Partenze e ripartenze: dove andremo a finire?

Partenze e ripartenze. Settembre è questo. Un viavai incessante tra chi ritorna e chi va via, tra progetti da lasciare andare nel dimenticatoio e progetti che trovano finalmente tempo e spazio per essere ripresi.

Partenza e ripartenza. La prima descrive il moto settembrino con cui mi trasferirò in una nuova città. La seconda descrive il moto altrettanto settembrino con cui UniVersoMe si prepara a ricominciare questo nuovo anno accademico. E di ripartenze, nell’ultimo anno, siamo diventati dei campioni. Come quando abbiamo scelto in maniera un po’ coraggiosa di riscrivere il futuro della testata e ricominciare da un foglio bianco. Il 2024-2025 è stato l’anno della semina, delle prime volte, delle nuove realtà con cui abbiamo collaborato (MessinaCon, Crescendo, Tuma Records e tante altre), dei festival in cui ci siamo timidamente infilati.

È stato l’anno della scoperta, l’anno della prova, l’anno in cui ci siamo riguadagnati il nostro spazio di autodeterminazione dentro la grande macchina dell’università.

Questo mio editoriale – lo chiamerei più lettera aperta, ma dobbiamo pur darci un tono – arriva l’1 settembre. E l’1 settembre, per un caso fortuito e una fortuna gigante, quest’anno cade di lunedì. E l’1 settembre quest’anno sa di partenza e ripartenza. È il giorno prima del mio trasferimento a Roma, che mi porterà a lasciare UniVersoMe e a non raccogliere la semina in prima persona. Allo stesso tempo, però, è il giorno della ripartenza della grande macchina che è UniVersoMe, e di tutte le persone che ci stanno dietro e che in questo anno hanno lavorato come pazzi per fare in modo che gli ingranaggi fossero ben oliati.

Ho deciso che questa non sarà una lettera d’addio, e neanche un vero e proprio album di ricordi. Vorrei piuttosto che fosse un invito quanto più sincero alla ricerca costante della verità, che è ciò che dovrebbe muovere i giornalisti sopra qualsiasi altra cosa. L’UVM dei miei sogni è catalizzatore di dibattiti all’interno del nostro/vostro Ateneo. Dibattiti come quello dello scorso 12 maggio con i candidati e le candidate al Senato Accademico, dibattiti come quelli che concludevano le date del nostro cineforum alla Multisala Iris della scorsa primavera. Per UniVersoMe questo sarà l’anno del giro di boa, in cui si capirà davvero se fare tabula rasa sia stata la via giusta.

E a te che ci leggi chiedo di continuare a farlo, per sostenere l’attività di studenti e studentesse che cercano quanto più possibile di portare avanti un lavoro trasparente, corretto e professionale. E quindi, dove andremo a finire? Il giornale e la radio saranno ancora qua, sempre qua, e dal 22 settembre le attività ricominceranno a pieno ritmo. Per me, invece, è il momento di fare un passo indietro e godermi lo spettacolo da fuori… ma continuerete a vederne delle belle!

sempre vostra
Giulia Cavallaro

Non ce ne facciate una colpa


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Che i giovani siano una risorsa importante non lo scopriamo certo oggi, o almeno non noi.
È infatti un argomento quanto mai d’attualità il fenomeno migratorio che vede giovani di tutte le età abbandonare il Belpaese in favore di realtà molto più solide, sicure, e con una prospettiva ben migliore di quella italiana.
In parole spicciole, stiamo parlando della tanto decantata “fuga di cervelli” ormai sempre più sulla bocca di politici e giornalisti, all’ordine del giorno di talk show ed indagini statistiche, oggetto di libri e film.

La questione periodicamente balza agli onori della cronaca per differenti motivi: talvolta per screditare i giovani che vanno via disprezzando il proprio Paese, quasi a far loro una colpa della propria scelta di cercare altrove quello che non trovano nel paese che ha dato loro i natali; talvolta per criticare sterilmente lo Stato, dando adito al miglior luogo comune secondo cui l’Italia altro non sia che un paese vecchio (lungi da me dire che non è vero, salve rare e preziose eccezioni), tuttavia senza mai aprire un serio dibattito su cosa sia meglio per i ragazzi ormai sul piede di partenza.

Spesso, invece, sembra quasi che ci si vanti del fatto che i giovani italiani non riescano a trovare fortuna a casa propria; è il caso di tutta quella serie di trafiletti di giornale che leggete una volta a settimana sui quotidiani nazionali: “Giovane ricercatrice italiana trova la cura contro malattia X. La dottoressa, scartata dagli ospedali italiani, è stata valorizzata all’estero dove è considerata un luminare della ricerca scientifica”.
Questo, sempre in riferimento alla seconda alternativa che si trova alla fuga dei giovani: incolpare lo Stato, incassare la vittoria esterna, far cadere tutto nel dimenticatoio, cercare la prossima fonte di indignazione generale.
Tolto che ci sono tanti giovani che riescono ad affermarsi e a migliorare il proprio paese, l’articolo si ripropone di analizzare chi invece non ha avuto, non ha, o non avrà questa fortuna.

Ho sentito tante opinioni in merito alla questione, forse la più curiosa l’avrete trovata anche voi sui social: “Se il trasferimento di Gonzalo Higuaìn alla Juventus è stato più oneroso dei costi della ricerca scientifica italiana, questo riflette il paese in cui viviamo”. Wow, d’impatto. Grazie a Dio lo Stato non finanzia le società calcistiche, l’indignazione sarebbe stata la medesima? In parte, come sempre.

Nelle ultime settimane, tuttavia, se il tema è tornato in auge, è per le parole di Raffaele Cantone.
Il magistrato italiano, Presidente dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione), due settimane fa era presente al convegno nazionale dei responsabili amministrativi delle università, tenutosi a Firenze, dove ha espresso la propria preoccupazione in merito alla fuga dei cervelli italiana, a suo dire condizionata dalla corruzione che imperversa negli atenei del Belpaese.
Lo stesso Cantone, nel medesimo appuntamento, si è soffermato sul caso dell’Ateneo di Bari, dove per mantenere la parentopoli, vi è stato il caso dell’istituzione di una cattedra di diritto pubblico in una facoltà letteraria, e al contempo quella di storia greca in una facoltà giuridica, così, giusto per trovare l’escamotage giusto e far contenti tutti.

Anche l’opinione pubblica ha spesso espresso contrarietà per le procedure dei concorsi: sono infatti innumerevoli gli scandali che concernono i test di medicina (il nostro editoriale a riguardo: https://www.universome.unime.it/editoriale/gutta-cavat-lapidem.html); e vari concorsi banditi dalle università italiane che già conoscono il futuro, fortunato, vincitore.

Tuttavia, i motivi che spingono i giovani ad abbandonare l’Italia sono tanti, ed è difficile trovare una specifica causa scatenante.
Parentopoli, scandali nelle università, concorsi truccati, sono solo un piccolo (grande) tassello in un puzzle infinito.

La Fondazione Migrantes, nell’annuale rapporto “Italiani nel mondo”, ha potuto constatare quanto sia aumentata la percentuale di italiani che hanno lasciato il paese: +3,7% in un anno, per quasi 5 milioni di residenti all’estero. Come se tutta la Sicilia si fosse trasferita, per intenderci.

Le ragioni, come già detto, sono innumerevoli: piccoli imprenditori che non hanno modo di sviluppare un’idea in Italia, studenti stanchi di strapagare i propri Atenei a fronte di preparazioni e servizi sotto la media e di un job placement pressoché inesistente, la difficoltà di lavorare per potersi mantenere gli studi, l’ambizione.

L’ambizione forse è il motivo più importante. Ce l’hanno detto in tutti i modi, a volte ce lo consigliano i nostri stessi professori e familiari: se hai ambizioni importanti, devi andar via da qua e trovare chi davvero possa valorizzarti.
Luogo comune che però affonda le radici in un fondo di verità: l’esempio dell’Inghilterra, in cui vi è una grandissima percentuale di studenti lavoratori, dovrebbe essere d’insegnamento a tutti, soprattutto a noi.
Non solo: università che investono sui ragazzi, che danno la possibilità anche ai meno abbienti di poter accedere ai più disparati corsi di laurea ed aspirare ad un titolo di studio realmente spendibile, con una serie di finanziamenti e di prestiti.
E questo è solo uno dei tanti casi elencabili in Europa e nel mondo.

Non è un luogo comune né tantomeno una lamentela senza senso: l’Italia, purtroppo, non è un paese per giovani.
Cercatene la soluzione, continuate ad analizzare dati sterili e senza voce, continuate ad incolpare i sistemi che più vi fanno comodo. Fatelo, ma non ce ne facciate una colpa.

Alessio Micalizzi