Energia sostenibile e Nucleare: cosa deve preoccuparci davvero?

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Due giorni fa ricorreva il 35° anniversario dell’incidente nucleare avvenuto a Chernobyl.
Nonostante siano passati diversi anni da quest’incidente, la sua risonanza mediatica è ancora enorme.
I dati ufficiali dell’ONU tuttavia riportano un numero di vittime accertate compreso tra le 49 e le 65.

Allora, perché abbiamo questa paura atavica del Nucleare? Perché non lo si conosce abbastanza e l’ignoto, si sa, genera paura.

Ma il nucleare è davvero pericoloso?

Per parlare della pericolosità del nucleare, l’unico modo per affrontare senza pregiudizi la questione è parlare di probabilità e di rischio relativo.

Facendo un esempio, se consideriamo l’aereo, sicuramente è il mezzo più pericoloso in caso di incidente, in quanto raramente ci sono superstiti. Tuttavia, la probabilità che si verifichi un incidente aereo è circa 10 volte inferiore ad un incidente a piedi o in treno, 30 volte inferiore ad un incidente in macchina ed addirittura 300 volte inferiore ad alla probabilità di un incidente in moto.
Traslando l’esempio al mondo energetico, in tutta la storia delle centrali elettriche nucleari si sono verificati solamente due incidenti: quello di Chernobyl e quello di Fukushima. In essi hanno perso la vita rispettivamente circa 54 persone a Chernobyl ed 1 morto e 16 feriti nell’incidente Giapponese.
Di incidenti petroliferi, invece, con enormi disastri ambientali, purtroppo ne abbiamo notizia quasi ogni anno.

In seguito all’incidente di Chernobyl, evento unico nel suo genere, c’è stato un aumento del numero di tumori alla tiroide nelle popolazioni colpite. In termini relativi, si prevede che questo aumento rimanga inferiore allo 0,05% (worst case scenario) dei casi di tumore totali nelle aree coinvolte.

Cosa significa “in termini relativi”? Significa che l’incremento dello 0,05% non è calcolato rispetto alla popolazione totale, ma rispetto all’incidenza della malattia.
Se ad esempio si considera una popolazione di un milione di persone e statisticamente ci si aspetta che il 20% di esse si ammali di tumore nel corso della vita, un aumento relativo dello 0,05% significa che i malati “extra” non saranno 500 (lo 0,05% di un milione), ma solo 100 (lo 0,05% del 20% di un milione).

Nonostante la drammaticità di perdite di vite umane, si tratta quindi di eventi eccezionali, causati nel primo caso da una drammatica sequenza di errori umani, inesperienza ed arretratezza tecnologica; nel secondo caso da un terremoto con Magnitudo 9, circa 5000 volte più energico del terremoto che distrusse L’Aquila.
I morti legati con certezza alle centrali nucleari quindi, secondo le stime ufficiali, si attestano circa ad una sessantina.

Quanti morti causano ogni anno i combustibili fossili?

L’inquinamento dell’aria, causato dai combustibili fossili,  è la quarta causa di morte a livello mondiale.

Parliamo di 5 milioni di morti ogni anno, 9 milioni se inseriamo nell’equazione anche l’inquinamento dei mari e dei fiumi e il riscaldamento globale.
Eppure lo consideriamo più accettabile del nucleare: in nessuna parte del mondo i combustibili fossili, che sono la causa primaria dell’inquinamento atmosferico, vengono combattuti con la stessa ferocia con cui viene combattuta l’energia nucleare.
E ciò ha dell’assurdo, perché proprio l’energia nucleare previene l’immissione in atmosfera di miliardi di tonnellate di gas inquinanti, dunque diminuisce il fattore di rischio dovuto all’inquinamento atmosferico.

Ma non esistono alternative ai combustibili fossili ed al nucleare?

Non bastano le fonti di energia rinnovabile?

Purtroppo no.
Dall’inizio della storia dell’uomo, infatti, non abbiamo fatto altro che aumentare sempre più il consumo energetico, senza mai subire una battuta d’arresto o tornare indietro.

Non è un caso che il boom tecnologico sia iniziato quando abbiamo avuto a disposizione una maggiore quantità di energia. Infatti, se per millenni l’uomo ha sfruttato cavalli o navi a vela per gli spostamenti, con l’invenzione della macchina a vapore e successivamente del motore a scoppio, siamo passati in soli due secoli alla conquista del cielo e perfino dello spazio.

Va da sé che più l’umanità evolverà tecnologicamente, più avrà bisogno di energia.

Le rinnovabili da sole possono far fronte ad una tale richiesta?
Nel 2019 la richiesta energetica italiana è stata pari a 319.622 GWh.
Un pannello solare in silicio policristallino fornisce una potenza di 0.2 kiloWatt (kW) per metro quadro.
Una pala eolica può normalmente erogare una potenza massima di 6000 kW (o, se preferite, 6 MW).
Un reattore nucleare può invece arrivare a 1.6 GW di potenza nominale, il che significa che, per ottenere la stessa potenza nominale di un singolo reattore nucleare, servono circa 250 pale eoliche, o 8 chilometri quadrati di pannelli solari.

Bisogna poi considerare il Capacity Factor, vale a dire il rapporto tra produzione di energia elettrica effettiva “x” fornita da un impianto di potenza durante un periodo di tempo e la fornitura teorica di energia “y” che avrebbe potuto offrire se avesse operato alla piena potenza nominale in modo continuativo nel tempo.

Tenendo in considerazione pure il CF, la quantità di pannelli solari e pale eoliche richieste per un paese come l’Italia ammonta ad un numero elevatissimo: bisognerebbe disboscare per costruire pannelli solari e pale eoliche.

Un reattore nucleare, invece, riesce ad operare ad una potenza stabile nel tempo anche per anni, cosa conveniente se si considerano l’inverno (dove le giornate sono più corte o uggiose) con meno luce solare e i giorni con poco vento.

Per quale motivo dovremmo usare anche il nucleare?

Perché le rinnovabili, purtroppo, da sole non bastano a ridurre il consumo di combustibili fossili. Attualmente, infatti, in Italia l’energia che non ricaviamo dalle rinnovabili la importiamo dalla Francia (che usa il nucleare) o la otteniamo bruciando Gas o Carbone.

La concentrazione in atmosfera di anidride carbonica (CO2) ha superato la soglia delle 415 parti per milioni (ppm) il 15 maggio 2019. È una concentrazione superiore del 48% a quella dell’epoca preindustriale, quando la concentrazione di CO2 in atmosfera era attestata sulle 280 ppm.

Questo aumento enorme dei gas serra, che oltre la CO2 annoverano anche il Metano (CH4) ed altri, porterà ad un aumento di 2 gradi centigradi o più entro il 2050, il che porterà a conseguenze catastrofiche. Sarà difficile l’approvvigionamento di acqua potabile per sempre più persone, si scioglieranno ulteriormente i ghiacciai, moriranno sempre più animali marini.

Si tratta di eventi a cascata che porteranno ad una distruzione dell’ecosistema e della vita per come la consociamo oggi.

Il nucleare può ridurre queste emissioni: basterebbero infatti solo 5 centrali in Italia per essere completamente indipendenti dai combustibili fossili, includendo il contributo delle rinnovabili.

Inoltre, sempre grazie a questa energia, si potrebbe procedere ad una “cattura” della CO2 atmosferica, tentando di invertire l’inesorabile aumento delle temperature terrestri.

Conclusioni

Tutto questo porta ad una conclusione, che per molti sarà contro-intuitiva, ma che nondimeno è vera e statisticamente verificabile: non solo i rischi dell’energia nucleare sono prossimi allo zero (un aumento dello 0,05% della mortalità da tumore moltiplicato per la probabilità infinitesima di un incidente catastrofico), ma se li confrontiamo con i benefici (ovvero il calo del rischio di mortalità dovuto alle emissioni di gas inquinanti e la diminuzione dei gas serra), otteniamo che il nucleare è benefico per il pianeta.
E infatti, secondo uno studio di Scientific American del 2013, l’energia nucleare, dal 1971 ad oggi, ha salvato quasi due milioni di vite.

Riguardo la gestione delle scorie radioattive, argomento che spaventa molti, data la corruzione nella nostra società, fortunatamente la gestione degli impianti nucleari è regolamentata da severissime leggi e controlli internazionali.
Questo bypasserebbe una eventuale inefficienza italiana nella gestione dei rifiuti radioattivi.

Salvare il pianeta dalla distruzione a cui lo stiamo portando è nostro dovere.
Serve dunque meno paura e più spirito critico.
Per vincere la paura è necessaria la conoscenza, per cui cerchiamo sempre di informarci ed essere critici (soprattutto verso i nostri stessi pregiudizi), per rendere il pianeta un luogo in cui sia ancora bello e possibile vivere.

Roberto Palazzolo

Tu chiamale se vuoi Emozioni

É ormai risaputo che la grande famiglia Disney – Pixar non fa cartoni per bambini o comunque non solo per loro; infatti, dietro gli occhi rotondi e i colori sgargianti dei protagonisti si nasconde qualcosa di ben più complesso, ma allo stesso tempo qualcosa di reale e sempre attuale.

Eh si, uno dei suoi più grandi film è proprio Inside Out, film scelto da AEGEE per il cineforum sulla #mentalhealth, e che dire? Sicuramente è un successo intramontabile.

Voto UVM: 5/5; l’inconfondibile matita Pixar riesce a disegnare le nostre emozioni passate, presenti e future

Il genio Pixar

In Inside Out si evidenzia la bravura dei registi – tra cui Pete Docter famoso per essere il cantastorie che ha incantato il mondo con Toy Story, Up e l’attualissimo Soul – nel regalare al pubblico la possibilità di immedesimarsi, di riflettere e forse, di autocriticarsi.

fonte: mymovies.it; Locandina Film 

La vicenda si svolgerà sia dentro (inside) che fuori (out) la mente della protagonista; la bellezza di ciò è rendersi conto di quanto l’out sia influenzato dall’inside. Questo cosa vuol dire? Non perdendoci in ragionamenti psicologici, sicuramente indica l’importanza di dare peso ai sentimenti e alle emozioni perché sono queste che ci permetteranno di affrontare qualsiasi prova che si presenta all’esterno.

Inside

Il cervello di Riley – nome della protagonista del film – ci viene rappresentato come un grande centro di comando (d’altronde cos’altro è il cervello se no?) al cui “capo” c’è Gioia.

Attenzione, perché la gioia qui è capo logistico delle altre emozioni ma non per questo è la più importante. E qui ci viene svelata una delle grandi verità del film: la vita è gioia ma non soltanto… Se non ci fosse Rabbia a far valere i propri diritti o Disgusto ad evitare cibi cattivi, come farebbe Riley a superare la sua quotidianità? Ecco la bellezza nascosta dietro la perfetta matita pixar: la realtà.

fonte: empireonline.com; Le emozioni al centro di comando

Infatti dietro delle figure antropomorfe si nasconderanno le emozioni, ognuna con le sue peculiarità e le sue attitudini, ma soprattutto ognuna con il suo compito. E’ proprio da dietro una scrivania – che ricorda quella di un Talent Show – che gestiranno ogni azione della ragazzina e nel loro insieme creerano un mix complesso ma divertente che va dal goffo al riflessivo.

La dicotomia clue del film – e forse della nostra vita – è quella tra Gioia e Tristezza una non vivrebbe senza l’altra e soprattutto Riley non potrebbe sopportare una perdita del loro equilibrio. Questo sembra porre la tristezza su un altro livello: per una volta non si accetta di essere tristi perché non si può essere felici, bensì perché essere tristi è giusto, è vero e fondamentale.

Ci insegna a voler bene alla tristezza e ad essere gentili con lei e questo, in fondo, ci spinge ad essere più tolleranti nei nostri stessi confronti.

fonte: huffingtonpost.it; Gioia ci insegna ad essere gentili con Tristezza

Così, il film riesce a sintetizzare la fisiologia del cervello – nello specifico delle emozioni e dei ricordi – e la pratica quotidiana.

Out

Visto da fuori, il mondo di Riley si disgregherà gradualmente; a poco a poco la ragazzina passerà dalla solita vita ad una tutta nuova e sconosciuta, e dopo l’entusiasmo per la novità si renderà conto di essere stata sradicata dalla sua quotidianità. Nonostante la causa del trasloco sia stata un’ esigenza lavorativa del padre, per lei non fa differenza e la tristezza prende il sopravvento.

La scelta di un trasferimento e della protagonista undicenne è geniale: momenti di transizione esterni, quali il trasloco, che si verificano in un momento di cambiamento interno, come la vicina pubertà. Ancora una volta inside e out: l’importanza e la differenza tra dentro e fuori.

fonte: disney-planet.fr; Riley rattristata 

Quindi possiamo confermare quanto Inside Out abbia meritato il premio Oscar nel 2015; in effetti il film ha incantato gli spettatori di tutte le età, dai bambini agli adulti, e ha riempito le sale cinematografiche (che ricordiamo con un pizzico di nostalgia). Ha lasciato uno strano ottimismo e una maggiore consapevolezza in ognuno; come a voler dire che se Riley è riuscita da sola a superare quel momento in balia delle sue emozioni goffe e disorganizzate possiamo farlo anche noi.

E’ un film che fa scendere una lacrima ma suscita anche una sana risata: il suo intento non è solo quello di commuovere –  ci riesce senza ombra di dubbio – ma anche di far riflettere ed è questo che emoziona lo spettatore.

Trasportandoci letteralmente nella mente della ragazzina fa capire quanto sia complesso il nostro mondo interno, quanto sia giusto provare ogni emozione, quanto sia importante ricordare e forse, saper dimenticare.

 

                                                                                                       Barbara Granata