Lo Spirito del Natale: questione di cuore o di cervello anche in pandemia?

Il mese di dicembre, da tutti, viene inevitabilmente associato al Natale: si inizia a percepire un’atmosfera magica, di festa, di gioia, si incontrano i familiari e gli amici e si riscoprono valori importanti quali la solidarietà, la famiglia, la bontà. Se l’atmosfera natalizia di gioia mista a nostalgia è nota, ciò che potrebbe non esserlo è la localizzazione del famoso “Spirito del Natale” nel cervello umano.

Secondo Hougaar (ricercatore in neuroscienze), Lo Spirito del Natale si è diffuso, di generazione in generazione, sotto forma di un “fenomeno” noto da un punto di vista religioso e commerciale, ma non noto da un punto di vista neuro-biologico. A tale scopo, nel 2015, il ricercatore ed i suoi collaboratori condussero uno studio a Copenaghen in cui vennero coinvolti due gruppi:

  • Il primo conteneva 10 soggetti sani residenti a Copenaghen, che festeggiavano ogni anno il Natale,
  • Il secondo 10 soggetti sani, residenti nella stessa zona, che non celebravano le tradizioni natalizie.

L’obiettivo dello studio era l’esatta localizzazione dello Spirito Del Natale a livello corticale e dei meccanismi neuro-biologici coinvolti, motivo per il quale i due gruppi furono sottoposti alla metodica diagnostica della risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) mentre osservavano una serie continua di 84 immagini, mostrate per due secondi ciascuna. La serie era strutturata in modo tale da mostrare ad ogni singolo soggetto sei immagini consecutive aventi un tema natalizio, seguite da sei immagini consecutive non aventi un tema natalizio. Ciascun soggetto, inoltre, dopo essere stato sottoposto alla fMRI, veniva sottoposto ad un questionario contente una serie di domande per indagare sulle credenze, sulle tradizioni rispettate e sulle sensazioni avvertite durante il periodo natalizio.

LO SPIRITO DEL NATALE ESISTE DAVVERO NEL CERVELLO?

Lo studio dimostrò che nel gruppo dei soggetti amanti del Natale, secondariamente all’osservazione delle immagini natalizie, si attivavano delle aree cerebrali in modo molto più significativo rispetto al gruppo dei non amanti del Natale. Grazie a questi risultati, il gruppo di Hougaar identificò un network cerebrale del Natale, che corrispondeva a diverse aree cerebrali, quali:

  • Corteccia motoria primaria;
  • Corteccia premotoria sinistra;
  • Lobo destro inferiore;
  • Lobo parietale superiore;
  • Corteccia somatosensoriale primaria.

PERCHÉ QUESTE AREE CEREBRALI SONO COSI’ IMPORTANTI?

Studi precedenti hanno associato tali aree cerebrali alla spiritualità e al riconoscimento facciale delle emozioni.
Urgesi, noto psicologo e ricercatore in neuroscienze, nel 2000 aveva già dimostrato come i lobi parietali destri e sinistri giochino un ruolo fondamentale nell’autotrascendenza, ovvero il tratto di personalità che determina la propensione individuale alla spiritualità; mentre Balconi dimostrò nel 2013 come la corteccia premotoria esplichi un ruolo chiave per esperire emozioni condivise con altri individui, mettendo in atto gli atteggiamenti altrui e riflettendo lo stato emotivo altrui. Infine, Adolphs nel 2000 dimostrò che la corteccia somatosensoriale è indispensabile non solo per il riconoscimento facciale delle emozioni, ma anche per ricavare informazioni sociali in rapporto alle espressioni e ai volti altrui.

IL NATALE E ALTRE RISPOSTE NEURO-ENDOCRINE

Il Natale, se da un lato è la festa gioiosa per eccellenza, dall’altro riflette le abitudini stressanti della società moderna: le attività pre-natalizie innescano una risposta fisiologica nell’organismo con rilascio di adrenalina e cortisolo. Il secondo, l’ormone dello stress, esercita una profonda attività sull‘ippocampo, con successivo decremento della capacità di apprendere e ricordare nuove informazioni. Tuttavia, al di là dell’aspetto prettamente materialistico che potrebbe condurre il soggetto ad eventi stressanti, il Natale è per eccellenza il simbolo della famiglia: la sensazione di “calore” associata a questi momenti è dovuta in parte all’ossitocina, definita da molti studiosi l’ormone dell’istinto materno e dei legami umani.

LA PANDEMIA CI RUBERÀ’ IL NATALE?

il Natale è ormai alle porte, anche se i festeggiamenti saranno differenti rispetto a quelli degli anni passati. Se da un lato è indispensabile evitare un aumento dei contagi, dall’altro bisogna considerare le conseguenze devastati a livello psichiatrico: l’isolamento esacerberà i disturbi di ansia e i disturbi depressivi maggiori, tanto da considerare questo periodo una vera e propria “emergenza psichiatrica“.

Come dimostrato in uno studio condotto su 402 pazienti al San Raffaele di Milano nei mesi scorsi, i pazienti con una precedente diagnosi di patologia psichiatrica sono peggiorati ed il 56% dei partecipanti allo studio ha manifestato almeno uno di questi disturbiin proporzione alla gravità dell’infiammazione durante la patologia:

  • disturbo post-traumatico da stress nel 28% dei casi;
  • depressione nel 31%;
  • ansia nel 42%;
  • insonnia nel 40%;
  • sintomatologia ossessivo-compulsiva nel 20%.

Sono state riscontrate ripercussioni psichiatriche meno gravi nei pazienti ricoverati in ospedale rispetto ai pazienti ambulatoriali. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da COVID-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.

 COSA CONSIGLIANO GLI ESPERTI?

Secondo molti psichiatri, i festeggiamenti (nel limite delle norme imposte dal governo) sono un fattore prognostico positivo nel contesto della cosiddetta “ansia da pandemia”; anche la programmazione delle vacanze natalizie rappresenta un ponte tangibile tra il presente, incerto ed angosciante, ed il futuro.

Caterina Andaloro

Bibliografia

  • Adolphs, R., Damasio, H., Tranel, D., Cooper, G., Damasio, A.R. (2000). A role for somatosensory cortices in the visual recognition of emotion as revealed by three-dimensional lesion mapping. Journal of Neuroscience, 20 (7), 2683-2690
  • Balconi, M., Bortolotti, A. (2013). The “simulation” of the facial expression of emotions in case of short and long stimulus duration. The effect of pre-motor cortex inhibition by rTMS. Brain and Cognition, 83, 114-120.
  • Hougaard, A., Lindberg, U., Arngrim, N., Larsson, H.B.W., Olesen, J., Amin, F.M., Ashina, M., Haddock, B.T.  (2015). Evidence of a Christmas spirit network in the brain: functional MRI study. TheBMJ, 351:h6266.
  • Urgesi, C., Aglioti, S.M., Skrap, M., Fabbro, F. (2010). The spiritual brain: selective cortical lesions modulate human self-transcendence. Neuron, 65 (3), 309-319

 

Gli effetti del distanziamento sociale forzato. La psicologia risponde

Il distanziamento sociale ci sta distruggendo!

L’essere umano è un animale fortemente sociale. Dunque, non ci sorprenderà scoprire che si può vivere “un’astinenza da contatto” in seguito alle misure del distanziamento sociale, attuate per il Covid-19. Per la prima volta nella storia, ciò emerse da un inquietante esperimento di Federico II. Egli isolò un gruppo di neonati per scoprire quale fosse la lingua umana originaria, nutrendoli e limitando i contatti con le nutrici alle necessità igieniche. Risultato? Queste povere creature morirono. Questo evento (narrato dallo storico Salimbene de Adam) trovò una conferma in seguito. Le osservazioni dello psicoanalista Renè Spitz, presso un orfanotrofio, risalgono infatti agli anni ’40.  Molti bambini abbandonati (anch’essi con contatti minimi con le educatrici) si ritrovarono a vivere in una condizione simile al letargo, di totale apatia. Nei peggiori dei casi, alcuni non riuscivano nemmeno a stare seduti da soli o ad attuare una coordinazione oculare.

Analizziamo le conseguenze psicologiche del distanziamento sociale, appellandoci anche alle neuroscienze.

Il Corriere della Sera, “L’amore (senza baci e abbracci) al tempo del Coronavirus: «Si rafforzano nuove forme di affetto”

La “fame da contatto”

Si chiama “skin hunger” (lett. fame di pelle) ed è un bisogno fisiologico primario per l’essere umano (come la sete). Spesso viene sottovalutato. I neonati hanno il riflesso della prensione sin da subito: questo ci fa capire quanto sia basilare il contatto fisico.  La pelle è il nostro primo organo sociale: definisce il nostro confine del nostro Sé corporeo ma – allo stesso tempo – ci consente di entrare in connessione con gli altri. Avere un contatto tramite la pelle (carezze, abbracci, baci, strette di mano, ecc…) consente al nostro cervello di rilasciare l’ossitocina. Essa viene anche definita “ormone dell’amore” ed è fondamentale per la creazione di legami. L’ossitocina ci permette di creare rapporti sociali basati sull’altruismo, sulla fiducia, sulla generosità e sull’empatia. Infatti, è anche responsabile dell’induzione del travaglio e non è un caso che venga prodotta in quantità maggiore nelle donne che allattano.

Avere maggiori contatti fisici significa produrre più ossitocina

E contrastare gli alti livelli del cortisolo (ormone dello stress) e quindi ridurre i livelli di ansia, stress e paura. Si riduce così la pressione arteriosa, della circolazione sanguigna e respiratoria. Ciò aiuta a rendere il nostro sistema immunitario più forte. Avere meno ossitocina (perché ovviamente dobbiamo rispettare il distanziamento sociale) vuol dire toglierci tutti questi benefici.

Bassi livelli di ossitocina sono correlati ad ansia, depressione, disturbi dell’umore, ad alterazioni del ritmo del sonno e del nostro legame col cibo, diminuzione del desiderio sessuale, minor comprensione delle situazioni socio-relazionali, aumento di atteggiamenti conflittuali.

Avere un animale domestico può aiutare. In casa non possiamo parlare di veri e propri interventi di pet therapy. Nonostante ciò, il contatto con l’animale e il processo affettivo-relazionale che si viene a creare possono venirci in soccorso.

Nel nostro cervello i lobi frontali hanno varie funzioni

Fra queste vi è il loro coinvolgimento per quanto riguarda la modulazione comportamentale e, di conseguenza, anche sociale.

Nello specifico:

  • La corteccia orbito-frontale è coinvolta nella capacità di inibire i comportamenti impulsivi e le reazioni emotive inadeguate, di regolare emozioni e processi decisionali;
  • La corteccia cingolata anteriore controlla la motivazione e l’inibizione di stimoli interferenti;
  • La corteccia prefrontale dorso-laterale è coinvolta nella capacità di giudizio e valutazione critica delle circostanze, nella messa in atto di comportamento organizzato e appropriato al fine prefissato e gestione adeguata di situazioni nuove e complesse.

Per i nostri contatti sociali fondamentale è anche l’amigdala

L’amigdala è un regione cerebrale che gestisce le emozioni e le motivazioni. È stato dimostrato che soggetti con lesioni ad essa dimostrano difficoltà a rispettare le norme e le gerarchie sociali. Inoltre, le informazioni che riceve dalle connessioni con le aree sensoriali primarie sono molto dettagliate e le consentono di preparare risposte adeguate alla situazione.

Sicuramente il momento storico è delicato.

Abbiamo la responsabilità di stare attenti per noi stessi e per gli altri ed abbiamo una grande opportunità: quella di dimostrare che abbiamo davvero il senso della socialità e rispetto reciproco. Non sprechiamola!

Per molto tempo potremmo vedere l’altro come un nemico, come colui che può contagiarci. Avremo maggiore diffidenza e ciò potrebbe portare ad una maggiore distanziamento sociale anche dopo, trasformandolo in una vera e propria fobia. Questo non deve avvenire!

Cerchiamo di essere prudenti, di prendere tutte le cautele del caso ma non isoliamoci come delle piccole monadi.

Appena sarà possibile, più abbracci e più ossitocina per tutti!

 

Chiara Fraumeni

 

Bibliografia

A. Moschetti,M. Tortorelli, Ossitocina e Attaccamento (2007)

I.Morrison,Line S.Loken,H. Olausson, The skin as a social organ(2009)

E. De Luca, C. Mazza, F. Gazzillo, La centralità dell’adattamento: emozioni primarie, funzionamento
motivazionale e moralità tra neuroscienze, psicologia evoluzionistica e Control Mastery Theory (2017)

 

 

 

Le cinque parole dell’amore

“Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”
-Blaise Pascal

Con queste parole Pascal voleva semplicemente dimostrare che quando si parla di amore non si può assolutamente far ricorso alla ragione. Non si può decidere razionalmente di innamorarsi o meno di una persona. Molti studiosi si son soffermati molto su quali fossero i meccanismi fisiologici, interessate nel causare questa sensazione d’innamoramento generale, che tutti o quasi, corrisposti o meno, hanno provato. Sono cinque le sostanze che fanno da protagonista nel generale questa risposta del nostro organismo. Ovviamente il tema è molto discusso e c’è ancora molto da scoprire, tuttavia è possibile fare questa breve panoramica della situazione.

DOPAMINA

All’interno del nostro encefalo c’è uno specifico circuito, chiamato “della gratificazione” che viene attivato ogni qual volta si ha la sensazione di piacere. Questa è una via dopaminergica, ovvero che provoca il rilascio di dopamina all’interno dello spazio sinaptico. Uno dei protagonisti principali di questa via è il nucleo accubens septi, attivato dal mesencefalo. Droga, alcol, fumo e amore attivano, a loro modo, questa via. La sua funzione è quella di creare un circolo virtuoso che alimenti costantemente la voglia di ricercare la fonte di piacere. Non a caso chi fa uso di droga, ne richiederà sempre di più, come chi è innamorato va alla ricerca della presenza del partner. Ne risente il bisogno, la mancanza e la voglia di stare assieme.

NORADRENALINA e ADRENALINA

L’ipotalamo dell’innamorato stimola il sistema simpatico, che a sua volta induce la midollare del surrene a secernere noradrenalina, per il 20%, e adrenalina, per l’80%. Questi ormoni favoriscono l’aumento del battito cardiaco (provocando quel tipico arrossamento sulla pelle), la respirazione, e la pressione sanguigna. E’ questa aumentata attività cardio-respiratoria che ci fa vivere un profondo stato di felicità, eccitazione e di euforia.

OSSITOCINA

L’ipofisi produce Ossitocina, un ormone secreto durante l’orgasmo, la stimolazione dei genitali e durante l’allattamento. Nell’uomo è anche responsabile del periodo refrattario che segue l’eiaculazione. Viene chiamato ormone dell’amore perché si ritiene che generi atti affettivi e protettivi nei confronti del compagno/a: baci, carezze, abbracci e tutto il resto.

Dopo un po’ l’innamoramento perde notevolmente la sua carica iniziale e si affievolisce. Molte coppie non superano questa fase: si litiga, si commettono tradimenti e ci si lascia. Tuttavia questo non è il destino di tutte le coppie. Alcune sono nate per durare, ed ecco che entrano in gioco le ultime protagoniste di questo bellissimo viaggio: le endorfine.

ENDORFINE

Queste sostanze, simili per struttura alla morfina, hanno un’azione rilassante, calmante, analgesica ed entrano in gioco più avanti, quando l’innamoramento gradualmente si trasforma, se ci sono i presupposti, in una relazione meno passionale e più affettiva. Secondo molti esperti questa fase di passaggio è molto variabile e può durare dai 18 mesi fino ad un massimo di 4 anni.

 

 

Francesco Calò