Alla scoperta del Demone di LaPlace: colui che prevede il futuro

Nell’introduzione al suo Essai philosophique sur les probabilités del 1814, Pierre-Simon Laplace estese un’idea di Gottfried Leibniz che divenne famoso come Demone di Laplace. La definizione locus classicus di rigoroso determinismo fisico, con il suo unico possibile futuro.

Laplace disse:

“Possiamo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che a un certo momento conoscerebbe tutte le forze che mettono in moto la natura e tutte le posizioni di tutti gli elementi di cui la natura è composto, se questo intelletto fosse anche abbastanza vasto da sottoporre questi dati all’analisi, abbraccerebbe in un’unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell’universo e quelli del più piccolo atomo; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto e il futuro proprio come il passato sarebbe presente davanti ai suoi occhi “.

Laplace postula una superintelligenza (il demone) che potrebbe conoscere le posizioni, le velocità e le forze su tutte le particelle dell’universo contemporaneamente, e quindi conoscere l’universo per tutti i tempi.

Quindi suppone che ogni particella segue esattamente una legge deterministica (classica) del moto. Se ottieni abbastanza informazioni, puoi effettivamente calcolare tutto il futuro che accadrà a questa particella. Per un sistema macroscopico costituito da un numero enorme di particelle, in teoria è possibile calcolare il destino di ogni singola particella e quindi fare previsioni valide per l’intero sistema.

Le critiche

Il concetto è stato criticato per la grande quantità di informazioni che sarebbero richieste, impraticabili se non impossibili da raccogliere istantaneamente. E dove sarebbero conservate le informazioni? Servirebbe in qualche parte dell’universo un regresso infinito per la memorizzazione delle informazioni.

Esperimento mentale

Immaginiamo l’esercizio come puramente mentale, che coinvolge solo l’idea di tale conoscenza. Possiamo vedere il demone come un sostituto secolare di un Dio onnisciente con perfetta preconoscenza.

Il punto di vista di Laplace implica che il passato e il presente contengono sempre esattamente la stessa conoscenza. Questo rende l’informazione una costante della natura. In effetti, alcuni matematici pensano che l’informazione sia una quantità conservata (la linea blu nella figura), come la conservazione della massa e dell’energia.

Rappresentazione visiva del punto di vista di LaPlace – ©Jacopo Burgio

Irreversibilità dell’entropia

Tuttavia, a metà del XIX secolo, Lord Kelvin (William Thomson) si rese conto che la seconda legge della termodinamica appena scoperta richiedeva che le informazioni non potessero essere costanti, ma sarebbero state distrutte con l’aumento irreversibile dell’entropia (disordine). Hermann Helmholtz l’ha descritta come la morte termica dell’universo.

In termini classici, non è che il destino del sistema non sia predeterminato, è principalmente perché abbiamo bisogno di una grande quantità di informazioni per fare i conti e questo semplicemente non è possibile per tutti gli scopi pratici (FAPP). Quindi dobbiamo omettere alcune informazioni.

I fisici, incluso Ludwig Boltzmann, descrissero l’entropia come “informazione persa“, sebbene molti matematici pensassero che le informazioni perse potessero essere recuperate (ad esempio, invertendo il tempo).

Rappresentazione visiva del punto di vista di Lord Kelvin – ©Jacopo Burgio

 

L’affermazione di Kelvin sarebbe corretta se l’universo fosse un sistema chiuso. Ma nel nostro universo aperto e in espansione, David Layzer ha mostrato che la massima entropia possibile aumenta più velocemente dell’entropia effettiva. La differenza tra la massima entropia possibile e l’entropia attuale è chiamata entropia negativa, aprendo la possibilità a strutture informative complesse e stabili.

Rappresentazione visiva del punto di vista di David Layzer – ©Jacopo Burgio

Indeterminazione Quantistica

A causa della sua assunzione canonica di determinismo , il demone di Laplace è incompatibile con l’interpretazione di Copenaghen , che prevede l’indeterminatezza.

Quindi ora possiamo dedurre che un Demone Laplace è impossibile, e per due ragioni distinte. La prima è che la fisica quantistica moderna è intrinsecamente indeterministica. Il futuro è solo probabilistico, sebbene possa essere “adeguatamente determinato“.

La seconda è che non ci sono abbastanza informazioni nel passato (nessuna nell’universo primordiale) per determinare il presente. Il “passato fisso” e le “leggi della naturanon predeterminano nulla. Allo stesso modo, le informazioni al momento attuale non determinano il futuro. Il futuro è aperto. Dobbiamo crearlo.

Ne consegue che il determinismo, l’idea filosofica secondo cui ogni evento o stato di cose, comprese ogni decisione e azione umana, è la conseguenza ineluttabile e necessaria di stati di cose antecedenti, non è vero.

Più precisamente, il determinismo, o la determinazione da alcuni eventi precedenti come cause, dovrebbe essere distinto dal predeterminismo del tempo di Laplace, l’idea che l’intero passato (così come il futuro) fosse determinato all’origine dell’universo.

Teoria del caos

Il ponte è probabilmente la teoria deterministica del caos. Come in questa teoria, qualsiasi incertezza nella condizione iniziale si gonfierà così rapidamente che ci perderemo completamente in breve tempo.

Per analogia, consideriamo un piccolo pezzo di sale il cui volume rappresenta le incertezze nella condizione iniziale, l’evoluzione di tale incertezza nel tempo. Se lo metto in acqua, rapidamente si dissolve e si mescola così finemente con il vasto volume d’acqua che non sai dire esattamente quale e quale, quindi devi ammettere che l’incertezza si è diffusa ovunque e ora tutta l’acqua è incerta. Questo è il cosiddetto “topologicamente misto“.

Tuttavia, se hai una risoluzione di osservazione infinita, sarai in grado di rintracciare dove vanno tutte le particelle di sale, quindi non c’è incertezza e ottieni ciò che fa il demone. Altrimenti, con minuscole limitazioni nella risoluzione, perdi tutte le informazioni.

Tieni presente che questa è solo un’analogia, in teoria (in termini classici) non hai bisogno di una risoluzione infinita, una risoluzione più fine della dimensione dell’atomo di sale funzionerebbe.

Conclusione

Ciò che le persone dovrebbero davvero trarre dall’esperimento mentale del demone di Laplace è che: in un universo deterministico, gli eventi portano a tutti gli altri eventi, inclusi i nostri pensieri e le nostre decisioni. Solo perché il demone di Laplace non può vedere il passato basandosi su una comprensione completa dello stato dell’universo, e anche se possono esserci o meno limitazioni alla previsione in avanti del demone, semplicemente non influenza il libero arbitrio che non esisterebbe comunque. Dopo tutto, il determinismo non implica necessariamente la prevedibilità, ma implica l’incompatibilità con la possibilità di fare diversamente, di propria iniziativa. L’idea del “libero arbitrio” che ha causato tanti problemi nel mondo. Idea che l’esperimento mentale del demone di Laplace ci aiuta a capire.

Il vero conflitto avviene solo nella meccanismo quantistico in cui l’entropia è definita come la traccia della matrice di densità. Quest’ultima è considerata (non TUTTI gli scienziati sono d’accordo) probabilisticamente “genuina”.

Per quanto riguarda qualsiasi potenziale evento non causato (data un’interpretazione quantistica indeterministica), sarebbe un enorme ostacolo per il demone di Laplace, e soprattutto se un tale evento ha voce in capitolo sui nostri pensieri o azioni, per la nostra stessa ostinazione e coerenza.

Gabriele Galletta

Il paradosso di Hawking: una storia senza fine

Cosa significa “scienza”?  Vogliamo credere ostinatamente che essa significhi certezza, sicurezza, completezza.  Ne sentiamo un assoluto bisogno per poter puntare gli occhi al cielo e dire “la scienza saprà spiegarmi tutto”.

E dall’altra parte troviamo però R. Feynman, il quale diceva: “La scienza è una cultura del dubbio”. La scienza nasce dal dubbio, si coltiva nel dubbio. È il dubbio la scintilla della scienza.

Per capire ciò, pensiamo al modello atomico. Nel corso dei millenni non ha smesso di evolversi e, man mano che gli studi si approfondivano, una nuova particella si aggiungeva al puzzle.

Tutto viene costantemente messo in discussione.

Il paradosso dei paradossi: il buco nero

Può sembrare forse ancora assurdo parlare di scienza e assieme di abissi mai colmati. Ma la scienza è proprio questo, con i suoi innumerevoli paradossi. Per capirlo pensiamo a Stephen Hawking e al suo grande desiderio di dimostrare come “i buchi neri non sono così neri” (Hawking al KTH Royal Institute of Technology).

L’esistenza stessa di un buco nero ha rappresentato un paradosso per alcuni scienziati, come Laura Mersini-Houghton, la quale sostenne che i buchi neri fossero matematicamente impossibili. Una stella, una volta collassata, si sarebbe liberata della sua stessa massa e un buco nero non sarebbe potuto in alcun modo esistere.

Poi, il 10 aprile 2019, la concezione che si aveva dell’universo è di nuovo cambiata, quando per la prima volta si è potuto osservare il buco nero M87, un vero e proprio buco nero, con la sua immensa bocca nascosta nell’oscurità. 

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La prima foto dettagliata di un buco nero, prodotta dall’Event Horizon Telescope (EHT)

Questo non ha certo messo a tacere le controversie attorno ai buchi neri. 

Una memoria che fugge

Il paradosso della perdita di informazione nei buchi neri di Hawking, come tutte le teorie sui buchi neri, hanno così assunto un significato ancora più straordinario.

Hawking ha trascorso l’intera vita cercando di capire come funzionassero questi incredibili oggetti e di dare una spiegazione al paradosso a cui lui stesso giunse. Un corpo “divorato” da un buco nero sarebbe scomparso del tutto? Ci si sarebbe dimenticati della sua esistenza, o sarebbe stata conservata un po’ della sua memoria

In molti hanno sempre creduto che dovesse esistere un modo affinché l’informazione sulle caratteristiche di un oggetto caduto nel buco nero si conservasse. Qualsiasi ipotesi contraria non avrebbe rispettato, innanzitutto, il primo principio della termodinamica, il quale dice che «l’energia non si crea e non si distrugge», che nulla può essere cancellato per sempre.

Hawking la pensò diversamente.

Ma dov’è il paradosso?

Lo scienziato, assieme ad A. Strominger e M. J. Perry, concluse che il buco nero contenesse soft hair, stati eccitati quantici a bassissima carica rilasciati quando il buco nero evapora, ovvero quando emette la cosiddetta radiazione di Hawking.

I buchi neri «non sono le prigioni eterne che immaginiamo. Le cose possono venire fuori da un buco nero e possibilmente raggiungere anche un’altra dimensione. Quando una particella carica entra in un buco nero, aggiunge un fotone. È come se aggiungesse un pelo».

Sono questi soft hair la memoria, seppur minima, riferita alla particella: i soft hair sono l’impronta della particella. Sono l’informazione rilasciata da quella radiazione termica. L’informazione che per lo scienziato si sarebbe poi cancellata per l’eternità, contro il principio di conservazione dell’energia.

Hawking ci rifletté ancora e ancora e alla fine, alla Conferenza di Relatività Generale e Gravitazione del 1997, ridiscusse la sua teoria. Ma non si fermò a dire che l’informazione sarebbe sopravvissuta. Infatti, se l’informazione può essere riportata alla luce e continuare ad esistere, in ogni universo, in ogni dimensione, è anche vero che lungo il tragitto essa viene corrotta, seppur conservata, e quindi in pratica cancellata. E se anche si potesse riottenerla, il processo sarebbe molto complicato.

È in queste parole che sta il paradosso di Hawking. C’è un momento in cui vita e morte dell’informazione si realizzano contemporaneamente, in cui l’informazione è ancora presente ma sta per essere eliminata. In altre parole ciò che resterebbe dell’informazione è un’ombra caotica.

Foto di Sophia Dagnello del “National Radio Astronomy Observatory” e pubblicata dalla NASA

Cosa si è detto…

Susskind, a difesa del culto dell’informazione eterna, propose una soluzione derivata dai principi della meccanica quantistica. Tutto si risolve nell’immaginare l’informazione protetta da una guaina di stringhe che non permetterebbe ad alcun fenomeno di distruggerla. Per Susskind, anche a seguito di un’evaporazione, l’informazione sarebbe sopravvissuta.

Anche R. Penrose si è espresso in merito, sostenendo che l’informazione sarebbe stata immagazzinata all’interno di un oggetto come il bosone, il che avrebbe impedito la sua fuga.

E c’è poi, addirittura, chi ha immaginato che questa informazione si conservasse in un universo neonato separato dal nostro.

…e cosa si dice

Insomma, le idee sviluppatesi sono molte, fino ad arrivare ad oggi. È recente la notizia di un gruppo di scienziati, tra cui Henry Maxfield e Netta Englhardt, che sta lavorando per trovare un’ulteriore soluzione. Già nel 2019 il gruppo aveva concluso che per capire le dinamiche e veder fuoriuscire dal buco nero l’informazione, sarebbe stato necessario sviluppare una teoria della relatività completamente quantistica. Conclusione a cui giunse anche il premio Nobel della fisica Gerardus’ Hooft e su cui si sta lavorando.

Al momento Maxfield e gli altri scienziati hanno determinato che l’informazione non viene resa “nota” fin da subito. Anzi, in un primo momento neppure è presente. Soltanto quando il buco nero comincia a “invecchiare”, la quantità di radiazione emessa accresce, e con essa l’informazione che comincia a venire fuori.

I primi passi fatti confermano quindi l’intuizione di Hawking: l’informazione può fuoriuscire. Tuttavia, come ha detto il gruppo, questa è solo la “punta dell’iceberg”

Il dubbio è sempre lo stesso: saremo mai in grado di recuperare l’informazione?

Giada Gangemi

 

Bibliografia:

https://www.focus.it/scienza/spazio/la-prima-foto-di-un-buco-nero

https://physics.aps.org/articles/v9/62

https://www.focus.it/scienza/scienze/stephen-hawking-e-il-paradosso-dei-buchi-neri

https://www.reccom.org/2020/11/05/paradosso-di-hawking-un-passo-dalla-soluzione/

Perché il cielo di notte è buio nonostante le stelle siano infinite?

Il paradosso di Olbers, proposto dall’astronomo tedesco a cui deve il nome nel 1826, ci pone davanti a una delle, apparentemente banali, domande che tutti ci siamo fatti almeno una volta, magari in una calda notte di mezza estate passata a guardare le stelle. 

Di cosa parla questo paradosso?

Heinrich Wilhelm Olbers propose il paradosso nel XIX secolo sotto condizioni particolari di natura ipotetica. L’universo era considerato come infinito, esistente da tempo infinito, immutabile, omogeneo e isotropo (le stelle sono disposte in modo uniforme nello spazio).

Mettendo tutte queste condizioni insieme abbiamo che:

  • se l’universo fosse infinito, dovrebbero esistere un numero infinito di stelle;
  • se esistesse da tempo infinito, la luce di tutte le stelle esistenti dovrebbe essere visibile da tutti i punti dell’universo;
  • se fosse omogeneo e isotropo sarebbero distribuite uniformemente in ogni punto dello spazio.

Quindi, con queste condizioni di universo statico, noi dovremmo vedere nel cielo una luce continua in ogni direzione dell’universo, il cielo dovrebbe essere infinitamente luminoso in ogni direzione.

Animazione che raffigura il paradosso

E allora perché il cielo è buio?

Nonostante le affermazioni di prima, sull’impossibilità di stabilire perché il cielo sia buio, furono proposte tante soluzioni tutte molto valide. Tuttavia, l’unica vera risposta, per quanto ancora discussa, si trova nella teoria del Big Bang formulata da Alexander Friedmann nel 1929 e completata da George Gamow nel 1940. La teoria ci dice che l’universo non è infinito ed esiste da un tempo finito. Non esistono infinite stelle e nemmeno da tempo infinito. L’Universo esisterebbe da circa 13 miliardi di anni e, secondo le teoria, ha avuto inizio con un esplosione di una luminosità elevatissima che ha ricoperto tutto lo spazio esistente (tutto lo spazio esistente in quel momento era un singolo punto), fino a espandersi insieme all’universo stesso. Quindi la luce dovrebbe essere visibile in tutto l’universo, visto che si muove insieme all’espansione fin dall’inizio;

Allora perché non la vediamo?

In realtà è ben visibile solo che l’occhio umano non è in grado di di vederla, perché con l’espansione anche la luce si è ‘stirata’, passando dallo spettro visibile a quello delle microonde; questa traccia è chiamata radiazione cosmica di fondo e fu misurata per la prima volta nel 1965 da Arno Penzias e Robert Wilson, che nel 1978 vinsero il Nobel per la scoperta.

Immagine della radiazione cosmica di fondo

A oggi le migliori osservazioni sono dovute al progetto WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe) della NASA conosciuto anche come sonda spaziale per l’anisotropia (proprietà per cui in una sostanza il valore di una grandezza fisica come la velocità di accrescimento, indice di rifrazione, conducibilità elettrica e termica ecc. dipende dalla direzione che si considera) delle microonde, Microwave Anisotropy Probe (MAP).

Questa era solo una delle tante teorie che prova a risolvere il paradosso, spero di avervi stimolato ad osservare il cielo notturno con occhi diversi!

Gabriele Galletta