La cultura in un mondo sempre più mediatico

Nel panorama del nuovo millennio, l’approccio alla cultura è cambiato radicalmente. Siamo passati da un’epoca in cui i libri e i dizionari erano considerati i fondamenti della conoscenza a un’era in cui la possibilità di accedere a informazioni è a portata di click.

Internet, con la sua vasta rete di dati e accessori, ha rivoluzionato il modo in cui apprendiamo, comunichiamo e interagiamo con l’esterno.

Tuttavia, questa traslazione non è priva di contro e pone una serie di interrogativi riguardo alla nostra capacità di riflessione critica, alla nostra pazienza e alla nostra felicità in un contesto mediatico così frenetico.

La cultura della superficialità

La cultura del “tutto e subito” ci ha portato a sviluppare abitudini che premiano la superficialità a scapito della profondità.

La lettura di articoli brevi e post sui social media ha sostituito la lettura approfondita di saggi e libri. Ciò non solo limita la nostra capacità di sviluppare un pensiero critico, ma riduce anche il nostro tempo di riflessione. Siamo sempre più portati a consumare contenuti in modo rapido, ma raramente ci fermiamo a riflettere su ciò che abbiamo appena appreso.
Un grande studioso, Zgmunt Bauman, dedicò gran parte dei suoi testi alla modernità, denominandola, in più occasioni, come “liquida”: nelle relazioni, nelle interazioni, nel modo di vivere, nella ricerca. Non siamo più abituati ad aspettare, non conosciamo la virtù della pazienza, ma ricerchiamo costantemente qualcosa che sia immediato.
Le conseguenze di questa cultura della superficialità sono evidenti. Il nostro modo di apprendere è diventato reattivo piuttosto che attivo. Ci muoviamo da un argomento all’altro, raccogliendo frammenti di informazioni che raramente vengono integrati in un contesto più ampio.

Questo approccio alla conoscenza non solo impoverisce la nostra comprensione del mondo, ma mette in discussione anche la nostra capacità di pensare in modo critico.

Riflessione critica e capacità di attesa

La riflessione critica è uno dei pilastri fondamentali della cultura. Ci consente di analizzare, valutare e soppesare ciò che apprendiamo e ci guida verso decisioni più informate.

Ma in un’epoca in cui l’informazione è sempre a disposizione, ci chiediamo: sappiamo ancora riflettere? Siamo in grado di attendere il momento giusto per ottenere risultati significativi?
Il mondo moderno sembra premiare la velocità, a discapito di una reale analisi di ciò che si trova dietro ai nostri occhi, dietro lo schermo del pc spesso dimentichiamo che si nasconda la “vita vera”.
La pressione per produrre risultati immediati ha colpito molti aspetti delle nostre vite, dall’educazione al lavoro, passando per le relazioni.

Nei social media, il “like” e il feedback immediato sono diventati la misura del successo, spingendoci a cercare gratificazioni rapide piuttosto che impegnarci in processi più lenti ma gratificanti.
Questa corsa contro il tempo ha un impatto negativo sulla nostra capacità di riflessione. Ciò che un tempo richiedeva giorni o settimane di studio e analisi può ora essere sintetizzato in un articolo veloce o in un video di pochi minuti.

La domanda cruciale è: stiamo veramente comprendendo ciò che apprendiamo, oppure stiamo semplicemente accumulando informazioni senza mai integrarli in un quadro più ampio?

La felicità in un mondo mediatico

Un altro interrogativo che emerge dalla nostra nuova realtà culturale è se, in fin dei conti, ripetere comportamenti superficiali e affrettati ci renda realmente felici.

I social media, che promettono connessione e interazione, possono spesso portare a sentimenti di isolamento e insoddisfazione.
Molti utenti si trovano a confrontarsi quotidianamente con versioni idealizzate della vita degli altri, il che può generare sentimenti di inadeguatezza e depressione.
La pervasività dei media e della tecnologia ha cambiato radicalmente il nostro modo di percepire la felicità. Le gratificazioni immediate e la ricerca incessante di “likes” e approvazioni sociali hanno spostato il nostro senso di valore e autostima. Questo non è solo un problema individuale, ma anche sociale: stiamo vivendo in un’epoca in cui la salute mentale e il benessere sono messi a dura prova da aspettative irrealistiche e dalla pressione costante di essere sempre “online”.

La ricerca di un nuovo wquilibrio

In questo contesto così complesso, diventa essenziale cercare un nuovo equilibrio. Dobbiamo imparare a reintrodurre la riflessione critica nelle nostre vite e a riscoprire la pazienza come valore.
Ciò implica anche una rivalutazione del nostro approccio alla conoscenza e dell’importanza di investire tempo per comprendere e interiorizzare ciò che apprendiamo.
Le istituzioni educative hanno un ruolo cruciale in questo processo. Cambiando il modo in cui insegnano, possono incoraggiare gli studenti a pensare in modo critico, a ricercare informazioni di qualità e a rispettare il processo di rappresentazione della conoscenza. Solo così possiamo sperare di alleviare le conseguenze negative della nostra cultura della superficialità e trovare un equilibrio salutare tra informazione e riflessione.

Conclusione

La cultura non è solo accumulo di informazioni, ma è anche e soprattutto un atto di conoscenza profonda, di amore per la verità e di ricerca nel continuo dialogo con il mondo.
Dovremmo iniziare ad interrogarci e porci una semplice domanda: siamo noi i padroni della nostra conoscenza oppure è la stessa rete a veicolarci?

Lo abbiamo visto grazie all’intelligenza artificiale, che giorno dopo giorno, sta andando a sostituirsi all’essere umano nei più svariati contesti: viene lecito chiedersi se prima o poi non verremmo soppressi noi stessi da questa modernità.

Fonti: https://www.eolo.it/home/blog/giovani-e-internet.html

Zygmunt Bauman, Modernità liquida (1990) 

Il paradosso della felicità

Materialismo, possesso e conseguente felicità da sempre costituiscono per l’uomo l’apparente soluzione ai problemi esistenziali che il quotidiano pone.

Lo studio ventennale del Dr. Thomas Gilovich, professore di psicologia alla Cornell University, ha raggiunto una conclusione certa: non spendere soldi in beni materiali poichè l’appagamento che forniscono sfuma rapidamente.

Ci abituiamo prestissimo ai nuovi oggetti che possediamo; per questo ciò che prima pareva essere eccitante e rapprensentare una novità nella nostra vita finisce per diventare parte della monotonia antagonista della felicità.

I nuovi acquisti generano nuove aspettative che ci pongono in continua ricerca di qualcosa.

“Uno dei nemici della felicità è l’adattamento”, ha detto Gilovich. “Compriamo cose per renderci felici e ci riusciamo. Ma solo per un po’. All’inizio le cose nuove sono eccitanti, ma poi ci adattiamo a loro”.

Il possesso, per natura, favorisce i confronti con ciò che l’altro ha.

La condivisone, l’empatia ed il dono , ormai fuori moda, rimangono le chiavi per il raggiungimento di una felicità piena.

Gilovich e altri ricercatori hanno evidenziato nel loro studio che le esperienze, per quanto possano essere fugaci, offrono felicità più duratura del possesso materiale.

Le esperienze plasmano la nostra identità; non siamo quello che possediamo, siamo tutto ciò che abbiamo visto, tutto ciò che emozionandoci ci ha comunicato qualcosa, tutto ciò che ci arricchisce: un film, un tramonto, una lettura, un sorriso, uno sguardo, un’amicizia, un amore.

Gilovich, continuando, ha effermato: “Le nostre esperienze sono una parte più grande di noi stessi rispetto ai nostri beni materiali”.

“Puoi davvero apprezzare le tue cose materiali, puoi persino pensare che parte della tua identità sia connessa a quelle cose, ma rimangono comunque separate da te, al contrario, le tue esperienze sono davvero parte di te.

Siamo la somma totale delle nostre esperienze”.

Gilovich ha anche analizzato l’attesa e ha scoperto che un’esperienza suscita eccitazione e divertimento, mentre l’attesa di ottenere un possesso di un bene provoca impazienza.

Le esperienze sono piacevoli dai primi momenti della pianificazione fino ai ricordi che amerai per sempre.

La felicità materiale effimera e fugace evapora velocemente lasciandoci vuoti.

Per essere felici riempiamo la nostra vita di momenti ed esperienze che rapiscano il nostro cuore, che ci facciano stupire della vita e producano ricordi emotivi facendoci brillare gli occhi.

Smettiamola di esistere, viviamo!

Antonio Mulone