.

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Una Sicilia che ritorna

C’è qualcosa di sacro nei ritorni. In un tempo in cui molti giovani lasciano la Sicilia per cercare altrove un futuro, eventi come il Pelorias Sea Sound non sono semplici momenti ricreativi. Sono atti di resistenza culturale.

Ritornare a Capo Peloro, ascoltare musica sotto le stelle, dentro un luogo che ha visto passare miti e migrazioni, significa riappropriarsi del tempo e dello spazio. Significa guardare la propria terra non solo come origine, ma come destinazione.

Pelorias, dea silenziosa e infinita, continua a vegliare. Non più solo sulle rotte dei marinai, ma su quelle interiori di chi cerca un senso, una casa, una vibrazione che lo riporti a se stesso.

E forse è proprio questo il cuore del festival, ricordarci che il mare non divide. Il mare unisce. E che ogni mito è ancora vivo, se lo sappiamo ascoltare. Magari a occhi chiusi, mentre un beat vibra sotto la pelle e una voce antica ci sussurra che siamo tornati dove tutto è cominciato.

 

Gaetano Aspa

 

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