Ma Rainey’s Black Bottom, una storia raccontata dal blues

Una produzione Netflix tutta da vedere: sarà rivelazione agli Oscar?- Voto UVM: 4/5

Prima ancora di Billie Holiday, Nina Simone ed Etta James c’era una sola diva del blues: Gertrude detta “Ma Rainey”, cantante afroamericana dei ruggenti anni ’20. Detta la “madre del blues”,  di fatto battezzò il genere; il suo è un grande nome ormai destinato a cadere nell’oblio se non fosse per la recente pellicola di Netflix, Ma Rainey’s Black Bottom. Prodotto da Denzel Washington, diretto da George C. Wolfe e in concorso agli Oscar per ben cinque statuette (miglior attore protagonista, migliore attrice protagonista, trucco, costumi e scenografia) il film merita di essere visto per tanti motivi.

Dramma, pathos e “talking blues”

Se esistesse la categoria “miglior soggetto” agli Oscar, state certi che il film di Wolfe sarebbe in concorso anche per quella, proprio per la sua storia originale e sui generis. Quando si tratta di star della musica, infatti, portarle al cinema spesso significa dimenticarsi dell’arte e concentrarsi su gossip e vicende private, riducendo tutto alla famigerata triade “sesso, droga e rock’n’ roll”(anche per gli artisti che non sono “rock”). Ma Rainey’s Black Bottom non è niente di tutto ciò! E non perché sia una smielata favola su una grande artista afroamericana di successo in un’America tutt’altro che propensa a dare ai neri successo. Non perché sia un film con tanto di happy ending, privo di drammi, rabbia e violenza, anzi.

La diva Ma Rainey (Viola Davis) assieme ai membri della band in sala incisione. Fonte: blog.ilgiornale.it

Il film di Wolfe, più che della diva Ma Rainey e della sua vita, parla della storia di una canzone, appunto Black Bottom. Parla di blues, che non è solo un genere musicale: è un grido di dolore, è vita vera che scorre nelle vene degli afroamericani e nelle loro storie di subita sopraffazione che vengono fuori dalle parole dei personaggi, dai loro monologhi profondi e densi di pathos, fluidi come canzoni, accompagnati in sottofondo dalle note degli strumenti, che siano piano, tromba o contrabasso. Un blues che parla (si potrebbe azzardare “talking blues”) è quello dei dialoghi del film, tratti dall’omonimo dramma teatrale di August Wilson.

Proprio come le grandi tragedie antiche, infatti, la  maggior parte della vicenda è concentrata in una sola giornata e in un unico luogo: lo studio discografico in cui viene incisa la famosa canzone. Storcono il naso gli amanti dell’azione: in Ma Rainey non succede – quasi – nulla o meglio, la maggior parte di ciò che accade è solo ricordato nei racconti dei quattro membri della band, talmente vividi da permetterci quasi di vederli raffigurati sullo schermo. Leeve (Chadwick Boseman), Toledo (Glynn Turman), Cutler (Colman Domingo) e Slow Drag (Michael Potts) si riuniscono in sala prove, suonano e risuonano i brani tra scherzi e diverbi finché non arriva Ma (Viola Davis) che dà il via alle danze e si parte con l’incisione.

Da sinistra a destra: Toledo (Glynn Turman), Levee (Chadwick Boseman) e Slow Drag (Michael Potts) provano i pezzi. Fonte: nonsolocinema.com

Grandi interpreti in spazi ristretti

Nonostante il film possa apparire limitato nello spazio (e anche nel tempo, con soli 93 min di durata) è proprio attraverso una storia all’apparenza statica che emerge la bravura degli attori in scena: Viola Davis sprigiona tutta la rabbia di una cantante afroamericana che si sente sfruttata dal suo agente, “addolcita” dallo stesso solo al fine di trarne profitto.

Da lei ci aspettavamo una performance esattamente di questo tipo: anche quando il trucco viene rovinato dal calore insopportabile della Chicago anni ’20, Ma è una donna forte, che ama realmente la sua musica e che non ha paura di puntare i piedi per farsi rispettare, sia dagli altri membri della band che da agente e produttore. Le movenze e la mimica facciale dell’attrice rispecchiano in pieno il carattere forte della protagonista, fruttandole una meritata nomination come migliore attrice protagonista.

Viola Davis e Chadwick Boseman sul set – My Red Carpet

Ancor più sorprendente è la prova attoriale del compianto Chadwick Boseman, nei panni dell’alternativo trombettista Levee, che già gli è valso un Golden Globe postumo. Nella narrazione possiamo considerare questo personaggio come l’opposto di Ma: innovatore e fuori dagli schemi, vuole rompere con le sue melodie il “classicismo” della cantante, arroccata sulle sue posizioni storiche e tradizionali.

Ma non sono le scene che rappresentano questo dualismo le più significative dell’attore: la voglia di rivalsa e indipendenza, con il sogno di fondare una sua band, fanno da cornice a una storia disperata di violenza, che ha spaccato la sua famiglia quando era solo un bambino, lasciando un segno indelebile e forse mai elaborato dal personaggio. L’attore riesce al meglio a immedesimarsi sia nel lato spensierato e gioviale del trombettista, che in quello triste e tormentato: un mix che meriterebbe l’Oscar.

Simbolismo della pellicola

Due sono i simboli che spiccano sulla scena: il caldo, che diventa quasi un personaggio vero e proprio, invadente e “palpabile” (soprattutto su Ma) in quasi tutte le scene. Sembrano però soffrirne solo i personaggi di colore, che spesso non riescono ad aprire i ventilatori e ad alleviare questo fastidio evidente: sembra quasi simbolo dell’oppressione e delle sofferenze che gli afroamericani hanno dovuto patire, espresse esplicitamente nelle storie raccontate dei personaggi.

Il secondo è una porta chiusa, che Leeve cerca continuamente di aprire senza successo: alla fine riuscirà a vedere cosa c’è dietro, grazie alla sua caparbietà; a voi l’interpretazione su cosa troverà dietro essa, metafora sul cosa gli ha fruttato il suo comportamento.

La vera Ma Rainey con la sua blues band. Fonte. cineavatar.it

C’è una lunga storia dietro una canzone, spesso ignorata dal grande pubblico e lasciata solo alle ricerche di appassionati del settore: il film la riporta alla luce rendendola il perno attorno cui ruotano altre storie; allo stesso tempo resta un lieve rammarico per la breve durata del film, che lascia lo spettatore desideroso di continuarne la visione. Ma Rainey’s Black Bottom parla di musica, sì, ma non trascura i drammi sociali del tempo, dà loro voce attraverso la musica stessa, attraverso quel blues che è “un modo di comprendere la vita”, una filosofia che i bianchi non sembrano capire, ma di cui hanno un disperato bisogno.

Sarebbe un mondo vuoto senza il blues. Già, io cerco di afferrare quel vuoto e poi cerco di riempirlo. Non sono stata la prima a cantare così. Il blues c’è sempre stato.

Angelica Rocca, Emanuele Chiara

Pieces of a woman: tra arte e dolore

Vanessa Kirby suprema nel trasmettere al pubblico il dolore di una madre – Voto UVM: 4/5

Continuiamo la nostra rassegna sugli Oscar con la pellicola Pieces Of a Woman disponibile su Netflix e diretta da Kornél Mundruczó. Stavolta non tratteremo la categoria “miglior film”, bensì quella “miglior attrice protagonista”: infatti la splendida Vanessa Kirby è in gara per l’ambita statuetta con altre grandi attrici. Il suo talento e la sua interpretazione l’hanno portata fino al più famoso red carpet al mondo: il film è stato infatti presentato per la prima volta alla settantasettesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dove la Kirby si è aggiudicata il premio per la miglior interpretazione femminile

Trama

Chi se ne importa cosa pensano? Si tratta di me. Si tratta della mia vita.

Il film si apre con la stagione autunnale e  racconta la storia di una donna di nome Martha (Vanessa Kierby) che assieme al suo compagno di nome Sean (Shia LaBeouf) sta aspettando il suo primo figlio o – in questo caso –  figlia. Martha, ha deciso che il lieto evento sarà a casa, lontano dal “bianco” dell’ospedale.

Vanessa Kirby e Shia LaBeouf in una scena del film. Fonte: screenmovie.it                           

I due futuri genitori si sono affidati a una levatrice di nome Barbara, ma quest’ultima non si presenterà e manderà una sostituita di nome Eva (Molly Parker). Da quel momento in poi il film assume una piega inaspettata; si percepisce tensione: lo spettatore è proiettato all’interno della stanza accanto ai protagonisti, ma allo stesso tempo si sente come se fosse costretto a guardare senza far nulla.

 Martha comincerà a sentire dolore ed una forte nausea ed Eva noterà che il battito cardiaco della bambina è sceso. Sean e Eva insistono per andare in ospedale, ma Martha è ferma sulla sua scelta e il parto continua a casa. Darà alla luce una bambina: lo spettatore dall’altro lato dello schermo sorride! Attimi dopo però la neonata diventa blu ed Eva cercherà di rianimarla, ma sarà tutto inutile e poco dopo la bambina morirà per arresto cardiaco.  

E non posso farla tornare.

Da quel momento in poi  Martha e Sean percorreranno un tunnel di cui non si intravede la fine, ma solo dolore e angoscia: pian piano cominceranno ad allontanarsi l’uno dall’altra, il loro amore si trasformerà in un odio profondo e finiranno per detestarsi. La perdita profonda si intreccerà con l’egoismo dei familiari che, invece di aiutare, abbatteranno ancor di più Martha, trattando il suo dolore con mera sufficienza. 

In campo clinico certe cose sono un mistero.

Ormai lontana da tutto e da tutti, Martha  dovrà uscire da sola da quella sofferenza disumana.

Martha isolata da tutti. Fonte:s.yimg.com                 

Tra arte e  simbolismo

Il film è accompagnato da tre simboli: la mela, le stagioni e il ponte.

Il ponte rappresenta l’inizio e la fine del film ma, in special modo, l’accettazione della perdita della bambina: difatti in una scena del film vedremo Martha che spargerà le ceneri della sua piccola bimba proprio da un ponte. Proprio qui si comprende che non si può rimanere aggrappati al passato e al dolore, sebbene a quest’ultimo non si può porre fine, ma soltanto cercare di accettarlo.

A volte la forza della risonanza può far cadere anche un ponte.

La mela rappresenta la maternità, che la nostra Martha non ha potuto vivere a  360 gradi. In una scena del film vediamo la protagonista che percorre il reparto di un supermercato e la sua attenzione è rivolta verso le mele: le esamina e le osserva con attenzione. Tantissime sono poi le scene in cui la vediamo mangiare il frutto fino al torsolo fino a conservanee i semi e decidere di farli germogliare: l’operazione finale avverrà con l’accettazione del lutto.

Martha con una mela in mano. Fonte: metropolitanmagazine.it

Le stagioni saranno un nodo fondamentale per tutto l’arco temporale dell’opera: difatti il film inizia con l’autunno che rappresenta la morte, poi arriverà l’inverno che rappresenta la depressione (infatti  vedremo Martha e Sean ormai lontani e freddi fra di loro), infine ci sarà la primavera che rappresenta l’accettazione e, come i germogli della mela, Martha sarà pronta ad andare avanti.

L’arte si intreccia con questo film: Martha sfrutta dei simboli per superare il proprio dolore, giacché è sola e si rifugia all’interno di questi oggetti inanimati, redendoli vivi.

Questo film non ha niente che vedere con la resilienza, ma tutto il contrario. Ci mostra come il dolore delle volte ci trascini fino allo sfinimento, rendendoci degli esseri alienati. Vanessa Kirby è riuscita a far immedesimare il pubblico e renderlo partecipe del dolore di Martha.

                                                                                                                                       Alessia Orsa

Disney+ vs Netflix agli Oscar 2021

Come per ogni categoria che si rispetti, anche la statuetta dei film di animazione è tra le più attese.

Come sempre, la grande casa Disney fa da padrone ( è inevitabile associare ad essa un cartone ), ma quest’anno ha la Grande N come rivale. Infatti, a concorrere agli Oscar nella categoria in questione abbiamo, tra gli altri, Soul e Over The Moon.

Soul, Disney+

La matita di Pete Docter, ancora una volta, cela dietro personaggi dagli occhi grandi e forme morbide una riflessione sulla vita, profonda e pesante allo stesso tempo. Dietro la figura di Joe Gardner si nasconde l’insoddisfazione “dell’essere umano medio”, di colui che ha dovuto rinunciare ai propri sogni pur di uniformarsi alle convenzioni.

Fonte: taxidrivers.it, il professor Joe

Pete ha disegnato un uomo in grigio la cui unica scintilla è il jazz: sarà proprio questo a farlo svegliare al mattino e a fare da sottofondo alla sua vita e a tutto il film. Infatti sono stati scritti dei pezzi originali proprio per la vita di Joe, in stile “vecchio bar americano” con nuvole di fumo e completi gessati.

Il film è geniale in quanto utilizza un linguaggio semplice per spiegare un concetto complesso: l’essere insoddisfatti e non trovare la propria scintilla perché si è costantemente persi in un mondo caotico.

Il  protagonista sarà oggetto di uno scherzo del destino: la sua vita finisce proprio quando sta per cogliere una delle più grandi opportunità, ovvero suonare con una sassofonista leggendaria. E così ci ritroviamo nell’altro mondo dove Joe, incontrandosi e scontrandosi con le altre anime, riesce – in modo non convenzionale – a comprendere la bellezza della vita. E noi la scopriremo con lui grazie alle voci di Neri Marcorè e di Paola Cortellesi che renderanno il tutto più coinvolgente e leggero.

Ma di leggero in Soul non c’è nulla. Fa riflettere tutte le generazioni, dimostra che siamo così indaffarati a cercare di modellare la nostra personalità alle convenzioni sociali che non ricordiamo l’importanza delle passioni «che sono il sale della vita» o addirittura quanto sia buona una fetta di pizza.

Fonte: ilfattoquotidiano.it, Joe e 22 in una pizzeria dell’altro mondo 

A far capire tutto questo a Joe sarà l’anima di 22; Joe da solo non sarebbe mai riuscito a trovare l’importanza della semplicità e la piccola anima cinica, senza il nostro protagonista, non sarebbe mai riuscita a tornare sulla terra e accorgersi di quanto fosse sbagliata la convinzione che non la potesse “accendere niente”.

Collaborazione, realizzazione e immaginazione sono le tre parole chiave del film che fa scendere una lacrima e accendere molte lampadine, interrogandoci in ogni momento.

Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria, Netflix

Netflix ci porta in Oriente e poi sulla Luna: Over the Moon è una storia commovente, sullo stampo dei classici cartoons, un film da guardare con tutta la famiglia che lascia una sensazione di serenità e pace.

La vicenda strappalacrime è quella di una bambina che perde la mamma, che crede ancora nelle fiabe ma nonostante questo possiede una spinta continua alla ricerca della verità.

Fonte: taxidrivers.it, Fei Fei e la sua famiglia 

Un’anima da scienziata dentro il corpo di una piccola Fei Fei talmente ingegnosa che arriva sulla luna.

Il regista Glen Keane, ex “cadetto” Disney con diverse medaglie, rappresenta in maniera colorata e semplice il “fantastico mondo di Lunaria”, un luogo particolare e fluorescente che farà da palcoscenico alla fiaba scritta da Audrey Weels (deceduta nel 2018) a cui è dedicato il film.

Fonte: tomshw.it, la vista di Lunaria 

I temi trattati sono evergreen: il lutto, la “gelosia” nei confronti della nuova compagna del padre,  il senso del dovere e le tradizioni di famiglia; tutto questo si trova immerso sotto la luce della luna e viene raccontato tramite musica e colori.

Il confronto

Come si può notare, la competizione anche quest’anno è molto alta. Lo streaming ha sostituto le poltrone del cinema e, nonostante questo, i film non hanno perso la loro magia. Da una parte ci sono le riflessioni sulla vita espresse mediante un film di animazione, dall’altro ci sono grandi problematiche della nostra esistenza vissute da una ragazzina; sembrano temi già trattati ma − sicuramente – richiedono una costante e ulteriore rilettura.

Soul e Over the Moon emozionano e fanno riflettere; sicuramente il far parte della categoria “film d’animazione” rappresenta una grande sfida e cela una sorta di evoluzione: possiamo affermare che i cartoni ormai non sono film solo per bambini, bensì richiedono autocoscienza e voglia di cambiare. Ci donano il desiderio di crescere, come quello che avevamo da piccoli, ma ci permettono di farlo con maggiore consapevolezza. Che grande privilegio, non sprechiamolo.

Barbara Granata

Walk the line: musica e amore come medicine

“Walk The Line” è un biopic degno di nota. Racconta una storia di lotta contro se stessi e di quanto possa essere importante la musica, andando ad affrontare anche altre tematiche fondamentali per un artista – Voto UVM: 4/5

Oggi 89 anni fa nasceva una delle più celebri star della musica statunitense: Johnny Cash.

Ha conquistato il pubblico americano tramite canzoni che sono entrate a far parte di prestigiose Hall of Fame di generi diversi a testimonianza della sua poliedricità. Nonostante una vita travagliata, è riuscito a imporsi nel panorama musicale divenendo principalmente un’icona della musica country.

Johnny Cash con la sua chitarra- Fonte: arte.sky.it

Il film  Walk The Line ( Quando l’amore brucia l’anima) diretto da James Mangold ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera.

Trama

Johnny (Joaquin Phoenix) è un bambino che vive in una fattoria dell’Arkansas. Un giorno mentre è a pesca, il fratello si ferisce con una sega e muore; di lì in avanti i rapporti tra Johnny ed il padre si incrineranno notevolmente.

Nel 1950 si arruola  nell’aviazione prestando servizio nella Germania dell’Ovest dove comincia a suonare la chitarra per diletto per poi tornare in patria qualche anno dopo dove sposa la sua fidanzata ed inizia a lavorare come venditore porta a porta per vivere. Tuttavia sente che gli manca un qualcosa. Infatti, durante una giornata di lavoro , passa davanti ad uno studio di registrazione e colto dall’ispirazione decide di fondare un gruppo.

Dopo un’audizione Johnny conquista Sam Phillips (Dallas Roberts), produttore musicale e proprietario della Sun Records, il quale gli fa sottoscrivere immediatamente un contratto ed incidere il suo primo disco: Cry! Cry! Cry!

Locandina del film – Fonte: tmdb.it-maku.com

Le canzoni iniziano ad essere tramesse in radio ed il cantante parte per un tour di primaria importanza: infatti alla tournée partecipano grandi artisti emergenti del calibro di Elvis Presley e Jerry Lee Lewis e proprio in questo periodo il nostro protagonista conosce la bellissima cantante June Carter (Reese Whiterspoon) della quale si innamora perdutamente.

Tra alti e bassi, droga e carcere, Johnny non perderà mai il suo amore per la musica (e per June) e nonostante tutte le peripezie diventerà una delle più grandi star americane.

Regia

Il regista James Mangold ha voluto raccontare la storia di Johnny Cash improntandola fortemente sul lato umano.

L’amore è sicuramente uno dei temi principali della pellicola oltre- ovviamente- alla musica. E’ infatti proprio grazie a questo sentimento nei confronti di June che il protagonista trova la forza per reagire a qualsiasi problematica e spingersi oltre raggiungendo altissimi livelli.

Johnny Cash (Joaquin Phoenix) e June Carter (Reese Witherspoon) – Fonte: pinterest.it

Mangold stesso ha dichiarato di essersi emozionato quando durante uno dei suoi ultimi incontri con il vero Johnny Cash gli chiese quale fosse il suo film preferito, ed il cantante rispose:

Frankenstein. Perché è la storia di un uomo composto da parti marce. Una specie di oscurità. E contro la sua stessa natura… continuò a lottare per essere buono.

Forse un po’ severo con se stesso, ma sostanzialmente questo concetto si avvicina a quel che era Johnny. Il cantante, come riportato nel film, per un periodo è stato fortemente dipendente dalla droga che gli ha causato gravi problemi sia nelle relazioni sia a livello legale (di fatti è stato in carcere). Un uomo che sicuramente ha sbagliato, ma definirlo un mostro risulterebbe esagerato.

Comunque, la definizione di Frankenstein in parte esprime perfettamente la sua natura: anche se Johnny Cash non si riteneva una brava persona, ha cercato comunque di fare del bene come quando nel 1968 tenne un concerto alla prigione di Folsom per i suoi detenuti e inoltre prese in giro il direttore del carcere che li maltrattava (il regista ha deciso di chiudere il film proprio con questa scena meravigliosa sulle note di una delle sue canzoni più belle, Cocaine Blues).

Cast

Joaquin Phoenix nei panni di Johnny Cash è- come al solito- monumentale ( della sua interpretazione in Joker abbiamo già parlato qui). Fortemente calato all’interno del personaggio, l’attore, mediante lo sguardo, esprime un costante stato di preoccupazione ed ansia con cui il protagonista convive a causa della sua vita tormentata.

Scena del film in cui Johnny si esibisce per i detenuti – Fonte: themacguffin.it

Le canzoni sono interpretate da Joaquin stesso, così come quelle di June Carter da Reese Whiterspoon. Incredibile la chimica instauratasi tra i due attori, in particolare quando si esibiscono sul palcoscenico: nella realtà ciò era scontato dato che i cantanti si amavano; nel film i due interpreti sono riusciti perfettamente a rappresentare quella stessa armonia.

A livello di critica la pellicola fu un successo enorme, tanto che riuscì ad aggiudicarsi 3 Golden Globes e ben 5 nomination agli Oscar del 2006 (vincendone solo uno con Reese Whiterspoon per la Miglior Attrice Protagonista).

Un film veramente piacevole da guardare che rende onore ad un grande artista e ci comunica la forza reale dell’amore e della perseveranza, perché senza quest’ultime Johnny non avrebbe mai e poi mai sfondato nella musica.

Vincenzo Barbera

 

 

Roberto Benigni, maestro della risata e della leggerezza

Roberto Benigni, è a lui che dobbiamo alcuni dei ricordi più divertenti ed emozionanti degli ultimi 50 anni del mondo dello spettacolo: Sophia Loren che lo annuncia come vincitore dell’Oscar nel 1999, i suoi racconti strampalati e le sue gag al “David Letterman Show” o al “The Graham Norton Show”, lo scambio di pantaloni con Baudo o l’assalto, con tanto di «Che bella chiappa!», a Raffaella Carrà.

Benigni agli Oscar del 1999 – Fonte: avvenire.it

Per non parlare poi della sua attività di divulgazione culturale tramite la lettura, il commento della Divina Commedia e dei dieci comandamenti (che gli sono valse svariate lauree honoris causa in lettere e filologia). Insomma, l’attore toscano è entrato nei nostri cuori grazie alla sua leggerezza, alla sua ironia e al suo spirito sempre giovane che ci fa ricordare quanto sia bello ridere di gusto.

Proprio oggi, al compimento dei suoi 68 anni, vogliamo omaggiarlo e soprattutto ringraziarlo per alcune delle sue migliori interpretazioni sul grande schermo.

1) Johnny Stecchino (1991)

Se un film in cui recita Benigni è un capolavoro garantito, come può non esserlo ancora di più un film con un “doppio” Benigni? In Johnny Stecchino lo troviamo ad interpretare sia Dante, uno scapestrato autista di scuolabus, sia – appunto – Johnny, boss pentito della mafia di Palermo. A tenere insieme questi due personaggi c’è Maria (Nicoletta Braschi), la moglie del pentito.

Lei, dopo aver incontrato per caso Dante, comincia a ordire un piano per far fuggire il marito da Palermo approfittando dell’incredibile somiglianza tra i due. Il susseguirsi di un equivoco dopo l’altro ci accompagneranno tra le (dis)avventure di Dante a Palermo, ignaro del perché abbia gli occhi di tutti puntati addosso quando cammina per le strade della città.

Benigni è magistrale nel caratterizzare alla perfezione entrambi i personaggi: Dante, così ingenuo e gentile e Johnny, così rude e crudele.

E poi, chi avrebbe immaginato che rubare una banana a Palermo fosse così pericoloso?

Benigni nei panni di Johnny – Fonte: roberto-benigni.com

2) Il mostro (1994)

Benigni interpreta, come spesso accade nei suoi film, un vinto dalla vita. Lo troviamo infatti nei panni di Loris, un quarantenne disoccupato che tira avanti rubacchiando qualcosa qua e là e facendo dei lavoretti saltuari. Nella zona in cui abita Loris sono ormai alcuni anni che un serial killer, definito “il mostro”, perpetra una serie di efferati omicidi che hanno come bersaglio giovani e belle donne.

Per un malinteso nato durante una festa, Loris verrà sospettato di essere il mostro. La polizia comincerà dunque a investigare su di lui e incaricherà la poliziotta Jessica (ancora Nicoletta Braschi) di avvicinarlo per studiare da vicino le sue mosse. Ne nascerà un’esilarante commedia in cui i doppi sensi e le sfortunate coincidenze la fanno da padrone, e noi vi consigliamo di seguirla fino alla fine per conoscere la sorte del povero Loris.

Loris in una scena del film – Fonte: taxidrivers.it

3) La vita è bella (1997)

Senza tanti giri di parole è il capolavoro di Benigni. L’attore veste i panni di Guido, un libraio di origine ebraica sposato con Dora (la solita Nicoletta Braschi). Dal loro amore nasce Giosuè e la loro famiglia vive felice nonostante il periodo delle persecuzioni fasciste. Questo fino al 1944, quando vengono deportati in un lager.

È a questo punto che l’ingegno del padre si mette in moto: per proteggere il figlio dall’orrore dei campi di concentramento fa credere al bambino che siano stati scelti per partecipare a un gioco a punti, in cui il premio finale è un carro armato vero. Vincitore di 3 premi Oscar (miglior attore protagonista, miglior film straniero e miglior colonna sonora), è stato da alcuni criticato per la leggerezza con cui tratta uno dei capitoli più bui della storia. In realtà sta proprio qui la sua forza, far ricordare che ci può essere del buono in ogni situazione e che la purezza di un bambino non dovrebbe mai essere infangata dagli sbagli dei grandi.

Guido e la sua famiglia. Fonte: rbcasting.com

La lista dei suoi capolavori è veramente lunga tra cinema (basti pensare alla collaborazione con Troisi di cui abbiamo parlato in questo articolo), teatro e televisione. Qualsiasi mezzo decida di usare, noi ci auguriamo che continui a entrare nelle nostre vite per portare un po’ di buon umore come solo lui sa fare. In fondo siamo del parere che ancora nessuno sia in grado di raccogliere la sua eredità. Nessun attore infatti, ad oggi, gli somiglia “pe’ niente”.

Davide Attardo

Viggo Mortensen: il dettaglio fa la differenza

Quanto può essere determinate per un attore esaminare tutte le sfumature di un personaggio?

Viggo Mortensen può fornirci la risposta.

In occasione del suo 62esimo compleanno, appena trascorso, andremo ad esaminare alcune delle sue interpretazioni più convincenti.

Viggo Mortensen – Fonte: cinema.everyeye.it

Il Signore Degli Anelli (2001-2003) di Peter Jackson

L’avventura fantasy per eccellenza, l’epopea tolkieniana che ha definito e consacrato il genere. All’interno della storia Viggo Mortensen ricopre il ruolo di Aragorn, ramingo del Nord (ciò che rimane dell’antica stirpe reale degli uomini).

Aragorn, attraverso il viaggio che  intraprenderà con gli altri personaggi – al fine di distruggere l’anello del potere – vivrà un percorso di crescita e redenzione del nome degli uomini, infangato da Isildur (uno dei re degli uomini). Isildur, nel momento di porre fine all’esistenza del male distruggendo il suddetto anello, cede alla tentazione di appropriarsene e porterà così al declino la stirpe degli uomini.

Close Up Poster Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re (68cm x 98cm): Amazon.it: Casa e cucina
La locandina del terzo film – Fonte: Amazon.it

Viggo Mortensen incarna perfettamente il personaggio in ogni suo aspetto, rendendolo così il ruolo che lo eleverà come attore di altissima fascia.

Riesce a far suo il ruolo a tal punto da improvvisare alcune scene e creandole dagli errori di altri attori: è famosa la scena dove riesce a deviare con la spada – per puro istinto – un pugnale lanciatogli troppo vicino e che lo avrebbe altrimenti ferito.

Viggo Mortensen non interpreta Aragorn, lui è Aragorn.

Capitan Fantastic (2016) di Matt Ross

Capitan Fantastic narra la storia di una famiglia che decide di vivere in una foresta, opponendosi allo stile di vita di un qualunque americano medio.

Ben (Viggo Mortensen) sottopone i suoi figli ad allenamenti altamente pericolosi per abituarli alle insidie di madre Natura. Oltre a questa sorta di educazione siberiana, il padre li interroga quotidianamente sui libri che gli ha incaricato di leggere: sono testi particolarmente complessi per la loro età, tuttavia nessuno si farà trovare mai impreparato.

Un fatto molto grave costringerà l’intera famiglia ad interrompere questa routine e li costringerà ad intraprendere un viaggio verso la civiltà; per cui alla fine i ragazzi e Ben stesso, dovranno trovare il giusto compromesso tra il loro stile di vita e quello a cui noi tutti siamo abituati.

Ben Cash (Viggo Mortensen) e i suoi figli nel film Capitan Fantastic – Fonte: kumparan.com

Viggo Mortensen è autore di un’interpretazione magistrale: completamente immerso nel ruolo, riesce in più occasioni a manifestare il proprio stato d’animo mediante delle microespressioni facciali che solo un grande attore è in grado di poter effettuare.

Viggo ha compreso perfettamente il proprio personaggio. Ben è un individuo estremamente complesso, per tutto il film pretende che i figli sviluppino una forte coscienza critica verso qualsiasi cosa; ma nel momento in cui comprende di non poterli tenere per tutta la vita lontano dalla civiltà, si sentirà letteralmente sconfitto.

Solo quando i suoi figli metteranno in discussione perfino i suoi insegnamenti, realizzerà di essere riuscito nei suoi intenti.

Tutto ciò ci viene mostrato soltanto tramite i silenzi e gli sguardi di Viggo stesso. Per questa pellicola l’attore ha ricevuto la nomination agli Oscar del 2017 come miglior attore protagonista.

Green Book (2018) di Peter Farrelly

La pellicola narra la storia di Tony “Lip” Vallelonga, un italoamericano che fa il buttafuori in un nightclub del Bronx. Quando il locale viene chiuso per un periodo, Tony inizia a cercare un lavoro momentaneo.

Gli giungono varie offerte, tra cui alcune direttamente dalla mafia, ma lui decide di accettare quella del musicista di colore Don Shirley (interpretato da Mahershala Ali). Vallelonga dovrà fargli da autista e da guardia del copro in un tour nel sud degli Stati Uniti dove aleggia ancora lo spietato segregazionismo.

I due, visceralmente diversi, nel corso del viaggio instaureranno una profonda amicizia.

Viggo Mortensen e Mahershala Ali in Green Book – Fonte: stanzedicinema.com

Il film, basato su una storia vera, è un capolavoro di regia. Impostato con gli schemi classici della commedia, denuncia gli orribili effetti del più becero razzismo.

Le interpretazioni di Mortensen ed Ali sono meravigliosamente complementari: da un lato Viggo ricopre il ruolo di uomo burbero, ignorante ma comunque dal cuore tenero; e dall’altro Mahershala interpreta un personaggio colto, sofisticato ma a tratti eccessivamente maniaco del bon ton.

In alcuni momenti della pellicola i due formano una coppia comica perfetta.

Mortensen è ingrassato di 20 kg per questo ruolo ed ha studiato profondamente per imparare a gesticolare durante un discorso proprio come un italiano (come abbiamo visto in The Irishman con Joe Pesci).

Green Book ha ottenuto varie nomination agli Oscar 2019 trionfando come miglior film, miglior sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista con Mahershala Ali; mentre Viggo si è dovuto accontentare ancora una volta solo della nomination come miglior attore protagonista.

Possiamo dire che Viggo Mortensen rientra di diritto in quella cerchia di attori d’elitè, le cui abilità permettono di interpretare ruoli decisi ed introspettivi in pellicole dall’indiscusso pregio.

La sua carriera sfortunatamente non è sempre stata così brillante e al centro dei riflettori, avendo preso parte anche a pellicole dalle dimensioni più contenute e modeste. Tuttavia ciò non ha inficiato alla sua scalata verso quei ruoli che lo hanno reso ciò che è oggi: uno degli attori più acclamati del panorama hollywoodiano.

 

Vincenzo Barbera e Giuseppe Catanzaro

Tanti auguri Christoph Waltz: tre ruoli che ce l’hanno fatto amare

Oggi compie 64 anni uno degli attori più talentuosi del panorama internazionale.

Christoph Waltz in poco tempo è riuscito a scalare le gerarchie hollywoodiane e a collaborare con registi di prim’ordine come Quentin Tarantino e Roman Polanski.

Noi di UniVersoMe vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare i suoi più grandi successi.

Christoph Waltz – Fonte: pinterest.it

Inglourious Basterds (2009) di Quentin Tarantino

Un primo ruolo ricoperto da Waltz, che si può considerare il suo biglietto per la ribalta, è quello del colonnello Hans Landa.

Il film, ambientato nella Francia nazista del ‘41, racconta diverse storie indipendenti che, secondo un tipico schema del regista, finiscono per intrecciarsi e contaminarsi a vicenda.

Se non si fosse capito, Waltz interpreta il nazista.

Cristoph Waltz in una scena del film – fonte: sarascrive.com

Tale ruolo, contrapposto a quello di Aldo Raine (Brad Pitt), lo renderà icona del film stesso (forse anche più del bravissimo e già conosciuto Pitt) e gli darà ampio spazio per esibire il proprio talento; basti solo accennare che arriverà a parlare perfettamente quattro lingue: inglese, tedesco (lingua madre dell’attore), francese principalmente e anche un po’ d’italiano, all’interno di una delle scene più famose e spiritose del film.

Ma cosa rende quello di Waltz il ‘Landa’ per eccellenza?

Il  personaggio è un acutissimo investigatore a cui non sfugge letteralmente alcun dettaglio ed il cui compito è quello di rintracciare tutti gli ebrei che si nascondono presso famiglie francesi, da qui deriva il soprannome che gli è stato affibbiato: Cacciatore di ebrei.

Ciò che più cattura è la sua incredibile capacità di tenere l’interlocutore – e lo spettatore – sospeso in uno stato di angoscia; mentre attorno s’innesca un meccanismo d’ansia che condurrà la vittima di turno alla rovina, lui rimane calmo e posato e mai rinuncia alle proprie maniere: questa caratteristica lo rende un predatore a sangue freddo. A sostenere il peso di un tale ruolo giunge l’interpretazione offerta dall’attore che, tramite gesti anche minuscoli (come nella prima sequenza del film in cui sistema minuziosamente i propri oggetti sul tavolo), getta lo spettatore in un tipo di suspense dilaniante.

Altra tipicità del personaggio è l’umorismo: asciutto, cupo, da brividi. Il modo in cui sa mettere a proprio agio chi ha davanti per poi gettarlo nel panico con una semplicissima battuta, facendo appunto scattare quel meccanismo d’ansia prima accennato; le espressioni facciali offerte da Waltz; la totale assenza di umanità, per cui le persone che lo circondano sono solo giocattoli da spremere fino all’osso per poi eliminare.

Sono tutti segni della grandezza di un personaggio incarnata da un attore altrettanto grande.

Ecco perché, peraltro, nel 2010 vinse con questo ruolo anche l’Oscar come migliore attore non protagonista. 

Carnage (2011) di Roman Polanski

Della trama ne abbiamo già parlato qui.

In questa pellicola l’attore interpreta Alan Cowan, un avvocato eccessivamente preso dal suo lavoro e apparentemente incurante di ciò che è accaduto al proprio figlio.

Christoph Waltz e Kate Winslet nel film Carnage – Fonte: scattidigusto.it

Nel film notiamo un Waltz diverso da come siamo abituati.

Per ragioni di sceneggiatura il suo personaggio non deve spiccare sugli altri, ma deve essere inserito all’interno di un sistema in cui gli interpreti devono riuscire a coordinarsi tra loro ma senza prevalere gli uni sugli altri.

Concretamente, l’attore in questo caso deve autoimporsi di non eccellere durante la propria performance; è l’esatto l’opposto di quello che Christopher invece ha fatto – nei film con Tarantino – riuscendo tuttavia a prestare una magnifica interpretazione.

Ciò è la prova della sua versatilità.

Django Unchained (2012) di Quentin Tarantino

Seconda collaborazione tra Tarantino e Waltz.

L’attore ricopre i panni del dottor King Schultz, un ex dentista (forse) divenuto cacciatore di taglie che aiuterà Django (Jamie Foxx) a ritrovare la sua amata.

Christoph Waltz e Jamie Foxx in Django Unchained – Fonte: collider.com

Così come con Landa, lo stesso Schultz cattura l’attenzione del pubblico mediante i sontuosi dialoghi tarantiniani. Mentre udire i discorsi del colonnello nazista creava un un senso di terrore, in questa pellicola la brillante parlantina del dottore suscita ilarità, seppur con il medesimo fine cioè ammaliare l’interlocutore della scena per poi ucciderlo.

Per questo film l’Academy lo ha premiato nuovamente con l’Oscar per il miglior attore non protagonista nel 2013.

Christoph Waltz ancora una volta è riuscito ad interpretare un ruolo in maniera eccellente, sfruttando tutte le sue doti tecniche e lasciando – questa volta – uno spazio più ampio al suo istinto.

 

Vincenzo Barbera e Valeria Bonaccorso

 

L’essenza della risata

Le persone durante la propria vita cercano di raggiungere obiettivi diversi. Normalmente, durante questo viaggio si incontrano ostacoli ed avversità, le quali indubbiamente rendono il percorso ben più arduo del previsto. Ciò inevitabilmente destabilizza e crea conflitti tra la gente stessa.

Una delle rare cose capace di accomunare ogni individuo proveniente da qualsiasi parte del mondo è la risata. Questa non appartiene ad alcun colore politico o credo religioso, ma è un elemento grazie al quale chiunque manifesta il proprio divertimento e la propria felicità.

Robin Williams è stato uno degli attori più esilaranti della storia del cinema.

Oggi avrebbe compiuto 69 anni e noi di UniVersoMe vogliamo omaggiarlo andando ad analizzare quelli che – a nostro avviso – sono i suoi 5 più grandi film.

Robin Williams – Fonte: novilunio.net

Good Morning, Vietnam di Barry Levinson (1987)

Robin Williams interpreta Adrian Cronauer, un soldato statunitense durante la guerra del Vietnam. Adrian in passato aveva fatto il dj sull’isola di Creta, quindi gli viene affidata la conduzione della trasmissione mattutina.

Inizia sempre il suo show pronunciando la frase “Goodmorning Vietnam!” e per tutta la durata della messa in onda esprime qualsiasi ragionamento parlando molto velocemente e modificando in maniera buffa la propria voce. Nel corso del suo programma ironizza sulle tematiche più disparate: sulla moda del tempo, sul presidente Nixon, sulla guerra stessa e tante altre. Inoltre decide di trasmettere musica rock, che era stata precedentemente bandita.

Robin Williams in Goodmorning Vietnam -Fonte: nospoiler.it

L’ironia puntigliosa e la scelta delle canzoni non viene ben vista dai superiori, in quanto essi ritenevano che fosse pericoloso per il morale delle truppe mandare in onda uno show così esuberante. Tuttavia Adrian riesce a riscuotere un grande successo tra i soldati.

La prova d’attore di Robin Williams è eccellente e grazie ai lunghi “monologhi” recitati nel film, l’interprete ha avuto modo di mostrare il suo talento e di farsi conoscere tra le grandi produzioni di Hollywood.

L’attimo fuggente di Peter Weir (1989)

L’attore qui interpreta il professore di letteratura John Kesting, un docente appena trasferito al collegio Welton.

L’insegnante si distingue fin dall’inizio per i suoi metodi didattici alquanto singolari. Il fine ultimo del professore è quello di far comprendere ai ragazzi che la poesia è lo strumento uber alles capace di renderli liberi così da poter prendere qualsiasi decisione in maniera del tutto autonoma.

Robin Williams in L’attimo fuggente – Fonte: rollingstone.it

Il personaggio di John Keating è entrato nell’immaginario di tutti per la grande interpretazione di Williams, ma soprattutto per la celebre scena in cui gli alunni, imitando il docente, salgono sui banchi e pronunciano le parole “O capitano, mio capitano” dimostrando di aver compreso pienamente i suoi insegnamenti.

Mrs Doubtfire – Mammo per sempre di Chris Columbus (1993)

Robin Williams ricopre i panni di Daniel Hilland, un doppiatore che ama la sua famiglia. A causa del suo carattere fortemente indisciplinato ed infantile, Daniel divorzia dalla moglie e va a vivere da solo potendo vedere i suoi figli solo poche volte a settimana. Un giorno, l’ex moglie decide di assumere una tata per badare ai bambini.

Daniel ha l’idea geniale di travestirsi da donna fingendo di essere un’anziana tata chiamata Mrs Doubtfire. Riesce ad ottenere il lavoro e così facendo potrà stare accanto ai suoi bambini per crescerli ed aiutarli.

Robin Williams nei panni di Mrs Doubtfire – Fonte: cinematographe.it

Il film essenzialmente è incentrato sugli effetti che un divorzio può scatenare su una famiglia. Tuttavia, anticipa anche altre tematiche come ad esempio quella del travestimento, mostrandosi di fatto una pellicola lungimirante.

Robin Williams è stato autore di un lavoro magistrale. Quando veste i panni di Mrs Doubtfire riesce a modificare la voce, le movenze e le proprie espressioni dando vita ad un’anziana donna in modo perfettamente realistico.

Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant (1997)

La pellicola narra la storia di Will (Matt Damon), un ragazzo della periferia di Boston dalla mente brillante. Egli riesce a risolvere problemi estremamente complessi di matematica con molta facilità. Un giorno viene notato dal professor Lambeau, un luminare che crede molto nelle sue potenzialità. Will però conduce una vita allo sbando e dopo l’ennesima rissa il professore decide di farlo seguire da uno psicologo.

Dopo un primo tentativo fallimentare – dato che sarà proprio Will a psicanalizzare lo psicologo – Lambeau contatta il suo vecchio collega di università Sean (Robin Williams).

Proprio quest’ultimo sarà l’unico in grado di entrare nella mente di Will e di fargli affrontare i lati più oscuro del suo inconscio.

Robin Williams e Matt Damon in Will Hunting – Fonte: cinematographe.it

Nella pellicola vediamo un Robin al di fuori dei suoi schemi classici, in quanto è completamente immerso in un ruolo profondamente triste ma al quale è riuscito a donare una forte umanità. In alcuni momenti comunque riesce a far ridere gli spettatori nonostante la drammaticità del film.

La sua interpretazione in Will Hunting gli è valso un premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 1998 .

Patch Adams di Tom Shadyac (1998)

Il film racconta la storia di Hunter “Patch” Adams, un uomo che sceglie di auto-internarsi in un ospedale psichiatrico dopo aver tentato il suicidio. Stando a contatto con gli altri pazienti scopre che tramite l’umorismo le malattie vengono affrontate con meno pesantezza e decide di studiare medicina. Patch non ritiene corretti i metodi operati dai suoi colleghi in quanto trattano i pazienti con troppa indifferenza.

Di nascosto quindi va a trovare i malati terminali facendoli divertire e cercando di alleviare le loro sofferenze.

Robin Williams nel film Patch Adams – Fonte: mam-e.it

La pellicola è una tragicommedia che offre numerosi spunti di riflessione sui rapporti umani tra medico e paziente. L’interpretazione di Robin è ancora una volta incentrata sulla risata, anche in contesti profondamente commoventi.

 

Robin Williams è stato uno di quegli attori capaci di poter mostrare tutto il suo potenziale in teatro, nel cinema e nella televisione.

Oltre alle grandi prove attoriali, lo ricordiamo per la persona che era: in qualsiasi testimonianza pervenutaci di questo interprete, che sia un film o anche una piccola apparizione in un talk show, lo vediamo sempre ridere e soprattutto fare ridere.

Vincenzo Barbera

 

 

Ennio Morricone: il maestro per eccellenza

In questi giorni il mondo del cinema vive un lutto enormemente spiacevole : Ennio Morricone, uno dei più grandi compositori della storia, si è spento a Roma all’età di 91 anni.

Noi di UniVersoMe siamo rattristati dalla scomparsa del maestro e vogliamo rendere omaggio alla sua memoria analizzando cinque delle sue migliori – e celebri – colonne sonore.

Ennio Morricone ai Nastri d’argento del 2010 – Fonte: archivio di ©Paolo Barbera

Trilogia del dollaro

Una delle collaborazioni più proficue di Ennio Morricone fu quella con il regista Sergio Leone.

I due, conoscenti sin dalla  5º elementare, si ritrovarono a lavorare insieme nel 1964; Morricone infatti, scrisse la colonna sonora per i film che compongono la Trilogia del dollaro: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) ed Il buono, il brutto, il cattivo (1966).

Sergio Leone ed Ennio Morricone – Fonte: incursionicinemaniache.blogspot.com

Queste pellicole, diventate dei veri e propri cult, devono il loro successo anche al lavoro di Ennio; infatti, il maestro, mediante le note musicali è riuscito a donare ad ogni film dei tratti distintivi, che anche a distanza di anni permettono di ricordare perfettamente le varie scene.

C’era una volta in America (1984)

La collaborazione tra Morricone e Leone termina nel 1984 con l’ultimo film del regista: C’era una volta in America, che rappresenta una delle migliori opere cinematografiche della storia.

Locandina del film C’era una volta in America – Fonte: eaglepictures.com

Il contributo musicale del compositore incrementa esponenzialmente la qualità del film; infatti la malinconia, che è uno dei temi principali della pellicola,  è percepibile – oltre che dalle inquadrature scelte dal regista – grazie alla colonna sonora, che riesce a trasmettere i sentimenti a tal punto da farceli provare sulla pelle.

Morricone ha compreso perfettamente la visione narrativa di Leone; ciò che il regista ha comunicato tramite le scene, lui lo ha comunicato tramite la musica.

Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Questo, uno dei film più belli della storia del cinema italiano, non sarebbe stato lo stesso senza la partecipazione del maestro Morricone.

Locandina del film Nuovo Cinema Paradiso – Fonte: sumavincenzo2009.blogspot.com

La pellicola si basa fortemente sul peso che la nostalgia ha sulle nostre vite e ci fa vedere come la musica la fa riaffiorare. Ascoltando la colonna sonora del film, è impossibile non pensare a ricordi passati; le note di Nuovo Cinema Paradiso sono in grado di narrare gran parte delle scene del film, e lo fanno in maniera del tutto autonoma.

The Untouchables – Gli intoccabili (1987)

Un gangster movie di altissimo livello diretto da Brian De Palma, con un cast che prevede attori del calibro di Robert De Niro, Sean Connery, Kevin Costner e Andy Garcia.

Le musiche di accompagnamento di Morricone riescono ad enfatizzare i momenti clou della pellicola.

Locandina del film The Untouchables – Gli Intoccabili – Fonte: pinterest.it

Anche in questa occasione, il maestro lascia la sua impronta indelebile arricchendo qualitativamente un’opera già meravigliosa.

Per questo film Ennio Morricone è stato candidato ai premi Oscar del 1988 per la miglior colonna sonora.

The Hateful Eight (2015)

Quentin Tarantino, da fan sfegatato di Sergio Leone, ha sempre desiderato di poter lavorare con Ennio Morricone e il suo sogno si è realizzato nel 2015 con il film The Hateful Eight.

In fase di pre-produzione l’unica direttiva data dal regista al compositore era «il film si svolge tutto in mezzo alla neve».

Morricone perciò ha composto una colonna sonora fortemente caratterizzata da tonalità cupe e sinistre, capace di trasmettere un senso di forte ansia e di imprevedibilità: proprio come se ci si trovasse nel bel mezzo di una tempesta di neve, dove può accadere qualsiasi cosa.

Quentin Tarantino ed Ennio Morricone – Fonte: repubblica.it

In fase di montaggio, Tarantino ha magistralmente connesso le musiche con le scene girate, riuscendo così ad esaltare profondamente i crescendo dei momenti più importanti del film.

Per The Hateful Eight Morricone è stato premiato con l’Oscar nel 2016.

 

Che dispiacere aver perso un grandissimo artista come Ennio Morricone, l’eredità lasciataci dal maestro è un tesoro dal valore inestimabile.

Saremo sempre grati ad Ennio per quello che ha fatto e vogliamo salutarlo con le parole di Tarantino: “Il Re è morto, lunga vita al Re!”.

Vincenzo Barbera

 

 

5 film di Tornatore: il regista che ci rende fieri di essere siciliani (e italiani)

Il 27 maggio del 1956 nasce a Bagheria Giuseppe Tornatore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico. Se la grandezza di un artista è quella di creare opere universali capaci di parlare in ogni tempo e luogo, Tornatore ci è sicuramente riuscito; la sua ultima fatica cinematografica (La corrispondenza – 2016) ruota attorno a un tema più che attuale: è possibile continuare a stare vicini a chi amiamo grazie alla tecnologia?

Nel consigliarvi cinque tra i suoi film più belli –  compito arduo in mezzo a una carriera così straordinaria- noi di UniVersoMe partiamo però dalla sua Sicilia, che ha saputo raccontare come pochi altri, da Baarìa (Bagheria) che non è solo un paesino, ma anche “un suono antico, una parola magica, una chiave”.

1) Baarìa (2009)

Una sontuosa produzione che fruttò diversi riconoscimenti (2 premi su 14 nomination ai David di Donatello, 1 nomination al Golden Globe come miglior film straniero, e 1 Nastro d’Argento) ma costò molte critiche e proteste.  I costi di produzione sono stati troppo dispendiosi a fronte dei guadagni al botteghino? E la scelta di girare la scena d’uccisione di un toro per dissanguamento in Tunisia è stato un tentativo di aggirare le leggi italiane per la protezione animale? Al di là di queste perplesstià, che causarono qualche grana giuridica al nostro Tornatore, Baaria è una di quelle grandi narrazioni alla C’era una volta in America, ormai rare nel cinema odierno.

Baaria: locandina. Fonte: aforismi-meglio.it

La pellicola si snoda senza linearità temporale attorno alla storia di emancipazione di Peppino Torrenuova (Francesco Scianna), partendo da un’infanzia di stenti durante l’epoca fascista, passando per l’incontro con la bella Mannina (Margaret Madè) fino ad arrivare alla sua affermazione come segretario di sezione del Partito Comunista Italiano.

La vita di Peppino è però solo lo spioncino attraverso cui Tornatore getta lo sguardo su quella civiltà contadina che non esiste più e che ama raccontare tra magia e realismo, epica e narrazione popolare. Paesani che posano per farsi ritrarre sulla volta della chiesetta nelle vesti di apostoli, mostri di pietra così deformi da non poterli guardare (pena il parto di figli storpi), mosche intrappolate dentro trottole di legno, sembrano quadretti tinteggiati nelle leggende raccontate dai nostri nonni attorno al braciere.

La villa di Palagonia con i suoi “mostri”. Fonte:cinematographe.it

Azzeccata e in sintonia con la trama la scelta di attori siculi d’eccezione. Oltre a Madè e Scianna, Beppe Fiorello, Lo Cascio e altri: chi si aspettava di trovare in un film prevalentemente drammatico talenti comici come Nino Frassica, Ficarra e Picone o ancora Aldo Baglio?

2) La leggenda del pianista sull’oceano (1998)

Stavolta Tornatore si serve di un cast internazionale e delle musiche di Morricone per trasformare in pellicola il monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco. Il 1 gennaio 1900 il macchinista Danny Boodman (Bill Nunn) scova un neonato abbandonato sul transatlantico Virginian, cui darà il nome di Novecento.

Il bambino crescerà sulla nave allietando l’intero equipaggio grazie a una dote particolare: suonare il piano divinamente.

Novecento al piano. Fonte: popcorntv.it

 

La storia di Novecento (Tim Roth), narrata magistralmente da Tornatore, non è altro che l’esempio surreale di tutte quelle vite che non sanno camminare al passo con gli uomini normali e allora tentano di volare!  Musicisti affermati, uomini in cerca di fortuna, belle ragazze, famiglie disperate e soldati salgono e scendono dal Virginian dimenticandosi dell’oceano come fosse solo un effimero ponte di passaggio, proprio come ci si dimentica dell’infanzia.

Novecento nella cabina del Virginian. Fonte: tumblr

 

Novecento sembra guardarli tutti dallo scudo dei suoi “fancul*”, dall’oblò della sua ingenua genialità, quell’oblò dorato messo così bene a fuoco dalla fotografia di Lajos Koltai (vinse non a caso un David di Donatello e uno European Films Awards).

 L’uomo delle stelle (1995)

Se pensiamo all’amore per il cinema messo in scena da Tornatore, ci viene in mente Nuovo cinema paradiso. C’è pero un’altra perla  che racconta l’illusione magica della settima arte: questo film ha per protagonista Sergio Castellitto nei panni di Joe Morelli, agente del cinema in cerca di nuovi talenti. Morelli vaga a bordo del suo furgone per i paesini della Sicilia, “girando” provini a destra e a manca in cambio di 1500 lire a chiunque sogni di diventare una stella.

Davanti alla sua cinepresa accorrono in tanti a raccontarsi: il parrucchiere (Leo Gullotta) stanco delle derisioni per il suo essere “jarrusu” (gay), il brigadiere dei carabinieri (Franco Scaldati) che declama la Divina Commedia in siciliano, l’orfana Beata (Tiziana Lodato) che ha perso il conto dei suoi anni, il pastore (Vincent Navarra) che “talia” le stelle e con esse ci ragiona, proprio come in una lirica di Leopardi.

Il filosofo Walter Benjamin – a proposito del cinema- affermava: “ogni uomo contemporaneo avanza la pretesa di venire filmato”. E guardando L’uomo delle stelle possiamo dire che aveva ragione.

4) Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Nuovo Cinema Paradiso è il secondo film di un giovanissimo Giuseppe Tornatore, il quale nonostante non avesse ancora molta esperienza, è comunque riuscito a creare un’opera d’arte cinematografica.

Tramite questa pellicola il regista omaggia la storia ed esalta l’essenza stessa del cinema; ci fa comprendere che dinnanzi alla proiezione di un film siamo tutti uguali e non possiamo fare altro goderci lo spettacolo offertoci.

La regia di Tornatore è magistrale: egli riesce perfettamente ad alternare il dramma alla commedia, scombussolando di continuo lo stato emotivo dello spettatore mantenendosi comunque entro certi limiti, riuscendo così ad esaltare in toto ogni aspetto della storia.

Alfredo e Salvatore mentre lavorano con il proiettore – Fonte: ciakclub.it

Da lodare sicuramente anche il lavoro svolto dal maestro Ennio Morricone, autore della colonna sonora che ci accompagna per l’intero film. La musica esalta i momenti cruciali del racconto e quella vena malinconica, udibile dalle sue note, rafforza esponenzialmente il concetto dell’importanza della memoria, uno dei principali temi del film. Non a caso la scena in cui Totò vede la sequenza dei baci precedentemente tagliati dal parroco,  rappresenta il fulcro dell’intera opera: ci fa comprendere l’immortalità e l’impossibilità di fermare il cinema.

Tutti gli attori presenti nel film mettono in atto delle interpretazioni convincenti e realistiche, soprattutto Marco Leonardi, nei panni di Salvatore da adolescente, e Philippe Noiret, nel ruolo di Alfredo, che hanno incantato ed emozionato il pubblico.

Osannato dalla critica internazionale, il film è stato premiato con l’Oscar ed il Golden Globe per il miglior film straniero nel 1990.

Una pura formalità (1994)

È impossibile analizzare il punto cardine di questo film perché inevitabilmente si cadrebbe in uno spoiler gigantesco. La regia anche stavolta è sublime, tant’è che ancora oggi in molte scuole di regia europee vengono studiate nel dettaglio le tecniche utilizzate in Una pura formalità.

Gérard Depardieu e Roman Polanski in una scena del film – Fonte: it.wikipedia.org

Ambientato in un’atmosfera onirica, il film presenta una serie di scenografie prettamente teatrali, dentro le quali si svolgono dialoghi sofisticati e pieni di metafore, funzionali per lo scorrimento del racconto.

Inoltre, le fenomenali interpretazioni di Gérard Depardieu e di Roman Polanski e l’attenzione maniacale del regista per i dettagli elevano questo film allo stato di capolavoro.

 

Giuseppe Tornatore appartiene ad una serie di registi che purtroppo segnano la fine di un’era del cinema italiano.

La sua capacità di saper narrare una semplice storia come se fosse una poesia è una caratteristica distintiva del suo genio.

Non ha mai rinnegato la sua terra d’origine, anzi ha esaltato le meraviglie, gli usi e i costumi della nostra splendida Sicilia. Quando guardiamo un suo film, oltre che gustarcelo, dentro di noi dovremmo essere fieri di essere siciliani.

Angelica Rocca, Vincenzo Barbera