Addio a Papa Francesco: Ci lascia il pontefice venuto dalla fine del mondo

Il pontefice nato Jorge Mario Bergoglio a Buenos Aires il 17 dicembre 1936,

si è spento il 21 aprile alle 7:35 a Casa Santa Marta all’età di 88 anni. A causa di un ictus e  di una successiva insufficienza cardiaca irreversibile.

Con lui si chiude un capitolo straordinario della storia della Chiesa cattolica e del mondo intero:

Un pontificato segnato dalla misericordia, dall’umiltà e dall’inesauribile attenzione verso gli ultimi.

Il papa venuto “dalla fine del mondo”

Eletto il 13 marzo 2013 dopo le dimissioni di Benedetto XVI, Papa Francesco è stato il primo Pontefice gesuita, il primo sudamericano e il primo a scegliere il nome “Francesco”, ispirandosi a San Francesco d’Assisi, simbolo di povertà, pace e amore per il creato.

Il suo stile sobrio, i gesti semplici e le parole forti hanno cambiato la percezione del papato in tutto il mondo.

Il papa degli emarginati

Durante il suo pontificato, Francesco ha promosso una “Chiesa in uscita”, vicina alla gente, meno giudicante e più accogliente. Ha dato voce a migranti, poveri, detenuti e vittime di ogni tipo di emarginazione.

Ha affrontato temi complessi come la riforma della Curia, gli abusi nella Chiesa, il dialogo interreligioso, la tutela del creato e la necessità di una conversione ecologica.

Il vescovo di Roma

Fino all’ultimo, Papa Francesco ha voluto essere chiamato “vescovo di Roma”. Non ha mai amato gli onori né i titoli, preferendo abitare la Casa Santa Marta invece dei sontuosi appartamenti pontifici.

Il suo sorriso gentile, i suoi abbracci ai bambini e agli anziani, le sue parole dirette rimarranno nella memoria collettiva di un mondo che, oggi, si ferma per salutarlo.

 

Le ultime volontà del papa

Nel suo testamento, redatto nel giugno 2022, Papa Francesco ha chiesto di essere sepolto in un luogo semplice e sobrio: la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, tra la Cappella Paolina e la Cappella Sforza. Ha specificato che la sua tomba dovesse essere “in terra, semplice, senza decorazioni particolari”, con l’unica iscrizione “Franciscus”.

Inoltre, ha espresso il desiderio che le spese per il suo funerale fossero coperte da un benefattore anonimo e ha affidato le disposizioni pratiche al cardinale Rolandas Makrickas.

Le disposizioni lasciate da Papa Francesco per i suoi funerali e le sue ultime volontà sono lo specchio fedele della sua esistenza: un cammino segnato da sobrietà, umiltà e una straordinaria prossimità con il popolo di Dio.

In un’epoca in cui le figure pubbliche spesso si congedano con cerimonie solenni e appariscenti, il Papa ha scelto la via più semplice e discreta, coerente con lo stile di vita che ha abbracciato fin dal primo giorno del suo pontificato.

Con queste scelte, Francesco ha voluto offrire un’ultima testimonianza della sua idea di Chiesa: non una struttura distante o autoreferenziale, ma una famiglia di credenti fondata sulla condivisione, sull’ascolto e sull’accoglienza.

Il funerale, fissato per sabato 26 aprile 2025 alle ore 10:00 in Piazza San Pietro, si preannuncia come un momento di profonda commozione collettiva.

Non sarà soltanto una celebrazione liturgica, ma un’occasione di meditazione e raccoglimento per milioni di persone in tutto il mondo. Saranno presenti capi di Stato, rappresentanti di altre confessioni religiose, uomini e donne di ogni estrazione sociale, ma soprattutto tanti fedeli comuni che hanno trovato nel suo pontificato parole di conforto, stimolo e speranza.

Sarà un congedo universale, non limitato ai confini del cattolicesimo:

Perché Papa Francesco, con il suo modo di parlare diretto, con la sua fede vissuta nella concretezza quotidiana, è riuscito a toccare i cuori anche di chi non si riconosce nella Chiesa.

La sua morte, come la sua vita, è destinata a lasciare un’impronta profonda. Un seme che continuerà a germogliare nel tempo, nel silenzio e nella preghiera di chi vorrà seguirne l’esempio.

Come verrà eletto il suo successore?

Dopo la morte di Papa Francesco, la Chiesa entra in un periodo chiamato Sede Vacante, durante il quale il posto del Papa è ufficialmente vuoto. In questo tempo, il governo della Chiesa è affidato temporaneamente al Collegio dei Cardinali, che si occupa solo dell’amministrazione ordinaria e della preparazione per eleggere un nuovo Pontefice.

L’elezione vera e propria avverrà nel Conclave, una riunione riservata che si tiene nella Cappella Sistina, in Vaticano, Il Conclave può durare poche ore o diversi giorni: tutto dipende da quanto tempo serve ai cardinali per raggiungere un accordo. Negli ultimi decenni, però, l’elezione è sempre avvenuta in pochi giorni. Vi partecipano solo i cardinali con meno di 80 anni, provenienti da tutto il mondo. Sono chiamati cardinali elettori, e il loro compito è scegliere il nuovo Papa.

All’inizio del Conclave, tutti i cardinali giurano di mantenere il massimo riserbo su quanto avverrà. Poi, a porte chiuse, cominciano le votazioni. Ogni cardinale scrive su una scheda il nome del candidato che ritiene più adatto. Per essere eletto, un candidato deve ottenere almeno due terzi dei voti.

Dopo ogni votazione, le schede vengono bruciate. Il fumo che esce dal camino della Cappella Sistina indica al mondo il risultato:

Fumata nera: non c’è ancora un nuovo Papa.

Fumata bianca: è stato eletto il nuovo Papa!

Dopo l’elezione, il nuovo Papa accetta l’incarico e sceglie il nome con cui sarà conosciuto. Poco dopo, il cardinale più anziano tra i diaconi si affaccia al balcone centrale della Basilica di San Pietro e pronuncia le parole storiche:

 “Habemus Papam!”
(“Abbiamo un Papa!”)

Subito dopo, il nuovo Papa si presenta alla folla riunita in Piazza San Pietro e al mondo intero, con la sua prima benedizione da Pontefice.

Caterina Martino

Suicidio assistito: un diritto o una deriva? Il dibattito continua

Il dibattito sul fine vita e sul suicidio assistito continua a essere un tema centrale nel panorama politico e sociale italiano. Dopo l’approvazione della legge in Toscana lo scorso 11 febbraio, che ha regolamentato l’accesso al suicidio medicalmente assistito per pazienti in condizioni irreversibili, il confronto solleva interrogativi profondi sul piano religioso ed etico. La questione ha innescato polemiche e annunci di ricorso da parte del centrodestra.

L’involuzione legislativa in Italia

Il senatore di Fratelli d’Italia, Ignazio Zullo, relatore del disegno di legge all’esame delle commissioni Giustizia e Affari sociali del Senato, presenta uno schema preliminare sul fine vita per affermare due principi fondamentali. Il primo ribadisce l’inviolabilità della vita, stabilendo che “il diritto alla vita è inviolabile e indisponibile, determinato dall’essenza dei valori fondamentali sui quali si fonda la Carta costituzionale della Repubblica”. Il secondo specifica che l’accesso al percorso di fine vita assistito, disciplinato dalla proposta di legge, vale per “una persona maggiorenne affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che reputa intollerabili, tenuta in vita o dipendete da trattamenti di sostegno vitale [..]“.

Così afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi:

È bene che il parlamento si occupi di fine vita ma la bozza di testo presentata dal centrodestra oggi in Senato è piuttosto deludente. Se questa è la base di partenza, è preferibile non avere alcuna legge perché rappresenta un passo indietro rispetto a quanto stabilito dalla Consulta”.

Inserire il principio dell’inviolabilità e dell’indisponibilità della vita appare un’enunciazione ideologica, anziché un atto normativo. Ma rendere obbligatorio un percorso di cure palliative come condizione per accedere al suicidio assistito è una disposizione che non tiene conto della sofferenza reale delle persone e rende la legge regressiva rispetto a quanto stabilito dalla Corte.

Il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria vita, soprattutto in condizioni di sofferenza estrema. Una condizione essenziale che deve essere garantita, come afferma la senatrice di AVS Ilaria Cucchi. La stessa senatrice  ribadisce che il vuoto normativo su un tema così delicato rappresenta una privazione dei diritti fondamentali delle persone, private della possibilità di decidere come vivere con dignità fino all’ultimo momento. Dopo la recente approvazione della legge in Toscana , è ora che l’Italia superi pregiudizi e resistenze ideologiche. Agendo, come molti Paesi europei ,attraverso la tutela della dignità e della libertà di tutti i cittadini.

 

Difendere la vita, ripartendo dai valori

Storicamente, il riconoscimento del diritto al suicidio assistito per le persone affette da gravi malattie è annoverato tra le lotte per i diritti civili, che vengono portate avanti in tutto il mondo da gruppi e ONG progressiste. In Italia per esempio è noto l’impegno del Partito Radicale e dell’associazione Luca Coscioni, nonché dell’ex-parlamentare Marco Cappato. Mentre sono in generale contrari all’eutanasia attiva e al suicidio assistito soprattutto le organizzazioni di matrice religiosa, che li considerano come un attacco alla vita.

Quindi, all’indomani dell’approvazione della legge regionale sul suicidio medicalmente assistito approvata dalla regione Toscana, la Chiesa ribadisce, senza mezzi termini, la contrarietà nei confronti di un provvedimento che viene definito dalla Chiesa cattolica una “deriva pericolosa per la società“.

Questa posizione è già stata ribadita in diversi documenti ufficiali. L’enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, promulgata nel 1995, esprime la posizione della Chiesa cattolica sul valore e l’inviolabilità della vita umana. Una priorità ribadita ancora oggi dalla Conferenza Episcopale Italiana, preoccupata “per le recenti iniziative regionali sul tema del fine vita”. La stessa CEI riferisce che non si tratta di fare una guerra contro tale legge, ma portare avanti il compito della Chiesa: aiutare i più giovani a misurarsi su delle tematiche che contengano alti valori.  La Chiesa Cattolica continua a promuovere il rispetto della vita umana in tutte le sue fasi, incoraggiando l’uso delle cure palliative per alleviare le sofferenze.

La vita è un diritto, non la morte“, ha detto Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale del 2022. Nella visione cristiana dignità e rispetto dovranno accompagnare le persone nel momento del fine vita. Talvolta, prolungare la vita fino alla fine, può comportare l’accettazione di una sofferenza insostenibile.

Convenzione di Faro: l’Italia va verso la multiculturalità, ma la destra si oppone. Ecco cosa prevede

Il 24 settembre 2020 l’Italia ha compiuto un grande passo avanti: il Parlamento ha ratificato la Convenzione di Faro. La strada verso un nuovo concetto di eredità culturale, in cui si intrecciano identità, democrazia e multiculturalismo, può dirsi aperta.

Fare della cultura la protagonista di una discussione in Parlamento, in una società fondata sempre più sul dio denaro e sulla burocrazia, è sicuramente singolare e, per tale ragione, da mettere sotto i riflettori.

Che cos’è la Convenzione di Faro

Si tratta di una convenzione emanata dal Consiglio Europeo che riconosce il diritto alla partecipazione al patrimonio culturale. Sostiene l’articolo 4:

“Chiunque, da solo o collettivamente, ha diritto a trarre beneficio dall’eredità culturale e a contribuire al suo arricchimento”.

Il ponte di Mostar ricostruito – Fonte: www.dagospia.com

Venne approvata nel 2005 nella città portoghese di Faro con l’intenzione di fare della cultura uno strumento di pace in linea di pensiero con le Convenzioni UNESCO del 2003 sulla protezione del patrimonio culturale immateriale e la promozione della diversità delle espressioni culturali.

Il retroterra storico è rappresentato dalla guerra combattuta tra i paesi dell’ex Jugoslavia dal 1991 al 2001, durante la quale ricchezze del patrimonio culturale, come il ponte di Mostar o la Biblioteca di Sarajevo, vennero distrutte, in quanto simbolo della storia e dell’identità dell’etnia da debellare.

I cambiamenti determinati dalla Convenzione di Faro

Il valore della cultura, con la Convenzione, non fa ingresso per la prima volta nei documenti istituzionali dello Stato italiano. Lo stesso articolo 9 della Costituzione dichiarava già che

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica; tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Dunque, per quale ragione la Convenzione è da considerare un testo rivoluzionario? La rivoluzione è insita nel concetto di eredità culturale affermato:

“L’eredità culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”.

Patrimonio di uno Stato non sono più le risorse materiali considerate come ricchezze aventi valore in sé, piuttosto come lo specchio in cui i cittadini vedono riflessi la loro identità, i loro valori e la loro storia. Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana che muta il perno sul quale ruota il concetto di cultura: dal bene storico all’uomo e alle sue possibilità d’uso di tale bene. Come ha spiegato Massimo Montanella, direttore della rivista Il Capitale Culturale, siamo di fronte

ad un profondo rovesciamento complessivo: dell’autorità, spostata dal vertice alla base; dell’oggetto, dall’eccezionale al tutto; del valore, dal valore in sé al valore d’uso e, dunque, dei fini: dalla museificazione alla valorizzazione.

Fare dell’individuo il fondamento della cultura non è cosa di poco conto: significa democratizzarla. La Convenzione si impegna infatti a facilitare l’accesso alla fruizione delle ricchezze culturali. Questo emerge chiaramente dall’articolo 12:

Le Parti si impegnano ad incoraggiare ciascuno a partecipare al processo di identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione dell’eredità culturale

e dall’articolo 13:

 “Le Parti si impegnano a facilitare l’inserimento della dimensione dell’eredità culturale in tutti i livelli di formazione, non necessariamente come argomento di studi specifico, ma come fonte feconda anche per altri ambiti di studio”.

La Convenzione di Faro e le polemiche della destra

L’iter verso la ratifica non è stato privo di ostacoli. In testa all’opposizione si sono posti la Lega e Fratelli d’Italia.

Le destre, subito dopo l’approvazione, hanno fatto sentire la loro voce, definendo la Convenzione una resa per l’Italia, il “Caporetto di una civiltà”, “una svendita del nostro patrimonio artistico all’Islam”, una limitazione alla fruizione delle nostre ricchezze culturali.

Il principale oggetto di contestazione è stato l’articolo 4, secondo il quale

l’esercizio del diritto all’eredità culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà”.

Agli occhi delle destre, questo provvedimento rappresenterebbe un ostacolo al libero esercizio della cultura, dando agli altri Stati la possibilità di interferire con l’uso del nostro patrimonio artistico.

Hassan Rouhani e Sergio Mattarella – Fonte: www.mosaico-cem.it

A sostegno della loro tesi, alcuni degli oppositori, tra i quali Vittorio Sgarbi, hanno portato come esempio un avvenimento risalente al 2016 quando, in occasione della visita in Italia del presidente iraniano Hassan Rouhani, Palazzo Chigi ha deciso di coprire i nudi dei Musei Capitolini. La legge morale iraniana sciita, infatti, proibisce il nudo femminile.

Tale scelta, sicuramente per alcuni aspetti contestabile, non ha niente a che vedere con la Convenzione di Faro, il cui articolo 4 non fa altro che ribadire, come già affermato in diversi articoli della Costituzione italiana, che la libertà del singolo individuo può essere limitata nel momento in cui lede l’interesse pubblico e la libertà dell’altro. Un esempio potrebbe essere la chiusura dei musei a causa dell’emergenza Covid.

L’Islam non viene minimamente menzionato dalla Convenzione. Non è menzionata la coercizione. Non è menzionata alcun tipo di resa culturale. L’obiezione della destra sembra far acqua da tutte le parti, sembra essere priva di fondamento. L’ennesimo esempio di come la politica, in vista del consenso, strumentalizzi le differenze culturali portando avanti sterili polemiche.

Basta leggere il testo, soprattutto l’articolo 7, per comprendere che la Convenzione non vuole porre limiti alla libertà culturale, piuttosto promuovere, in una società composita e variegata, la comunicazione tra i diversi valori e le diverse comunità espressione della medesima eredità culturale.

 Il multiculturalismo nell’enciclica di Papa Francesco

Papa Francesco – Fonte: www.vocetempo.it

Una risposta forte alla contestazione delle destre, in linea di pensiero con quanto espresso dalla Convenzione, sembra provenire dall’ enciclica Fratelli tutti, firmata da Papa Francesco il 3 ottobre, soltanto qualche giorno dopo la ratifica della Convenzione di Faro. Un testo attualissimo che ribadisce la necessaria universalità di ogni identità culturale, che è nata, si arricchisce ed è alimentata dalla continua interrelazione delle diverse culture.

Una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità. Infatti, arricchendosi con elementi di diversa provenienza, una cultura viva non ne realizza una copia o una mera ripetizione, bensì integra le novità secondo modalità proprie. Questo provoca la nascita di una nuova sintesi che alla fine va a beneficio di tutti”.

Le parole incisive del papa zittiscono le destre affermando la necessità del multiculturalismo e l’unità di tutto il genere umano:

“Ci sono narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura. Nascondono uno spirito chiuso che, per una certa insicurezza e un certo timore verso l’altro, preferisce creare mura difensive per preservare se stesso. Ma non è possibile essere locali in maniera sana senza una sincera e cordiale apertura all’universale, senza lasciarsi interpellare da ciò che succede altrove, senza lasciarsi arricchire da altre culture e senza solidarizzare con i drammi degli altri popoli. […] Ogni cultura sana è per natura aperta e accogliente, così che una cultura senza valori universali non è una vera cultura”.

Chiara Vita