Vaccino Pfizer-BioNTech: nuove evidenze di efficacia contro le varianti del SARS-CoV-2

In sintesi:

Nel contesto dell’attuale pandemia, sta crescendo progressivamente il timore per le varianti del SARS-CoV-2 diffuse a livello mondiale in quanto, analogamente ad altri virus, il SARS-CoV-2 è contraddistinto dalla tendenza alla mutazione. Tra le varianti che hanno destato maggiore preoccupazione bisogna particolarmente annoverare:

  • La variante Inglese: denominata SARS-CoV-2 VOC 202012/01, linea B.1.1.7;
  • La variante Brasiliana: linea P.1;
  • La variante Sudafricana: denominata 501Y.V2, linea 1.351.

Tutte e tre le varianti sono caratterizzate da una mutazione della proteina “Spike”, glicoproteina che determina la specificità del virus per le cellule epiteliali del tratto respiratorio.

Fonte: CNR

Cos’è e come funziona la proteina Spike dei Coronavirus?

La proteina Spike (S) è localizzata sulla superficie del virus, formando delle protuberanze caratteristiche (il nome “Coronavirus” deriva proprio dalla presenza delle protuberanze, che fanno sembrare il virus una corona). Essa si suddivide in due parti:

  • S1, che contiene una regione con lo scopo di legarsi alla cellula bersaglio attraverso l’interazione con il recettore ACE2;
  • S2, che in una seconda fase consente l’ingresso del virus nella cellula.

Quindi, una molecola che fosse capace di impedire l’interazione tra la proteina Spike e il recettore ACE2 sarebbe potenzialmente in grado di prevenire l’infezione da coronavirus e, di conseguenza, la malattia. A questo scopo tutti i vaccini attualmente in studio sono stati sperimentati per indurre una risposta che blocchi la proteina Spike.

Fonte: News Medical

Come funziona il vaccino Pfizer-BioNTech?

Il vaccino COVID-19 mRNA BNT162b2 (Comirnaty) contiene molecole di RNA messaggero (mRNA) che presentano al loro interno le indicazioni per costruire le proteine Spike del virus SARS-CoV-2. Nel vaccino, le molecole di mRNA sono inserite in una microscopica vescicola lipidica, una “bollicina” che protegge l’mRNA per evitare che deperisca in fretta e che venga distrutto dalle difese del sistema immunitario (in quanto componente estranea all’organismo), così che possa entrare nelle cellule.

Una volta iniettato, l’mRNA viene assorbito nel citoplasma delle cellule e avvia la sintesi delle proteine Spike. La loro presenza stimola così la produzione, da parte del sistema immunitario, di anticorpi specifici. Con il vaccino, dunque, non si introduce nelle cellule il virus vero e proprio (e quindi il vaccino non può in alcun modo provocare COVID-19 nella persona vaccinata), ma solo l’informazione genetica fondamentale per costruire copie della proteina Spike.

La vaccinazione, inoltre, attiva le cellule T che preparano il sistema immunitario a rispondere a ulteriori esposizioni al virus SARS-CoV-2. Se in futuro la persona vaccinata dovesse entrare in contatto con il virus, il suo sistema immunitario ne avrà memoria, lo riconoscerà e si attiverà per combatterlo, bloccando le proteine Spike e impedendone l’ingresso all’interno delle cellule.

Fonte: Tgcom24

Una volta compiuta la propria missione, l’mRNA del vaccino non resta nell’organismo ma si degrada naturalmente pochi giorni dopo la vaccinazione. Non c’è pertanto alcun rischio che entri nel nucleo delle cellule e ne modifichi il DNA.

Il vaccino ci protegge anche dalle varianti del virus?

Uno studio clinico, randomizzato e controllato con placebo, pubblicato il 31 Dicembre 2020 sul “The New England Journal of Medicine”, ha coinvolto circa 44.000 partecipanti, dimostrando che l’immunizzazione del vaccino BNT162b2 ha un’efficacia del 95% contro la malattia da SARS-CoV-2 (COVID-19).

Per analizzare gli effetti sulla neutralizzazione virale indotti dal BNT162b2, uno studio pubblicato l’8 Marzo 2021, sempre sul NEJM, ha analizzato le mutazioni S di ciascuna delle tre nuove varianti. Sono stati prodotti tre virus ricombinanti, rappresentanti queste tre linee virali, e altri due in cui sono stati prodotti altri sottoinsiemi di mutazioni.

In sintesi:

  • Il primo virus ricombinante aveva le mutazioni del gene S del lignaggio B.1.1.7 (B.1.1.7-spike, corrispondente alla variante inglese);
  • Il secondo aveva le mutazioni riscontrate nel gene S del lignaggio P.1 (P.1-spike, corrispondente alla variante brasiliana);
  • Il terzo aveva le mutazioni riscontrate nel gene S nel lignaggio B.1.351 (B.1.351-spike, corrispondente alla variante sudafricana);
  • Il quarto e il quinto presentavano una serie di mutazioni del lignaggio B.1.351 in diversa combinazione.

Successivamente, è stato eseguito il test di neutralizzazione (sulla base del parametro PRNT50, riduzione della placca del 50%), utilizzando 20 campioni di siero ottenuti da 15 partecipanti allo studio dopo la somministrazione della seconda dose del vaccino (avvenuta 3 settimane dopo la prima). Nei campioni è stata rilevata una neutralizzazione efficiente nei confronti delle varianti, con titoli superiori a 1:40.

Fonte: https://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMc2102017?articleTools=true

La neutralizzazione è risultata molto robusta contro le linee B.1.1.7-spike e P.1-spike, un po’ meno ma comunque molto valida contro la linea B.1.351-spike. I risultati dello studio suggeriscono inoltre che l’immunità delle cellule T esplica un ruolo chiave nella protezione, in quanto l’immunizzazione da BNT162b2 stimola la risposta dei linfociti T CD8+ che riconoscono più varianti.

Cosa ha dimostrato lo studio?

I risultati dimostrano che il vaccino Pfizer-BioNTech è efficace contro le principali varianti diffuse nel mondo. Tuttavia, trattandosi di esperimenti in vitro su virus ricombinanti, i ricercatori affermano che i risultati dovranno essere confermati da evidenze “reali” sull’efficacia del vaccino, provenienti da tutte le aree geografiche in cui esso viene impiegato.

I più recenti studi scientifici, come quello preso in esame, hanno inoltre l’importante obiettivo di ridurre la sfiducia nei confronti della vaccinazione, che si sta sempre più diffondendo. Il vaccino resta, ad oggi, insieme alle norme anti-Covid in atto, l’arma più efficace per sconfiggere questo “nemico”, che ha rivoluzionato le nostre vite. Dobbiamo quindi porre attenzione sul valore dei dati scientifici, accurati e ampliamente valutati dalla comunità scientifica.

Caterina Andaloro

Bibliografia:
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2102017?query=featured_home&fbclid=IwAR3Kzrfmv269hjWWau6m0bxF0tE_dzJCdEE_gQmRVL6FoYKAo6pBQpdzVdI
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2034577
https://www.sicardiologia.it/publicFiles/AIFA%20FAQ-Vaccinazione_anti_COVID-19_con_vaccino_Pfizer.pdf

COVID e adolescenti: la pandemia oltre il virus

L’Italia non è un Paese per giovani, e la pandemia in corso ne da ulteriore conferma.
Scarsa considerazione è stata data a chi rappresenta il futuro, generando una pandemia silenziosa tra i giovanissimi. Affrontiamo insieme la questione! Continua a leggere “COVID e adolescenti: la pandemia oltre il virus”

Chi ha tempo non aspetti tempo… o forse sì

La riflessione di oggi nasce spontaneamente. Potremmo dire, con estrema semplicità, dal periodo che stiamo vivendo. Con mobilità e socialità ridotte al minimo sempre più frequentemente, ogni attività – didattica e lavoro inclusi – “spostata” su piattaforme online, possiamo realmente continuare a considerare la rapidità dei mezzi del terzo millennio ancora come un vantaggio? O questi stessi mezzi, tanto utili quanto mai ora indispensabili per non rimanere paralizzati in tempi di pandemia, se da un lato fanno risparmiare tempo, dall’altro ci sottraggono qualcosa?

La risposta è tanto complessa quanto personale e articolata. A testimonianza di ciò il titolo di questo breve pezzo: più che dare risposte vuole insinuare un dubbio. E come spesso accade è la quotidianità, fatta di avvenimenti e azioni “banali”, a innescare considerazioni ben più ampie e strutturate, a dare forma a pensieri inconsci che prendono vita attraverso la parola, scritta o parlata che sia. Ecco, dunque, che mi ritrovo a dover acquistare una stampante online, come di rado mi accade ad essere onesto. Ma Messina non è né in zona arancione, né in zona rossa nazionale o regionale: è in zona “ultrarossa”, come da ordinanza del sindaco De Luca. Sono costretto quindi a fare tutto da computer: armato di buona volontà guardo qualche modello in foto, un po’ perplesso dalle descrizioni non sempre dettagliate e in grado di sostituire la “vista dal vivo”, per quanto si tratti di un oggetto che non merita sicuramente le attenzioni di un’opera d’arte (anche se gli addetti ai lavori magari mi bacchetteranno). Detto, fatto: il noto sito di e-commerce, che ho usato l’ultima volta durante il primo lockdown, ha già i miei dati, avendo creato un account. Nome, cognome, indirizzo e carta di credito. Nessuna autorizzazione al pagamento ulteriore: un click e un pacco inizia l’iter per essere consegnato. Due secondi, forse meno. Meravigliato – forse perché poco avvezzo non tanto al mezzo, quanto all’acquistare nello specifico – dalla rapidità con il quale tutto è accaduto mi sento un po’ stordito.

Poco dopo decido di acquistare anche un libro, “Il quarto comandamento: La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia”, della giornalista e scrittrice Francesca Barra, che narra la storia della famiglia Francese: di Mario, giornalista ucciso dalla mafia; di Giulio, Fabio, Massimo e Giuseppe, i figli che hanno lottato per far venire a galla la verità, insieme alla madre Maria. Su questo non transigo, nonostante esistano versioni “kindle” scaricabili comodamente, per me niente può sostituire un libro “in carne e ossa”. Ma i tempi di consegna non mi assistono: giorno 28 abbiamo organizzato con UniVersoMe, la nostra testata, un webinar su giornalismo di inchiesta e studenti in collaborazione con Gazzetta del Sud e UniMe, con ospite proprio Giulio Francese, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia.

Evento su giornalismo d’inchiesta e studenti organizzato da UniVersoMe in collaborazione con Gazzetta del Sud e UniMe

Nonostante conosca bene la storia di Mario Francese, mi piace sempre approfondire ulteriormente tematiche come questa. Cedo dunque alla versione e-book, con un po’ di tristezza per la mia passione per la carta stampata. Ringrazio per questa deroga alle mie abitudini. Il libro non è una storia di mafia, di silenzio, di omertà, di ingiustizie e di giustizia: è la storia umana di una famiglia. La concatenazione di questi eventi, mi porta anche a un’ulteriore riflessione, che unisce il tema della conferenza al titolo di questo articolo: Mario Francese, nello svolgere il suo ruolo di giornalista d’inchiesta, voleva «raccontare diventando una cerniera tra i fatti e la loro interpretazione». Ritengo che forse questo approccio oggi si sia un po’ perso, determinando un sentimento di diffidenza e sfiducia nei confronti del giornalista. Probabilmente questa rincorsa alla rapidità nel dare la notizia, influenzata anche proprio dai nuovi mezzi di comunicazione, non lascia tempo e spazio al giornalista per porsi tra fatti e loro interpretazione, limita il racconto, l’analisi, in favore di un mero “riportare” passivamente. In questo contesto, come tornare a riportare a galla la verità? Sarebbe meglio prendersi – probabilmente – del tempo in più. Ma questo cambiamento è realmente solo legato al contesto? Od ogni giornalista ha di fatto delle responsabilità?

Copertina del libro – Rizzoli©

Lascio ad altre sedi un’analisi dettagliata di questo aspetto specifico per tornare a focalizzarmi sul tema globale di questo articolo: quel tempo in più del quale parlo poche righe sopra, dovremmo prendercelo un po’ tutti. Esempio molto discusso è l’uso esteso della DAD. Siamo sicuri che andare a scuola o all’università significhi soltanto accendere un pc ed ascoltare una video-lezione? L’atto stesso di “andare” implica svegliarsi, vestirsi, prendere un mezzo o camminare, incontrare i propri compagni/colleghi, chiacchierare con loro, studiare, fare ricreazione e pause, svolgere verifiche o esami e poi tornare a casa. Un’attività semplice ma varia, diversificata, con tempi ben scanditi, ridotta alla distanza che separa il letto dal tasto del nostro pc/tablet.

Potremmo fare lo stesso discorso per il lavoro (che da casa sembra non finire mai, sconfinando spesso oltre l’orario consueto), comprare in negozio, mangiare al ristorante e qualsiasi altra cosa che vi venga in mente. In un periodo così difficile da così tanti punti di vista, si sente spesso dire “sì lo faccio, ma non è la stessa cosa”. Gli studenti, anche i più pigri, si riscoprono desiderosi di tornare alla normalità. Chiunque, sebbene – con le dovute e tristi eccezioni – riesca a fare tutte o quasi tutte le attività che svolgeva prima, avverte più insofferenza che piacere.

L’era digitale ha compresso, con gli innumerevoli vantaggi dei quali anche io sono ben conscio, i tempi di ogni attività; lo ha fatto ormai da tanto, spinta nell’ultimo tragico anno dal fare di necessità virtù durante la pandemia. Ma penso che, in questa frenetica rincorsa alla rapidità, ci abbia tolto qualcosa: il piacere di fare. Restringendo al massimo i tempi, spesso si ha la sensazione solo di eseguire.

Per questo vorrei dirvi: chi ha tempo, aspetti. Ogni cosa ha il suo tempo. Persino comprare una stampante.

Emanuele Chiara

Articolo pubblicato in data 4/02/2021 nell’inserto NoiMagazine di Gazzetta del Sud

Immagine di copertina: La persistenza della memoria, Salvador Dalì (artewrold.it)

Li Wenliang: da colpevole a martire. Il profilo social del medico che aveva dato l’allarme sul virus diventa un “muro del pianto”

Il COVID-19 ha intaccato, modificato e stravolto la nostra quotidianità. Un po’ ovunque nel mondo ci sentiamo soli, non siamo liberi di circolare tranquillamente e consideriamo la mascherina chirurgica una costrizione. In Cina le persone hanno trovato una valvola di sfogo: il profilo Weibo di Li Wenliang, il giovane medico che aveva dato per primo l’allarme riguardo il nuovo e sconosciuto virus.

Selfie del dottor Li Wenliang. Fonte: Ansa

Chi è Li Wenliang

Classe 1986, era un medico oculista che lavorava presso il Wuhan Central Hospital e che aveva per primo identificato la pericolosità del nuovo virus. Tramite WeChat (applicazione di messaggistica istantanea simile al nostro Whatsapp) aveva poi espresso le sue perplessità in un gruppo di compagni universitari ormai medici. Da lì sono stati inoltrati svariate volte fino ad arrivare alla polizia di Wuhan. Interrogato, è risultato colpevole di aver diffuso informazioni false ed è stato diffidato dal diffondere altre sue idee. Successivamente era tornato a lavorare in ospedale ma aveva purtroppo contratto il virus.

La lettera di diffida che il dottor Li ha firmato recita: “Speriamo che tu possa calmarti e riflettere sul tuo comportamento”. Fonte: Wikipedia

Si è spento il 7 febbraio di quest’anno e poco tempo dopo, ad aprile, il governo cinese lo ha dichiarato martire ed eroe nazionale. Si tratta della più alta onorificenza a cui un cittadino cinese può aspirare e, nel bel mezzo della pandemia, lui ed altri 13 cittadini l’hanno ricevuta. Non solo lo stato cinese, ma anche i cittadini comuni ci tengono a ringraziare il giovane medico per il lavoro da lui svolto. Per questo motivo, ancora oggi, vanno sul suo account Weibo (il corrispettivo cinese di Facebook e Twitter) a ringraziarlo ma non solo.

Il profilo Weibo del dottor Li. Il social prevede l’utilizzo di nickname, in questo caso “xiaolwl”. Fonte: Intro Storia della Medicina

Il suo profilo social

Il New York Times scrive che questo profilo è “una sorta di Muro del Pianto virtuale“. La gente infatti lo usa per confidare gioie ma anche timori, per condividere stralci di vita quotidiana. Utilizzano i commenti di un post specifico, quello di giorno 1 febbraio in cui il medico ha condiviso di aver contratto il virus. A dieci mesi di distanza dalla sua morte, il post conta più di un milione di commenti ed il numero continua a crescere di secondo in secondo. Alcuni di questi commenti inoltre celebrano le passioni di Li Wenliang, ricordando ad esempio che amava mangiare cosce di pollo fritte o le soap opera.

Commenti del post Weibo. Fonte: il Post

“Dottor Li, come è il paradiso?”

“Dottor Li, oggi è morto il mio gatto.”

“Dottor Li, i ciliegi sono in fiore. Ricordati di guardarli.”

“Buongiorno dottor Li. Ecco a te una coscia di pollo.”

C’è chi si confida riguardo drastici cambiamenti di vita, chi esprime dubbi e perplessità riguardo il nuovo anno, chi parla della propria depressione. Insomma, il dottor Li è diventato una sorta di amico virtuale da cui trovare conforto e sostegno, ma anche una spalla su cui piangere. Tutta questa attenzione però potrebbe essere deleteria: i netizen cinesi pensano che se si continua ad usare quel post come valvola di sfogo, il governo cinese potrebbe decidere di oscurare – se non eliminare – l’account di Li Wenliang.

L’ultima foto condivisa dal dottor Li su Weibo. Fonte: Huffington Post

Non sarebbe la prima volta per il dottore, dato che a gennaio era stato prima diffidato e poi censurato riguardo le sue idee sul coronavirus. Non sarebbe la prima volta nemmeno per il governo cinese che proprio ieri ha condannato una giornalista, Zhang Zhan, ma la cui storia di censure è famosa a livello internazionale.

La giornalista Zhang Zhan. Fonte: Gazzetta del Sud

Chi è Zhang Zhan e cosa ha fatto

La giornalista Zhang Zhan, insieme ad altri suoi tre colleghi, aveva deciso di riportare sui social video e testimonianza di come la “città 0” stesse affrontando l’emergenza da COVID-19 a inizio pandemia. I suoi reportage hanno (anche questa volta) richiamato l’attenzione della polizia, che è intervenuta e ha diffidato il gruppo dal continuare il loro progetto. Al loro rifiuto sono scattate le manette. L’ex avvocato diventata giornalista Zhang è stata la prima del gruppo ad affrontare il processo, che si è concluso con una condanna a 4 anni. L’accusa è di aver “raccolto litigi e provocato problemi” durante la prima ondata e di aver diffuso “false informazioni attraverso testi, video e altri media attraverso gli internet media come WeChat, Twitter e YouTube” .

La 37enne fa lo sciopero della fame da quando è stata arrestata e al processo era incapace di camminare, tanto è che si è presentata in sedia a rotelle e visibilmente deperita. Dal momento in cui è stata emessa la sentenza, l’Unione europea si è subito mossa per liberarla e un suo portavoce dichiara:

Le restrizioni alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni, le intimidazioni e la sorveglianza dei giornalisti, così come le detenzioni, i processi e le condanne di difensori dei diritti umani, avvocati e intellettuali in Cina, stanno crescendo e continuano a essere fonte di grande preoccupazione.

Anche l’Unione europea quindi è preoccupata riguardo il fenomeno censoriale attuato dalla Cina. La preoccupazione è importante anche in senno degli accordi sugli investimenti discussi – ma non ancora siglati – con Pechino.

 

Sarah Tandurella

 

 

Lo Spirito del Natale: questione di cuore o di cervello anche in pandemia?

Il mese di dicembre, da tutti, viene inevitabilmente associato al Natale: si inizia a percepire un’atmosfera magica, di festa, di gioia, si incontrano i familiari e gli amici e si riscoprono valori importanti quali la solidarietà, la famiglia, la bontà. Se l’atmosfera natalizia di gioia mista a nostalgia è nota, ciò che potrebbe non esserlo è la localizzazione del famoso “Spirito del Natale” nel cervello umano.

Secondo Hougaar (ricercatore in neuroscienze), Lo Spirito del Natale si è diffuso, di generazione in generazione, sotto forma di un “fenomeno” noto da un punto di vista religioso e commerciale, ma non noto da un punto di vista neuro-biologico. A tale scopo, nel 2015, il ricercatore ed i suoi collaboratori condussero uno studio a Copenaghen in cui vennero coinvolti due gruppi:

  • Il primo conteneva 10 soggetti sani residenti a Copenaghen, che festeggiavano ogni anno il Natale,
  • Il secondo 10 soggetti sani, residenti nella stessa zona, che non celebravano le tradizioni natalizie.

L’obiettivo dello studio era l’esatta localizzazione dello Spirito Del Natale a livello corticale e dei meccanismi neuro-biologici coinvolti, motivo per il quale i due gruppi furono sottoposti alla metodica diagnostica della risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) mentre osservavano una serie continua di 84 immagini, mostrate per due secondi ciascuna. La serie era strutturata in modo tale da mostrare ad ogni singolo soggetto sei immagini consecutive aventi un tema natalizio, seguite da sei immagini consecutive non aventi un tema natalizio. Ciascun soggetto, inoltre, dopo essere stato sottoposto alla fMRI, veniva sottoposto ad un questionario contente una serie di domande per indagare sulle credenze, sulle tradizioni rispettate e sulle sensazioni avvertite durante il periodo natalizio.

LO SPIRITO DEL NATALE ESISTE DAVVERO NEL CERVELLO?

Lo studio dimostrò che nel gruppo dei soggetti amanti del Natale, secondariamente all’osservazione delle immagini natalizie, si attivavano delle aree cerebrali in modo molto più significativo rispetto al gruppo dei non amanti del Natale. Grazie a questi risultati, il gruppo di Hougaar identificò un network cerebrale del Natale, che corrispondeva a diverse aree cerebrali, quali:

  • Corteccia motoria primaria;
  • Corteccia premotoria sinistra;
  • Lobo destro inferiore;
  • Lobo parietale superiore;
  • Corteccia somatosensoriale primaria.

PERCHÉ QUESTE AREE CEREBRALI SONO COSI’ IMPORTANTI?

Studi precedenti hanno associato tali aree cerebrali alla spiritualità e al riconoscimento facciale delle emozioni.
Urgesi, noto psicologo e ricercatore in neuroscienze, nel 2000 aveva già dimostrato come i lobi parietali destri e sinistri giochino un ruolo fondamentale nell’autotrascendenza, ovvero il tratto di personalità che determina la propensione individuale alla spiritualità; mentre Balconi dimostrò nel 2013 come la corteccia premotoria esplichi un ruolo chiave per esperire emozioni condivise con altri individui, mettendo in atto gli atteggiamenti altrui e riflettendo lo stato emotivo altrui. Infine, Adolphs nel 2000 dimostrò che la corteccia somatosensoriale è indispensabile non solo per il riconoscimento facciale delle emozioni, ma anche per ricavare informazioni sociali in rapporto alle espressioni e ai volti altrui.

IL NATALE E ALTRE RISPOSTE NEURO-ENDOCRINE

Il Natale, se da un lato è la festa gioiosa per eccellenza, dall’altro riflette le abitudini stressanti della società moderna: le attività pre-natalizie innescano una risposta fisiologica nell’organismo con rilascio di adrenalina e cortisolo. Il secondo, l’ormone dello stress, esercita una profonda attività sull‘ippocampo, con successivo decremento della capacità di apprendere e ricordare nuove informazioni. Tuttavia, al di là dell’aspetto prettamente materialistico che potrebbe condurre il soggetto ad eventi stressanti, il Natale è per eccellenza il simbolo della famiglia: la sensazione di “calore” associata a questi momenti è dovuta in parte all’ossitocina, definita da molti studiosi l’ormone dell’istinto materno e dei legami umani.

LA PANDEMIA CI RUBERÀ’ IL NATALE?

il Natale è ormai alle porte, anche se i festeggiamenti saranno differenti rispetto a quelli degli anni passati. Se da un lato è indispensabile evitare un aumento dei contagi, dall’altro bisogna considerare le conseguenze devastati a livello psichiatrico: l’isolamento esacerberà i disturbi di ansia e i disturbi depressivi maggiori, tanto da considerare questo periodo una vera e propria “emergenza psichiatrica“.

Come dimostrato in uno studio condotto su 402 pazienti al San Raffaele di Milano nei mesi scorsi, i pazienti con una precedente diagnosi di patologia psichiatrica sono peggiorati ed il 56% dei partecipanti allo studio ha manifestato almeno uno di questi disturbiin proporzione alla gravità dell’infiammazione durante la patologia:

  • disturbo post-traumatico da stress nel 28% dei casi;
  • depressione nel 31%;
  • ansia nel 42%;
  • insonnia nel 40%;
  • sintomatologia ossessivo-compulsiva nel 20%.

Sono state riscontrate ripercussioni psichiatriche meno gravi nei pazienti ricoverati in ospedale rispetto ai pazienti ambulatoriali. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da COVID-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.

 COSA CONSIGLIANO GLI ESPERTI?

Secondo molti psichiatri, i festeggiamenti (nel limite delle norme imposte dal governo) sono un fattore prognostico positivo nel contesto della cosiddetta “ansia da pandemia”; anche la programmazione delle vacanze natalizie rappresenta un ponte tangibile tra il presente, incerto ed angosciante, ed il futuro.

Caterina Andaloro

Bibliografia

  • Adolphs, R., Damasio, H., Tranel, D., Cooper, G., Damasio, A.R. (2000). A role for somatosensory cortices in the visual recognition of emotion as revealed by three-dimensional lesion mapping. Journal of Neuroscience, 20 (7), 2683-2690
  • Balconi, M., Bortolotti, A. (2013). The “simulation” of the facial expression of emotions in case of short and long stimulus duration. The effect of pre-motor cortex inhibition by rTMS. Brain and Cognition, 83, 114-120.
  • Hougaard, A., Lindberg, U., Arngrim, N., Larsson, H.B.W., Olesen, J., Amin, F.M., Ashina, M., Haddock, B.T.  (2015). Evidence of a Christmas spirit network in the brain: functional MRI study. TheBMJ, 351:h6266.
  • Urgesi, C., Aglioti, S.M., Skrap, M., Fabbro, F. (2010). The spiritual brain: selective cortical lesions modulate human self-transcendence. Neuron, 65 (3), 309-319

 

Covid-19: gli asintomatici non sono sani

Asintomatici sani? “Pericolosa bugia”. Esordisce così Roberto Burioni sul blog scientifico Medical Facts. Ma cosa spinge l’esperto, come molti altri del settore, a sbilanciarsi in maniera così netta su un argomento considerato dai più poco chiaro? Partendo dalla definizione, sappiamo che in medicina si considera asintomatico un paziente portatore di una malattia o di un’ infezione che non presenta sintomi solitamente associati a tali condizioni. Da qui la risposta alla prima e più comune domanda: “l’asintomatico è considerato malato”? Sì, lo è. 

Molti studi hanno già dimostrato che gli infetti asintomatici, in assenza di tosse e febbre, sono in grado di diffondere il virus. Ma c’è dell’altro su cui bisogna fare chiarezza. Dai dati più recenti emerge non solo che in questi pazienti sembri non esserci un quadro polmonare di assoluta normalità ma che, dato ancora più sorprendente, molti di essi abbiano addirittura una carica virale più alta rispetto ai sintomatici.

HRCT ed ecografia: due metodiche a confronto

HRCT

Uno tra i primi approcci per identificare una polmonite, oltre l’esame clinico, è sicuramente quello dato dalla diagnostica per immagini. Metodica più comune e sicuramente più diffusa tra le tecniche di imaging polmonare è l’ HRCT polmonare, utilizzata sfruttando l’elevato contenuto aereo del polmone normale.

Una polmonite interstiziale causa una riduzione degli scambi gassosi, portando alla riduzione del contenuto aereo e di conseguenza alla attenuazione della fisiologica radiotrasparenza polmonare. Ciò porta ad un aumento dell’opacità polmonare, motivo per cui il quadro radiologico più comunemente osservato nei pazienti Covid è quello dell’opacità a vetro smerigliato (GGO).
Il prezioso apporto dato dall’HRCT ha spianato la strada verso un singolare studio condotto dal Care Centre in Kashmire  (India) che è partito arruolando una popolazione di 137 pazienti asintomatici e sottoponendoli ad un primo esame CT, tramite il quale si poteva avere contezza del quadro polmonare dei singoli malati, quindi ad una o più CT di follow-up per monitorare l’andamento della patologia.

Immagine CT di un paziente asintomatico, la figura “a” mostra la presenza di una vistosa consolidazione nel polmone destro al momento del ricovero. La figura “b” mostra invece l’attenuazione del quadro sei giorni dopo la prima acquisizione.

Nella popolazione di 137 pazienti circa la metà aveva lesioni polmonari alla prima CT. I pazienti con lesioni sono stati ulteriormente divisi in quattro gruppi in base al quadro che mostravano nei successivi follow-up: completa risoluzione, parziale risoluzione, quadro stabile, quadro in peggioramento, che coincideva poi con lo sviluppo di sintomatologia conclamata.

Nonostante una prevalenza nel 79% dei casi di opacità a vetro smerigliato, è stato possibile osservare una discreta eterogeneità. Circa il 15% dei pazienti presentava una situazione ancora più complessa con il pattern crazy paving, caratterizzato dalla presenza di aree di GGO sovrapposte ad ispessimento liscio dell’interstizio interlobulare ed intralobulare; il 3% presentava consolidazioni irregolari; solo il 2% minime consolidazioni regolari.

Evoluzione del quadro polmonare in paziente asintomatico di 29 anni. La figura “a” mostra la presenza di opacità a vetro smerigliato a livello subpleurico nel polmone sinistro, la figura “b” mostra la CT di follow-up rilevata solo cinque giorni dopo, nella quale è presente un evidente peggioramento del quadro con evoluzione in franco consolidamento.

Ecografia

Questo è tutto? Niente affatto! Se da un lato è vero che la CT rappresenta il gold standard nella diagnostica polmonare, informazioni preziose provengono anche da un’altra metodica di imaging, ovvero l’ecografia polmonare.
Che l’ecografia polmonare fosse un’arma vincente per il monitoraggio del paziente Covid lo si era già intuito nel lontano marzo, quando uno studio cinese aveva riscontrato la validità scientifica dell’ultrasonografia per la diagnosi e il monitoraggio del Covid-19.

Ma quali sono i motivi che spingono all’utilizzo dell’ecografia? Prima di tutto, quello di essere una metodica prontamente disponibile ed eseguibile al letto del malato o a domicilio, una metodica non invasiva, quindi un crocevia diagnostico fondamentale, tramite il quale in numerosi pazienti asintomatici non sottoposti a CT sono state evidenziate lesioni parenchimali. Ma, soprattutto, risulta essere una metodica con estrema sensibilità nell’individuazione delle lesioni polmonari. Infatti, sappiamo che il polmone sano non viene identificato ecograficamente perché l’aria contenuta ne ostacola la visione. E’ perciò necessaria una qualsivoglia affezione polmonare che modifichi il contenuto aereo per mettere in risalto eventuali alterazioni parenchimali o pleuriche.

Ecografia polmonare normale

Proprio per questa singolare caratteristica, in ambito di ecografia polmonare si parlerà di semeiotica artefattuale, che individua cioè artefatti tra cui il più comunemente visibile è quello dato dalla pleura. Quest’ultima, una volta investita dal fascio di ultrasuoni, da vita alle fisiologiche linee A, nell’imaging linee orizzontali equidistanti tra loro di ecogenicità inferiore rispetto a quella della pleura, che sono indice di un polmone normalmente aerato.

Quando il polmone comincia a perdere la sua fisiologica quantità di aria a discapito, ad esempio, di un’aumentata quantità di liquido, ciò è indice di un coinvolgimento interstiziale, che va dalla più comune polmonite virale fino ad arrivare a quella da Covid-19.
La semeiotica artefattuale comincerà così a modificarsi e inizierà ad esserci una patologica accentuazione delle linee B, ovvero linee verticali che si dipartono sempre dalla linea pleurica e riducono vistosamente l’ecogenicità del parenchima polmonare, classico indice di polmonite interstiziale in fase iniziale.

Da qui l’altissima specificità nell’individuare in fase asintomatica un paziente, ma anche altre emergenze internistiche importanti quali l’edema polmonare acuto cardiogeno fino ad arrivare al quadro di white lung (polmone bianco) tipico di una grave polmonite da Covid che evolve in ARDS.

Ecografia polmonare di un paziente Covid asintomatico. Nelle tre figure si vedono linee B che cancellano progressivamente le linee A. Un quadro del genere va costantemente monitorato in ecografia per la possibilità di evoluzione in white lung.

Appare evidente, quindi, come l’approccio di imaging tramite diverse metodiche, che hanno comunque numerosi aspetti sovrapponibili, ci permetta non solo di fare diagnosi e monitorare il paziente, ma anche di individuare lesioni nell’asintomatico impercettibili con il solo esame obiettivo, ma soprattutto insospettabili dato l’apparente stato di benessere.

Fonte: Giornale italiano di cardiologia

La carica virale non deve trarci in inganno

Recentissimo è inoltre uno studio pubblicato sulla rivista Infezione, che mette in luce il ruolo della diffusione asintomatica nella pandemia da SARS-CoV-2. Lo studio si è basato sulla raccolta di 360 campioni rinofaringei, orofaringei, rettali, urinari ed ematici prelevati da 60 pazienti, tra i quali il 25% era asintomatico, mentre il 75% presentava sintomi. I ricercatori hanno sottolineato che la carica virale dei pazienti asintomatici era più alta rispetto ai pazienti sintomatici ed è stata osservata una riduzione della stessa all’aumentare della gravità della malattia. Come se non bastasse, tutti i fattori legati ad una prognosi infausta, tra cui l’età, le opacità a vetro smerigliato e la bassa conta dei linfociti sono tutte correlate ad una bassa carica virale.

In conclusione, abbiamo visto che l’imminente arrivo del vaccino non può permettere un totale abbassamento della guardia. Con molte persone che non presentano i sintomi dell’infezione, per evitare di essere infettati dal virus è fondamentale come non mai l’utilizzo dei DPI, il distanziamento, l’igiene delle mani e mantenere sempre alta l’attenzione.

                                                                                                                                                                           Saro Pistorìo

Per approfondire:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32166346/

https://www.birpublications.org/doi/10.1259/bjro.20200033

 

Regioni ed esperti critici contro l’indice Rt: sempre meno affidabile

Dall’entrata in vigore dell’ultimo DPCM, e dei famosi 21 parametri in base ai quali giudicare la situazione epidemiologica in una data regione, numerosi esperti hanno messo in dubbio l’affidabilità dell’indice RT. Si tratta dell’indice che mostra l’andamento della pandemia e che contribuisce a determinare le chiusure delle regioni. Molti sostengono che i principali problemi dell’indice consistano nella qualità dei dati utilizzati per calcolarlo.

Cos’è l’indice RT

L’indice di trasmissibilità netto (Rt) indica il numero medio di infezioni secondarie generate da una persona infetta in una certa data. Questo significa che il numero ci dice quante persone vengono contagiate da una sola persona, in media, e in un certo arco di tempo.

Chiarisce l’ISS -Istituto Superiore di Sanità- che: se RT dovesse essere pari a 4, in media ogni infetto contagerà quattro persone nel periodo considerato, e queste quattro persone ne contageranno altre quattro a testa nel periodo successivo, se l’indice dovesse rimanere costante.

Un ulteriore indicatore utilizzato per monitorare l’andamento dell’epidemia è invece l’indice R0. Questo secondo indice rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente. Misura dunque la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva prima che vengano inserite misure di contrasto. Quindi:

  • R0 mostra quanto può essere trasmessa una malattia all’inizio della pandemia.
  • RT misura la trasmissione dopo l’introduzione di misure di contrasto.

Per capire come la pandemia si evolverà è dunque importante monitorare le oscillazioni di tali indici.

  • Se ogni persona positiva contagia in media meno di una persona, la pandemia sta rallentando.
  • Se invece l’indice continua a rimanere sopra il valore 1, significa che la trasmissione del contagio è ancora elevata.

Secondo i dati fornitici dall’Istituto Superiore di Sanità: in Italia l’indice RT medio è da tempo sopra il valore 1, ma la notizia buona delle ultime settimane ci dice che è sceso da 1,72 a 1,43.

Ospedale militare di Baggio, Milano (ANSA)
Ospedale militare di Baggio, Milano  fonte: ANSA

Per arrivare a questi numeri servono calcoli che si basano sui dati raccolti ogni giorno dalle regioni: quanti sono i casi sintomatici e quando sono iniziati i sintomi. Qualora i dati forniti dalle regioni siano inaffidabili anche l’indicatore RT sarà inaffidabile. 

Le Regioni fanno muro ai 21 parametri

Diverse sono state le regioni che hanno avanzato la richiesta di riconsiderare i 21 parametri dell’indice RT.

Fronte unito è quello dei governatori che chiedono un incontro con l’esecutivo che potrebbe tenersi domani -giovedì 19 novembre- al fine di pensare a delle modifiche ai 21 indicatori introdotti dal governo.

Questo perché, le regioni sostengono, gli indicatori per definire il colore delle zone “non (sono più) adeguati al monitoraggio attuale”. Preferibile sarebbe invece un sistema semplificato impostato su 5 indicatori proposti dalle stesse Regioni.

I parametri proposti delle Regioni

  • Il primo parametro proposto dalle Regioni è la percentuale di tamponi positivi in rapporto a quelli effettuati;
  • il secondo indicatore è l’Rt, l’indice di trasmissione del virus, calcolato sulla base della sorveglianza integrata dell’Istituto superiore di sanità;
  • Il terzo fattore, di cui si dovrebbe tener conto secondo le Regioni, è il tasso di occupazione dei posti letto totali di terapia Intensiva per pazienti Covid-19;
  • Il quarto elemento è il tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti Covid-19;
  • Infine, ultimo punto, l’attività di controllo sul territorio (contact-tracing, isolamento e quarantena) ed il numero di professionisti impiegabili.

Il lavoro del Governo

Il Governo non ha mancato di ricordare che questi principi scientifici erano stati condivisi e che lo schema non può essere modificato in un momento in cui si è arrivati a superare la soglia delle 700 vittime in un giorno.

Serve una maggiore rete di protezione. La partita per ora si gioca sulla manovra ma si guarda anche avanti, in attesa che si sciolga il nodo del “Recovery fund”.

Come sempre, la tensione tra il governo e le regioni rischia di creare fibrillazioni non solo nella gestione dell’emergenza sanitaria ma anche nel Paese.

@GiuseppeConteIT
@GiuseppeConteIT

Nei prossimi giorni si riunirà la cabina di regia e si discuterà anche dell’eventualità di “allentare” la morsa di  alcune provincie, all’interno delle regioni nelle fasce a rischio, qualora l’indice RT registrasse in alcuni territori il valore inferiore a 1.

 

Maria Cotugno

Vaccini COVID-19: non solo Pfizer, ma necessari tempo e cautela

Immagine tratta da Società Italiana di Farmacologia

Una soluzione semplice ad un fenomeno così complesso, come la pandemia da SARS-nCOV-2, farebbe gola a molti. Il vaccino, talvolta figlio di un profondo scetticismo, ma fondamentale strumento della sanità pubblica moderna, potrebbe permettere di dimenticare un virus che non conosce confini o classi sociali. Ciò garantirebbe un pieno e completo ritorno alla normalità. Ma il vaccino non è affatto una soluzione semplice, al contrario di come si potrebbe pensare: infatti, dietro ogni formulazione farmaceutica, ci sono anni di tentativi e ricerca scientifica. Nonostante gli annunci positivi che si susseguono non si tratterà probabilmente neanche di una soluzione immediata, con buona pace di chi pensava di impostare un conto alla rovescia.

Ad ogni modo, mai come in questo periodo, l’attività di ricerca scientifica e farmaceutica sta convergendo verso lo stesso obiettivo: ovvero il trattamento e la prevenzione dell’infezione da parte del Coronavirus. Sono infatti in corso oltre 3000 studi per il trattamento e la gestione della malattia. Per quanto riguarda la prevenzione si contano undici vaccini in fase finale di sperimentazione e cerca 150 in fase di valutazione preclinica. Stupiscono in particolare gli sforzi che si stanno compiendo per rendere i percorsi di approvazione più rapidi, a fronte dei circa dieci anni normalmente richiesti affinché un farmaco venga messo in commercio.

Sviluppo di un farmaco: come si sta tentando di accelerare il percorso di approvazione

NEJM – Accelerating Development of SARS-CoV-2 Vaccines

Normalmente, come rappresentato nell’immagine, lo sviluppo, la sperimentazione, l’approvazione e la produzione in larga scala di un farmaco richiedono tempi difficilmente compatibili con una pandemia che può sconvolgere la società in tempi, invece, molto brevi. Lo sviluppo preclinico, ovvero quello che si fa in laboratorio, può richiedere, da solo, anni. A ciò si aggiunge lo studio del farmaco sull’uomo (che si articola in tre diverse fasi), l’approvazione da parte degli enti regolatori (FDA in America, EMA in Europa) e la produzione e distribuzione commerciale. Tutto ciò può richiedere normalmente anche più di dieci anni.

Come gestire quindi la pandemia da Coronavirus? Le parole chiave sono idee collaudate, sovrapposizione e anticipazione. Riguardo al vaccino, infatti, tutte le formulazioni si basano su un’idea di base già nota che permette di ridurre la durata della fase preclinica, come vedremo successivamente.

Lo sviluppo clinico, che vien effettuato sull’essere umano, è anch’esso più breve. A ciò si sovrappone, in caso di risultati incoraggianti, un inizio anticipato della produzione in larga scala che permetterà una distribuzione immediata dopo l’approvazione da parte degli enti regolatori. Questi ultimi, una volta conclusi gli studi, possono impiegare anche svariati mesi per approvare definitivamente la commercializzazione: è lecito attendersi che nel caso della pandemia COVID-19 anche tale fase risulterà molto più rapida.

Analizziamo le tappe che hanno condotto alcuni dei vaccini più promettenti ad essere molto vicini all’approvazione e alla successiva commercializzazione.

Moderna: un vaccino ad RNA per sconfiggere il Coronavirus

Uno dei vaccini giunti ad una fase molto avanzata di sperimentazione è quello di Moderna, azienda biotecnologica statunitense. Impegnata dal 2010 nello sviluppo di farmaci e successivamente, dal 2014, nella progettazione di vaccini. L’azienda basa la sua ricerca su particolari molecole. chiamate RNA messaggeri, che entrano all’interno delle singole cellule, rendendole capaci di esprimere delle proteine virali. Il sistema immunitario del paziente riconosce queste proteine , immunizzandosi anche nei confronti del virus.

La tecnologia utilizzata, in studio già da molti anni, ha permesso di ridurre la durata delle fasi precliniche. Dal prototipo prodotto a Febbraio, già a Luglio i primi risultati hanno evidenziato l’effetto positivo del vaccino nel controllare l’infezione in 24 esemplari di macaco rhesus, un primate non umano. Anche i primi risultati su esseri umani sani (fase 1) sono ottimistici, con una risposta immunitaria ottenuta in tutti i partecipanti ed effetti collaterali definiti come moderati o lievi (dolore nel sito di inoculo, mialgie, spossatezza, febbre). Non sono stati segnalati gravi effetti collaterali.

Ad Ottobre è stato completato il reclutamento di 30000 partecipanti per la terza e ultima fase di sperimentazione, i cui risultati preliminari sono attesi in un periodo prossimo. L’approvazione potrebbe avvenire entro la fine del 2020, con una campagna vaccinale che si svolgerebbe nel corso del 2021.

Ad ogni modo l’azienda non ha mai, in passato, ottenuto risultati importanti con la tecnologia ad RNA: il vaccino rappresenterebbe, infatti, il primo successo di Moderna. Le premesse ci sono tutte, attendiamo la conferma da parte dei dati preliminari.

Pfizer & BioNTech: altro vaccino a RNA dai risultati preliminari incoraggianti

Il progetto condiviso tra Pfizer, multinazionale farmaceutica, e BioNTech, azienda biotecnologica tedesca, si concretizza nel mese di Maggio. Nella prima fase clinica vengono messe alla prova due formulazioni contenti RNA messaggeri, sfruttando la stessa strategia biologica di Moderna. I primi risultati hanno identificato nella versione BNT162b2 del vaccino il principale candidato per le fasi successive della sperimentazione. Nel mese di Luglio è stato annunciata l’inizio della fase 3 dello studio clinico che prevedeva il reclutamento di 30.000 partecipanti, successivamente ampliati a 43.000. In seguito alla somministrazione di due dosi di vaccino, si sarebbe dovuto attendere che un numero statisticamente sufficiente di partecipanti si infettasse casualmente col virus per valutarne l’efficacia.

Nel mese di Settembre Pfizer annuncia che dei risultati preliminari significativi si sarebbero avuto entro il mese di Ottobre. L'(ex) presidente Trump sfrutta la notizia affermando che un vaccino sarebbe stato approvato entro il mese di Novembre. Affermazione presto smentita da uno dei responsabili dello studio.

Qualche giorno fa, l’8 Novembre, l’azienda pubblica un’analisi dei primi 94 casi di infezione, di cui soltanto nove su soggetti vaccinati, e 83 su non vaccinati. Questo porta l’efficacia di protezione al 90%, con un numero di casi significativo per presentare i risultati agli enti regolatori per un’iniziale valutazione. Gli effetti collaterali segnalati sono stati soltanto moderati o lievi (mal di testa, dolore al sito di inoculazione, mialgie, o febbre), senza nessun effetto collaterale grave.

Gi enti regolatori, in un periodo di tempo variabile ma auspicabilmente breve, valuteranno in maniera indipendente l’efficacia e il profilo di sicurezza del vaccino. Nel frattempo lo studio proseguirà (fino al 2022) per ottenere dati statisticamente significativi, cosa che potrebbe accadere in breve tempo (servono poco più di 150 infezioni). Il vaccino dovrebbe raggiungere la popolazione nel corso del 2021. L’accordo iniziale prevede una fornitura iniziale di 200 milioni di dosi per l’Unione Europea, 100 milioni per gli Stati Uniti e 120 milioni per il Giappone.

Sfortunatamente i vaccini ad mRNA tendono ad essere instabili, infatti dovrà essere conservato a -70 °C fino al momento prima dell’inoculazione. Questo potrebbe determinare dei problemi logistici, ma si stanno già cercando di costruire delle “catene del freddo” che possano garantire la distribuzione.

AstraZeneca e Università di Oxford: un virus ingegnerizzato che protegge dal Coronavirus

La scienza alla base di questo vaccino, come abbiamo visto già per altri, non è frutto di una scoperta recente ma risale a due decenni fa. Negli anni 2000 gli scienziati della Merck (altra multinazionale farmaceutica) lavoravano ad un vaccino basato su un virus di scimpanzé (nello specifico, un adenovirus). Il progetto fu abbandonato e ripreso proprio ad Oxford, dove fu brevettato allo scopo di sviluppare vaccini in futuro.

Dopo l’isolamento del Coronavirus gli scienziati dell’Università lavorarono fin da subito ottenendo un risultato chiamato ChAdOx1, candidato agli studi clinici. La strategia biologica prevede di rendere innocuo l’adenovirus e modificarlo aggiungendo dei “frammenti” di SARS-CoV-2 che stimolano il sistema immunitario del paziente a produrre una risposta antivirale.

L’università realizza trova la soluzione per lo sviluppo commerciale attraverso un accordo con l’azienda AstraZeneca. Nel mese di Maggio vengono pubblicati i risultati iniziali relativi alla somministrazione del vaccino su scimmie macaco rhesus che dimostrano l’efficacia nel prevenire la polmonite da SARS-CoV-2.

I dati su essere umano non tardano ad arrivare: nel mese di Luglio 2020 vengono pubblicati i risultati dello studio di fase 1/2 su 1077 partecipanti di cui la metà hanno ricevuto il vaccino. C’è la conferma di una risposta antivirale con lo sviluppo di anticorpi (molecole che legano il virus riducendone le capacità infettive) e anche di una risposta cellulare del sistema immunitario.

I risultati sono positivi anche per le persone più anziane, inclusi gli over 70. Questo dettaglio è di fondamentale importanza in quanto la risposta immunitaria è generalmente più facile da ottenere in soggetti giovani.

Lo studio di fase 3 è in corso in varie parti del mondo, con 30.000 partecipanti. Nel mese di Settembre l’azienda ha interrotto tutti i test relativi al vaccino per approfondire un potenziale effetto collaterale insorto in uno dei partecipanti. In studi clinici così estesi non è raro avere delle battute di arresto per effetti avversi. Tuttavia un comitato di scienziati indipendenti ha analizzato l’evento ed è emerso che il volontario aveva ricevuto il placebo. Nel mese di Ottobre tutti gli studi sono ripresi e in attesa dei primi risultati entro il mese di Dicembre.

Già a Giugno l’Italia, insieme a Francia, Germania e Olanda, ha firmato un accordo con AstraZeneca che garantirà 400 milioni di dosi da fornire gratuitamente ai cittadini.

Johnson & Johnson: l’unico vaccino in fase avanzata che prevede una sola dose

Anche la Johnson & Johnson, azienda farmaceutica statunitense, sfrutta un sistema simile a quello di AstraZeneca. Si tratta infatti di un adenovirus ingegnerizzato, il cui sviluppo iniziò già una decade fa da parte dei ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston.

Gli studi iniziali con singola dose su scimmie dimostrano l’immunogenicità del vaccino che garantisce una protezione quasi completa nei confronti dell’infezione polmonare da SARS-CoV-2.

I primi risultati nell’uomo sembrerebbero essere altrettanto promettenti, con una risposta immunitaria potenzialmente efficace già dopo due settimane dalla singola dose.

Nel mese di Luglio inizia la fase 3, che prevede 60.000 partecipanti. Il trial è stato momentaneamente sospeso nel mese di Ottobre e poi successivamente ripreso. L’Unione Europea ha recentemente siglato un accordo per assicurare fino a 400 milioni di dosi di vaccino disponibili.

Una volta approvato il vaccino non otterremo “tutto e subito”

Approvare e commercializzare il vaccino non significherà comunque raggiungere e immunizzare tutta la popolazione in tempi brevi. I problemi sono vari: ci sono, per esempio, limiti logistici relativi alla capacità delle stesse aziende di produrre una sufficiente quantità di dosi in breve tempo. Anche la distribuzione potrebbe essere difficoltosa: basti pensare, come detto prima, alle formulazioni che devono essere mantenute a basse temperature per garantirne la stabilità.

Ci sono anche limiti di natura politica ed economica: non tutti gli stati avranno la capacità di assicurarsi il vaccino in tempi brevi. Inoltre, data per scontata l’efficacia, potrebbero crearsi delle zone nel pianeta in cui la popolazione non avrà la possibilità di essere vaccinata (Paesi più poveri o remoti) che potrebbero fungere da “incubatori naturali” del virus. L’iniziale fase di distribuzione sarà comunque probabilmente dedicata a soggetti fragili e agli addetti ai lavori. Ciò potrà garantire una riduzione della mortalità e dei ricoveri, e contenere il fenomeno dei contagi in ambito ospedaliero e sanitario.

Sarà da valutare anche la durata dell’immunizzazione. Il virus ha infatti un comportamento subdolo e sembrerebbe avere la capacità di reinfettare soggetti che hanno contratto la malattia precedentemente. La scienza dietro ai vaccini ha come obiettivo quello di garantire un’immunizzazione più duratura che possa proteggere almeno per tutta la stagione invernale. I soggetti che hanno ricevuto le dosi nelle prime fasi cliniche sono costantemente monitorati per ottenere dati temporali sull’immunità acquisita.

Altro limite potrebbe essere dettato anche dall’aderenza della popolazione alla campagna vaccinale. A Giugno l’Università Cattolica pubblica uno studio in cui si stima che il 41% della popolazione si dichiara poco o per niente propensa a ricevere una futura vaccinazione. Saranno necessarie campagne di sensibilizzazione al fine di ottenere percentuali di copertura sufficienti a limitare la circolazione del virus.

Sebbene la ricerca medica e farmaceutica sia riuscita a raggiungere traguardi impensabili in periodi di tempo così brevi ad oggi non è comunque possibile fornire date o scadenze certe. Il vaccino rischia di essere strumentalizzato economicamente e politicamente, ma una cosa è certa: soltanto una distribuzione equa che raggiunga l’intera popolazione lo renderà efficace. Nel frattempo, senza farsi troppe illusioni, seguiamo l’evoluzione del fenomeno che ci riserverà sicuramente delle sorprese positive.

Antonino Micari

Cos’è il tasso di positività e perché ci aiuta meglio a capire l’andamento dell’epidemia

L’obiettivo di tutti gli stati nel mondo è quello di limitare e controllare il virus. Da un lato il tasso di positività diventa un indicatore sempre più accreditato per studiare l’andamento della pandemia, dall’altro in paesi come la Francia ci si sta chiedendo se le limitazioni sulla circolazione possano garantire un rallentamento della diffusione dell’epidemia.

Tasso di positività dei tamponi in Europa – Fonte:corriere.it

Nelle ultime settimane il tasso di positività dei tamponi permette ai ricercatori di avere un quadro più chiaro sui singoli dati del contagio da coronavirus che, se contestualizzati e analizzati correttamente, mostrano l’estensione della diffusione del virus in un’area ben definita come una regione o uno stato.

Cos’è il tasso di positività

È un valore utile, ai fini di un’analisi effettuata su un’ampia fetta di una popolazione, appartenente a un dato territorio, che ne valuta e stabilisce il livello di incidenza. Tale risultato viene evidenziato attraverso una percentuale alta o bassa, calcolata per mezzo di una proporzione tra i tamponi positivi e il totale di quelli effettuati.  Si rileva perciò che una maggiore estensione del tasso di positività fornirà dati più realistici sugli effetti dell’epidemia sulla popolazione.

Esiste una soglia allarmante?

Secondo Pezzotti:

“ un tasso di positività tra il 5% e il 10% vuol dire che non riusciamo più a tracciare molto bene e ci  concentriamo su chi ha sintomi, senza raggiungere le persone asintomatiche, che poi sono quelle che vanno più spesso in giro”

Risulta chiaro che non esistono indicatori che presi singolarmente possono illustrare esattamente ciò che sta succedendo, ma allo stesso modo non bisogna dare troppo peso alla percentuali di tamponi positivi risultati in un determinato territorio in un solo giorno. È importate valutare il modo in cui un’autorità sanitaria ha effettuato i controlli; infatti se da un lato alcune regioni, molto attente e scrupolose, potrebbero applicare il contact tracing, un metodo particolarmente preciso per l’individuazione di persone da sottoporre al tampone; altre invece indurrebbero all’esame soggetti che non hanno motivo di essere controllati escludendone altri dentro cui il contagio potrebbe essere più diffuso.

Una bussola nel mare dei dati Covid: il tasso di positività – Fonte:ilbolive.unipd.it

Ecco perché risulta essenziale valutare un quadro più ampio che abbraccia un periodo più esteso e permette di avere dei valori medi sull’andamento epidemiologico.  Si arriva perciò a capire come un’epidemia sia un fenomeno molto complesso e articolato da poter controllare e conseguenzialmente il suo monitoraggio deve essere vasto, fitto e capillare per poter riscontrare il tasso di positività a livello internazionale.

Cosa stanno facendo gli stati per contenere il contagio?

Il presidente francese Emmanuel Macron, ha disposto il coprifuoco a Parigi e in altre otto grandi città metropolitane, con l’obiettivo di diminuire la diffusione dell’epidemia da coronavirus, che entrerà in vigore da sabato 17 ottobre, ma molti dubitano sulla sua utilità.

Macron annuncia il coprifuoco – Fonte:policymakermag.it

Perché si vuole ricorrere al coprifuoco

Sebbene la parola coprifuoco riporti alla memoria scenari di guerra che sembrano distanti dai nostri tempi, possiamo attribuirle anche un significato più imparziale, come divieto di uscire durante le ore serali, per motivi di ordine pubblico o in situazioni di particolare stato di emergenza.

Francia, 12mila agenti per il coprifuoco – Fonte:agenpress.it

La corsa al coprifuoco, come quello francese, mette in guardia la popolazione sulla situazione ancora in fase acuta dell’epidemia, della diffusione in corso del contagio e della necessità di non esporsi a rischi, rispettando tutte le prevenzioni necessarie per ridurre al minimo i contagi. Alcuni esperti pensano che queste restrizioni possano responsabilizzare la popolazione, mostrando rettitudine anche in orari esterni al coprifuoco, altri invece ritengono che questo possa limitare non solo le interazioni sociali informali ma anche a contenere il consumo di alcol che tende a ridurre le inibizioni e può fare assumere atteggiamenti più imprudenti.

Esistono prove scientifiche che ne testimoniano l’efficacia?

Le autorità sanitarie e gli epidemiologi, stanno aspettando dati concreti su cui poter fare maggiori valutazioni, ma fino ad ora tutto quello che è stato fatto si basa esclusivamente su ciò che è possibile prevedere, dal momento in cui milioni di persone sono obbligate a rimanere a casa al di fuori dell’orario lavorativo.

Quali paesi si stanno mobilitando verso restrizioni più rigide?

In Australia, la città di Melbourne è stata sottoposta ad un coprifuoco drastico per un mese, in cui i controlli effettuati dalle forze dell’ordine hanno incentivato il rispetto delle regole imposte e le misure che sono state adottate avevano le sembianze di un vero lockdown.

Australia impone nuove restrizioni nello Stato di Victoria – Fonte:asknews.it

Il Regno Unito invece ha sperimentato nelle ultime settimane un coprifuoco flessibile, che si adatta alle aree geografiche e all’incidenza dell’epidemia. Come per la Francia, anche per la nazione inglese bisognerà aspettare del tempo per verificare i vantaggi prodotti dalle limitazioni messo in atto da ancora pochi giorni.

Perplessità sulle misure attuate

Sono parecchie le voci discordanti sull’adeguatezza delle restrizioni imposte. Il limite prescritto dall’orario di rientro a casa potrebbe solo anticipare di qualche ora tutte le attività sociali informali, che causerebbero ugualmente assembramenti e la concentrazione delle persone in luoghi al chiuso. Molti obiettano che il coprifuoco influendo solo nelle ore serali, non abbia alcun nessun effetto sul resto della giornata in cui è inevitabile esporsi al riesco di contagio.  I responsabili delle istituzioni sanitarie si mostrano positivi, poiché ritengono che qualsiasi misura di intervento può far nascere un beneficio che moltiplicato per milioni di persone potrebbe portare al rallentamento di diffusione del coronavirus.

Giovanna Sgarlata

Coronavirus, il Ministro Speranza valuta il TSO per i trasgressori dell’isolamento

Dopo la rabbia manifestata da diversi governatori delle regioni italiane, che a gran voce e con forza polemica e fattiva, hanno chiesto misure più dure e restrittive per impedire che si ripetano casi di rifiuto arbitrario dell’isolamento, anche il Ministro della Salute, Roberto Speranza, sta vagliando l’eventualità del ricovero coatto per tutti coloro che si rifiutano di sottoporsi alla quarantena obbligatoria in caso di contagio.

Dunque, per i trasgressori che mettono a serio rischio l’incolumità di tutti, tolleranza zero.

Il risultato che si deduce dalla lettura degli ultimi dati a disposizione del Ministero della Salute è che il virus circola ancora, finché sarà così non potremo considerare superato il dramma del contagio.

A tal proposito il ministro Speranza ha manifestato grande accortezza: “Lavoriamo ogni giorno perché non si torni mai più al livello di sofferenza di marzo, per questo, su ogni atto, seguo il principio della massima prudenza”.

Nonostante il tema della prudenza evocato dal ministro responsabile della tutela della pubblica, perdura il dubbio circa l’efficacia delle pene per chi trasgredisce alle disposizioni governative atte a garantire il rispetto delle regole.

Oggi, la legge, per una persona positiva al Covid-19 che non resta in isolamento prevede una sanzione penale da 3 a 18 mesi di carcere, ed una multa fino a 5.000 euro.

Speranza ha citato il caso del focolaio di Vicenza “come un comportamento inaccettabile”, al quale è opportuno rispondere con estrema durezza e velocità.
Negli uffici legislativi del Ministero della Salute si sta discutendo concretamente dell’ipotesi di effettuare trattamenti sanitari obbligatori (TSO) nei casi di persone che pur dovendosi curare non lo fanno.

Alla fine del lockdown si è percepito un rilassamento da parte di tutta la popolazione, atteggiamento che, se diffuso, potrebbe esporre il Paese a nuovi rischi in vista della seconda ondata prevista per l’autunno.

“Ho il terrore di vanificare gli enormi sforzi fatti durante il lockdown”, queste le sintetiche ma eloquenti parole del Ministro Speranza.

In tal senso Speranza si è detto orgoglioso dell’incremento delle risorse (3 miliardi e mezzo) sulla sanità attuato dal decreto Rilancio.

Ad essere premiate dalle queste nuove potenzialità finanziarie saranno la rete territoriale e l’assistenza domiciliare, la velocità d’esecuzione dei test, E per l’aumento dei posti in terapia intensiva.

C’è fiducia negli ambienti del Ministero riguardo il rientro in sicurezza nelle classi a settembre, tema che è stato definito dal Governo come “prioritario”.

“La mia proposta è di ricostruire un rapporto organico tra scuola e sanità”, ha detto con convinzione Speranza, che ha poi precisato “ci saranno test sierologici-molecolari sulla popolazione scolastica, un monitoraggio costante”.

Antonio Mulone