MSF dichiara catastrofe umanitaria in Brasile: muoiono sempre più giovani e bambini

La situazione sanitaria in Brasile è allo stremo: i malati non smettono di arrivare e di contro iniziano a scarseggiare i letti, le attrezzature e i medicinali per fronteggiare la gravissima situazione.

Il coronavirus sta mettendo in ginocchio il Brasile, che sta vivendo un vero e proprio dramma, considerando che i pazienti positivi al Covid vengono intubati da svegli per la mancanza di sedativi e legati al letto per sopportare il dolore.

Per la prima volta, Medici Senza Frontiere (MSF), definisce quanto sta accadendo in Brasile «una catastrofe umanitaria» a causa delle pessime decisioni prese dal governo brasiliano.

(fonte: ilMeteo)

La pandemia in Brasile

Il Brasile sta attraversando in queste settimane uno dei suoi momenti più drammatici, con un numero di nuovi contagi e di decessi legati al Covid-19 che sono in proporzione il doppio e il triplo rispetto a quelli che si erano registrati attorno al picco della prima ondata.

Il Consiglio nazionale delle segreterie di salute (Conass) ha ufficialmente confermato che il numero di vittime in Brasile ammonta a 3.305 morti di Covid-19, con ben 85.774 nuovi contagi nelle ultime 24 ore.

Il bilancio totale sale a 368.749 vittime a fronte di 13.832.455 casi accertati, rendendo, di fatto, il Paese del Sud America il terzo più colpito al mondo, superando perfino l’India (uno dei paesi più devastati dalla pandemia soprattutto a causa del pessimo sistema sanitario dello stile di vita adottati) come numero totale di casi.

La scorsa settimana i brasiliani hanno rappresentato l’11% della popolazione mondiale contagiata dal Covid-19 e il 26,27% dei decessi globali. «E lo scenario è destinato a peggiorare nelle prossime settimane», preannuncia Christou, presidente internazionale di MSF.

Oltretutto, il dato più inquietante degli ultimi giorni è l’aumento a sorpresa dei giovani- tra cui bambini- che muoiono a causa del Coronavirus. Il ministero della Salute ha rivelato che il numero dei ventenni morti per Covid-19 nello stato brasiliano di San Paolo è quasi quadruplicato da febbraio a marzo 2021: i decessi di giovani nella fascia di età 20-29 anni sono passati da 52 nel mese di febbraio a 202 in marzo. Il numero dei decessi di ventenni registrati a marzo nello stato più ricco e avanzato del Brasile supera quello registrato complessivamente nei cinque mesi precedenti: 186.

Strage che non risparmia neppure i più piccoli: «Nonostante le prove schiaccianti che il Covid-19 uccide raramente i più piccoli, in Brasile 1.300 bambini sono morti a causa del virus», rivelano i corrispondenti locali, citando il drammatico caso di Lucas, un anno appena. «Un medico ha rifiutato di testarlo per Covid, sostenendo che i suoi sintomi non corrispondevano al profilo del virus. Due mesi dopo è morto per complicazioni dovute alla malattia».

(fonte: IlMessaggero)

Macabra la situazione nei cimiteri nazionali: a Vila Formosa (San Paolo), il più grande cimitero dell’intera America latina, sono già state seppellite 360.000 morti per il covid e, ad oggi, si scavano oltre 600 tombe, di giorno e di notte. La carenza di personale, per le eccessive morti, ha portato i servizi cimiteriali brasiliani ad assumere nuovo personale -alcuni dei quali senza neppure esperienza- e acquistare nuovi macchinari.

Per trasportare le salme sono stati noleggiati 50 furgoni, che suppliscono alla carenza di carri funebri; il comune di San Paolo ha comunque smentito voci che parlavano di scuolabus noleggiati per il trasporto bare.

La situazione dentro gli ospedali

La situazione si ripercuote pesantemente sugli ospedali, che oltre ad essere colmi di pazienti iniziano a soffrire pesantemente la mancanza di sedativi, come denunciato da alcuni operatori sanitari impiegati nelle strutture ospedaliere di Rio De Janeiro.

Un’infermiera dell’ospedale Albert Schweitzer di Realengo, nella zona orientale di Rio, ha raccontato anonimamente al sito Globo.com che alcuni pazienti Covid in gravi condizioni sono stati intubati da svegli e con le mani legate al letto a causa della mancanza di farmaci: «Sono svegli, senza sedativi, intubati, con le mani legate al letto e ci implorano di non farli morire». «La ventilazione meccanica senza sedativi è una vera forma di tortura per il paziente», ha aggiunto il medico di terapia intensiva Aureo do Carmo Filho. Proprio in questa struttura, dove la carenza di medicinali è evidente, sono ricoverati 118 pazienti attualmente positivi al Covid, di cui 40 in rianimazione.

Un’infermiera in servizio in un altro ospedale della capitale, il Sao José- riconvertito per occuparsi solamente di malati di Covid-19 -, ha confermato che alcuni dei 125 pazienti Covid sono morti a causa della mancanza di sedativi: «Non abbiamo farmaci, non abbiamo sedativi per i pazienti in terapia intensiva e purtroppo molti di loro non ce la fanno. Noi operatori sanitari assistiamo disperati, piangendo, perché non possiamo fare nulla. Non abbiamo siringhe, non abbiamo nemmeno gli aghi», si legge sempre su Globo, anche lei sotto anonimato.

Perdura l’utilizzo del vaccino cinese della Sinovac, nonostante abbia rivelato un’efficacia molto inferiore alle aspettative. Secondo quanto rivelato dall’istituto Butantan, lo stesso che produce il farmaco a San Paolo su licenza cinese, l‘efficacia “GLOBALE” è di poco superiore al 50% –mentre i test preliminari avevano fatto registrare un 78%- senza contare la non dimostrata efficacia contro la variante che sta mettendo in ginocchio il Paese.

Il virus si sta diffondendo senza freni su tutto il territorio nazionale; si tratta di una situazione disastrosa, quella in Brasile, per cui anche Medici Senza Frontiere ha deciso di lanciare un “appello internazionale

“In più di un anno di pandemia, la mancata risposta in Brasile ha causato una catastrofe umanitaria. Ogni settimana c’è un nuovo record di morti e infezioni. Gli ospedali sono sopraffatti, e tuttavia la risposta è ancora scarsa. La negligenza delle autorità brasiliane costa vite umane”, ha denunciato giovedì Christou, sottolineando la mancanza di coordinamento centrale e le «sofferenze non necessarie» subite dalla popolazione. Conclude: «I medici sono fisicamente, mentalmente e psicologicamente esausti e lasciati soli a raccogliere i pezzi per la negligenza del governo».

Le cause della eccessiva diffusione

La rivista Science (rivista scientifica pubblicata dall’American Association for the Advancement of Science) ha cercato di individuare le cause della massiccia diffusione della variante Covid P1- nata a Manaus, nello stato di Amazonas-: «In primo luogo, il Brasile è grande e disuguale, con disparità nella quantità e nella qualità delle risorse sanitarie, come letti ospedalieri, medici e reddito, indicano i ricercatori. Poi incide la fitta rete urbana e gli spostamenti che non sono stati completamente interrotti. Ma hanno giocato un ruolo rilevante anche le divisioni interne, fra diverse aree geografiche, e la fortissima polarizzazione politica che ha “politicizzato la pandemia”». Conclude, «SARS-CoV-2 è circolato inosservato in Brasile per più di un mese, a causa della mancanza di una sorveglianza genomica ben strutturata».

MSF aggiunge poi: «La variante P1 è un problema, ma da sola non spiega una situazione così grave», dice Meinie Nicolai, direttore generale di MSF a Bruxelles.

Molti puntano il dito contro il presidente Jair Bolsonaro, che solo pochi giorni fa è tornato a sollecitare la riapertura delle spiagge, il cui accesso è stato vietato da alcuni sindaci e governatori. Bolsonaro ha apertamente criticato il sindaco di Rio de Janeiro, Eduardo Paes, che ha decretato la chiusura degli arenili. «Vorrei che coloro che vogliono chiudere tutto si preoccupassero della disoccupazione, vedessero come vivono le persone nelle comunità (povere), quanto poco hanno nel frigorifero», ha aggiunto il presidente, che poi ha nuovamente difeso il «trattamento precoce» in casa, con farmaci come l’idrossiclorochina, per combattere il Covid.

L’organizzazione trentina, che riunisce sei associazioni (Apibimi onlus, Bottega Buffa Circo Vacanti, O.d.V. A Maloca, Shishu volontariato internazionale onlus, Tremembè onlus e Viraçao & Jangada), ha gli occhi puntati su quanto sta accadendo in Brasile, dove perfino l’esercito ha iniziato a prendere le distanze da Bolsonaro.

(fonte: Greenreport)

Intanto, come ulteriore danno, martedì, la Francia è entrata a far parte della lista dei Paesi che hanno sospeso «fino a nuovo avviso» i voli dal Brasile per cercare di prevenire l’espansione del ceppo brasiliano del coronavirus. La sospensione deve essere approvata dall’Assemblea nazionale e dal Senato. Attualmente i brasiliani possono viaggiare liberamente o con restrizioni lievi soltanto in otto Paesi del mondo.

La rivista Science ha, inoltre, pubblicato ben due “papers” sulla situazione nel Paese sudamericano e sui pericoli connessi alla contagiosissima e più letale variante P1 contro cui forse i vaccini attualmente a disposizione non offrono una protezione molto efficace. La domanda chiave è dunque: «Il Brasile è una minaccia per la sicurezza sanitaria mondiale?». Il rischio reale è che SARS-CoV-2 si trasformi in un altro virus. Più si riesce a contenere la sua propagazione minori saranno le possibilità che muti in qualcosa di ancor più devastante.

Manuel De Vita

Sanità pubblica al collasso: occorreva il coronavirus per farcelo capire?

Per il nostro sistema sanitario nazionale è guerra. Una guerra iniziata prima ancora dell’emergenza Coronavirus, non fatta di armi e trincee, ma di tagli al personale e investimenti inadeguati. Traducendo la situazione in numeri: carenza di oltre 50 mila infermieri negli ospedali e nel territorio; deficit di 16700 medici specialisti previsto per il 2025, più di 2000 solo in Sicilia; meno di tre posti letto per mille abitanti in molte regioni d’Italia; infine, investimenti in ricerca e sviluppo al di sotto del 1,5% del PIL (la Francia ne investe il 2,2%, la Germania il 3%).

L’epidemia in corso ha rilanciato il dibattito politico e sociale sulle difficoltà della sanità pubblica in Italia. Ma la domanda sorge spontanea: era proprio necessaria un’emergenza di questo calibro per dare un po’ di rilevanza mediatica all’affanno del sistema sanitario?

Pronto soccorso chiuso
Fonte: AGI © Nicola Marfisi / AGF – Pronto Soccorso Codogno

Il sistema sanitario nazionale era in difficoltà prima ancora che ce lo facesse notare il Coronavirus

Che ci volessero mesi di attesa per una visita specialistica o un intervento in elezione in regime SSN lo si sapeva già da prima dell’epidemia. Nell’ultimo anno sono quasi 20 milioni gli Italiani che sono dovuti ricorrere alla sanità a pagamento dopo aver constatato i lunghi tempi d’attesa.

Si è orientati verso un modello privato, sull’esempio di altri Paesi che, se da un lato possono garantire una sanità di maggior qualità e una miglior retribuzione per gli operatori, dall’altro limitano le cure per chi non può permettersele. In questo senso in Italia si accende un campanello d’allarme: secondo una recente stima dell’ISTAT 4 milioni di italiani rinunciano a curarsi per ragioni economiche; altri due milioni per ragioni di tempo, in relazione alle liste d’attesa.

Che nella sanità pubblica le risorse umane fossero sottodimensionate per gestire la domanda da parte della seconda popolazione per aspettativa di vita in Europa era ben chiaro. L’incremento dell’età della popolazione si associa ad un aumento dei pazienti cronici ed ospedalizzati. Ogni infermiere dovrebbe assistere al massimo 6 pazienti: un aumento si associa ad un maggior rischio di mortalità per il paziente e di burnout per l’operatore. In media in Italia gli infermieri assistono 11 pazienti; in Sicilia questo numero sale a 12 e in altre regioni fino a 17.

Aspettativa di vita in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da banca dati di Eurostat

L’imbuto formativo nega ai medici la possibilità di specializzarsi, nonostante la carenza

I neomedici, dopo i 6 anni di studio, devono specializzarsi. L’ingresso in scuola di specializzazione dipende da un concorso, che però non garantisce la formazione specialistica ad ogni laureato. Nel 2019 i candidati sono stati 17595, a fronte di 8905 posti disponibili. Ciò significa che quasi la metà dei candidati si è vista interrotta la carriera poco dopo la laurea, in attesa del concorso dell’anno successivo.

Si verifica inevitabilmente un accumulo di candidati di anno in anno, che si sommano ai neolaureati in continuo aumento. Al contempo diminuisce il numero degli specialisti a disposizione, e si riducono le prospettive lavorative nel nostro Paese. Dal 2010 al 2018 oltre 8800 medici hanno lasciato l’Italia per trovare un posto di lavoro in un altro Paese europeo, con la perdita dell’investimento economico che lo Stato ha fatto per formarli. Tutto ciò nonostante la grave carenza verso cui siamo proiettati, frutto di un Paese in cui la riduzione delle assunzioni e la carenza di giovani specialisti si traduce nella classe medica più vecchia d’Europa.

Italia nazione con maggior percentuale di medici over 55
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da Eurostat, riferito ad anno 2017

L’epidemia ha messo in evidenza tutte le carenze, frutto di anni di disinteresse politico

In questa fase la sanità è al centro dell’interesse mediatico. Vengono evidenziate le difficoltà e l’impegno di medici, infermieri e ricercatori in servizio ininterrotto da giorni o da settimane. Si parla degli ospedali e degli operatori messi in quarantena per due settimane, con la sola “colpa” di aver svolto il loro lavoro. Le misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza sono in prima pagina: si richiamano i medici in pensione, si anticipa la laurea degli studenti in scienze infermieristiche per dare manforte, si pensa di assumere nuovi medici a tempo determinato.

Era evidentemente necessario il Coronavirus per ricordare le difficoltà del nostro sistema sanitario nazionale e rendersi conto dell’importanza del medico di base e dei medici specialisti, dell‘assistenza infermieristica, dei servizi di laboratorio pubblici e di un posto letto in ospedale.

Tra le ultime notizie, quella critica dei reparti di terapia intensiva quasi saturi, e in tal senso si programma un aumento dei posti letto di malattie infettive, pneumologia e terapia intensiva. Forse se tra il 2000 e il 2017 non si fosse assistito a una riduzione dei posti letto pro capite del 30% la sanità avrebbe potuto ammortizzare meglio l’emergenza.

Il Coronavirus mette in luce due fenomeni del nostro paese: la resilienza e il populismo

La prima è una caratteristica che ha contraddistinto storicamente il nostro popolo in ogni emergenza. La resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Gli operatori sanitari confermano la qualità facendo miracoli: inventano aree di isolamento in strutture insufficienti, riciclano mascherine e dispositivi di protezione, portano avanti turni massacranti negli ospedali e nel territorio. Tutto ciò senza dimenticare gli altri pazienti che hanno bisogno di assistenza, i quali non possono certo farsi da parte per l’occasione.

Si cerca quindi di mettere le pezze laddove il populismo ha messo in secondo piano la sanità in favore della demagogia, con investimenti in iniziative politicamente più appetibili. L’Italia spende meno nei servizi sanitari rispetto a moltissimi altri Paesi europei, mantenendosi sotto la media europea, seppur nell’ultimo anno ci sia stato un aumento di circa 2 miliardi di euro, comunque non sufficienti.

Spesa sanitaria in Italia e in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da OCSE, riferito ad anno 2017

Il futuro è incerto

Gli scienziati non sono concordi nel prevedere le modalità di evoluzione dell’epidemia e i tempi di risoluzione della stessa. Nel momento in cui vi scriviamo, i positivi in Italia sono 3296 in continuo aumento. Ad ogni modo, indipendentemente dai tempi di risoluzione della malattia, una domanda è lecita: dimenticato il Coronavirus, dimenticheremo nuovamente il nostro sistema sanitario nazionale?

Antonino Micari

“Fleming”: un messinese nella lotta all’antibiotico-resistenza

Paolo Pino, 23enne messinese doc, ex archimedino, Dottore in Ingegneria industriale presso UNIME e specializzando in Ingegneria dei materiali presso il Politecnico di Torino, è l’ideatore di Fleming, una nuova piattaforma che ha tutte le carte in regola per diventare uno strumento indispensabile per il mondo sajnitario del futuro. Noi di UniVersoMe lo abbiamo intervistato, spinti a capire quanto Fleming potrà essere utile.

Paolo, puoi spiegarci cos’è “Fleming”?

“Partiamo da alcuni dati allarmanti: gli antibiotici stanno perdendo di efficacia a un ritmo esponenziale. Questo costa al mondo 700 mila vite ogni anno, ed entro il 2050 potrebbero diventare 10 milioni.
Fleming vuole essere uno strumento moderno nel contrasto di questa minaccia. Si tratta di una piattaforma informatica in grado di assistere tutti gli attori in gioco a diversi livelli. Si parte dagli ospedali, dando ai medici gli strumenti per coordinarsi e monitorare in tempo reale l’evoluzione della popolazione batterica locale, delle resistenze, delle malattie e del consumo di antibiotici, ottimizzando tempi e risultati delle terapie.

A questo punto, i dati dai singoli presidi confluiscono in un processo avanzato di trattamento dei dati in grado di ricostruire una mappa dettagliata del fenomeno e di distribuire informazione a governi e industrie farmaceutiche, consentendo loro di orientare al meglio interventi e risorse cruciali. Con Fleming pensiamo di poter raggiungere un livello di flessibilità e scalabilità del tutto nuovo, e di farlo mentre tutte le parti in gioco ne traggono vantaggio.”

La questione della resistenza agli antibiotici sarà tra le emergenze del 21° secolo, questa idea sembra essere la risposta alle necessità di un’era in cui la digitalizzazione può davvero fare la differenza tra la vita e la morte. Come e quando nasce questo progetto?

“L’idea è nata in occasione della European Innovation Academy, una scuola internazionale dedicata all’imprenditoria e all’innovazione durante la quale team di studenti da tutto il mondo lavorano per tre settimane allo sviluppo accelerato di nuove idee, sotto la guida di mentori ed esperti che vengono da Google, da Berkley, dalla Silicon Valley, e così via. Quando ho scoperto che avrei avuto un’opportunità così grande, mi sono detto che avrei dovuto sfruttarla per fare qualcosa di buono. Per la mia tesi al Politecnico sto studiando delle nanotecnologie che possano assistere – e in futuro, magari, sostituire – gli antibiotici nell’eradicazione dei batteri resistenti. E così ho proposto Fleming, e un team fantastico si è formato intorno a questa idea. La squadra è composta da due ingegneri informatici, Callum e Marina, che vengono dall’Australia e dalla Macedonia, da Aniket, un bioingegnere della Virginia Commonwealth University, e da Mallory, un’economista texana. Siamo molto affiatati e sin da subito ho messo in chiaro una cosa fondamentale: si dice arancino e non arancina.

Paolo nell’atto di “sicilianizzare” il team.

Sicilianizzare il team fa di te un vero “buddace in missione”, complimenti! Tornando a Fleming, perché sarà utile soprattutto ai medici di domani?

“I medici di domani vivranno in un mondo a iperdigitalizzato, in cui Big Data, intelligenze artificiali e tecnologie avanzate acquisiranno un ruolo centrale nell’evoluzione delle civiltà. In questa prospettiva, i medici capaci di cogliere la portata e le potenzialità di questi strumenti saranno gli artefici di un contributo rivoluzionario alla salute dell’uomo. Gli studenti che conosciamo hanno sempre dimostrato una spiccatissima sensibilità e una grande apertura nei confronti di questi temi, quindi siamo molto fiduciosi.”

Da studente di medicina posso confermarti quanto dici. Quali sono i prossimi step di evoluzione e promozione di questa piattaforma?

“Qui alla scuola ci ripetono sempre: “Build, measure, learn, repeat”: ci aspetta un susseguirsi di fasi di progettazione, sperimentazione e miglioramento del prodotto, da condurre sulla base di una continua interlocuzione con gli utenti finali. Abbiamo avuto un primo feedback positivo all’ospedale Regina Margherita, qui a Torino, e una clinica in Brasile ha mostrato interesse per l’idea, ma ovviamente c’è ancora molto lavoro da fare.”

Come possiamo noi, oggi, contribuire alla crescita di Fleming?

“Attualmente sarebbe per noi di grandissimo aiuto poter lavorare con medici e studenti per raccogliere suggerimenti e opinioni e per testare i prototipi. Un’iniziativa del genere non può prescindere dalla collaborazione con gli esperti del settore.
In più abbiamo una piccola pagina su internet che è la nostra prima interfaccia con il pubblico, e attraverso la quale raccogliamo i contatti degli interessati per coinvolgerli ed informarli sugli sviluppi.”

Il mio sogno è che Messina possa essere tra i pionieri del progetto!
Per finire, Antonio, consentimi di ringraziare te e UniVersoMe per il tempo e l’attenzione dedicateci. Non solo questo ci entusiasma e ci incoraggia, ma mi fa anche sentire il calore di casa. Grazie a nome mio e di tutto il team Fleming.

Grazie a te Paolo, e a tutti gli altri ragazzi che, come te, rappresentano un vanto per la città e il Sud Italia in generale. Ci aiutate a credere più fortemente nei nostri sogni, nelle nostre capacità, nella nostra “identità meridionale”, troppo spesso denigrata da pregiudizi che la fanno vacillare. Abbiamo bisogno di voi.

Antonio Nuccio