Il Miglior Film è recitato in lingua dei segni, trionfa la diversità. Lo stupore di una notte magica

E anche questo viaggio giunge a termine. Questa notte si è tenuta la celebrazione dei 94esimi Academy Awards, di nuovo presso il Dolby Theatre di Hollywood, di nuovo col suo pubblico ricco di celebrità, i suoi presentatori rinomati e un grande ritorno: il red carpet! E che Oscar sono stati. Noi di UniVersoMe, che abbiamo seguito i film “papabili” per tutto questo tempo, non potevamo che raccontarvi di questa serata magica e pazzesca, che ne ha viste di cotte e di crude.

 I “Big Five” che hanno conquistato la statuetta

Se dovessimo descrivere l’evento di stanotte con una parola, sarebbe forse stupore. Ed infatti, grande gioia e stupore ha destato il vincitore dell’attesissimo miglior film di quest’anno, premio che va a CODA – I segni del cuore, dalla regia di Sian Heder, e che racconta la storia dei Figli di Adulti Non Udenti dal punto di vista di una giovane ragazza udente. Un film che celebra la diversità e che ha la particolarità di essere raccontato nella lingua dei segni. Anche quest’anno, quindi, gli Academy si sono distinti per l’inclusività.

Per la miglior regia, the Oscar goes to… Jane Campion, con Il potere del cane (tra l’altro, candidato anche come miglior film!). Si tratta della terza vittoria di una donna alla regia nella storia degli Oscar, preceduta da Chloé Zhao lo scorso anno e da Kathryn Bigelow nel 2010. Un film che ha visto un’incredibile interpretazione della coppia Dunst-Cumberbatch (quest’ultimo candidato anche come miglior attore).

Benedict Cumberbatch in una scena de “Il potere del cane”. Fonte: Lucky Red, Netflix

Per le categorie miglior attore miglior attrice vediamo trionfare (rispettivamente) Will Smith (con King Richard) e Jessica Chastain (con Gli occhi di Tammy Faye). Due incredibili interpretazioni degne di nota; una scelta che l’Academy avrà compiuto in modo sofferto, visto l’incredibile livello di tutte le nomination di quest’anno, come quella di Javier Bardem (A proposito dei Ricardo), di Andrew Garfield (Tick, Tick… Boom!) o di Kristen Stewart (Spencer) e Penélope Cruz (Madres Paralelas). Tutte interpretazioni – a nostro avviso – degne di rimanere nella storia a prescindere dalla vittoria.

A conquistarsi i premi per miglior attore non protagonista miglior attrice non protagonista sono (rispettivamente) gli “emergentissimi” Troy Kotsur (CODA – I segni del cuore) e Ariana DeBose (West Side Story).

Il piccolo Jude Hill in una scena di “Belfast”. Fonte: TKBC, Universal Pictures

La miglior sceneggiatura originale spetta a Belfast di Kenneth Branagh, film di cui abbiamo avuto il piacere di parlarvi e che rappresenta un inno all’Irlanda, anche durante i suoi tempi più duri (come quelli del conflitto).

Non si ferma certo qui la lista dei grandi vincitori! Spicca la vittoria di Billie Eilish per la miglior canzone originale con No Time To Die, scritta assieme al fratello Finneas O’Connell per l’omonimo venticinquesimo film della serie di James Bond. E i nostri pronostici si sono – in parte – avverati con la magia di Encanto, che si conquista il premio al miglior film d’animazione.

A chi tutto e a chi niente

Ma una delle vittorie epocali è sicuramente quella di Dune, che porta a casa ben sei statuette su dieci (migliore fotografia, colonna sonora, sonoro, montaggio, scenografia ed effetti speciali).

Timothée Chalamet e Zendaya in una scena di “Dune”. Fonte: Warner Bros.

Che ci aspettassimo un tale trionfo per il film di Denis Villeneuve era certo, ma in cuor nostro speravamo di portarci a casa – almeno – il riconoscimento come miglior film straniero. Niente da fare: l’Oscar è andato al meritatissimo Drive My Car, diretto da Ryusuke Hamaguchi, che parla di un attore e regista che dovrà fare i conti con la scomparsa prematura della moglie drammaturga.

Rimasto a mani vuote quindi l’italiano Paolo Sorrentino, che tuttavia col suo film È stata la mano di Dio ci ha regalato un bellissimo spaccato della sua esistenza, in cui vita e arte si fondono in quell’esigenza ineluttabile chiamata cinema. E noi sappiamo già che quel suo verso messo in bocca ad Antonio Capuano, quel suo «non ti disunire», rappresenterà solo l’inizio di una grande storia d’amore per il regista nostro connazionale.

Toni Servillo e Filippo Scotti in una scena di “È stata la mano di Dio”. Fonte: Netflix

Una serata “insolita”

Sarà stato il ritorno alla “normalità”, saranno i tempi di guerra che percuotono l’Europa e minacciano una Terza Guerra Mondiale, sarà… Ma la serata di ieri ha senza dubbio avuto dei risvolti “strani”.

Basti pensare all’impensabile – ma realmente accaduto – ceffone tirato da Will Smith al presentatore Chris Rock per via di un’infelice battuta su una condizione medica che affligge la moglie di Smith, Jada Pinkett, seguito poi dalle parole dell’attore premiato: «Tieni il nome di mia moglie fuori dalla tua f*****a bocca». Una scenetta su cui il pubblico s’interroga: vera collera o piece messa su per fare audience? In ogni caso Rock ha affermato che non sporgerà denuncia, per cui Smith potrà godersi al meglio la propria vittoria – lui che, come ha affermato, quel ruolo di Richard Williams, feroce difensore della famiglia, l’ha fatto suo fino al punto da esserne sopraffatto.

Infine, il riferimento inevitabile al conflitto in Ucraina nelle parole di Mila Kunis, attrice ucraina naturalizzata americana, che è servito a riportare repentinamente il pubblico alla tragicità di queste ultime settimane.

Paolo Sorrentino e il suo cast indossano il lustrino azzurro per l’Ucraina. A sinistra l’attrice Mila Kunis.

Ora l’evento è finito e – probabilmente – le star si godono un meritato ristoro. A noi spetta il calcolo dei pronostici avverati contro quelli andati in fumo: quanti ne avete azzeccati?

Ma per adesso chiudiamo questo capitolo, in attesa di rivederci al nostro appuntamento fisso: quello sulla poltrona di un cinema, con in mano dei popcorn!

Valeria Bonaccorso

 

Disney, Pixar, Sony o indie: quale sarà il miglior film d’animazione 2022?

Quest’anno la lotta per la statuetta di miglior film d’animazione si preannuncia ostica, con contendenti equipaggiati di un ottimo arsenale. Dal lato Disney abbiamo Encanto e Raya e l’ultimo drago, che continuano la tradizione recente dei classici con forti eroine in copertina, e Luca, il nuovo film co-prodotto con Pixar, dai tratti nostalgici.

Sony presenta invece I Mitchell contro le macchine continuando sulla strada di “Into the spiderverse”. Entra poi da outsider il documentario Flee, progetto di nicchia venuto alla ribalta.

L’incanto dei Madrigal

Il nuovo musical Disney, Encanto, si presenta come un’avventura vivace e piena di colori, con personaggi carismatici. Si avvicina molto all’immaginario dei Paesi dell’America Latina, ricalcando i paesaggi e la cultura di quella parte di mondo. Tutto si basa sul dono fatto alla famiglia dei protagonisti: ognuno dei Madrigal ottiene un potere magico grazie al quale ha la possibilità di aiutare la famiglia e l’intero villaggio sorto intorno alla loro “Casìta”.

Un concept semplice ma che funziona. Purtroppo il film risente, a parer nostro, di una parte musical che si estrania dalla narrazione. Soffre inoltre di un finale poco coraggioso, con un risvolto che va quasi ad annullare lo sviluppo dell’intero film. Riesce comunque a divertire ed emozionare fino alla fine, lasciando addosso una piacevole sensazione di positività.

La famiglia Madrigal. Fonte:  Walt Disney Studios

La ricerca delle quattro gemme

Raya è invece un’avventura ambientata in un mondo orientaleggiante che deve tanto a Dune e Star Wars. È infatti una classica avventura fantasy, in cui seguiamo un’eroina nella sua ricerca di quattro artefatti magici. Le terre esplorate ed ogni popolo presentano una forte identità, invogliando il pubblico a seguire il percorso della trama.

Ciò aiuta il film a reggersi, tra alti, rappresentati dalle sequenze più seriose che rendono più realistico ed adulto il mondo ed i suoi personaggi, e bassi che potevano essere tranquillamente evitati. Soprattutto un finale alla ”tarallucci e vino” che avremmo preferito non vedere, in un serioso mondo post apocalittico con grande enfasi sulla politica e sui popoli. Rimane comunque un ottimo film che avrebbe potuto essere grande.

Le due protagoniste nemiche-amiche. Fonte: insidethemagic.net

I mostri marini di Portorosso

Passando sul versante Pixar, Luca è un film che tocca corde molto nostalgiche e personali. Ambientato in Liguria durante il boom economico dell’Italia, mostra tutto quello che risulta iconico di quel periodo, ricordando molto da vicino anche le pellicole di quegli anni. La salsedine sulla pelle sembra quasi di sentirla e tra la case dalle mura crepate nei vicoli stretti acciottolati, si respira la stessa sensazione di un’indimenticabile estate da turista. Il mare è reso in maniera eccellente e – non a caso – è stato scelto come elemento centrale della storia.

Il film quindi è – e rimane -una vera gioia per gli occhi e per il cuore, anche se di fatto ci troviamo di fronte ad una storia trita e ritrita, di genitori apprensivi e della crescita personale di un protagonista timido che scopre il mondo preclusogli fino a quel momento.

I tre bambini protagonisti. Fonte: Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures

Real life versus web

La produzione Sony, invece, risulta essere molto diversa. Ne I Mitchell contro le macchine, la commistione di animazione 2d e 3d è il vero elemento di forza. Traspira da ogni fotogramma una grande creatività grazie alle nuove possibilità realizzative. La famiglia di protagonisti risalta per la sua eccentricità (evidenziata dalle giganti onomatopee a schermo e dalla dinamicità dell’animazione) e per il suo essere ”freak”. Ma la loro fisicità e il loro carattere risultano estremamente umani ed empatici ad un occhio più adulto.

L’intera trama è un pretesto per far avvicinare il padre e la figlia maggiore. Questa premessa riesce, nella sua semplicità, a creare una storia a cui il pubblico di qualunque età può legarsi. Questo anche grazie al buon ritmo e alle buone sequenze d’azione, assieme ad un finale rocambolesco, in cui – grazie a Dio! – buoni e cattivi non si abbracciano.

L’unico difetto del film è l’estremizzazione di alcuni motivi narrativi, che coinvolgono tutto il pianeta e avrebbero invece funzionato di più  se confinati agli USA. Ultima nota positiva a margine è la frecciatina a certe aziende, a cui al giorno d’oggi abbiamo dato troppo potere.

La ”stravaganza dei Mitchell”. Fonte: Sony

Vivere in fuga

Per finire parliamo di Flee. Nato come progetto estremamente low budget, è riuscito ad ottenere una candidatura a ben tre premi: miglior film d’animazione, miglior film internazionale e miglior documentario.

Lo strazio e l’angoscia si percepiscono, riuscendo a far sentire al pubblico, una vicinanza intima al protagonista e alla sua famiglia, anche grazie all’uso di un’animazione grezza, incredibilmente riuscita. La pellicola si presenta come una traduzione su carta di un documentario filmato dal vivo, inframezzato dai ricordi narrati dal protagonista, in cui si racconta la fuga dall’Afghnistan successiva alla guerra civile degli anni ’80. Seguiamo la famiglia nella sua fuga verso la Russia e poi verso l’Europa, vivendo i drammi dell’illegalità e del trovarsi senza aiuti, con la costante speranza di un futuro migliore per sé e per i propri cari.

La pellicola, raccontando una storia cruda e reale, ha buone probabilità di rimanere nella mente di coloro che la guarderanno, a maggior ragione in un momento storico come questo. 

Il peschereccio dei trafficanti umani. Fonte: Sun Creature Studios

Pronostico?

La scelta dell’Accademy quest’anno potrebbe essere scontata o coraggiosa: se da un lato sarebbe ovvio premiare Encanto, dall’alrtro speriamo nella vittoria de I Mitchell, perché ci auguriamo che la classica animazione 3d occidentale possa evolvere rispetto alla staticità di quella Disney o Pixar.

Ci sentiamo di escludere dal podio gli altri tre, ma saremmo felicemente sorpresi di veder trionfare Flee, magari anche in altre categorie.

 

Matteo Mangano