Ad una settimana dal voto: cosa succede adesso?

Ad appena una settimana dai risultati delle Parlamentari che hanno visto trionfare il partito della leader Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, vi proponiamo alcune considerazioni a caldo su quello che potrà essere – o non essere – il futuro del nuovo governo.

FdI a capo della coalizione

Con il 26% dei voti espressi, il partito della coalizione di centrodestra da solo ha riscosso più di quanto sia riuscito ad ottenere la coalizione di centrosinistra intera. Nessun dubbio sulla vittoria della Meloni sin da subito, nonostante i sondaggi avessero previsto una percentuale di voti nettamente inferiore. Tuttavia, si è anche trattato delle elezioni con la più bassa affluenza nella storia italiana, con poco meno del 64% degli aventi il diritto.

Adesso la leader si prepara a governare come prima Presidente del Consiglio donna, avendo già chiarito – la stessa notte degli spogli elettorali – di voler prendere la guida del futuro esecutivo, accompagnata da Matteo Salvini (Lega) e Silvio Berlusconi (Forza Italia).

Se dovesse riuscire a formare il governo, ha detto, la priorità sarebbe quella dell’energia: fermare la speculazione sul gas. E farlo non senza un aperto dialogo col Premier uscente, Mario Draghi, che si starebbe occupando di una relazione sul Piano Nazionale al fine di garantire una transizione chiara e ordinata, senza lavori incompiuti.

Sulla linea da seguire per la scelta dei suoi ministri, la Meloni si mantiene comunque cauta: le prime ipotesi sarebbero quelle di un governo formato anche da esperti non parlamentari, ma non sono ancora usciti i nomi per Economia, Esteri e Interno, ossia tre dei più importanti ministeri. Certo è che, nel trambusto generale creatosi con queste elezioni, la linea del silenzio scelta dalla leader di FdI risulta saggia, soprattutto adesso che la scena non solo nazionale, ma anche internazionale, guarda al futuro del Paese con non poca perplessità.

E sono molti i timori che, non infondatamente, si sollevano in questi giorni. Al di là delle accuse di fascismo, che vanno sempre e comunque affrontate nella sede adeguata, ci si chiede seriamente se un governo guidato da Fratelli d’Italia possa rappresentare il pettine destinato a sciogliere alcuni dei nodi principali dell’Italia. C’è chi ne dubita fortemente, ma anche chi ripone immensa fiducia in una formazione scelta, dopo molti anni, dal popolo.

Se non per altro, appunto perché l’ha voluto il popolo. Non resta che vedere se la coalizione riuscirà a mantenere quanto promesso nei recentissimi anni oppure se, secondo la normale tendenza del nostro sistema politico, sarà destinato ad aver vita breve. A quel punto, quante sarebbero le possibilità di trovare una nuova formazione governativa che metta d’accordo tutti?

In Parlamento sempre meno donne

Una cosa è certa: la rappresentanza formata da donne in Parlamento è nettamente calata rispetto alle elezioni del 2018, scendendo da un 35% al 31%. Non stupisce il dato: infatti, i due partiti che hanno riscontrato più voti (FdI e Partito Democratico) sono anche quelli che hanno presentato le percentuali minori di capolista donne a questo giro di elezioni, rispettivamente col 32,3% e il 36,6%. (Pagella Politica).

Molto male per un partito come il PD, che della parità di genere ha fatto un bastione della propria campagna elettorale.

Tempo di riflessione per il centrosinistra

Dopo la schiacciante sconfitta, per la coalizione di centrosinistra è arrivato il momento di riflettere: lo spiega Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna e membro del Partito Democratico.

Il problema del Pd non sta nel nome o nel simbolo, ma nella capacità di rappresentare le persone e costruire un progetto coerente e credibile per gli obiettivi per cui è nato: dare diritti a chi ne ha di meno, realizzare una transizione ecologica che tenga insieme le ragioni dell’ambiente con quelle del lavoro, costruire un’Italia più moderna, più forte e più giusta.

Anche il segretario di Azione, Carlo Calenda, ha commentato i risultati elettorali: «Nel dibattito surreale su cosa debba fare la sinistra per rappresentare i più deboli si dimenticano le basi: la ricostruzione del welfare, a partire da istruzione e sanità».

Intanto, il segretario del PD Enrico Letta ha espresso negli ultimi giorni l’intenzione di non ricandidarsi a segretario del partito, pur volendolo in una certa misura “rifondare”. Infatti, in una lettera inviata a tutti i militanti, ha annunciato le quattro tappe del percorso necessario alla rifondazione del partito, che partirebbe dalla ridefinizione di aspetti quali «l’identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l’organizzazione». In sostanza, alcuni ritengono che Letta sia sulla strada per mettersi alla guida di un nuovo partito.

I passi successivi

La prossima data importante sarà il 13 ottobre, quando Camera e Senato si riuniranno per decidere i primi atti importanti: i rispettivi presidenti. Dopodiché, da lì alla formazione del nuovo governo potrebbe passare una relativa quantità di tempo, forse anche mesi. Dopotutto, a fronte delle precedenti elezioni tenutesi nel marzo 2018, il governo Conte I si insediò solamente nel giugno dello stesso anno.

La parola spetterà al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che avvierà le consultazioni e dovrà affidare l’incarico (probabilmente a Giorgia Meloni) per la formazione del nuovo esecutivo. Se l’incarico dovesse essere affidato con riserva, il presidente incaricato dovrà a sua volta svolgere delle consultazioni che lo porteranno a definire la lista dei propri ministri; in assenza, sarà costretto a rinunciare.

Se ciò dovesse verificarsi, il Capo dello Stato potrà affidare un incarico esplorativo a una personalità terza per vedere se si potrà dar vita ad una nuova maggioranza.

Da ultimo, entro 10 giorni dalla formazione, il nuovo Governo dovrà chiedere e ottenere la fiducia dai due rami del Parlamento. Se l’incarico dovesse spettare alla Meloni non vi sono molti dubbi sui numeri per raggiungere la fiducia – ma ancora, si parla di un futuro ipotetico ancora tutto da vedere e che potrebbe riservare altre sorprese. Ottenuta la fiducia, l’Esecutivo entrerà nel pieno dei propri poteri e potrà cominciare a definire l’indirizzo politico del Paese.

Valeria Bonaccorso

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Giovanni Giolitti

Nuova puntata del filone sui parlamentari italiani eletti a Messina: oggi ripercorriamo le tappe salienti della vita di Giovanni Giolitti, il più celebre Presidente del Consiglio dell’età monarchica pre-fascista. In occasione delle elezioni per la XXIII legislatura si candidò nei collegi “Messina I” e “Messina II”, nei quali risultò eletto il 7 marzo 1909.

Come nel caso di Francesco Crispi, anche Giolitti utilizzò lo strumento della pluricandidatura, candidandosi anche nel suo storico collegio di Dronero (Cuneo). Risultando eletto anche in quest’ultimo, rinunciò all’elezione nei collegi messinesi; in entrambi si tennero le elezioni suppletive, che videro trionfare Lodovico Fulci (Messina I) e Rosario Cutrufelli (Messina II).

Le origini e la gioventù

Giovanni Giolitti nasce a Mondovì, in provincia di Cuneo, il 27 ottobre del 1842.

In seguito a qualche problema di salute Giolitti -orfano di padre- si trasferisce con la madre in montagna presso l’abitazione del nonno paterno a San Damiano Macra in Valle Maira.

La carriera scolastica del giovane è contraddistinta da scarsa disciplina e poco applicazione come egli stesso racconterà  -“il meglio del tempo passato lassù sui monti lo spesi a giocare e a rinforzarmi la salute”-. Giolitti non ama studiare la matematica né tantomeno la grammatica greca e latina ma si appassiona non poco alla Storia e alla lettura dei romanzi di Walter Scott e Honoré de Balzac.

Successivamente si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell” Università degli Studi di Torino e consegue la laurea a soli 19 anni, grazie ad una deroga del Rettore che gli permette di svolgere gli ultimi  tre anni in uno solo.

Ritratto di Giovanni Giolitti – Fonte: wikipedia.org

Attività politica: gli inizi

Grazie ad un parente deputato nel 1848, Giolitti conosce Michelangelo Castelli segretario di Cavour. Con lui partecipa a lunghe passeggiate sotto i portici di Piazza Castello, alle quali spesso partecipa lo stesso Cavour.

Giolitti non sembra interessato ai discorsi riguardo le vicende risorgimentali ne tantomeno viene colpito dalla “chiamata” di Vittorio Emanuele II, che spinge molti suoi coetanei ad arruolarsi e partecipare alla Seconda Guerra di Indipendenza nel 1859.

Nel 1962 comincia a lavorare al Ministero di Grazie e Giustizia, riceve una nomina alla Corte dei conti nel ’77 e poi nel 1982 al Consiglio di Stato su invito di Depretis. Sempre nel 1982 si candida alla Camera dei deputati e viene eletto a Cuneo.

La Presidenza del Consiglio e lo scandalo della Banca Romana

Da parlamentare, Giolitti segue con particolare interesse la politica finanziaria e critica più volte l’operato del ministro del Tesoro Magliani; così, quando lo stesso Magliani si dimette nel 1989, Giolitti lo sostituisce diventando il leader del partito delle economie nella sinistra liberale. Questa esperienza lo mette particolarmente in luce agli occhi del re, tanto da far cadere la scelta su Giolitti come Presidente del Consiglio dopo la caduta del governo di Rudinì.

La fine della sua presidenza è causata dallo scandalo della Banca Romana. Un Comitato di parlamentari accusa Giolitti di irregolarità commesse quando ricopriva il ruolo di ministro del Tesoro; gli atti d’accusa vengono archiviati nel 1895, ma Giolitti, per evitare un probabile arresto, si trasferisce qualche mese prima in Germania.

Vignetta della rivista “L’asino” – Fonte: donadoniblog.wordpress.com

L’età giolittiana

Con l’inizio del nuovo secolo Giolitti occupa un posto di grande rilievo nella scena politica italiana. Ricopre il ruolo di ministro degli Interni durante il governo Zanardelli ( 1901-1903) e ne ispira la politica governativa; successivamente diventa Presidente del Consiglio dei Ministri per tre ministeri fino al 1914, interrotti solo dai gabinetti Tittoni, Fortis e Sonnino e da quelli Sonnino e Luzzati.

La politica di Giolitti è orientata verso un “ordinato progresso civile”, accentua il carattere liberale della linea governativa, ponendo lo Stato in posizione neutrale nei conflitti del lavoro. In ambito puramente economico sostiene -con un cauto protezionismo- lo sviluppo dell’ industria.

Giolitti viene aspramente criticato dalla sinistra per la politica meridionale, infatti, il protezionismo sul grano favoriva non poco il sistema latifondista. Nel 1909 Gaetano Salvemini etichetta Giolitti “ministro della mala vita“, per criticarne la spregiudicata prassi elettoralista.

Ad appoggiare fortemente Giolitti sono il socialismo riformista, alcuni settori intellettuali- specialmente Croce- e ampi strati della nuova borghesia. Questo gli permette di costruire un articolato sistema di potere che entrerà in crisi solo verso la fine del decennio a causa delle grandi trasformazioni sociali.

In particolare il movimento operaio comincia a pretendere un serio coinvolgimento nel potere e allo stesso tempo i cattolici rivendicano una presenza non più marginale nello Stato.

Nonostante l’accordo elettorale con i cattolici (patto Gentiloni) del 1913 , la nuova composizione della Camera non gli permette più liberta di manovra; per questo decide di dimettersi nel 1914.

Giovanni Giolitti- Fonte: wikipedia.org

Gli ultimi incarichi e la morte

Da Neutralista convinto quale era rimane ai margini della politica durante il periodo bellico, ma viene richiamato a formare un governo nel 1920. La situazione socio-politica del paese era prfondamente mutata e questo rende praticamente impossibile in quanto obsoleta l’attuazione della tradizionale mediazione giolittiana.

Dopo una nuova sconfitta elettorale nel 1921 rassegna le dimissioni, anche se come depuatato liberale fa parte dell’opposizione a Mussolini nel 1924.

Colpito da broncopolmonite nel 1928, muore dopo una settimana di agonia a Cavour.

Il nipote Antonio Giolitti -futuro partigiano e politico tra le fila del PCI- riguardo la morte del nonno racconterà: “Lui giaceva su un grande letto di ferro, ci benedisse. Fuori c’era una gazzara di giovani fascisti che stazionavano sotto la finestra, in attesa: quel vecchiaccio non si decide a morire“.

 

 

  Emanuele Paleologo

 

Fonti: 

wikipedia.org/wiki/Giovanni_Giolitti

treccani.it/enciclopedia/giovanni-giolitti

 

 

 

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Francesco Crispi

Torna il filone legato ai Parlamentari d’Italia eletti a Messina con il primo Presidente del Consiglio meridionale della storia del Regno: il siciliano Francesco Crispi, candidato ed eletto nel collegio plurinominale (sono eletti diversi -non soltanto uno- candidati) di Messina alle elezioni della XVII legislatura, il 23 novembe 1890.

Come succede ancora oggi con il meccanismo delle pluricandidature, l’allora Presidente del Consiglio fu eletto anche in altri quattro collegi siciliani -tra cui quello di Palermo-; per questo motivo qualche mese dopo a Messina si svolsero le elezioni suppletive, vinte da Ernesto Cianciolo, deputato della città dello Stretto dalla XVII alla XX legislatura.

Origini e gioventù

Francesco Crispi nasce nel 1818 a Ribera, paese nei pressi di Agrigento, da una famiglia di origini albanesi. Il nonno Francesco era di Palazzo Adriano, cittadina costruita alla fine del XV secolo da esuli albanesi in fuga dai turco-ottomani.

Nel 1829 Crispi diventa alunno del famoso seminario italo-albanese di Palermo; durante questo periodo -grazie alla supervisione del cugino Giuseppe, rettore del seminario- riceve una formazione prettamente classica e si appassiona fortemente alla Storia.

Dopo qualche anno si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo e qualche anno dopo conosce Rosina D’Angelo, sua futura moglie.

Nel 1839 una tragedia scuote la vita di Crispi: la moglie -già madre della prima figlia Giuseppa- muore poco dopo aver dato alla luce il secondogenito Tomasso, che sarebbe morto qualche giorno dopo essere nato; nel mese di dicembre dello stesso anno anche Giuseppa perde la vita.

Qualche mese prima della grave tragedia familiare, Crispi aveva fondato un giornale, “L’Oreteo”; tramite questa esperienza era entrato a contatto con il mondo politico del tempo e, soprattutto, con gli ambienti antiborbonici.

Dopo aver conseguito la laurea nel 1843, tenta l’avvocatura a Napoli, considerata a quel tempo tra le città più liberali della penisola.

L’elezione di papa Pio IX (1846) aveva fatto crescere il fermento negli ambienti liberali e rivoluzionari  di cui faceva parte Crispi, tantochè nel 1847 viene mandato a Palermo per organizzare -appunto- la rivoluzione in Sicilia.

Francesco Crispi- Fonte: agi.it

La rivoluzione siciliana

La sommossa contro i Borboni scoppia il 12 gennaio del 1948 ed il governo provvisorio, presieduto da Ruggero Settimo, assegna a Crispi la guida del Comitato della Difesa.

Dopo i primi successi in campo militare, i comitati vengono riorganizzati diventando una sorta di ministeri provvisori e Crispi viene posto al comando del comitato di “Guerra e Marina”.

Contestualmente fonda il suo secondo giornale, chiamato “L’Apostolato, per esprimere le proprie tesi riguardo il futuro prossimo dell’Isola. Crispi sosteneva che la soluzione migliore sarebbe stata quella federale e sottolineava l’importanza di dare una base legale alla rivoluzione siciliana; in tal senso propone il ripristino della vecchia Costituzione siciliana del 1812.

Queste posizioni, che abbracciavano una svolta federalista, creano non pochi attriti tra Crispi e i componenti dei comitati rivoluzionari, fautori di una soluzione totalmente indipendentista.

Il 29 marzo del 1849 i Borboni sferrano un nuovo attacco per reimpossessarsi della Sicilia. I comitati rivoluzionari  -a causa di numerose spaccature interne- si fanno trovare impreparati ed il 14 aprile l’ammiraglio Baudin offre, a nome del governo francese, una mediazione per la pace;  la Camera siciliana è fondamentalmente costretta ad accettare, viste le pesanti sconfitte militari subite.

Crispi amareggiato e contrario alla pace si imbarca su una nave diretta a Marsiglia, lasciando provvisoriamente la Sicilia.

Francesco Crispi (1818-1901) a metà ottocento – Fonte: wikipedia.org

La spedizione dei Mille  e la svolta “unitaria “

Dopo aver girovagato per l’ Europa, tra Piemonte, Malta e Londra, Crispi intensifica la sua corrispondenza con Mazzini e con altri esuli di parte democratica; questo lo porta ad abbandonare l’ideale dell’autonomismo siciliano ed ad abbracciare la soluzione unitaria.

Nel 1860 contribuisce significativamente a convincere Garibaldi riguardo la spedizione dei Mille: Crispi è -difatti- la mente politica della spedizione, sia per la sua esperienza da amministratore sia per la sua idea di ritardare l’annessione dei territori conquistati fino alla liberazione di Roma e Venezia.

Proclamata l’Unità, viene eletto alla Camera dei deputati; inizialmente tra le fila dei mazziniani, successivamente aderisce alla Sinistra storica, ritenendo ormai la Monarchia unica garanzia di unità. Con la caduta della Destra storica diventa Presidente della Camera (1876) e, successivamente, Ministro degli Interni (1877), carica da cui si dimette per l’accusa di bigamia, avendo sposato Lina Barbagallo nel ’78 e Rosalia Montmasson nel ’54 a Malta.

La “spedizione dei Mille” in un celebre quadro di Guttuso – Fonte: quotidiano.net

Gli ultimi incarichi e la morte

Torna al Ministero degli Interni nel 1887 nel governo di Depretis, al quale succede poco dopo come Presidente del Consiglio. Al governo sostiene la Triplice Alleanza e combatte fortemente la Francia; inoltre è promotore dell’espansione coloniale italiana in Etiopia (trattato di Uccialli del 1889), rivelatasi fallimentare in seguito alla pesante disfatta di Adua.

Mosso da una forte considerazione di sè e dell’ Italia, ma racchiuso dentro ideali ormai in via di superamento, Crispi esaurisce le sue forze in vani conati di grandezza, anticipando, in un certo senso, motivi ripresi successivamente dal nazionalismo e dal fascismo.

Muore a Napoli ad 83 anni nel 1901, dopo anni di sofferenze e gravi problemi alla vista.

 

                                                                                                                                                   Emanuele Paleologo

Fonti:

it.wikipedia.org

treccani.it

dati.camera.it/apps/elezioni