Messina manifesta: commercianti e artisti scendono in piazza pacificamente

Sulle note di “We Will Rock You” e “The Show Must Go On” dei Queen ha avuto inizio la Manifestazione Popolare Pacifica, svoltasi il 30 ottobre presso Piazza Unione Europea, con lo scopo di dar voce al popolo messinese e, soprattutto, a coloro i quali sono stati costretti a cessare temporaneamente le proprie attività commerciali a causa del nuovo Dpcm.

“Il popolo fino ad oggi ha dimostrato profondo rispetto per le normative anti covid, ma adesso è stanco di essere preso in giro. In questo momento ci stiamo unendo. Oggi Messina c’è!” Queste le parole di Daniele Zuccarello, promotore dell’evento.

Locandina dell’evento

Centinaia di persone tra ristoratori, rappresentanti del mondo dello spettacolo, dello sport e dell’animazione hanno manifestato contro il Governo per la carenza di misure di sostegno a favore delle attività penalizzate, nel peggiore dei casi chiuse, a causa dell’emergenza sanitaria Covid.

Oltre ai commercianti, anche famiglie e giovani hanno preso parte alla manifestazione; ogni intervento, seppur molto sofferto, non ha visto la rabbia dei cittadini sfociare in atti di violenza, come è accaduto in altre città. Gli organizzatori della manifestazione, infatti, hanno sottolineato di essere contro ogni forma di violenza e vandalismo.

Parole forti ai microfoni, piene di preoccupazione, rabbia, insofferenza. I lavoratori sono stati costretti a mettere le loro attività in sicurezza per poter riaccogliere i clienti, e ora che sono obbligati a chiudere nuovamente i battenti, non hanno la certezza che riceveranno un sostegno economico. L’unica certezza, in questo momento, è che in molti non ricaveranno nulla dalla loro professione.

I cittadini, in merito a questo problema, hanno avanzato la proposta di posticipare l’orario di chiusura oltre le 18:00, orario imposto dal nuovo Dpcm.

La manifestazione si è conclusa con un gesto simbolico: liberare in piazza palloncini tricolore in simbolo di unità.

Foto di Corinne Marika Rianò

Meno di 24 ore dopo, anche gli artisti messinesi, nelle categorie di attori, musicisti, danzatori, cantanti, insegnanti di musica, canto, teatro e danza, sono scesi in piazza spontaneamente e liberamente, per chiedere a gran voce la revisione delle misure restrittive imposte dal Governo. Il Municipio si veste di nero insieme agli artisti: “La compostezza e il rigore sono i principi di questa manifestazione in piazza – afferma Mariapia Rizzo – vestiti di nero, non in segno di lutto ma per suggerire il buio delle nostre arti e l’invisibilità che sembra caratterizzarci. Il nostro settore è al silenzio. E di questo silenzio vogliamo rendere partecipi tutti“.

I luoghi della cultura, ad eccezione dei musei, sono stati chiusi da ormai una settimana.

Locandina dell’evento

Tra i manifestanti: i Magazzini del Sale, On Stage, Clan Off Teatro, Oltredanza, Compagnia delle Arti Visive e tante altre realtà messinesi che rischiano di spegnersi.

“Se è vero che il nostro lavoro è nutrimento dell’anima, è pur vero che esso è anche un’ importante risorsa economica per la Nazione. Siamo lavoratori e produttori di reddito. Rivediamo se necessario i protocolli di sicurezza. Se sarà il caso, ci adatteremo a norme ancora più restrittive, ma non lasciateci morire. Questa manifestazione, nata da un impeto spontaneo, non ignora peraltro la necessità più generale di ripensare alla gestione di una intera categoria, reclamando a gran voce la necessità di rivedere il rapporto tra gli Enti pubblici e le realtà del territorio, ipotizzando che una gestione più coerente del danaro e delle risorse potrà consentire di superare questo difficile momento di crisi e gettare le basi per un futuro migliore.”

Diana Colombraro, Corinne Marika Rianò

Il messinese è “buddace”: ecco perché

La Sicilia da sempre è una terra pregna di un notevole e caratteristico patrimonio socioculturale, che spazia dalle bellezze artistiche e paesaggistiche, fino a giungere agli usi e costumi quotidiani e tradizionali. Tra questi, oltre alla profondità e alle svariate sfaccettature dei dialetti siculi, troviamo degli appellativi che spesso ci capita di ascoltare per le vie delle città mediterranee. Ponendo degli esempi, i Catanesi sono soprannominati “pedi arsi” (piedi bruciati) o “fausi” (falsi), i Palermitani “lagnusi” (lamentosi), e i Messinesi “buddaci“.

 
Esemplare di Sciarrano – Fonte: biologiamarina.org

Ma ci siamo mai chiesti perché la comunità Peloritana viene chiamata così? Cos’è un “buddaci”?

Il pesce buddace, in italiano “sciarrano“, nome scientifico Serranus Scriba (dal latino scriba,”scrivano”) vive nelle acque dello Stretto. Di anatomia abbastanza piccola, normalmente lungo circa 25 cm, possiede un manto a linee intrecciate arancioni e blu che possono somigliare a una forma di scrittura, a cui è ispirato il nome della specie. Non è pregiato o particolarmente gustoso, e sta ininterrottamente con la bocca aperta; pertanto, viene pescato con facilità, anche a causa del suo continuo appetito e della sua ingenuità. Da qui i Messinesi vengono definiti spregiativamente come buddaci: popolo poco furbo, credulone, che si vanta senza aver agito concretamente, buono a nulla.

Ma a quando risale quest’appellativo?

La parola buddace non è di certo un neologismo. Era già diffusa agli inizi del ‘900 e ciò è testimoniato anche dal titolo di un settimanale umoristico antifascista edito a Messina nel 1924, “U buddaci“. Nel 1925 però, dopo pochi numeri, fu chiuso dalla censura fascista, condividendo la stessa sorte con altre testate locali.

©Lara Maamoun – Facciata di Palazzo Zanca, Messina 2020

 

Il buddace nell’architettura cittadina

Eppure, c’è anche un altro luogo dove possiamo imbatterci nel pesciolino buddace nella realtà cittadina, oltre al mare. Camminando per le vie del centro città, giungendo a Palazzo Zanca (sede del Comune) possiamo notare sulla facciata delle decorazioni raffiguranti i pesci buddaci. La specie marina protagonista di questo articolo non è l’unica a comparire sul monumento: è accompagnata infatti da altre sculture legate alla simbologia cittadina, come la Regina del Peloro e Dina e Clarenza. Sembrerebbe proprio che l’ingegnere Palermitano Antonio Zanca, al quale nel 1914 fu affidato il progetto di ricostruzione del Municipio dopo il terremoto del 1908, non abbia ricevuto per diverso tempo nessuna remunerazione, e che quindi, come simbolo di disprezzo ai Messinesi, fece inserire i pesci buddaci sull’edificio. 

 

Dettaglio della facciata di Palazzo Zanca – Fonte: strettoweb.com

Nonostante ciò, si deve sottolineare che non tutti i messinesi sono buddaci. Non lo dice l’autrice di questo articolo, magari in difesa dei suoi concittadini, ma lo testimoniano fonti storiche: in scritti antichi la comunità messinese è descritta come vivace, intelligente, artistica, eroica ed ospitale. Seppur ancora oggi è frequente che un messinese venga chiamato buddace, adesso questo termine ha una connotazione non più unicamente dispregiativa, bensì ironica. I messinesi stessi considerano l’appellativo come facente parte del loro patrimonio linguistico e, talvolta, si autodefiniscono buddaci e ci scherzano su, con la consapevolezza di chi conosce bene la propria identità.

Corinne Marika Rianò

 

Bibliografia:

Eleonora Iannelli, Messina Ritrovata, Edizione della Libreria Bonanzinga

Una finestra sui secoli: l’Antiquarium di Palazzo Zanca

img_9987Città dalla storia plurisecolare, più volte distrutta e ricostruita, Messina oggi sorge quasi interamente nella sua struttura moderna di città novecentesca. Eppure, nonostante questi continui cambi di volto, qualcosa resta ancora a preservare l’immagine della struttura urbana antica, ed è proprio sotto i nostri piedi. Sotto le fondamenta della città contemporanea giacciono infatti, sovrapposti e stratificati gli uni sugli altri, i resti delle costruzioni preesistenti. Poche pietre e reperti, che però, grazie al sapiente lavoro degli archeologi, diventano i silenti testimoni della continua evoluzione del tessuto urbano, dalla città greca e romana all’abitato medievale di epoca normanna, fino alla città cinque-seicentesca che ampliandosi e definendosi fino al XIX sec., verrà poi totalmente spazzata via dallo sguardo e dalla memoria dei cittadini dal terrificante sisma del 1908.img_9982

Nel cuore della città moderna, a due passi dal Duomo e da Piazza Antonello, con la grande facciata rivolta verso lo Stretto, si erge la massiccia mole novecentesca di Palazzo Zanca, sede del Municipio, grande “cervello” politico e amministrativo della città. Proprio nel cortile interno di questo edificio dei lavori, avvenuti nel 1976, rivelarono la presenza di materiale di interesse archeologico. Da allora, decenni di scavi si sono susseguiti dando alla luce un importante spaccato del tessuto urbano pre-Terremoto. Per consentire la fruizione al pubblico di questa area archeologica, è stato di recente allestito in una ala del palazzo un piccolo ma elegante museo archeologico, l’Antiquarium.

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L’ingresso all’Antiquarium si trova in prossimità di una delle facciate laterali di Palazzo Zanca, per la precisione quella rivolta verso piazza Immacolata di Marmo e il Duomo, da cui facilmente si può raggiungere anche grazie alle numerose indicazioni. L’accesso è gratuito ed aperto al pubblico quotidianamente dalle 9 alle 18 escluso le domeniche e i festivi. Appena entrati, ci accoglie un breve ma curatissimo percorso espositivo lungo il quale vengono presentati, in tre salette, reperti archeologici di provenienza messinese e mediterranea, principalmente vasi e suppellettili di uso quotidiano, che costituiscono il necessario preludio a ciò che il cortile ci mostrerà.

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Si accede dunque al cortile, dove l’area degli scavi ci appare come una arcana finestra sui secoli. “Tutto questo per qualche frammento di muro o di fondamenta?” potrebbe obiettare qualche lettore perplesso. Ma il fascino dell’archeologia è proprio questo: le pietre, quasi per definizione inerti e mute appunto “come una pietra”, in realtà parlano, nella misura in cui gli archeologi sanno interrogarle e “ascoltare” ciò che hanno da dirci, decifrando con la loro preparazione tecnica il loro linguaggio altrimenti incomprensibile. Cosa ci raccontano le pietre di Palazzo Zanca?

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Innanzitutto ci parlano di una città più antica, di epoca romana imperiale, presumibilmente frutto dell’espansione della preesistente città greca, quella Messana, per intenderci, per difendere la quale Roma sfidò per la prima volta la potenza cartaginese nella prima guerra punica. Sopra questi resti, databili fra il I e il IV sec. d.C., si innesta, a seguito del periodo di decadenza legato alle dominazioni bizantine e arabe, l’abitato medievale risalente al 1082, all’epoca del Gran Conte Ruggero, immediatamente successivo alla riconquista normanna della Sicilia. Come pagine scritte fittamente l’una sull’altra, si sovrappongono i vari strati costruttivi corrispondenti a diversi periodi storici: emergono via via dalla terra le tracce del consolidamento svevo e aragonese, fino ad arrivare alla struttura quattrocentesca che poi manterrà sostanzialmente invariato il suo tracciato fino all’Ottocento, e di cui si ha menzione nelle carte topografiche storiche, con il nome di Via della Neve e Vico della Neve.

Basta un po’ di fantasia, dunque, per viaggiare attraverso i secoli e vedere rinascere le strade e le case dell’antica Messina, immaginarci i suoni, i colori, la vita di tutti i giorni: ed ecco quindi che anche un piccolo museo archeologico con la sua piccola area di scavi può tramutarsi, per i visitatori interessati, nell’oblò di una meravigliosa macchina del tempo…

Gianpaolo Basile

Foto: Giulia Greco