Il buco dell’ozono si sta chiudendo: un successo per la scienza e la politica internazionale

Nel corso degli ultimi anni l’attenzione mediatica sui temi ambientali è aumentata esponenzialmente. Grazie all’azione di numerose organizzazioni di attivisti e all’apporto della comunità scientifica anche una dimensione spesso sorda ai temi più sensibili come quella politica è scesa a patti con la realtà. Da anni i governi di (quasi) tutto il mondo collaborano stringendo accordi e operando secondo una linea comune per affrontare quelle che sono divenute problematiche non più delle singole nazioni ma di tutta l’umanità.

E il buco dell’ozono, simbolo e spesso primo argomento nelle discussioni sul cambiamento climatico, è stato il primo fenomeno ad essere oggetto di una mobilitazione serie e concreta. Un’azione che ora sembra avere portato i suoi frutti.

 

L’assottigliamento degli strati di ozono

Risalgono al 1982 i primi studi sul fenomeno del buco nell’ozono ma è del 1985, ad opera di Joseph Charles Farman e dei suoi collaboratori, la scoperta del progressivo assottigliamento degli strati di ozono sopra le regioni polari. Una deteriorazione, in particolare nella regione antartica, causata dalla produzione e dal consumo dei clorofluorocarburi (CFC), gas emessi dalle attività quotidiane dell’uomo, soprattutto nei paesi più industrializzati. e presenti all’interno dei circuiti frigoriferi, nelle bombolette spray, ecc.

 

Il buco dell’ozono, fonte: wired.it

 

Perché la presenza dell’ozono nell’atmosfera è così importante

L’ozono funziona come un filtro che protegge la superfice terrestre dalle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole. Nello strato dell’atmosfera in cui è maggiormente presente, e denominato per l’appunto Ozonosfera, assorbe il 100% dei raggi uvc, il 90% dei raggi uvb e le radiazioni ultraviolette più cariche di energia nonché più pericolose per la nostra vita. Lascia invece passare le radiazioni uva a bassa energia indispensabili per il funzionamento dell’ecosistema. Con la riduzione dello strato dell’Ozonosfera anche le radiazioni con maggiore quantità di energia possono raggiungere la crosta terrestre nuocendo gravemente alla salute di chi rimane esposto (piante, animali o umani). Un’esposizione continuata a queste radiazioni può causare alterazioni al DNA e RNA, danni a livello oculare e un aumento di melanomi e tumori della pelle.

 

L’azione politica a difesa dello strato di ozono

Sollecitati dalla comunità scientifica e allertati dalla gravità di una non immediata risposta gli Stati hanno firmato il protocollo di Montreal nel settembre 1987: un trattato internazionale volto a ridurre la produzione e l’uso di quelle sostanze che minacciano lo strato di ozono (i gas CFC o clorofluorocarburi) e monitorare la produzione e il consumo di circa 100 sostanze chimiche artificiali. La loro graduale riduzione ha comportato un notevole recupero dello strato protettivo di ozono e la diminuzione dell’esposizione terrestre ai dannosi raggi ultravioletti del sole principalmente nella zona antartica.

 

 

Il successo del Protocollo di Montreal e la richiusura del buco

Tornando quindi ai giorni nostri una delle prime notizie del 2023 è quindi che il buco dell’ozono si sta definitivamente richiudendo e si stima che entro il 2040 sarà totalmente chiuso. E’ quanto emerge in un nuovo rapporto dell’Onu, riportato dal quotidiano britannico The Guardian.

Possiamo dichiarare di essere su una buona strada,

fanno presente le Nazioni Unite nel report pubblicato dal Segretariato del programma ambientale che si concentra proprio sull’ozono.

“L’impatto del Protocollo di Montreal sulla mitigazione dei cambiamenti climatici non può essere sottolineato oltre” ha dichiarato Meg Seki, segretario esecutivo del Segretariato per l’ozono del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).

“L’azione sull’ozono costituisce un precedente per l’azione sul clima. Il nostro successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che danneggiano l’ozono ci mostra cosa si può e si deve fare – con urgenza – per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e quindi limitare l’aumento della temperatura” è quanto dichiarato dal Segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale Petteri Taalas.

L’ennesimo commento positivo è stato fatto anche da Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, sul suo profilo Twitter:

Per quanto riguarda lo strato sull’Antartide bisognerà attendere il 2066.

Gli aspetti positivi. Quali insegnamenti trarre dalla richiusura del buco nell’ozono

Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico, interrogato su quali sono gli aspetti positivi dell’intera vicenda si esprime così: “Ce ne sono due, uno concreto e l’altro simbolico. Quello concreto è che avremo una diminuzione dei casi di tumore della pelle, che erano aumentati moltissimo soprattutto nell’emisfero australe, e registreremo meno estinzioni di anfibi, che sono gli animali con l’epidermide più delicata. Un’altra conseguenza simbolica ma importante è che questo è stato un problema transnazionale determinato dalle nostre attività produttive che non ha avuto confini per definizione, esattamente come il clima, su cui c’è una grande resistenza a fare cambiamenti. È stato confermato da scienziati che nel 1995 vinsero il Premio Nobel proprio per aver scoperto il meccanismo dell’impoverimento dello stato dell’ozono e che ha trovato soluzione in un accordo internazionale però coatto, cioè obbligato, in cui ci sono controlli. E qui c’è la differenza col cambiamento climatico perché nel 2015 si è deciso a Parigi di fare un accordo internazionale su base volontaria in cui nessuno controlla niente”.

Federica Lizzio

Ai confini del mondo: dove finisce il pianeta Terra?

Il pianeta Terra, un luogo così ospitale e pullulante di vita, è stato fin dall’alba dei tempi una  piccola roccaforte per la specie umana, immersa nelle profondità dell’Universo oscuro. In effetti, ci sentiamo talmente protetti da dimenticare di star fluttuando all’interno di uno spazio cosmico di dimensioni inimmaginabili. Basterebbe semplicemente mettere il naso fuori dal guscio gassoso che ci protegge per finire polverizzati in pochi secondi.

Proprio qui nasce l’interrogativo: dove finisce la Terra, e dove inizia lo Spazio?
Una domanda apparentemente banale, che però non trova una risposta univoca.

  1. Com’è formato il pianeta Terra?
  2. Strati che compongono l’atmosfera
  3. Il confine tra Terra e Spazio

Com’è formato il pianeta Terra?

La Terra, terzo pianeta per distanza dal Sole, è il più grande tra i pianeti terrestri (pianeti composti prevalentemente da roccia e metalli).
Ha una massa pari a quasi 6000 trilioni di tonnellate, che aumenta ad un ritmo di 107 kg all’anno. Il nucleo centrale è costituito prevalentemente da ferro, con una temperatura massima che raggiunge i 5000 gradi Celsius. A causa di queste caratteristiche e non solo, la specie umana è in grado di sopravvivere solo in un piccolo strato, che prende il nome di Crosta terrestre.
Essa è avvolta dall’atmosfera, uno scudo dall’ambiente esterno, freddo e inospitale, lo Spazio. Ciò che ci consente di sopravvivere, respirare e proliferare è questo ammasso di azoto, ossigeno, anidride carbonica e gas nobili.

 

Fonte: https://it.freepik.com/

Strati che compongono l’atmosfera

Lo strato più interno che compone l’atmosfera e che si sviluppa per  8-12 km, a seconda che sia in prossimità dell’equatore o dei poli, è la troposfera. Qui avvengono i fenomeni metereologici e si formano le nuvole, fondamentali per il ciclo dell’acqua e indispensabili per la vita.
Più in alto è presente la stratosfera, estesa verticalmente per circa 35km. Lì è presente uno strato di ozono, che  scherma dalle radiazioni dei raggi UV emesse dal Sole.
A sovrastarla è presente la mesosfera, letteralmente lo ‘strato di mezzo’, in cui si disintegrano i detriti celesti che, infiammandosi, regalano lo straordinario spettacolo che noi chiamiamo pioggia di ‘stelle cadenti’.
E’ poi presente la termosfera, dove la temperatura arriva fino ai 1500 gradi Celsius. Qui troviamo la Stazione Spaziale Internazionale. Il guscio più esterno è invece composto dall’esosfera, dove l’aria è estremamente rarefatta, ed è per questo che risulta ostico stabilire dei veri e propri confini al nostro pianeta. L’aria infatti, man mano che ci si allontana dalla crosta terrestre, diviene sempre meno densa.

Il confine tra Terra e Spazio

Nonostante sia pressoché impossibile definire un limite netto tra la Terra e lo Spazio, la Federazione Aeronautica Internazionale (FAI) ha tracciato un confine immaginario sulla cosiddetta ‘’linea Kármán’’, posta ad un’altezza di 100 km sopra il livello del mare.

Fonte: https://tech.everyeye.it/

mentre la NASA stabilisce il confine a 122 km. Approssimativamente indica la quota di rientro atmosferico, ossia la quota al di sotto della quale gli shuttle possono passare dalla manovra di rientro a propulsori a quella alare.

In generale dunque non vi è una risposta unitaria ad una domanda così semplice. Infatti ciò che definiamo con una singola parola, esiste  come un insieme di strati dell’atmosfera che, all’aumentare dell’altezza, divengono sempre più rarefatti.

E’ davvero complesso capire fino in fondo quanto sottile sia l’equilibrio che ci tiene in vita. Solo la scienza può mostrarci la straordinarietà del nostro mondo, in cui ogni più piccola parte riveste un’importanza fondamentale per il perpetuarsi della vita.

Giulia Accetta

 

BIBLIOGRAFIA

https://universome.unime.it/2021/02/20/dentro-il-buco-nellozono-cose-e-perche-deve-preoccuparci/?fbclid=IwAR08HxKGD9aDY3cYT2dhMsbgWbVjyoUwYaVvRuvn-YyAioVOAQI9aOn60iU

Dentro il “buco” nell’ozono: cos’è e perché deve preoccuparci

Alla scoperta del “buco” nell’ozono: com’è fatto, cosa ha determinato la sua formazione e perché si trova in Antartide.  Continua a leggere “Dentro il “buco” nell’ozono: cos’è e perché deve preoccuparci”

Il buco dell’Ozono 2020 si è chiuso, è stato il più lungo dal 1980

Dopo 40 anni gli scienziati della World Meteorological organization hanno dichiarato la chiusura del buco dell’ozono. L’organizzazione intergovernativa, di carattere tecnico e che si occupa di meteorologia, comprendente i 191 Stati membri, non ha mancato di definirlo il più duraturo di sempre.

Le variazioni di dimensione

Dopo la crescita inaspettata a partire dallo scorso agosto 2020, e che ha avuto il suo momento di maggiore estensione il 20 settembre 2020 (24.8 km quadrati) interessando la maggior parte del continente antartico, il buco alla fine di dicembre si è richiuso. Per gli scienziati il buco nell’ozono 2020 si guadagna il primato per dimensioni e durata dall’inizio dei monitoraggi, a partire dal 1985.

Bisogna precisare che la chiusura del buco si presenta a intervalli regolari. Solitamente quest’ultimo tende a chiudersi alla fine della stagione primaverile, che nell’emisfero Sud dura in media da agosto ad ottobre. Mentre nel 2020 la durata è andata oltre raggiungendo appunto il record nella permanenza fino a dicembre.

Le cause che portano alla nascita questo evento riguardano sia eventi atmosferici naturali che altri fenomeni dovuti all’uomo, come l’inquinamento. A tal proposito Oksana Tarasova, capo della divisione di ricerca sull’ambiente atmosferico dell’Omm precisa:

«Proprio le ultime due annate dimostrano l’eccezionale variabilità del fenomeno aiutandoci a capire le cause che lo determinano».

Fonte: corriere della sera- chiusura buco nell'ozono
Chiusura buco nell’ozono – fonte: Corriere della Sera

 

Tutela dello strato di ozono

Fonte: inNaturale-Il buco nell'ozono chiuso entro il 2060
Il buco nell’ozono chiuso entro il 2050 – fonte: inNaturale

La distruzione dell’ozono è direttamente collegata alla temperatura della stratosfera che è lo strato atmosferico tra i 10 e i 50 chilometri di altezza. In questo strato le nubi stratosferiche, di vitale importanza nella distribuzione dell’ozono, non riescono a formarsi a temperature che superano i -78 gradi. Per tutelare lo strato di ozono dai nemici naturali, quali l’azoto e il cloro, nel 1987 è stato siglato il Protocollo di Montreal. Il Protoccolo è volto alla riduzione dell’utilizzo di quei gas che, secondo la scienza, sono responsabili della distruzione dell’ozono. L’immissione di cloro nella stratosfera avviene tramite i cosiddetti clorofluorocarburi (CFC composti da cloro, fluoro e carbonio), considerati i responsabili dell’assottigliamento della fascia di ozono. Fascia che contribuisce a proteggere il nostro pianeta dai raggi solare UV. I CFC vengono scomposti solamente dalla radiazione solare. I ricercatori hanno osservato come in seguito alla stipulazione del protocollo di Montreal il buco sia sceso ai minimi storici.

Il vortice polare

Alla chiusura del buco nell’ozono ha contribuito un vortice polare che ha causato una diminuzione progressiva delle temperature alle altitudini in cui si trova lo strato di ozono. Bisogna precisare come, rispetto gli altri anni, nel 2020 il vortice polare freddo è rimasto più stabile della norma mantenendo le temperature nello strato di ozono sopra l’Antartide più basse. Il vortice ha così impedito l’arrivo di aria più calda e il conseguente ritardo nella chiusura del buco. Sono 100 le sostanze individuate dal Protocollo di Montreal, che negli anni hanno avuto un effetto benefico sulla ripresa dello strato di ozono che protegge la Terra. Anche se la situazione è in via di miglioramento i tempi restano lunghi: la WMO prevede un ritorno ai valori considerati positivi (quelli precedenti al 1980) solo per il 2050.

Eleonora Genovese