Strage sul lavoro: cinque operai sono morti a Casteldaccia

Lunedì cinque operai sono morti a Casteldaccia, comune in provincia di Palermo, durante un lavoro di manutenzione a una rete fognaria. Secondo i Vigili del Fuoco di Palermo, la causa del decesso è stata l’inalazione di solfuro di idrogeno. I manutentori stavano lavorando in una vasca di depurazione di acque reflue a 6 metri sotto il livello del suolo nelle vicinanze di un’azienda vinicola. Gli operai in questione sono Epifanio Assazia, 71 anni, Ignazio Giordano, 57 anni, Giuseppe Miraglia, 47 anni, Roberto Raneri, 51 anni, e Giuseppe La Barbera, di 26 anni. Un sesto operaio è attualmente ricoverato in gravi condizioni al Policlinico di Palermo dopo l’inalazione delle esalazioni tossiche. È rimasto illeso il settimo operaio che è riuscito a chiamare i soccorsi alle 13:48.

I Vigili del Fuoco hanno accertato che il livello del gas si trovasse a una concentrazione dieci volte superiore alla norma e che gli operai non indossassero protezioni. Non sono note le cause per le quali i manutentori non ne fossero provvisti. Un’indagine è stata dunque aperta dalla Procura di Termini Imerese.

(vigilidelfuoco.it)

Le dinamiche dell’accaduto

Gli operai coinvolti facevano parte dell’azienda Quadrifoglio Group di Partinico (ad eccezione di La Barbera che era dipendente di AMAP). La Quadrifoglio Group, di cui Assazia era inoltre uno dei titolari, aveva vinto una gara d’appalto per la manutenzione della rete fognaria. Insieme a quella idrica, a gestire le fogne è AMAP, Azienda Municipalizzata Acquedotto di Palermo.

Secondo le prime ricostruzioni, inizialmente sarebbero scesi solo due operai. Gli altri tre, alle prime richieste di aiuto, li avrebbero poi seguiti per soccorrerli rimanendo però uccisi dalle stesse esalazioni, seppur in un soppalco superiore. Un altro operaio, ora ricoverato in gravi condizioni, sarebbe poi sceso rimanendo anch’egli ferito. A chiamare i soccorsi è stato dunque il settimo operaio, rimasto illeso.

(Flickr)

La sostanza che ha ucciso gli operai

Il solfuro d’idrogeno (o idrogeno solforato) è un gas che viene prodotto durante la fermentazioni di alcuni composti organici. Se inalato, risulta estremamente tossico per le vie aeree, con effetti letali. La sua presenza è percepibile per l’odore sgradevole di uova marce che emana, seppur tenda a diminuire man mano che aumenta la concentrazione nell’aria.

Per evitare l’inalazione è sufficiente indossare delle protezioni delle vie aeree: gli operai, al momento dei lavori, non le indossavano. Diverse sono state le irregolarità riscontrate durante il lavoro: oltre alla mancanza di dispositivi di protezione individuale, due degli operai rimasti uccisi non avevano sufficienti competenze e un altro era formalmente pensionato.

(Pexels)

I commenti di AMAP e le reazioni dei sindacati

L’AMAP ha commentato l’accaduto come «assurdo», ritenendo di godere di rigidi protocolli di sicurezza e formazione del personale. Durante la manutenzione era comunque presente il direttore dei lavori e responsabile della sicurezza, che viene ora ascoltato dalla Polizia. Nel frattempo, i sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno indetto uno sciopero di quattro ore per oggi e organizzato un sit-in di fronte alla Prefettura di Palermo in via Cavour. Un altro sciopero di 8 ore indetto da Fillea, Filca e Feneal si affianca a quello delle maggiori sigle sindacali. Le mobilitazioni sono state organizzate per chiedere maggiori tutele di sicurezza sul lavoro, a fronte del crescente numero di vittime.

Sulla tragedia si sono espressi il Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e il sindaco di Casteldaccia Giovanni Di Giacinto, esprimendo il loro profondo cordoglio. Di Giacinto ha poi affermato in collegamento con RaiNews.it che non si tratta del primo lavoro di manutenzione della vasca, affermando vi si opera «da più di vent’anni». Molto provato dalla tragedia ha poi raccontato ai microfoni lo shock dell’operaio rimasto illeso. Dopo aver chiamato i soccorsi ed essere venuto a conoscenza della morte dei colleghi, avrebbe ricevuto supporto psicologico dai medici giunti sul posto.

(Wikimedia)

Francesco D’Anna

Sergio Mattarella, il primo Presidente della Repubblica siciliano

Amato dagli italiani per l’autorevolezza di “pater familias” manifestata al potere e il profilo basso tenuto nella guida della sua altissima carica, Sergio Mattarella chiude il settennato che, a dispetto della sua immagine di uomo restio ai conflitti, è stato tra i più complessi della storia repubblicana.

Tra i personaggi pubblici del nostro tempo è forse il più schivo, probabilmente il meno portato a raccontarsi, a farsi pubblicità; l’Anti-Narciso per eccellenza.

Nel corso della sua vita ha maturato un’esperienza straordinaria come servitore delle istituzioni, eppure dell’uomo Mattarella poco si conosce. In questo articolo ripercorriamo i momenti salienti della vita -precedente alla sua prima elezione alla Camera– del primo Presidente della Repubblica siciliano.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – Fonte: varesenews.it

Gli anni della giovinezza e della formazione

Sergio Mattarella nacque a Palermo il 23 luglio 1941, quarto figlio di Bernardo Mattarella, politico democristiano cinque volte ministro tra gli anni Cinquanta e Sessanta, e di Maria Buccellato. Nello scegliere il nome per l’ultimogenito i genitori pensarono, forse profeticamente, a Sergio I, un papa santo del VII secolo nato a Palermo e descritto dalle fonti come “uomo di notevole cultura che aveva percorso tutta la carriera e ricomposto molte controversie e discordie”.

Il piccolo Sergio crebbe in un ambiente familiare profondamente stimolante, immerso fin da subito nella politica grazie alla figura del padre. Proprio a causa dei suoi incarichi di governo, nel 1948 la famiglia si trasferì a Roma, dove i fratelli frequentarono dalla terza elementare alla maturità classica l’istituto religioso S. Leone Magno dei Fratelli Maristi.

Ricordando questo periodo Mattarella dirà:

“La scuola credo mi abbia aiutato a non restare una pietra inerte. Vivere insieme un’esperienza di comunità, di studio, mi ha insegnato a comprendere le esigenze, i problemi, le attese degli altri. Questo mi ha fatto capire che si cresce se si cresce insieme, che si è davvero liberi –liberi dall’ignoranza, liberi dal bisogno, liberi dalla violenza- se liberi sono anche gli altri”.

Nel quinquennio 1960-1964 si consolidarono le radici della formazione professionale e sociale del giovane Sergio che conseguì la laurea in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi su La funzione dell’indirizzo politico.

Il giovane Sergio Mattarella con il padre Bernardo – Fonte: rainews.it

L’incontro con Marisa Chiazzese

All’inizio del 1958 a Palermo, il sedicenne Sergio conobbe Marisa Chiazzese, la sorella tredicenne di Irma, fidanzata di Piersanti, e figlia di Lauro Chiazzese, ex rettore dell’Università di Palermo e docente di Diritto Romano.

I due si fidanzarono nel 1964 e l’anno dopo Sergio tornò a vivere in Sicilia per starle vicino.

Il 21 marzo 1966, giorno dell’equinozio di primavera, si sposarono nella chiesa barocca di S. Caterina di Palermo. Dal matrimonio nacquero tre figli: Laura, Bernardo Giorgio e Francesco.

Di personalità mite, analitica, riservata, Marisa non ha mai avuto l’attenzione mediatica di cui, troppo spesso, godono le compagne o i compagni dei Capi di Stato, in quanto il primo marzo 2012, tre anni prima dell’inizio del mandato del marito come Presidente della Repubblica, è venuta a mancare a Castellammare del Golfo.

Il profondo attaccamento di Sergio Mattarella alla moglie è testimoniato dall’assidua presenza con cui l’ha affiancata nell’affrontare il calvario della malattia che l’ha portata via.

Nel 2015 il presidente la ricordò in un discorso al Quirinale in occasione della Giornata internazionale della ricerca sul cancro:

“Per seguire la persona a me più cara al mondo, ho trascorso a più riprese numerose settimane in ospedali oncologici. Sarebbe auspicabile che ogni tanto le persone in buona salute trascorressero qualche giorno in visita negli ospedali, perché il contatto con la sofferenza aiuterebbe chiunque a dare a ogni cosa il giusto posto nella vita”.

Sergio Mattarella e la moglie Marisa Chiazzese – Fonte: urbanpost.it

Il ritorno a Palermo e la carriera accademica

Una volta rientrato a Palermo si unì a un gruppo di giovani studiosi che seguivano il giurista Pietro Virga, professore di diritto costituzionale e poi amministrativo presso l’Istituto di Diritto Pubblico dell’Università.

Nel 1965 intraprese la carriera accademica come assistente di diritto costituzionale. Nel 1969 divenne professore incaricato di diritto parlamentare presso la facoltà di Scienze politiche, dedicandosi all’insegnamento fino al 1983, quando si mise in aspettativa per le elezioni alla Camera.

L’attività scientifica e le pubblicazioni di questo periodo riguardarono in prevalenza argomenti di diritto costituzionale: intervento della Regione siciliana nell’economia, attività ispettiva del Parlamento, procedimento legislativo, bicameralismo, indennità di espropriazione. L’attività accademica lo portò a svolgere relazioni e interventi in convegni di studi giuridici e a tenere lezioni in corsi di master e specializzazione in varie università.

Di quello che considerava il suo “vero lavoro” sentì sempre la mancanza:

“Quando mi chiamano a partecipare a dibattiti accademici vado molto volentieri, perché i giovani che guardano alle cose con un’altra ottica mi costringono a riflettere”.

Il professore Sergio Mattarella durante un esame – Fonte: castelvetranoselinunte.it

La morte del fratello Piersanti e l’impegno politico

L’avvenimento che determinò l’allontanamento dall’attività accademica fu la morte del fratello, avvenuta il 6 gennaio 1980. Piersanti Mattarella aveva seguito le orme del padre, passando dalle file della Democrazia Cristiana al consiglio comunale della città di Palermo, fino ad essere eletto, nel 1978, Presidente della Regione Sicilia.

Il giorno dell’Epifania Piersanti si recò a messa con la famiglia senza scorta, non utilizzata nelle uscite private. Improvvisamente un giovane a volto scoperto si avvicinò al suo finestrino e colpì il presidente con una prima raffica di colpi, ferendo anche la moglie Irma. Durante la sparatoria il revolver si inceppò e il killer si diresse con calma verso una 127 bianca, per farsi consegnare dal complice un secondo revolver con cui tornò a colpire Mattarella dal finestrino posteriore.

Fu il nipote Bernardo ad avvertire dell’accaduto Sergio Mattarella, immortalato al suo arrivo nel celebre scatto di Letizia Battaglia, che lo ritrae chino sul corpo del fratello nell’attesa dei soccorsi. Piersanti Mattarella morì sette minuti dopo l’arrivo in ospedale.

Inizialmente considerato un attentato terroristico, il delitto fu indicato dal collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta come delitto di mafia.

La morte del fratello sconvolse profondamente Sergio Mattarella, che raccolse l’eredità politica e “il patrimonio di energie” del fratello, aumentando progressivamente il proprio impegno politico e dando inizio a una lunga e illustre carriera che lo vide ricoprire le più importanti cariche politiche e istituzionali (Vice-Presidente del Consiglio, più volte deputato e ministro, membro della Corte costituzionale), dedicando particolare attenzione alla lotta contro la mafia e il rispetto della legalità.

Sergio con in braccio il fratello Piersanti Mattarella dopo l’attentato – ©Letizia Battaglia, Palermo 1980

 

Santa Talia

Fonti: 

Angelo Gallippi – Sergio Mattarella, 40 anni di storia italiana, Paesi Edizioni, 2022

https://www.quirinale.it/page/biografia

https://www.treccani.it/enciclopedia/sergio-mattarella

https://biografieonline.it/biografia-sergio-mattarella

https://www.ilpost.it/2022/01/16/sergio-mattarella-fine-mandato/

Immagine in evidenza:

Il Presidente Sergio Mattarella alla cerimonia della deposizione di una corona d’alloro sulla Tomba del Milite Ignoto, nella ricorrenza del 75° anniversario della Liberazione, Roma 2020 – Fonte: quirinale.it

Messina e la Sicilia bruciano. Numerosi gli interventi di vigili del fuoco e della forestale

Come tristemente si ripete da alcune estati, anche quest’anno l’ultima settimana di luglio si è caratterizzata per la presenza a Messina e provincia di importanti incendi. In mattinata, sono stati infatti definitivamente spente le ultime fiamme che divampavano nelle campagne dei quartieri di Catarratti, Bisconte, Camaro superiore, Bordonaro e San Giovannello. Anche l’area vicino al complesso Mito è stata interessata e diversi ettari di campagna sono andati persi nella zona sud-ovest del Villaggio di Bordonaro.

Se la situazione sembra essere tornata sotto controllo nella città peloritana più complessa permane nella provincia, dove sono ancora in corso alcuni roghi nella zona di Gallodoro, a Letojanni e nelle campagne nei pressi di Mandanici. Nonostante nel corso della nottata sembrassero prossimi all’essere spenti, i roghi hanno invece ripreso vigore e stamattina il fronte del fuoco ha continuato ad ardere. Più di duecento ettari sono stati colpiti direttamente e ad andare in fumo è stata anche, nel versante di Santa Domenica di Vittoria, una zona appartenente all’oasi del fiume Alcantara.

Non solo ettari di terreno. Ad Alì Terme, nella fascia jonica della provincia di Messina, i vigili del fuoco hanno dovuto fronteggiare le fiamme di un incendio scoppiato in una cantina di una palazzina. Il fumo aveva precedentemente allertato i residenti e fortunatamente la zona è stata fatta evacuare in attesa dell’arrivo dei vigili. La situazione è dunque potuta tornare alla normalità senza registrare alcun ferito, ma solo tanta preoccupazione.

fonte: gazzetta del sud

Gran lavoro dunque per i pompieri e gli uomini del corpo forestale che sono stati coinvolti in pochi giorni su diversi fronti, riuscendo a mettere in salvo diverse abitazioni e numerosi animali. Per fare ciò è stato necessario il ricorso all’uso di alcuni canadair, oltre ad elicotteri che hanno sorvolato le colline sopra la frazione di Camaro e l’impiego di autobotti di rincalzo alle autopompe.

Sicilia in fiamme

Alimentati dalle alte temperature e dal vento caldo, senza escludere la mano dei piromani, sono diversi i luoghi della Sicilia che hanno avuto la necessità di un tempestivo intervento dei vigili del fuoco. Oltre a Messina anche a Palermo e Catania i centralini delle stazioni di forestale e pompieri sono stati allertati da centinaia di telefonate di residenti o spettatori preoccupati. La Protezione Civile regionale ha diffuso un’allerta “rossa” di livello 3 (il massimo), e il Dipartimento regionale ha diramato il nuovo bollettino con lo stato di “preallerta” e di “attenzione” per il rischio incendi e ondate di calore fino al 6 agosto.

Catania e Palermo

Anche Catania brucia. Il caldo soffocante e il vento africano hanno alimentato diversi focolari. Data la gravità della situazione la Sac Service (la società che gestisce l’aeroporto di Catania) ha dovuto disporre la sospensione temporanea delle operazioni di volo in partenza e in arrivo per permettere l’impiego di elicotteri nel contenimento degli incendi scoppiati nella zona limitrofa allo scalo.

Il rione Fossa Creta, dove diverse famiglie sono state costrette a lasciare le loro case, è stata la zona maggiormente colpita. A procurare ulteriori disagi è stata l’intensa nube di fumo che ha reso necessaria la chiusura al traffico e bloccato l’accesso anche ad alcune strade. Ad andare distrutto anche lo stabilimento balneare “Le Capannine” del lungomare della Plaia, mentre centocinquanta persone, provenienti dai villaggi Primosole e Azzurro, sono state costrette a recarsi in spiaggia per sfuggire ai roghi. Qui, per scappare dalle fiamme, si è reso necessario il salvataggio con mezzi navali e personale della Capitaneria di porto. Gli interventi, coordinati dalla prefettura, hanno richiesto l’uso di gommoni e motovedette oltreché un rimorchiatore e una mezzo navale della Guardia di finanza. In numerosi hanno hanno perso la casa e saranno ospitati nel Palazzetto dello sport di piazza Spedini messo a disposizione dal Comune.

Nel capoluogo siciliano la situazione non è da meno. A Piana degli Albanesi circa 800 gli ettari di bosco sono stati devastati. Alcune famiglie che abitano in prossimità di Monte Pizzuta e di contrada Casalotto sono state fatte evacuare per precauzione dalle squadre antincendio, ed anche ad Altofonte roghi sparsi hanno allertato gli abitanti.

 

Piana degli Albanesi, fonte: palermo.gds

Musumeci: “I piromani meriterebbero il carcere a vita”

“Come purtroppo temevamo, a causa delle altissime temperature che già da alcuni giorni stiamo registrando in Sicilia, l’Isola è aggredita da incendi di vasta estensione, alcuni dei quali veramente gravi per la devastazione che ne consegue. Una situazione resa ancor più tragica dalla rinnovata azione dei piromani che, come accertato dalle indagini degli inquirenti, appiccano scientificamente il fuoco in più punti causando danni irreversibili al patrimonio boschivo e mettendo a rischio persino l’incolumità delle persone. Si tratta di criminali che, lo ribadiamo, meriterebbero il carcere a vita per azioni scellerate che cancellano identità e storia del nostro territorio, come è accaduto a Portella della Ginestra e Piana degli Albanesi”. Questo quanto affermato, in una nota, dal presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci.

Filippo Giletto

 

 

Ventinove 19 luglio fa, l’attentato in Via d’Amelio, la cui esplosione riecheggiò in tutto il Paese

Un’immagine d’archivio dell’attentato in via D’Amelio nel quale rimase ucciso il magistrato Paolo Borsellino nel 1992. (fonte: ansa.it)

Ventinove anniversari, ben ventinove lunghi anni e ancora sembra esser passato solo qualche giorno, dalla strage di Via D’Amelio, nella quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Un attentato messo in atto dalla mafia, minacciata dal lavoro del giudice, capace di colpire nei punti più sensibili.

Ogni anno, per quanto ricordare sia dolorosissimo non solo per le famiglie delle vittime, si celebra il ricordo di Borsellino, che insieme a suo fedele collega Giovanni Falcone, è stato e continua ad essere più che un uomo di Stato.

Tutti noi sappiamo ormai bene cosa successe quel 19 luglio del 1992, ma siamo altrettanto consapevoli di quanto, se pur a caro prezzo, sia necessario ricordare un evento funesto come questo.

Questa sera, alle ore 21, a Palermo, proprio nel luogo dell’attentato, si accenderà il nuovo impianto di illuminazione con i colori del tricolore italiano, proposto dal fratello del magistrato, Salvatore Borsellino, e voluto anche dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, dopo un’intensa giornata di commemorazioni.

Il giudice Paolo Borsellino (fonte: palermo.italiani.it)

Quel terribile giorno

51 anni, da 28 in magistratura, procuratore aggiunto nel capoluogo siciliano dopo aver diretto la procura di Marsala, quel 19 luglio 1992, Borsellino pranzò a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia. Poi, si diresse con la sua scorta in via D’Amelio, dove vivevano la madre e la sorella.

Una Fiat 126 con circa cento chili di tritolo a bordo, parcheggiata press l’abitazione della madre esplose al quando il giudice si avvicinò, uccidendo anche i cinque agenti. Erano le 16.58.

Una foto dei momenti dopo la strage (fonte: ansa.it)

 

L’esplosione, nel cuore di Palermo, venne avvertita in gran parte della città e uccise il magistrato e gli agenti della scorta, tra cui, ricordiamo, Emanuela Loi, 24 anni, la prima donna poliziotto in una squadra di agenti addetta alle scorte. Unico superstite Antonino Vullo.

 

Gli agenti della scorta di Borsellino che persero la vita (fonte: ansa.it)

Tanti, troppi misteri irrisolti riguardo la strage, un sospettato e inquietante passaggio di informazioni fino agli assassini mafiosi a partire da non identificati soggetti, forse appartenenti proprio allo Stato, per cui Borsellino ha sacrificato la propria vita.

“Uno Stato che non merita fiducia perché a 29 anni di distanza ancora non si è indagato a sufficienza su molti punti rimasti oscuri, a partire dalla presenza dei servizi nella strage e su chi veramente ha ordito certe mistificazioni.”. A lasciare andare parole tanto pesanti è stato il fratello del magistrato, Salvator Borsellino.

In un certo senso a rispondere è stato il procuratore generale di Caltanissetta, Lia Sava: “le indagini sulle stragi non si sono mai fermate e non si fermano” ha assicurato. Sapere che vi sono donne e uomini che continuano o, quantomeno, provano a riprendere la strada tracciata dai due magistrati eroi, rassicura tutti noi italiani.

Oggi, tante le iniziative in programma, proprio per portare avanti l’intento di sensibilizzare i cittadini tramite il ricordo della strage. Interverranno anche, ancora una volta, i familiari delle vittime, per poi concludere con la suddetta accensione delle luci tricolori alle 21.

 

Le parole del presidente Mattarella e dell’ex procuratore generale di Palermo

Non è mancato, stamattina, l’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, le cui parole, considerando la sua personale storia di vita, toccano il cuore e la coscienza:

“L’attentato di via D’Amelio, ventinove anni or sono, venne concepito e messo in atto con brutale disumanità. Paolo Borsellino pagò con la vita la propria rettitudine e la coerenza di uomo delle Istituzioni. Con lui morirono gli agenti della scorta. La memoria di quella strage, che ha segnato così profondamente la storia repubblicana, suscita tuttora una immutata commozione, e insieme rinnova la consapevolezza della necessità dell’impegno comune per sradicare le mafie, per contrastare l’illegalità, per spezzare connivenze e complicità che favoriscono la presenza criminale.”.

Poi, ancora, le parole dell’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, intervenuto nel capoluogo siciliano alla conferenza di “Antimafia Duemila”, organizzata in occasione dell’anniversario, sono parole fortissime, che si inseriscono nel contesto di sospetti assai inquietanti e condivisi da molti.

“Più trascorrono gli anni e più si comprende che la strage di via D’Amelio non è solo un caso giudiziario, ma è molto di più. È un capitolo della storia della lotta al potere in Italia, una cartina di tornasole del reale funzionamento del potere in Italia, il segreto ritratto di Dorian Gray nel volto feroce e criminale in alcuni settori della classe dirigente. E la strage di via d’Amelio è ancora tra noi, non è finita”.

Spesso si sono riaccese le luci sui i vari tentativi di depistaggio nelle indagini sulla strage, a cominciare dalla scomparsa dell’agenda rossa del magistrato: “C’è stato un perfetto coordinamento operativo tra i mafiosi che fanno esplodere l’autobomba e gli uomini dei servizi che pochi minuti dopo completano il lavoro prendendo l’agenda rossa. Era essenziale prendere quell’agenda, non bastava uccidere Borsellino – ha spiegato l’ex procuratore – perché se l’agenda rossa fosse finita nelle mani dei magistrati, sarebbe saltato tutto.

Questo “tutto” si riferisce a una sospettata e terrificante rete che avrebbe legato e continuerebbe ancora a legare, la mafia e alcuni soggetti esterni, forse nascostisi sotto il nome dello Stato. “Lo stesso Borsellino che lo aveva capito, come disse a sua moglie espressamente: ‘Sarà la mafia a uccidermi, ma quando altri lo decideranno’.” ha detto Scarpinato.

Leggere gli “appunti” di Borsellino, avrebbe significato avere le chiavi di lettura per dare un volto ai mandanti e ai registi esterni della sua uccisione, ma anche quella di Falcone.

Un filo conduttore che continuerebbe ancora oggi, secondo l’ex procuratore, che lega gli atti orribili di vari soggetti, le cui azioni hanno cambiato per sempre il volto del nostro Paese, interrompendo bruscamente e definitivamente la via della resilienza tracciata e intrapresa da Borsellino e Falcone, strappando a tutti gli italiani la più grande possibilità presentatasi finora di metter già fine una volta per tutte a questo incubo chiamato mafia.

Una foto da una delle manifestazioni per l’anniversario (fonte: ansa.it)

 

Rita Bonaccurso

 

Banca d’Italia di Palermo: tirocini extracurricolari per laureati in Giurisprudenza

Buone notizie per i giovani laureati in Giurisprudenza! La sede palermitana della Banca d’Italia intende infatti avviare n.5 tirocini extracurriculari rivolti a loro e della durata complessiva di sei mesi.

Attività

Le attività saranno svolte preferibilmente in presenza e i tirocinanti saranno coinvolti nelle mansioni svolte dalla Segreteria tecnica, tra cui:

  • verifica preliminare della regolarità dei ricorsi e istruttoria delle controversie;
  • analisi della normativa, della giurisprudenza e della dottrina sulla materia;
  • elaborazione di documenti di sintesi delle decisioni dei Collegi;
  • classificazione e catalogazione informatica dei ricorsi e delle decisioni.

Requisiti per la partecipazione

I requisiti per partecipare al tirocinio extracurriculare sono:

  1. possesso di laurea magistrale a ciclo unico (o specialistica) in Giurisprudenza conseguita presso l’Università degli Studi di Messina con un punteggio pari ad almeno 105/110;
  2. altro diploma equiparato al suddetto titolo;
  3. età inferiore a 28 anni alla scadenza del termine per la presentazione delle candidature.

Per le selezioni sarà prestata particolare attenzione:

  • alla tesi di laurea,
  • alla conoscenza dell’attività dell’ABF,
  • alle esperienze professionali e di studio maturate dai candidati,
  • eventuali progetti e pubblicazioni inerenti il tirocinio,
  • alle motivazioni di partecipazione.

Modalità e termini di partecipazione

Le candidature devono essere presentate all’Università degli studi di Messina all’indirizzo protocollo@pec.unime.it, entro l’11 dicembre 2020, provviste di:

  1. Domanda di ammissione alla selezione e dichiarazione sottoscritta (domanda di ammissione);
  2. Curriculum vitae;
  3. Un abstract della tesi di laurea non più di 350 parole;
  4. Copia di un documento di riconoscimento in corso di validità.

Per le selezioni sarà prestata particolare attenzione:

  • alla tesi di laurea,
  • alla conoscenza dell’attività dell’ABF,
  • alle esperienze professionali e di studio maturate dai candidati,
  • eventuali progetti e pubblicazioni inerenti il tirocinio,
  • alle motivazioni di partecipazione.

Informazioni utili

Il tirocinio si svolgerà presso la Segreteria tecnica dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), a partire da Marzo 2021.

I tirocinanti riceveranno un’indennità di partecipazione pari a 1.000 euro lordi mensili. Nei giorni di frequenza, inoltre, potranno fruire gratuitamente del servizio di ristorazione nei modi e nelle forme previsti per il personale dell’istituto. La suddetta indennità è incompatibile con qualsiasi altro compenso.

Per ulteriori informazioni è possibile scrivere all’indirizzo email: jobplacement@unime.it

Elena Perrone

…la città di Messina subì un assedio nel settembre 1848?

Il mese di settembre è quel periodo dell’anno di transizione tra i fasti e la libertà della stagione estiva e la routinaria stagione autunnale/invernale. Non c’è metafora più appropriata per ripescare dal “grande libro della Storia” un evento che ha animato sogni e speranze dei nostri antenati messinesi: la rivoluzione del 1848, scoppiata nella città di Messina e nelle altre città dell’Isola dall’ardente desiderio da parte dei siciliani di conquistare l’indipendenza.

I sogni dei rivoluzionari iniziarono a spegnersi nel settembre 1848, a partire dalla riconquista della città dello Stretto da parte dell’esercito borbonico. Prima di addentrarci in questa leggendaria storia messinese è doveroso contestualizzare e narrare gli antefatti che condussero alle vicende del settembre di 172 anni fa.

Antefatto: il contesto storico e l’inizio della rivolta

Il nostro viaggio inizia nel 1847. La Sicilia faceva parte del Regno delle Due Sicilie, retto dalla dinastia reale dei Borboni.

Il malcontento nei confronti del sovrano Ferdinando II sfociò in alcuni tentativi di rivolta, prontamente soffocati, come quello del primo settembre a Messina. Si è dovuto aspettare il 12 gennaio 1848, giorno del compleanno del Re, per lo scoppio della storica insurrezione di Palermo, che avviò la rivoluzione siciliana, il primo dei moti rivoluzionari della cosiddetta primavera dei popoli europea.

Immagine raffigurante la rivolta di Palermo del 12 gennaio 1848 – Fonte: archiviostoricoeoliano.it

Pian piano tutte le città della Sicilia insorsero contro il dominio borbonico. A Messina, dopo l’insurrezione del 29 gennaio 1848, l’esercito napoletano fu costretto a rintanarsi nella cittadella fortificata, che non fu mai espugnata.

Una rivoluzione politica

La rivoluzione – per una ristretta élite – si fondava su aspirazioni politiche, quali la libertà e l’indipendenza della Sicilia dai Borboni, inquadrata in una federazione italiana di stati indipendenti. Per la maggior parte dei cittadini, però, si trattava di una rivolta di carattere sociale, volta ad ottenere migliori condizioni economiche.

L’élite liberale rivoluzionaria cercò di indirizzare la protesta sociale sui binari della rivoluzione politica: prima rifiutò la Costituzione promulgata dal Re e promessa dopo l’insurrezione di Napoli, poi, attraverso il Parlamento costituente dichiarò, il 13 aprile 1848, l’indipendenza della Sicilia e la decadenza del Re. I lavori del Parlamento portarono alla redazione dello Statuto Siciliano. Per dare attuazione alla nuova Costituzione fu offerta la corona della Sicilia a Ferdinando, Duca di Genova, figlio di Carlo Alberto di Savoia, che però rifiutò, vanificando, dunque, il lavoro dei costituenti.

Immagine che metaforicamente raffigura la cacciata dei Borboni dalla Sicilia – Fonte: archiviostoricoeoliano.it

Questo rifiuto, unito all’impegno dei Savoia nella guerra contro l’Austria fu uno dei principali motivi che intaccarono la solidità della rivoluzione.

Il primo attacco borbonico

A causa di questa situazione instabile, il 3 settembre 1848 iniziò la controffensiva dei Borboni, pronti a tutto pur di riconquistare la Sicilia. L’esercito napoletano, guidato dal tenente generale Carlo Filangeri, sbarcò a Messina e, coadiuvato da un fitto bombardamento, iniziò una sanguinosa battaglia, in cui furono coinvolti molti civili. L’esercito borbonico, più numeroso e organizzato, fu però respinto e costretto alla ritirata.

All’alba del giorno successivo il mare burrascoso impedì un nuovo sbarco delle truppe regie. Le giornate del 4 e del 5 settembre furono segnate dal violentissimo duello delle due artiglierie. Il cannoneggiamento della città fu una costante degli scontri e fu talmente intenso che valse al Re Ferdinando il celebre appellativo di Re Bomba.

Re Ferdinando II delle Due Sicilie, soprannominato il Re Bomba – Fonte: archiviostoricoeoliano.it

Nel frattempo, già dell’inizio della battaglia, i messinesi chiesero i rinforzi al Parlamento di Palermo. Furono inviati alcuni contingenti che però si sarebbero presto rivelati inadeguati.

Il secondo attacco

All’alba del 6, tornato il mare calmo, l’esercito borbonico sbarcò nel villaggio di Contesse, che capitolò dopo una estrema resistenza e una disperata lotta casa per casa. La difesa siciliana tentò di bloccare gli avversari sulla sinistra della fiumara di Bordonaro, attuando una disperata controffensiva, dagli esiti fallimentari. Le truppe regie conquistarono il villaggio di Gazzi in un’ora.

La giornata del 6 mostrò la disorganizzazione dei rivoluzionari, ancora in piedi grazie al supporto dei cittadini, pronti a battersi fino all’estremo. Il coraggio e l’ardore del popolo riaccese un lume di speranza quando, nella notte fallì miseramente l’attacco borbonico. Le truppe regie furono costrette a ritirarsi nella cittadella. I messinesi, però, non sfruttarono l’opportunità di dare il colpo fatale al nemico in fuga e con il morale a pezzi.

La città di Messina e la real cittadella (in basso al centro)  – Fonte: wikipedia.org

Lo scontro finale

Nonostante la sconfitta della notte, il comandante Filangeri credeva fermamente di avere la vittoria in pugno. Il 7 mattina partì l’offensiva decisiva.

Presto le truppe borboniche si trovarono di fronte a Porta Zaera e verso le tredici iniziavano l’ultima definitiva operazione contro l’estremo baluardo messinese costituito dal convento della Maddalena, che capitolò segnando la sconfitta dei messinesi.

Le truppe regie, nonostante la vittoria, non osarono subito occupare il centro della città, ritenuto pericoloso; per questo motivo il bombardamento durò altre sette ore.

Per concludere

La capitolazione della città dello Stretto segnò l’inizio della controffensiva dei Borboni, che riconquistarono Palermo il 14 aprile 1849, ponendo così fine alla rivoluzione siciliana.

Tra le numerose conseguenze, una che ci coinvolse più da vicino fu la nuova soppressione dell’Università di Messina, riaperta solo dieci anni prima dopo il lungo periodo di chiusura, conseguenza della rivolta antispagnola.

Una lapide commemorativa della rivolta di Messina del 1847-48 – Fonte: archiviostoricoeoliano.it

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Immagine in evidenza:

Raffigurazione della rivolta di Messina – Fonte: wikipedia.org

 

Bibliografia:

Finley M.I., Mack Smith D., Duggan C., Breve storia della Sicilia, Editori Laterza

http://www.arsbellica.it/pagine/battaglie_in_sintesi/Assedio%20di%20Messina.html

http://www.archiviostoricoeoliano.it/wiki/la-rivoluzione-del-1848

 

Per approfondire:

Ganci M., L’Italia antimoderata, Arnaldo Lombardi Editore

Pieri P., Storia militare del Risorgimento, Einaudi

http://www.ilportaledelsud.org/

http://www.messinacity.com/

 

 

Nubifragio a Palermo: zero vittime, ma tragedia sfiorata. Cosa è successo e perché non possiamo più parlare di “imprevisti”

Il nubifragio, lo scorso mercoledi 15 luglio ha colpito la città di Palermo proprio nel giorno della festa della sua patrona, Santa Rosalia.
Si scrive un’altra brutta pagina di questo 2020: un’ondata inaspettata si è scatenata sulla cittadina siciliana mettendola in ginocchio. Tutto è iniziato nel primo pomeriggio, quando il tempo sembrava già essere incerto, ma è intorno alle 18:00 che si preannuncia quella che sarà una catastrofe. La pioggia inizia a cadere copiosa, si parla di più di un 1 m di altezza di acqua. Diverse sono le zone che presentano situazioni critiche,  125mm a Piazza Europa, 109,4mm al Liceo Meli, 82,2mm a Boccadifalco, 79,8mm al Teatro Massimo. Macchine immerse nell’acqua, così come abitazioni, scantinati, strade invase dal fango, decine mi macchine rimaste bloccate, persone che in mezzo al caos provano a mettersi in salvo.

“Oltre un metro di pioggia è caduta a Palermo in meno di 2 ore. La pioggia più violenta nella storia della città almeno dal 1790, pari a quella che cade in un anno”  dichiara il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.

Fortunatamente quella che si è presentata come una catastrofe porta con se un epilogo positivo. Dopo presunte notizie che attestavano la morte di due persone intrappolate nella loro auto, (secondo quanto riportato da un cittadino del luogo) nel sottopassaggio di via Leonardo Da Vinci – principale arteria d’accesso alla città- la smentita è arrivata poco dopo.

Nessun corpo, infatti, è stato trovato durante le ricerche dei presunti dispersi. A confermarlo alla testata Adnkronos è il Prefetto di Palermo Giuseppe Forlani, che ha seguito dal primo momento da vicino le operazioni di soccorso dei Vigili del fuoco e delle forze dell’ordine.

“Stamattina alle 6 il comandante provinciale dei Vigili del fuoco Carrolo mi ha informato che ha completato il prosciugamento e dunque adesso si può escludere che ci siano state vittime, dal momento che non sono stati rinvenuti corpi senza vita, per fortuna”, ha dichiarato Forlani.

Violento temporale su Palermo, la gente nuota in strada

Un nubifragio inaspettato

Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha dichiarato il suo stupore di fronte all’accaduto dove il mancato preavviso ha sicuramente influito sulla gestione della situazione. Non era prevista, infatti, nessuna allerta per la giornata del 15, ma solo temporali di lieve intensità nelle diverse zone del palermitano. Inoltre la protezione civile regionale alle 16:25  aveva comunicato il codice verde in miglioramento.
Sicuramente, se l’allerta fosse stata prevista, sarebbe stato possibile attivare le procedure necessarie, che pur nella singolarità e brutalità degli eventi, avrebbero potuto mitigare in parte l’accaduto.

Orlando ha cercato di porre rimedio fin da subito chiedendo, nel corso di un incontro in prefettura, lo stato calamità naturale, anticipando la richiesta ai ministri per l’Ambiente, Sergio Costa, e per il Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, che hanno assicurato massima disponibilità e l’attenzione del Governo nazionale. Ha inoltre disposto l’attivazione di un indirizzo email volto a raccogliere le segnalazioni riguardanti i danni di immobili e veicoli per la costituzione di un dossier a supporto della richiesta dello stato di calamità e per una più precisa quantificazione dei danni. Inoltre ha dato le direttive  all’Amap ( Azienda Municipalizzata Acquedotto di Palermo) di installare il sistema ‘early warning’, un dispositivo che fa scattare l’allarme nei luoghi più a rischio, non appena cade una certa quantità di acqua.

Violento temporale su Palermo, la gente nuota in strada

Ministro Bellanova e Nello Musumeci sul caso

La ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, dichiara sul suo profilo Facebook:

si necessitano misure efficaci per la gestione delle emergenze e politiche capaci di assicurare sviluppo sostenibile e tutela dei territori.

Una spinta, le sue parole, a prendere coscienza di come oramai gli effetti del cambiamento climatico siano sempre più gravi e di come questi eventi meteorologici non possano essere più dichiarati come “imprevisti” a causa della loro frequenza. Di questo ordine di idee anche il presidente della regione siciliana Nello Musumeci, il quale dichiara :

 Tragedie come queste devono farci riflettere sulla necessità di adottare nuove e urgenti strategie di prevenzione e di pianificazione del territorio, specie in quelli devastati da speculazioni selvagge. 

cittadini di fronte a queste catastrofi devono sapere come comportarsi e ciò richiede l’avvio di un piano di prevenzione. E’ necessario rivedere la rete di scolo dell’acque, ci sono alcune zone specifiche di Palermo come il Ponte di Via Leonardo da Vinci, che non presentano reti di smaltimento adatte ad evitare l’accumulo di acqua, a seguito di piogge abbondanti. Solo intervenendo si riuscirà ad evitare che accumulo di acqua possa diventare un pericolo per i cittadini.
La necessità, però, è anche quella di adottare le giuste precauzione  e avere un approccio diverso  alle calamità. Dobbiamo farci trovare pronti, e non sprovvisti. Non solo le infrastrutture richiedono un miglioramento, ma è importante anche istruire i cittadini partendo dalle scuole al fine di gestire nel migliore dei modi queste manifestazioni naturali di carattere straordinario.

Eleonora Genovese

Il calcio a Messina: dalle origini al 16 giugno 1963

Nel graduale ritorno alla normalità delle ultime settimane sono tornati ad accendersi i riflettori sullo sport più seguito in Italia: il calcio. Con le due semifinali di ritorno della Coppa Italia e la finale in programma mercoledì, il gioco del pallone ha ripreso il suo ruolo di grande protagonista, generando il solito entusiasmo (e anche qualche polemica) dei tifosi e degli appassionati.

La storia del calcio è segnata da grandi avvenimenti, le cui date sono scolpite nella memoria collettiva, come per esempio l’11 luglio 1982 e il 9 luglio 2006, quando la nazionale di calcio italiana vinse rispettivamente il suo terzo e quarto Campionato del Mondo.  Tra le tante date importanti, nella città dell Stretto non si può non ricordare il 16 giugno 1963, giorno in cui l’A.C.R. Messina (allora la squadra principale della città) per la prima volta vinse il campionato di serie B e conquistò la prima storica promozione in serie A. In questo articolo ripercorreremo insieme i primi anni della storia del calcio messinese e le tappe che condussero a questo importante traguardo, soffermandoci su qualche avvenimento curioso.

Storico logo dell’ A.C.R. Messina, la principale squadra della città tra il 1947 e il 1993 – Fonte: it.wikipedia.org

I primi anni di calcio a Messina

Il calcio a Messina fu importato verso la fine dell’800 dai commercianti e turisti delle navi inglesi e norvegesi, che improvvisavano partite sul molo Colapesce, suscitando la curiosità di chi si fermava ad ammirarli. Correva l’anno 1901 quando fu fondato il primo club, non esclusivamente calcistico: il Messina Football Club, la cui dirigenza era composta quasi totalmente da inglesi. Il 18 aprile dello stesso anno la neonata squadra messinese giocò la sua (probabilmente) prima partita a Palermo, contro la squadra della città. Questa data segna l’inizio della storia del calcio a Messina.

Tra la nascita di nuovi club e i vari cambi di denominazione della prima squadra cittadina giungiamo alla stagione sportiva 1931-32, in cui l‘A.C. Messina conquistò, spinta dai 20 gol di Luigi Cevenini, la prima promozione in serie B per una squadra messinese. La stagione fu ricca di avvenimenti, tra cui l’incidente allo stadio Enzo Geraci nella partita (vinta 6-3 dal Messina) con il Catania, in cui perse le vita un giocatore della squadra ospite.

I tifosi etnei reagirono creando disagio ai giocatori messinesi nella partita di ritorno, che, visto il clima di intimidazione, fu vinta dai catanesi. Quattro giocatori del Messina decisero di lasciare la città dello Stretto (solo uno, Ferretti, decise di tornare), lasciando la squadra mutilata per lo scontro diretto con la Salernitana, capolista e imbattuta. Nonostante ciò con una grande prova di orgoglio la formazione messinese risucì a sconfiggere la squadra campana, dando inizio alla volata finale che si concluse il 3 luglio 1932, con la vittoria sul Savona (3-0) e la storica promozione. Per festeggiare l’evento si improvvisò una grande manifestazione a piazza Cairoli e, due giorni dopo, fu organizzata una festa ai bagni Vittoria.

La formazione del Messina che conquistò la promozione in serie B nella stagione 1931-32 – Fonte: messinasportiva.it

La nascita dell’A.C.R. Messina

Dopo sei annate in serie B, tra cui la memorabile stagione 1935-36 conclusasi con la conquista del quarto posto, il Messina retrocesse in serie C nel 1938. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si costituì una nuova società dalla fusione della Passamonte (la squadra principale della città aveva assunto questo nome) con due squadre minori: la Peloro e l’Arsenale. Nell’estate 1947 la società suddetta si unì a sua volta con il Giostra, costituendo l’Associazione Calcio Riunite Messina. Nonostante il progetto ambizioso il campionato fu quasi fallimentare e registrò numerose sconfitte, due delle quali nei derby con la Reggina (2-6) e con il Catania, che vinse 3-0 a Gazzi, nel campo da poco intitolato a Giovanni Celeste, ex giocatore che morì eroicamente in guerra.

Panoramica dall’alto dello Stadio “Giovanni Celeste”, inaugurato nel 1932 e intitolato al calciatore-militare nel 1948 – Fonte: messina.gazzettadelsud.it

 

Si dovette aspettare il 1950 per una nuova promozione della squadra messinese in serie B, anche se questo traguardo si legò a due presunti illeciti, il secondo dei quali avvenne nella primo spareggio, disputato nel campo neutro di Salerno, tra le due capolista Messina e Cosenza. Dopo il secondo spareggio (il primo era finito 1-1) a Como e la netta vittoria dell’ A.C.R. sui calabresi per 6 a 1, il Cosenza denunciò un tentativo di corruzione del proprio portiere da parte di un dirigente messinese. Inizialmente la squadra messinese fu condannata alla restrocessione nel campionato di Promozione, ma in seguito al ricorso alla CAF e all’annullamento della sentenza di primo grado, l’ ACR Messina, seppur tra le mille polemiche, risultò estraneo ai fatti e ufficialmente ottenne la promozione in serie B.

La formazione del Messina che conquistò la promozione in serie B nella stagione 1949-50 – Fonte: messinasportiva.it

La corsa verso la serie A

Dopo diversi anni in serie B, tra alti e bassi, arrivò la stagione della svolta: il campionato 1962-63. Fu un’annata avvincente e gloriosa, in cui il Messina riuscì a vincere un campionato in cui erano presenti tante squadre rinomate, come la Lazio e il Bari. L’ambita prima storica promozione in serie A fu conquistata nella terz’ultima giornata, proprio nella partita contro il Bari; al ritorno dal capoluogo pugliese centinaia di tifosi messinesi aspettarono la squadra, allenata dall’ex giocatore del Messina Mannocci, alla stazione marittima e improvvisarono un corteo sul viale San Martino, portando i membri della squadra in spalla. La festa fu più intensa il giorno della conclusione in campionato, quel 16 giugno 1963 scolpito nei cuori della nostra comunità. La formazione del Messina che scese in campo , accolto dallo stadio Celeste in festa, era composta da Rossi, Dotti, Stucchi, Radaelli, Ghelfi, Landri, Calzolari G., Fascetti, Calloni G.P., Canuti e Brambilla.

La festa per la promozione in serie A – Fonte: messinasportiva.it

Due anni di serie A

In serie A il Messina arrivò senza troppe pretese, collezionando anche successi importanti, come le vittorie in casa cona la Juventus (1-0) e la Roma (2-1) e la vittoria all’Artemio Franchi contro la Fiorentina (0-1), che contribuirono al raggiungimento dell‘agognata salvezza. L’anno dopo, però, l’A.C.R. conquistò il penultimo posto, dovendo, dunque, salutare la serie A.

Abbiamo dovuto aspettare 39 anni prima di raggiungere nuovamente la massima serie, con la il campionato 2003-04 concluso con la storica vittoria sul Como (3-0) il 5 giugno 2004. Ma questa è un’altra avvincente e meravigliosa storia messinese.

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Bibliografia:

Piero Zagami, 100 anni di calcio a Messina, ZigZag

 

Immagine in evidenza:

La formazione dell’A.C.R. Messina che conquistò la promozione in serie A nel campionato 1962-63 . Fonte: messinasportiva.it

 

Palermo è una città che vuole essere raccontata: Stefania Auci e il suo libro da record “Leoni di Sicilia”

 

°SofiaCampagna Libreria Bonanzinga, Messina 2019

 

Nessuno di noi è qui senza ricordarsi della sua storia… E’ come un albero senza radici e un albero senza radici, alla prima folata di vento, cade! parla così Stefania Auci, suscitando applausi ed assensi attorno a lei; autrice di “Leoni di Sicilia”, romanzo storico presentato alla Libreria Bonanzinga il 22 maggio scorso. La scrittrice, palermitana per adozione e siciliana fin nel midollo, pronuncia le sue parole in modo concitato, come il buon Sud, appassionato e vigoroso, insegna.

Leoni di Sicilia, il suo terzo romanzo, è edito dalla casa editrice Nord e le sta facendo, letteralmente, scalare le vette delle classifiche di vendita. Nel suo mattoncino da 500 pagine, Stefania racconta l’ascesa della famiglia Florio, originari di Bagnara Calabra e trasferitisi a Palermo in seguito ad un disastroso terremoto.

I Florio, Ignazio e Paolo, aprono una bottega di spezie, una “putia”, che sarà poi ereditata da Vincenzo, diventando, in brevissimo tempo, padroni del mercato palermitano e, ramificando la loro attività commerciale, di gran parte della Sicilia. Insieme ad una scalata imprenditoriale, la famiglia Florio compie quella, più complicata e sicuramente più insidiosa, arrampicata sociale; attraverso quello che Stefania e Anna Mallamo, sua brillante interlocutrice, chiamano “muro di gomma, ma pur sempre muro”, in una società della Palermo bene che non è disposta ad aprire le porte ai nuovi arricchiti, per di più quando stranieri.

Ma facciamo un passo indietro…

E’ l’estate del 2015 quando un amico tenta di convincere l’autrice a buttarsi su una storia importante “tu hai una buona penna” le dice, “tu sei pazzo” risponde lei, giocando su un’autoironia semplice, pura; a settembre di quell’anno lei lo richiama “ci ho pensato: voglio scrivere la storia dei Florio”, “tu sei pazza” a questo punto è lui a dirlo; Stefania ricorda questa storia come un aneddoto felice, una semplice chiacchierata tra amici che l’ha portata, anni dopo, a venir tradotta in tutto il mondo.

 

°SofiaCampagna Libreria Bonanzinga, Messina 2019

 

L’autrice confessa quanto sia stato difficile, innanzitutto, scrivere un romanzo storico e approcciarvisi in particolar modo in Italia, per la difficoltà nel reperire i materiali di ricerca, “se un giorno vi volete buttare sul romanzo storico, scrivete agli americani” afferma con quel suo tipico e ben riconoscibile tono ridente. E’ una critica velata, vera ma certamente un po’ bonaria, caratteristica, dico io, di chi è siciliano fino in fondo.

Stefania si rammarica, anche e forse soprattutto da docente, di quante persone non conoscano la storia d’Italia. Nel suo piccolo, che non resterà tale a lungo, prova a far conoscerne un pezzo, una storia e tre  generazioni, legate intimamente al Sud d’Italia. Una storia di successi e sofferenze, di sentimenti taciuti, negati dall’impossibilità di venir fuori da anime troppo acerbe, che seppur amano, non riescono a dirlo. Un romanzo un cui la psicologia è affidata ai gesti, una psicologia quindi molto asciutta. Asciutta come i suoi personaggi, indagati nelle zone d’ombra,  come spiega Anna, ma proprio per questo vincenti, tenaci, reali e quindi ben riusciti “i nostri mostri sono il concime della nostra fantasia.” Particolare attenzione è riservata a Vincenzo e al suo modo di amare, approcciandosi con le persone, amare o per meglio dire, non amare. “Per lui l’affetto coincide col possesso” racconta l’autrice “Non riesce a dire -ti amo amore mio-”

Il libro segue una scansione rigorosamente cronologica. Ogni capitolo si apre con il nome di una merce: pizzo, seta, zolfo… cosicché l’indice di “Leoni di Sicilia” potrebbe diventare uno tra i più romantici ed evocativi di tutti i tempi. La scrittura è precisa “Io sono un po’ disordinata quando parlo” dice Stefania “ma nel romanzo sono diventata rigorosa, seria, attenta alle ricerche. Per raccontare una storia di questo tipo non potevo fare un inizio in medias res. Le prime due pagine le ho scritte al passato, poi le ho riviste e ho pensato -voi fate schifo-, così le ho riscritte al presente”.

La lingua, infatti, è vista come segno inconfondibile di appartenenza e quella scelta dall’autrice per Leoni di Sicilia non fa eccezioni “il dialetto è abbastanza filtrato; per dare tridimensionalità era necessario agire sulla lingua. La ricchezza linguistica che ha il dialetto siciliano è inimmaginabile, prendete la parola -camurrìa-, come fai a spiegarlo?!”. Stefania continua a far emozionare chi è lì per ascoltarla ma anche a far sorridere grazie al suo temperamento vivace e la battuta sempre pronta.

La scrittrice spiega infine che i Florio riescono a diventare borghesi ma “quando arrivano a questo livello perdono la capacità imprenditoriale”.

 

°SofiaCampagna Libreria Bonanzinga, Stefania Auci, Messina 2019

 

“A che punto sei con il secondo libro?” le chiede quindi Anna. “Ci stiamo lavorando” risponde Stefania, in modo conciso ma determinato. Il secondo libro vedrà i Florio immersi, non più nel mondo dei signorotti e nobili siciliani, ma in una società cambiata a cui i Florio dovranno far fronte, dopo l’Unità d’Italia.

Leoni di Sicilia è un romanzo in cui le sensazioni e gli odori, più ancora dei profumi, lasciano percezioni inconfondibili. Dove ciascuna parola non dice mai di più, ma evoca… Dove la storia cruda e spietata si mescola e confonde con l’immaginario romantico di una Palermo che fa sognare.

 

Ilaria Piscioneri

Mostre a Palermo: Vittorio Storaro e Antonello da Messina

A Palermo è stata accolta presso il Palazzo Chiaramonte Steri la mostra dedicata a Vittorio Storaro dal titolo “Scrivere con la luce”. Ha rappresentato un’occasione innovativa per scoprire la maestria di un importante autore della fotografia cinematografica.

Vincitore di numerosi premi tra cui tre premi Oscar per Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore, Vittorio Storaro ha lavorato con diversi registi come Bernardo Bertolucci e Francis Ford Coppola, e curato la fotografia di film rimasti nella storia (“Il Conformista”, “Ultimo tango a Parigi”, “Giordano Bruno”, “Novecento”, “Il tè nel deserto”). 

Innanzitutto, un po’ di chiarezza. Chi è l’autore della fotografia cinematografica? Una figura professionale, fondamentale per un set di un film, che ne cura la resa visiva, cioè l’aspetto dell’immagine in movimentoLa mostra è stata distribuita all’interno della Sala delle Armi e la Sala delle Verifiche, ed è stata allestita partendo dalla trilogia di libri scritti dall’artista per poi fare un confronto tra opere pittoriche (dal ‘700 in poi) e la cinematografia dei vari film.

La speranza è quella che in futuro verranno ideate ulteriori esposizioni riguardo alla settima arte, cercando anche di coinvolgere personalità della realtà cinematografica siciliana, in modo da fare sempre meglio e da espanderne la conoscenza con ampia risonanza.

L’Annunciazione, Antonello da Messina

La mostra di Antonello da Messina al Palazzo Abatellis invece è forse la più frequentata dal pubblico, nella quale sono presenti diverse opere provenienti da musei sparsi in molte città italiane e non solo.

Il percorso è suddiviso in diverse sale e presenta una sequenza cronologica della carriera artistica dell’autore. A partire dalla giovane età con dipinti del periodo fiammingo, per poi arrivare al periodo veneziano, che comprende la collaborazione con il figlio Jacobello nell’opera la Madonna col Bambino. Il tragitto viene seguito da grandi pannelli didattici che mostrano la vita e la storia delle opere dell’artista.

Questa monografica è una prova di come sia possibile realizzare mostre di grandi autori che, anche se spesso considerati minori, non hanno nulla da invidiare a quelli europei. L’unica nota negativa di questa mostra è l’assenza di altri lavori altrettanto rilevanti realizzati dal pittore, che rimangono visionabili solo fuori porta.

Avendo assistito nello stesso giorno a due mostre di impostazione e tipologia diverse, ma ugualmente interessanti, ho maturato alcune riflessioni. Sorge dunque spontaneo proporre il seguente confronto: la mostra di Antonello da Messina è organizzata sulla base di un ordinato orientamento spaziale; quella di Storaro, pur rispecchiando parzialmente questi canoni, risulta a tratti dispersiva, aspetto probabilmente attribuibile all’ampiezza delle sale.

“Scrivere con la luce” Vittorio Storaro, Palazzo Steri

Nonostante sia sicuramente una scelta valida confrontare i vari film con opere pittoriche che risalgono a epoche dal ‘700 in poi, questo aspetto rimane poco comprensibile e accessibile a quella parte di pubblico che non ha già visto preventivamente tutti i film.

Se le stampe dei frame fossero state sostituite con l’installazione di pannelli virtuali proiettanti pochi secondi di film, si sarebbe garantita maggiore dignità al maestro della luce Vittorio Storaro, mostrandola in tutta la sua interezza.

“Il cinema non è un’opera singola. Il cinema è un linguaggio di immagini attraverso cui si esprime un concetto, essendo l’immagine rilevata dal conflitto e dall’armonia dell’ombra e della luce e, come li chiamava Leonardo da Vinci, dei loro diretti figli: i colori. Infatti una diversa impostazione della luce, comporta nel film una differente struttura figurativa.”  Vittorio Storaro

 

Marina Fulco