Oscar 2025: il trionfo di Anora

Nella notte tra Domenica 2 Marzo e Lunedì 3 Marzo si è tenuta la 97° edizione dei Premi Oscar, esattamente al Dolby Theatre di Los Angeles. Alla conduzione c’è stato Conan O’Brein e la Notte Degli Oscar è stata trasmessa in chiaro su Rai Uno.

C’era Emilia Pérez con 13 Candidature, seguito da The Brutalist e Wicked con 10 Candidature a testa. Inoltre, ci sono stati A Complete Unknown (8 Candidature), Conclave (8 Candidature), Anora (6 Candidature), The Substance (5 Candidature), Dune – Parte II (5 Candidature) e anche pellicole che hanno ottenuto 2 o 3 Candidature (Io Sono Ancora Qui, Flow, Nosferatu, A Real Pain, Il Robot Selvaggio, ecc.) e quelle che ne hanno avuto almeno una (Inside Out 2, Il Gladiatore II, ecc.)

E’ stata un’edizione piuttosto competitiva , perché c’erano film che effettivamente si sono meritate alcune candidature ed allo stesso tempo, ci sono state grosse esclusioni. La Stagione Dei Premi è stata imprevedibile, però dopo quest’edizione appena conclusa si può constatare che ci sono state delle vittorie prevedibili e anche delle sorprese, oltre che qualche delusione.

Fonte: Mymovies

Anora vince come Miglior Film e si porta a casa ben 5 statuette su 6

Erano ben 10 film candidati come Miglior Film: , Emilia Pérez, The Brutalist, Wicked, A Complete Unknown, Conclave, Anora, The Substance, Dune – Parte II, Io Sono Ancora Qui e Nickel Boys.

Da come sembrava che sarebbe stato vincitore The Brutalist, viste le 10 Candidature e il fatto che fosse il favorito, alla fine il film che ha trionfato è stato Anora. Il film di Sean Baker si è portato a casa ben 5 statuette su 6 (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attrice Protagonista, Miglior Montaggio e Miglior Sceneggiatura Originale), dove quattro di esse sono andate in mano allo stesso Baker, eguagliando dopo oltre 70 anni il record di Walt Disney (anche se lo zio Walt ha ottenuto 4 statuette per quattro pellicole differenti) e facendo così la storia degli Oscar, per aver ottenuto 4 premi per lo stesso film (è lui stesso che si è occupato della scrittura, del montaggio e della regia).

Vittoria immeritata? Punti di vista, ma oggettivamente parlando non si può negare che la pellicola vincitrice della Palma D’Oro allo scorso Festival Di Cannes ed ora degli Oscar sia una pellicola che abbia convinto il pubblico, vista la storia puramente femminista e realizzata con uno scopo ben preciso.

Oscar 2025
Fonte: La Stampa

Oscar 2025: Madison surclassa Moore e secondo Oscar per Brody.

I candidati come Miglior Attore Protagonista erano: Adrien Brody (The Brutalist), Timothée Chalamet (A Complete Unknown), Colman Domingo (Sing Sing), Ralph Fiennes (Conclave) e Sebastian Stan (The Apprentice – Le Origini Di Trump).

Miglior Attrice Protagonista erano: Mikey Madison (Anora), Demi Moore (The Substance), Karla Sofia Gascón (Emilia Pérez), Fernanda Torres (Io Sono Ancora Qui) e Cynthia Erivo (Wicked).

Ancora, Miglior Attore Non Protagonista erano: Kieran Culkin (A Real Pain), Jurij Borisov (Anora), Edward Norton (A Complete Unknown), Guy Pearce (The Brutalist) e Jeremy Strong (The Apprentice – Le Origini Di Trump)

 Miglior Attrice Non Protagonista erano: Zoe Saldana (Emilia Pérez), Monica Barbaro (A Complete Unknown), Ariana Grande (Wicked), Felicity Jones (The Brutalist) e Isabella Rosellini (Conclave), unica presenza italiana di quest’anno.

Adrien Brody ha ottenuto il suo secondo Oscar come Miglior Attore Protagonista, dopo 22 anni dalla prima con Il Pianista. L’unico che sembrava fosse in grado di soffiargli l’Oscar era il giovane Timothée Chalamet e le possibilità c’erano, vista la sua incredibile performance nel biopic di Bob Dylan. Invece, il giovane Chalamet è rimasto a mani vuote ma questo non toglie il fatto che sia stato bravissimo nel film. Mentre Brody ha potuto prendersi meritatamente il suo secondo Oscar.

Demi Moore, invece, ha visto il film a cui ha preso parte (The Substance) prendere vita, lì al Dolby Theatre. Seembrava che la vittoria sarebbe stata sua ed invece, è rimasta seduta tra il pubblico a vedere la giovane Madison vincere. Se da una parte, la Madison si è impegnata tanto per il ruolo di Anora e si sia meritata la vittoria, avendo così una svolta per la sua carriera ancora agli inizi; dall’altra, però, la Moore non ha vinto per il suo “ruolo della vita”, un ruolo che tutto sommato sentiva suo a livello personale. Tuttavia, il pubblico le riconosce il merito e la Moore ha comunque vinto, conquistando tutti con la sua bravura.

Culkin e Saldana, invece, hanno vinto l’Oscar per il ruolo giusto e arrivato al momento giusto, dopo che entrambi abbiano accumulato la giusta esperienza per dare il meglio di loro in quei film. Chi l’avrebbe detto che il piccolo Fuller di Mamma Ho Perso L’Aereo e l’attrice che ha preso parte a 4 blockbuster che rientrano tra i primi 10 film col maggiore incasso di tutti i tempi avrebbero vinto un Oscar? Quel momento è arrivato e si può dire che se lo sono meritato tantissimo.

Oscar 2025
Fonte: La Repubblica

Agli Oscar 2025 un premio anche per Flow e Io Sono Ancora Qui e Premi Tecnici Equi.

Quest’anno, la concorrenza come Miglior Regia era piuttosto difficile perché tutti hanno fatto un buon lavoro dietro la macchina da presa. Nel corso del 2024, però, sono uscite diverse pellicole ben girate ed è stato un colpo non vedere alcuni di quei registi ricevere la Candidatura alla Regia. Tuttavia, i 5 Candidati non erano lì per caso e Sean Baker si è meritato la vittoria, con una regia caratterizzata da 35 mm e ben focalizzata su dettagli importanti che si è vista in Anora.

I Premi Tecnici, invece, sono stati abbastanza equi: Conclave (Miglior Sceneggiatura Non Originale), Anora (Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Montaggio), The Brutalist (Miglior Fotografia e Miglior Colonna Sonora Originale), Wicked (Miglior Scenografia e Migliori Costumi), The Substance (Miglior Trucco E Acconciatura), Dune – Parte II (Miglior Sonoro e Migliori Effetti Visivi) e Emilia Pérez (Miglior Canzone Originale).

Nonostante i successi di Inside Out 2 per Disney/Pixar e Il Robot Selvaggio per Dreamworks, alla fine è Flow il film che si aggiudica l’Oscar come Miglior Film D’Animazione. Per il terzo anno di fila, la Disney se ne esce a mani basse e vede soffiarsi il Premio da film d’animazione autoriali e realizzati da case di produzione diverse da quelle più famigerate. Io Sono Ancora Qui, nel frattempo, trionfa come Miglior Film Internazionale.

Oscar 2025: C’è stato spazio anche per esibizioni e omaggi

Tra i vari premi, c’è stato anche lo spazio per esibizioni come Ariana Grande e Cynthia Erivo, riproponendo dal vivo la canzone Defying Gravity di Wicked, e anche commemorazioni ad attori venuti a mancare negli ultimi tempi, come Gene Hackman ricordato dall’amico/collega Morgan Freeman.

Un’edizione piuttosto interessante e di cui se ne parlerà per un bel po’.

Giorgio Maria Aloi

A Complete Unknown merita davvero l’Oscar?

A Complete Unknown
Grande prova attoriale da parte di Timothée Chalamet, ma la scelta minimalista della regia di Mangold risulta in una narrazione priva d’intensità. Ma è davvero degno delle sue nomination agli Oscar? – Voto UVM 3/5

Ė al cinema dallo scorso 23 gennaio A Complete Unknown,  l’attesissimo biopic su Bob Dylan.

Una fatica di durata quinquennale quella di Mangold – basata sul soggetto di Elijah Wald nel libro Dylan Goes Electric! (2015) – ora nominata Best Picture e Best Adapted Screenplay agli Academy Awards.   

Si tratta di uno dei titoli più chiacchierati dell’ultimo anno: vuoi per l’attrattiva del cast (Timothée Chalamet, Elle Fanning, Monica Barbaro), vuoi per la grande campagna promozionale dedicatagli, vuoi per il fascino enigmatico di un’icona come Dylan (nientemeno che uno dei produttori esecutivi del film), e per un’interpretazione che è valsa a Chalamet una nomination ai Golden Globe e ai prossimi Oscar.

Sinossi

New York. 1961. Il ventenne Robert Zimmerman arriva dal Minnesota, per incontrare il suo idolo Woody Guthrie, malato in ospedale, per inserirsi nella scena folk del periodo. Nasce Bob Dylan: mito costruito su mezze verità e reinvenzioni continue, ispirato da due amori tormentati e diventato la voce che ha incendiato gli animi di una generazione stravolgendo la scena folk in un solo iconico momento: Il Newport Folk festival del 1965.

A complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

A Complete Unknown tra alti e bassi

Bob Dylan è notoriamente un tipo enigmatico: “un incrocio tra un chierichetto e un beatnick” come lo definisce una storica recensione del New  York Times del ‘61.

Si parla di un personaggio privo di quei tratti eroici che ci si aspetta dal protagonista di un biopic. E se si unisce una personalità estremamente ermetica ad un ambiente asettico, circondata da personaggi privi di ogni sviluppo, la narrazione cola a picco.

Calato in un’America in fermento che vuole abbattere e ricostruire la sua identità culturale, il film abbonda di indizi storici ricorrendo all’espediente di telegiornali, radio e quotidiani. 

Eppure, osservando il comportamento del protagonista, allo spettatore non arriva mai l’urgenza della lotta sociale che ha mosso la carriera di Dylan. Mentre la si percepisce meglio nelle due protagoniste femminili, emotivamente più coinvolte negli eventi socio-politici del tempo. 

La narrazione scorre lenta e lineare, con pochi dialoghi e ancor meno azione. L’unico momento di picco si ha a un passo dalla fine: il Newport Folk Festival del ‘65. Qui troviamo una scena che sfiora il ridicolo, con un pubblico così furibondo da sembrare una parodia, e vari cazzotti sganciati dietro le quinte nel tentativo di sabotare lo spettacolo. Un exploit d’azione alla spaghetti western totalmente fuori luogo, ma che almeno rende bene l’eccezionalità del momento.  

A Complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

L’amore in A Complete Unknown 

Tormentate vicende sentimentali diventano qui un semplice susseguirsi di eventi di cui il cantautore muove le fila. Ė un flipper infinito tra Joan e Sylvie senza alcun margine evolutivo da parte delle due donne. Bob fa ciò che vuole e nessuno gli chiede spiegazioni. Il problema non sta nell’interpretazione di Monica Barbaro e di Elle Fanning, che sono invece degne di nota, ma sta nella resa cinematografica di dinamiche amorose così complicate.

Un’interpretazione da Oscar

Timothée Chalamet ha dovuto sfoderare la sua poliedricità come mai prima: interprete, voce di ogni traccia presente nella pellicola e co-produttore del film. 

La caratteristica ermetica e ambigua e l’umorismo sfacciato del cantautore sono ciò su cui Chalamet ha puntato di più nella sua interpretazione. Grande lavoro sullo studio della voce, della mimica facciale, della cinesica e dello staging: dal modo in cui tiene la sigaretta a quello in cui suona la sua Fender, alle unghie lunghe solo nella mano destra fino alla postura ricurva e ai suoi famosi “dead eyes”. 

Chiunque salga sul palco e voglia catturare l’attenzione deve essere un po’ strano, la gente non deve smettere di guardarti, devi essere come un incidente d’auto.

A Complete Unknown
una scena di A Complete Unknown di James Mangold (2024) (Searchlight Pictures, The Walt Disney Company Italia)

A Complete Unknown: un’overview sul lavoro di Mangold

Dopo il successo di Walk the Line sulla vita di Johnny Cash, Mangold torna al genere biografico. La fotografia è minimalista, senza movimenti di camera e sequenze elaborate. Vediamo luci fioche e gialle in ambienti interni cupi e ombrosi. L’elemento luminoso non è stato sfruttato granchè, mantenendosi su un’illuminazione d’ambiente priva di personalità. 

La palette del film privilegia colori come il giallo e il beige, e il legno norvegese – trend iconico dell’interior design dell’epoca – domina scenografie storicamente accurate e piacevolissime all’occhio.

La scelta di fare un uso quasi esclusivamente diegetico della musica è coerente col soggetto ma poco funzionale allo storytelling: allo spettatore non viene offerta nessuna hint sulla carica emotiva dei personaggi nei vari momenti della narrazione. Per capire cosa stia succedendo di fronte a lui ad ogni scena, lo spettatore deve contare unicamente sui dialoghi – per giunta anch’essi ridotti all’osso.

A Complete Unknown: Il folk che raggiunge tutti

Il folk che raggiunge tutti” è il vero protagonista dell’opera di James Mangold. Un genere che cambia insieme alla società, che dà voce alle lotte generazionali, e che per questo non può essere limitato ai brani di repertorio, ma deve poter innovarsi. Questa la mission del nostro protagonista, questo il mantra dell’intera opera. La musica di Dylan ci parlava di progresso quando nessuno era disposto a guardare al di là del proprio naso. Fino a quel ‘65 in cui Bob Dylan portò sul palco la sua Fender elettrica e cambiò per sempre la storia della musica. 

 

Vermiglio, antica poesia tra amore e guerra

Vermiglio
Vermiglio: un piccolo capolavoro in grado di catapultarci indietro nel tempo, laddove sono collocate le radici stesse della Storia del nostro Paese. – Voto UVM: 5/5

 

Si è conclusa da poche settimane l’ottantunesima edizione del Festival del Cinema di Venezia, un edizione che ha visto come protagonisti nuove straordinarie proposte e grandi titoli come l’attesissimo sequel del Joker di Joaquin Phoenix Joker Folie a Deux o come Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza che vedrà il ritorno di Toni Servillo sul grande schermo. Tra tutti però anche una piccola perla è riuscita a spiccare aggiudicandosi non solo un enorme successo di pubblico e critica ma anche due premi di grande importanza, sto parlando di Vermiglio di Maura Delpero, un piccolo capolavoro in grado di catapultarci indietro nel tempo in atmosfere antiche e rurali laddove sono collocate le radici stesse della Storia del nostro Paese.

Una profonda storia d’amore in tempo di guerra

Siamo nelle fredde lande del Trentino e nel mondo echeggia il boato agghiacciante della Seconda Guerra Mondiale ormai però sul punto di concludersi, nel piccolo villaggio di Vermiglio la vita in ogni caso scorre lentamente finché due giovani soldati acciaccati dalla guerra, i siciliani Pietro, interpretato dal messinese Giuseppe De Domenico, e Attilio giungono sotto l’occhio critico di gran parte degli abitanti, sarà in quel momento che la vita di Pietro si incrocerà con quella di Lucia (Martina Scrinzi) e della sua numerosissima famiglia dalla quale ne nascerà una profonda storia d’amore

La storia che Maura Delpero costruisce si dimostra dunque uno
scrigno prezioso dove anche gli elementi più distanti e diversi riescono magicamente a coesistere; guerra e amore, morte e vita, e si manifesta alla perfezione nel momento in cui il maestro del paese e padre di famiglia interpretato da uno straordinario Tommaso Ragno ascolta e invita ad ascoltare i suoi brani di musica classica mentre nel resto dell’Europa impera la guerra, oppure nel momento in cui nonostante tutto il villaggio si riunisce in festa per celebrare Santa Lucia e soprattutto nel momento in cui Pietro, un uomo afflitto fisicamente ed emotivamente dall’orrore della guerra riesce a trovare la forza per tornare ad amare, regalandoci dunque una meravigliosa unione sensibile e romantica tra nord e sud Italia, anche questo aspetto estremamente difficile a quel tempo.
Pietro e Lucia in una scena del film
Pietro e Lucia in una scena del film

Un sogno proveniente dal passato

Appare evidente come nessun dettaglio sia stato lasciato al caso, si riesce a percepire alla perfezione il gelo delle montagne trentine innevate così come la brezza marina nel mare di Sicilia, ma soprattutto l’atmosfera antica e rustica che si riesce a respirare dall’inizio alla fine del film, e non è un caso perché è da quella realtà che viene Maura Delpero, dal profondo Trentino, nel dopoguerra e da una famiglia molto numerosa.
Ci troviamo, infatti, davanti ad uno speciale racconto ispirato alla sua infanzia, non una storia vera ma una storia ispirata da un sogno che, a detta della stessa regista l’ha portata indietro nel tempo a riscoprire la sua famiglia sotto un altro aspetto, un sogno felice in un momento di tristezza a seguito del lutto del padre (anch’egli maestro del paese) e di conseguenza una storia proveniente direttamente dal cuore e dai ricordi della straordinaria Delpero. 

Un orgoglio messinese al Festival di Venezia 2024
Giuseppe De Domenico nei panni del silenzioso e sensibile Pietro ha rappresentato poi un orgoglio tutto messinese prendendo parte in maniera rilevante a questo straordinario progetto, nel ruolo per altro complesso di un personaggio dal passato nefasto e dal futuro incerto che non può far altro che vivere il presente comunicando e manifestando il suo amore per Lucia quasi esclusivamente con gesti ed espressioni.
 L’attore messinese, per altro, ci ha dato il privilegio della sua presenza venendo alle proiezioni di Domenica 22 al cinema Iris per presentare il film e per donarci anche qualche piccola preziosa chicca sulla sua interpretazione, sul backstage in generale e sull’esperienza al Festival del Cinema di Venezia.
L’attore Giuseppe De Domenico con il direttore del cinema Iris Umberto Parlagreco
L’attore Giuseppe De Domenico con il direttore del cinema Iris Umberto Parlagreco

Vermiglio: una storia preziosa dagli echi neorealisti

È un opera tanto emozionante quanto originale e particolare quella che Maura Delpero porta sul grande schermo, la scelta di attori per lo più non professionisti e l’abbondante presenza di bambini tutti ovviamente trentini e l’uso esclusivo del dialetto stretto del posto che ha portato addirittura all’esigenza dell’aggiunta dei sottotitoli fa di questo film un opera che riesce quasi a rimandare ai grandi capolavori del Neorealismo, non a caso dunque aggiudicandosi il Gran premio della giuria e il Green Drop Award al Festival del Cinema di Venezia scaturendo già alla prima visione l’entusiasmo della critica.
È un opera preziosa, una piccola perla del cinema italiano contemporaneo che ha visto per altro sbocciare una nuova figura femminile alla regia di un grande capolavoro, un viaggio delicato e intrigante nell’Italia che fu che merita assolutamente di essere visto!
Marco Castiglia

Altri 60 di questi, Brad Pitt!

William Bradley Pitt, megli noto come Brad Pitt, nasce a Shawnee (Oklahoma) il 18 Dicembre del 1963 dai coniugi Bill Pitt (dirigente di trasporti) e Jane Etta Hillhouse (consigliere scolastico).

Dopo una brillante carriera da atleta nell’adolescenza, decise di frequentare l’Università del Missouri in giornalismo e grafica pubblicitaria. Abbandonò il mondo universitario a pochi esami dalla laurea per seguire il suo sogno di recitare nei film di Hollywood. Prima di iniziare a recitare ha fatto gavetta lavorando come autista per spogliarelliste in limousine, il trasportatore di frigoriferi e addirittura travestendosi da pollo per promuovere una catena di ristoranti.

Le serie tv come trampolino di lancio

Ad aiutare la sua ascesa nel mondo dello spettacolo sono state principalmente delle parti prese in varie soap opera quali Destini (1987), Dallas (1987), 21 Jump street e Genitori in blue jeans (1987-1989). Raggiunge il successo nel ’91 nel film Thelma e Louise. Al contrario nel 2001 la sua comparsa in Friends (episodio 10 della stagione 8) permise alla serie stessa di sfruttare la popolarità raggiunta dall’attore. Qui Brad interpretò la parte di un ex compagno di liceo di Ross e Rachel (Jennifer Aniston) che ha un conto in sospeso con loro.

Amori, divorzi e Mr. & Mrs. Smith

Le riprese del film Mr. & Mrs. Smith sono iniziate il 21 giugno 2004 e si sono concluse il 15 dicembre 2004. Qui Pitt ha conosciuto l’attrice Angelina Jolie con il quale inizierà una relazione. Questo portò alla fine del matrimonio durato 5 anni tra Pitt e la Aniston. Infatti nel gennaio 2005 i due annunciarono la loro separazione e a dicembre dello stesso anno il divorzio.

Mr. & Mrs. Smith è un film del 2005 diretto da Doug Liman. Brad Pitt e Angelina Jolie interpretano rispettivamente John e Jane Smith. I coniugi Smith sono una coppia in crisi che confessano i loro problemi coniugali all’analista, omettendo però che entrambi sono delle spie che lavorano per agenzie rivali. Entrambi ignorano la doppia vita dell’altro, ma un giorno durante una missione i due coniugi finiscono per identificarsi. Le rispettive organizzazioni gli ordinano allora di eliminarsi a vicenda, ma il conflitto domestico a colpi di pistola non porterà altro che al rinnovato desiderio tra i due.

Il film che ha fatto incontrare e innamorare Angelina Jolie e Brad Pitt, soprannominati i Brangelina, è diventato un cult per essere stato il calcio di inizio della storia d’amore più bella di Hollywood degli ultimi vent’anni il cui finale però è stato drammatico con la separazione nel 2016.

La scena della sparatoria finale ha permesso a entrambi di vincere un MTV Movie Award per il miglior combattimento.

Il curioso caso di Benjamin Button

Il curioso caso di Benjamin Button è un film del 2008 diretto da David Fincher, basato sull’omonimo racconto breve del 1922 di Francis Scott Fitzgerald. La storia inizia nel 1860, anno di nascita del protagonista Benjamin Button. Il bambino nasce con l’aspetto di un anziano, e viene addirittura paragonato ad un ultraottantenne. Il padre Thomas Button, vergognatosi dell’aspetto inquietante del figlio, lo abbandona davanti ad una casa di riposo. Il bambino è, trovato da Queenie e Tizzy Weders che, nonostante siano disorientati dal suo aspetto, decidono di adottarlo. Il piccolo Benjamin, così chiamato dai nuovi genitori, trascorre la sua infanzia intrappolato nel corpo di un uomo anziano. La cosa strana che gli accade è che invece di crescere, più passa il tempo e più Benjamin ringiovanisce; egli è infatti, un uomo fuori dal comune che non riesce ad integrarsi con nessuna generazione.

L’interpretazione di Brad gli è valso il premio per i Critics’ Choice Movie Award e 3 nomination come miglior attore sia per gli Oscar sia per i Golden Globe.

Brad Pitt : Vi presento Joe Black

 

Susan (Claire Forlani) e La Morte (Brad Pitt) in una scena di Vi presento Joe Black. Fonte: Wired

Cosa succederebbe se sapeste tutto della vita e aveste raggiunto ogni soddisfazione dalla vita? Succede che arriva La Morte a voler conoscere il segreto della felicità. Questo è quello che succede a William “Bill” Parrish (interpretato da Anthony Hopkins), un magnate delle comunicazioni che viene avvicinato dalla Morte stessa. Ciò che ha permesso a questa entità di arrivare al mondo terreno è stato mettere fine alla vita di un uomo (interpretato da Brad Pitt) che si era innamorato della figlia di Bill, Susan, impossessandosi del suo corpo. Seppur la storia non lo dia a vedere, la narrazione ha note dolci e romantiche. Il rapporto tra La Morte e Susan che non sa cosa sia l’amore, permette a entrambi di collidere e conoscere un mondo che entrambi non avevano mai provato.

Questo film è valso a Brad una nomination ai Golden Globe e una al Saturn Ward, vincendo solo quest’ultima.

C’era una volta a… Hollywood

In questa ultima pellicola il nostro Brad non interpreta il protagonista, ma il suo migliore amico. Rick Dalton, interpretato da Leonardo Di Caprio, è un attore d’altri tempi e nel 1969 la sua carriera non riesce a decollare. Rick è grande amico del suo stuntman, Cliff Both (recitato dal nostro Brad) e anche lui non riesce a trovare lavoro dopo alcuni atti illeciti e i sospetti su di lui per la morte di sua moglie. In questo film di Quentin Tarantino la chimica tra Di Caprio e Pitt è stata elogiata dalla critica come “una presenza magnetica” quando si trovano insieme. Oltretutto la parte di Pitt riesce ad essere sia un punto di riferimento per il personaggio di Rick Dalton, ma anche l’artefice di alcune sue sventure. Riesce ad essere sia carismatico ma anche misteriosamente inquietante per la questione della moglie defunta. Per alcuni critici è sembrata la migliore interpretazione di Pitt in assoluto data la complessità del personaggio.

Questa interpretazione è valsa al nostro sex symbol il premio Oscar, il Golden Globe, il BAFTA e il Critics Choice Award come miglior attore non protagonista.

Per Brad Pitt i 60 sono i nuovi 20!

In questo articolo vi abbiamo riportato alcuni dei film più di successo dell’attore che hanno segnato la vita e la carriera dell’attore; se ne potrebbe parlare di molti altri, quali Fight Club di David  Fincher o il più recente Babylon di Damien Chazelle. Ora però ci limiteremo ad omaggiare l’attore per i 60 anni che compirà questo 18 Dicembre. Ci auguriamo che anche in questa sua nuova fase della vita sappia stupirci con nuovi ruoli che vadano fuori dagli schemi del suo passato. Tanti auguri Brad!

Salvatore Donato,

Carmen Nicolino

Disney Studios: 100 anni di magia

 

«Spero che non ci si dimentichi mai di una cosa: tutto è cominciato con un topo» (Walt Disney)

Ebbene, quale miglior modo di iniziare a parlare di quest’evento, se non ricordando una semplice frase che rappresenta l’inizio di un secolo di magia per grandi e piccini? Dopo il centenario della Warner Bros celebrato lo scorso aprile, il 16 ottobre 2023 anche la Walt Disney Company festeggia i suoi 100 anni e ricorda quanta strada ha fatto ed in quanti cuori è riuscita ad entrare.

È incredibile che un uomo sia riuscito a dar vita a tutto questo, cominciando dal disegno di un semplice topolino: Mickey Mouse.

Ma prima di parlare del centesimo anniversario, è doveroso fare un salto temporale all’indietro e narrare l’incredibile storia che ha portato a questo.

Come è nata la Walt Disney Company?

Nel 1923, Walt Disney, dopo i primi esperimenti di animazione, si trasferì a Hollywood ed assieme al fratello Roy e fondò i Disney Brothers Studios, rinominati in Walt Disney Studios.  Iniziò così il periodo di successo, grazie a titoli come: Alice Comedies e Oswald The Lucky Rabbit. Ma la vera svolta fu la creazione di un nuovo personaggio: Mortimer Mouse, poi rinominato in Mickey Mouse, Topolino. Nel 1928 a Topolino si aggiunse Minnie, fidanzata di topolino, e poi a seguire Paperino, Pippo e tanti altri.

Disney
Walt Disney con i suoi Mickey Mouse. Fonte: D23.com

Biancaneve: il primo lungometraggio

Ma la vera sfida di Walt fu la realizzazione del primo lungometraggio Disney: Biancaneve E I Sette Anni. Qui, oltre al prolungamento del minutaggio, Walt cambiò totalmente il modus operandi adottato in precedenza. Qui lo scopo era far commuovere il pubblico e trasmettere un messaggio; si scelse la favola dei fratelli Grimm cambiando alcune cose, per rendere la storia più magica ed a lieto fine.

Questo funzionò e il film riscosse un incredibile successo: Walt Disney vinse grazie al suo primo capolavoro d’animazione un oscar speciale nella premiazione del 1939, per l’importante innovazione portata sullo schermo. Biancaneve ebbe un impatto non indifferente sulla storia stessa del cinema: ha dato inizio allo sviluppo dei lungometraggi animati.

I personaggi vennero disegnati con la tecnica del rodovetro: le figure sono disegnate su un foglio di cellulosa e qui dipinti. La stessa Biancaneve divenne poi un modello per tutte le principesse Disney disegnate e rappresentate nei decenni successivi.

Disney
Frame di “Biancaneve e i sette nani” (1937). Casa di produzione: Walt Disney Productions. Distribuzione: Generalcine. Fonte: cinevagabondo.it

Il Rinascimento Disney: Chi ha incastrato Roger Rabbit?

Tratto dal romanzo di Gary Wolf, Chi ha incastrato Roger Rabbit è il cult a tecnica mista, vincitore di quattro premi oscar, alla guida del Rinascimento Disney. Considerato “rivoluzionario” dalla critica del tempo, il film di Robert Zemeckis (regista della trilogia di Ritorno al futuro), ci parla di quei temi che ogni uomo è costretto ad affrontare nel corso della propria vita: amore, morte, amicizia e avidità.

Senza mai rinunciare a quel dissacrante humor che lo caratterizza, Chi ha incastrato Roger Rabbit, vuole dimostrarci come la risata leggera, a volte, sia l’unico mezzo capace di combattere le bruttezze e le ingiustizie del mondo in cui viviamo. Basterebbe una sola risata, sincera, per ritrovare dentro noi quella spensieratezza di un tempo, di quando tutto sembrava ancora così bello, come a Cartoonia. E noi eravamo semplicemente bambini!

Disney
Frame del film: “Chi ha incastrato Roger Rabbit” (1988). Distribuzione: Warner Bros. Italia

Quanto ha influenzato le nostre vite? La Disney è rimasta la stessa?

La Disney è riuscita ad entrare nelle nostre vite, tramite il merchandising, i parchi a tema e con l’avvento della piattaforma Disney Plus, che è riuscita a concorrere con i colossi dello streaming: Netflix e Prime Video.

Ma ha influenzato anche interiormente le nostre vite, tramite le sue storie ed i personaggi, in cui ognuno di noi si rispecchia. Anche se, in questi cento anni, Disney non è rimasta di certo la stessa. Provando sempre più ad adattarsi alla società in continuo divenire, è finita per strizzare l’occhio alle più odierne e controverse tematiche, quali l’inclusività e il politically correct.

Dopotutto, Disney fa comunque parte delle nostre vite e per il 16 ottobre, il mondo è lieto di festeggiare questo secolo pieno di magia!

Giorgio Maria Aloi
Ilaria Denaro
Domenico Leonello

Tár: tra l’abuso di potere e la musica classica

Tár
Nonostante l’eccessiva durata e la presenza di alcune scene non necessarie, Tár è un film che merita una visione. – Voto UVM: 3/5

 

Tár è un film del 2022 (qui in Italia, è arrivato lo scorso 9 Febbraio) scritto e diretto da Todd Field. Il film ha ottenuto ben 6 Candidature agli Oscar 2023 (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attrice Protagonista, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Montaggio e Migliore Fotografia).

L’attrice protagonista è Cate Blanchett, e questo ruolo le ha già garantito tre vittorie: una al Festival di Venezia (Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile); un’altra ai Golden Globe (Miglior attrice in un film drammatico) e un’altra ai BAFTA (Miglior attrice). Blanchett ha anche ottenuto una candidatura come Miglior Attrice Protagonista.

Trama

 Tár racconta la storia di Lydia Tár (Cate Blanchett), un’affermata direttrice d’orchestra omosessuale ed una delle più grandi compositrici di musica classica conosciute in tutto il mondo. E’ anche la prima donna a dirigere l’orchestra dei Berliner Philharmoniker (o Orchestra filarmonica di Berlino). Lydia si ritrova al centro di molte polemiche per via del suo abuso di potere e per via di strane voci, in cui affermano che chiede dei “favori” sessuali ad alcune dipendenti. E le voci si fanno sempre più forti, nel momento in cui avviene il suicidio di una sua assistente e per via di questo fatto, cominciano a circolare anche delle prove compromettenti.

Film longevi o “sequestro di persona”?

Che non si fraintenda la domanda, perché è una semplice osservazione che si riscontra ultimamente, al cinema. Erroneamente, si pensa che una lunga durata equivalga a “Capolavoro”. Perché si afferma ciò? Perché si tende ad allungare il minutaggio di alcune pellicole in una maniera un po’ esagerata in certe occasioni, senza considerare il fatto che non garantisce necessariamente il successo. Attenzione, “Tár” è una pellicola interessante e merita una visione, però considerando ciò che si voleva rappresentare, poteva benissimo durare un po’ di meno.

Un difetto riscontrato nel film è la lentezza percepita in alcuni punti. Questo è successo anche in altre pellicole come Babylon di Damien Chazelle o Avatar – La Via Dell’Acqua di James Cameron. Film coinvolgenti con una buona spettacolarità e fatti per gli amanti del cinema, ma con una durata leggermente eccessiva. Molti spettatori si sentono “sequestrati” ed addirittura si sono annoiati. Bisogna cercare di migliorare alcuni aspetti e puntare di più sulla qualità, che sulla quantità di minuti!

Ma cosa rappresenta esattamente il film?

Tanto per cominciare, non è una storia vera. Lydia Tár non è mai esistita, ma si vocifera che una direttrice d’orchestra abbia avuto una vita possibilmente simile e che abbia caratteristici simili a quelle di Lydia. La figura di quest’ultima rappresenta l’abuso di potere e la continua ossessione per la musica classica, tanto da non dormirci la notte. Lydia qui è all’apice della sua carriera e non vuole che tutto crolli, quindi ad un tratto la si vede perdere il controllo e a sentire la pressione sulle presunti voci che girano sul suo conto. Come si deduce da ciò, Cate Blanchett non ha interpretato un ruolo facile, ma è riuscita a calarsi in esso, abbracciando tutte le sfumature.

Tár è anche la rappresentazione del contrasto che c’è tra l’ammirazione e il risentimento, tra il bisogno d’attenzione e il desiderio di vendetta, tra l’amore e l’odio. Non si sa cosa provare nel vederla, se un po’ di empatia o addirittura disgusto per alcuni comportamenti che attua. Field, inoltre, ha voluto rappresentare con la figura di Lydia anche l’equilibrio tra la vita professionale e quella privata di un artista che, in alcuni momenti, va a perdersi.

 Tár è un buon film?

Nonostante l’eccessiva durata e la presenza di alcune scene non necessarie, Tár è un film che merita una visione; realizzato, soprattutto, per gli appassionati di musica classica. Potrebbe non vincere la statuetta come Miglior Film, ma è comunque un buon film. Todd Field ha dichiarato esplicitamente:

“Questa sceneggiatura è stata scritta per un’artista: Cate Blanchett. Se avesse rifiutato, il film non avrebbe mai visto la luce”.

Effettivamente, considerando l’eleganza e la classe dell’attrice, forse nessun’altra avrebbe potuto fare di meglio. Il film può vantare di una buona regia e di una performance eccezionale da parte dell’attrice protagonista.

Cate Blanchett vincerà l’Oscar?

Si è già aggiudicata diversi premi e bisogna riconoscere che sono meritati. E per quanto riguarda l’Oscar si presuppone che abbia la vittoria assicurata. Una cosa, però, che non si dovrebbe dare tanto per scontata!

Ma con tutto il rispetto per le altre candidate che sono state bravissime nei loro ruoli (Ana De Armas per Blonde, Michelle Williams per The Fabelmans o Michelle Yeoh per Everything Everywhere All at Once), la Blanchett è un passo avanti e il ruolo che ha interpretato in Tár è stata una macchia importante per il suo curriculum. Ha buone possibilità di vittoria.

Attendiamo la Notte Degli Oscar 2023 per vedere cosa accadrà.  

 

Giorgio Maria Aloi

Nicole Kidman, “l’ultima diva di Hollywood”

Compie 55 anni oggi “l’ultima diva di Hollywood”: un attrice versatile che nel corso della sua carriera ha indossato diverse maschere. Metamorfosi continue che hanno reso Nicole Kidman una leggenda del cinema! Non ha bisogno di presentazioni: a chiunque almeno una volta nella vita sarà capitato di vederla sul grande schermo.

Sono passati 19 anni da quando sollevò l’ambita statuetta degli oscar, dopo aver vinto nella categoria di migliore attrice per l’interpretazione di Virginia Woolf in The Hours nel 2003. Cosa rende la Kidman l’ultima diva di Hollywood? Sono molte le risposte: prima di tutto l’eleganza e il portamento (guardandola ci sembra di ammirare una donna uscita da una copertina di Vogue).

Un altro punto a favore è la voce: per chi non lo sapesse, l’attrice non solo ha preso parte ad alcuni musical cinematografici, ma nella propria carriera ha anche inciso varie canzoni.

Il talento maggiore di Nicole Kidman, si esprime però nella recitazione. Ogni personaggio che interpreta lo rende suo e lo spettatore sembra immedesimarsi con lei.

Oggi parleremo di tre film che l’hanno immortalata nella storia di Hollywood.

Nicole Kidman in Dogville. Fonte: Zentropa Entertainment

Mouline Rouge! ( 2001)

Diretto dal regista Baz Luhrmann, Mouline Rouge! è un musical che è entrato a far parte della storia del cinema. Canzoni, trama, colori, cast: tutto è perfetto. Il film è ambientato nelle strade della Parigi del 1889, e le vicende si svolgono nel famoso locale Mouline Rouge, un cabaret, dove i clienti rimangano incantati dalla bellezza e dal talento delle ballerine di quel luogo magico. La protagonista è la bella Satine (Nicole Kidman), prima ballerina e c0rtigiana, che si innamora dello scrittore Christian (Ewan McGregor). I due innamorati se la dovranno vedere però contro il perfido Duca Di Monroth (Richard Roxburgh) che vuole possedere Satine.

La Kidman è a dir poco straordinaria: chiunque vorrebbe essere Satine, vivere quella storia d’amore, che a molti appare iraggiungibile

Palette rossa, Parigi, canzoni pop, e burlesque: unendo tutti questi elementi si può creare il mix perfetto per dar vita a una pellicola romantica, divertente e anche con un velo di malinconia.

Satine ( Nicole Kidman) e Chistian (Ewan McGregor). Fonte: 2oth Century Fox, Bazmark Production

The Others (2001)

Dietro la cinepresa troviamo il regista Alejandro Amenábar, che ha creato uno dei thriller e horror più famosi di sempre.

La storia si svolge sull’Isola di Jersey. Siamo nel 1945: la  seconda guerra mondiale è appena terminata. Grace Stewart ( Nicole Kidman), vive da sola in un’enorme casa coi i suoi due figli, Anne ( Alakina Mann) e Nicholas ( James Bentley), i quali soffrono di una malattia per cui non possono esporsi alla luce del sole e perciò uscire dalle mura del palazzo. Nella dimora vige una regola: le tende devono essere perennemente chiuse, nemmeno un singolo raggio di sole può entrare.

“Nessuna porta deve essere aperta prima che l’ultima sia stata chiusa, è così difficile da capire? Questa casa è come una nave e qui la luce deve essere controllata come se fosse acqua, aprendo e chiudendo le porte.”

Grace soffre di terribili emicranie,  il marito è lontano da casa, si trova al fronte e lei si ritrova ad essere una madre sola in una grande dimora, lontana da tutti, ed è perciò costretta ad assumere dei domestici.

Con l’arrivo di quest’ultimi, alla vita tranquilla dei proprietari subentrerà la paura: Grace vedrà qualcosa di anomalo nei nuovi arrivati, che inizierà a tormentarla.

Assieme al Sesto Senso, The Others viene considerato tra i film con uno dei finali più sconvolgenti mai creati.

La Kidman, è riuscita a far provare al telespettatore paura e angoscia (di certo non è una cosa da tutti!).

Grace Stewart ( Nicole Kidman) assieme alla figlia Anne (Alakina Mann). Fonte: Warner Sogefilms

Australia (2008)

Il regista Baz Luhrmann, ci porta nella sua terra senza confini e come protagonisti sceglie i suoi due connazionali Nicole Kidman e Hugh Jackman.

La storia è ambienta subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Da un lato abbiamo Lady Sarah Ahely ( Nicole Kidman), che lascia la caotica Inghilterra, per volare verso la “terra dei canguri”: qui si occuperà del ranch ereditato dal marito deceduto da poco.  Il personaggio della Kidman si sentirà smarrito nel nuovo Paese, un posto così grande e meno civilizzato rispetto alla Gran Bretagna, popolato dagli aborigeni.

Dall’altro lato abbiamo Drove ( Hugh Jackman), un mandriano vecchio stile, che adopera la locuzione “Vieni qui donna!”. A primo impatto sembrerebbe un “buzzurro”, ma sotto quella barba incolta e gli stivali da cowboy si nasconde un gentiluomo che farà conoscere alla nostra Lady le meraviglie dell’Australia.

Jackman e Kidman sono due attori straordinari: la coppia di cui non sapevamo di aver bisogno. Nicole Kidman qui non è solo una nobildonna, ma una “femminista”, che è riuscita a rendere giustizia alle donne del passato e presente con Lady, una donna forte e sempre elegante.

Nicole Kidman e Hugh Jackman in una scena del film. Fonte: 20th Century Fox

 

Nicole Kidman, nonostante il successo e i suoi innumerevoli lavori, una volta disse: «Sono diventata molto famosa molto presto. Anche perché ho sposato un uomo famoso.» Non siamo d’accordo con queste parole: il suo talento e la sua audacia l’hanno resa una dei volti più amati del grande schermo.

Ha lavorato con grandi registi (da Baz Luhrmann a Sofia Coppola.)  L’abbiamo sentita sulle note di Somethin’ Stupid con Robbie Williams e l’abbiamo amata nei panni della Dottoressa Chase Meridian in Batman Forever. Sono tanti e sono troppi i ruoli che hanno reso l’attrice dagli occhi color ghiaccio, l’ultima grande diva.

Alessia Orsa

Dallas Buyers Club: quando l’amicizia vince sui pregiudizi

Un film che spiega il dramma dell’Aids tra autenticità e amicizia– Voto UVM: 5/5

 

Gli anni ’80 li conosciamo grazie a film come Flashdance, Stand By Me, Karate Kid e tanti altri che ci hanno fatto sognare e desiderare di vivere in quell’epoca fatta di capigliature voluminose, palette fluo, e sale giochi che si riempivano di bambini e ragazzi dopo il suono della campanella.

I mitici anni ’80, però, avevano un’altra faccia: quella dei pregiudizi e delle “malelingue”. Per il mondo si diffondeva per la prima volta la malattia dell’Aids, e con essa false credenze alimentate dall’ignoranza, tra chi pensava che fosse un virus che potevano contrarre solo gli  omosessuali e chi aveva paura di stringere anche solo la mano di un sieropositivo.

Dallas Buyers Club è un film uscito nel 2013 diretto da Jean-Marc Vallée, che vede come attori protagonisti i due premi Oscar Matthew McConaughey  e Jared Leto, che, grazie alle loro interpretazioni in questa pellicola, si sono portati a casa rispettivamente l’ambita statuetta di “miglior attore protagonista” e  quella di “miglior attore non protagonista”.

Qui i due attori racconteranno la vera storia del cowboy Ron Woodroof, malato di AIDS, costretto a curarsi da solo per via dei costi esorbitanti dei farmaci.

Fonte: Truth Entertainment, Focus Features, Good Films

L’amicizia che sfida i pregiudizi

Tra il 1985 e il 1986, nel sud del Texas si svolge la vicenda di un cowboy di nome Ron Woodroof (Matthew McConaughey), che conduce una vita allo sbaraglio tra droga, alcool e sesso non protetto. Infatti per via della sua incoscienza, (o della mancanza di conoscenza), contrae il virus dell’HIV e successivamente si ammala d’AIDS. Durante quegli anni, i malati di AIDS erano considerati dei veri e propri appestati, anche per la scarsità di informazioni che giravano attorno a questo nuovo virus. La sanità negli Stati Uniti – come sappiamo – è accessibile solo per coloro che hanno una buona assicurazione, perciò il cowboy deciderà di contrabbandare farmaci non approvati in Texas, per curarsi da solo, ma anche per aiutare le persone con la sua stessa malattia. Dopo poco tempo aprirà  il “Dallas Buyers Club” , sfidando l’opposizione della Food and Drug Administration.

“Avvocato, voglio un’ordinanza restrittiva contro il Governo e la FDA.”

Ron, all’inizio pensa che la diagnosi sia sbagliata: essendo omofobo, crede che l’AIDS sia una malattia che contagi solo i gay. Col passare del tempo, però, i suoi sintomi peggiorano: Ron finalmente accetterà  la sua malattia, ma perderà il proprio lavoro e tutti i suoi amici, giacché quest’ultimi pensano che sia gay.

Durante una delle proprie visite in ospedale, Ron conoscerà Rayon (Jared Leto), una transgender tossicodipendente e sieropositiva.

A sinistra Rayon ( Jared Leto) a destra Ron ( Matthew McConaughey) in una scena del film. Fonte: Truth Entertainment, Focus Features, Good Films

Rayon è un uomo, che ha sempre desiderato nascere in un corpo femminile, ma a causa della sua vita difficile non ha mai potuto cambiare il proprio sesso e così si sente imprigionato dentro un corpo che non riconosce.

Rayon: Signore, quando ci incontreremo voglio essere molto bella. Fosse l’ultima cosa che faccio. Sarò un bellissimo angelo.”

Nonostante all’inizio tra i due non corra buon sangue, per via dell’omofobia che condiziona il protagonista, da lì in poi nascerà un’amicizia senza confini, pura e vera. Col tempo Ron vedrà in Rayon l’unica vera amica che abbia mai avuto, la sola che gli è rimasta vicina mentre tutti gli avevano voltato le spalle. Assieme affronteranno l’atroce sofferenza dell’Aids, abbattendo i pregiudizi e aiutando le persone malate e abbandonate dal proprio Paese.

La forza dei legami umani

Matthew McConaughey e Jared Leto al momento sono tra gli attori più bravi in circolazione e, grazie al loro talento, riescono a dare dignità ai propri  personaggi, rendendoli unici, storici. Come hanno fatto con Ron e Rayon, due soggetti non facili da interpretare. Come fanno due attori a colpire così profondamente nell’anima rendendo il telespettatore partecipe del dolore dei due protagonisti?

Ci mostrano le sofferenze e la crudeltà dietro cui si nasconde l’ignoranza con un realismo che parla di dolori e di gioie, che trasmette il messaggio che, per quanto possa essere difficile una situazione, se hai qualcuno accanto a te sembrerà meno dolorosa. Questa è la meravigliosa forza intrinseca degli sforzi  umani, che si riaccende quando meno te l’aspetti, restituendo valore a ciò in cui non credevi più.

L’abbraccio fraterno tra Rayon e Ron. Fonte: Truth Entertainment, Focus Features, Good Films

Alessia Orsa

The French Dispatch: la dedica cinematografica al giornalismo

Pellicola vivace, leggera ed originale, in stile Anderson – Voto UVM: 5/5

 

Il cinema talvolta può divenire l’arma perfetta per portare sul grande schermo, e quindi davanti agli occhi di tutti, anche altre forme d’arte e d’espressione. Questo è proprio il caso di The French Dispatch of Liberty, Kansas Evening Sun, scritto e diretto da Wes Anderson (Grand Budapest hotel).

La pellicola è dedicata al giornale Newyorker ed a molti dei suoi cronisti, ai quali, in alcuni casi, Anderson si è ispirato per plasmare i suoi personaggi: in particolare la figura fulcro del film, il direttore Arthur Howitzer Jr. (Bill Murray), è una trasposizione del fondatore del Newyorker, Harold Ross.

Questo film, così originale e tutto in stile pienamente Anderson è stato, insieme a Ultima notte a Soho, il grande escluso di quest’anno, in quanto non candidato in nessuna categoria degli Academy Awards.

It began as a holiday…

Da subito ci viene presentato lo schema del film. Esso comprende: un necrologio, una guida per i viaggi e tre dei migliori articoli tratti dal The French Dispatch. Questa edizione speciale, l’ultima, è fatta in onore del direttore Arthur Howitzer Jr., morto improvvisamente d’infarto. Quest’ultimo, trasferitosi per una vacanza da universitario ad Ennui, in Francia, aprì una propria sezione del giornale del padre dedicata ad arte, cucina, cultura locale e politica, riunendo la sua amata squadra di reporter tra cui Herbsaint Salzerac (Owen Wilson), J.K.L. Beresen (Tilda Swinton) Lucinda Krementz (Frances Mcdormand) e Roebuck Wright (Jeffrey Wright).

Il primo articolo riportato dopo le notizie su Ennui è Il capolavoro di cemento. Appartenente alla sezione “Arte”, narra le vicende del tormentato artista Moses Rosenthaler (Benicio del Toro), condannato a 50 anni di reclusione in una prigione-manicomio. Qui il mercante d’arte Julien Cadazio (Adrien Brody) scoprirà la sua arte, rendendolo famoso.

Il secondo articolo, Revisioni di un manifesto, presenta tutta una stagione di rivolte studentesche capitanate dai giovani Zeffirelli (Timothée Chalamet) e Juliette (Lyna Khoudri). Zeffirelli entra direttamente in contatto con Krementz (Frances McDormand), la reporter del The French Dispatch, la quale revisionando il suo manifesto, sarà coinvolta, pur cercando di mantenere la neutralità del cronista.

Il terzo ed ultimo articolo, La sala da pranzo del commissario di polizia, descrive la cena del reporter Roebuck Wright (Jeffrey Wright) dal commissario di polizia, preparata da un noto chef, il tenente Nescaffier (Stephen Park). Durante la cena, però, il figlio del commissario viene rapito e l’inviato del giornale si vedrà coinvolto nell’operazione di liberazione del bambino.

Un cast stellato

The French Dispatch è caratterizzato da un vasto cast corale, formato da alcuni degli attori più quotati del momento, tra cui anche svariati premi Oscar o candidati all’Academy, come Frances Mcdormand, Benicio del Toro, Adrien Brody e Saoirse Ronan. In più, è presente il cameo di tre grandi stelle del cinema hollywoodiano: Christoph Waltz, Willem Dafoe e Edward Norton, nel secondo e nel terzo racconto.

Il cast al festival di Cannes. Fonte: laRepubblica.it

Tecniche e peculiarità

Più che la bravura degli attori, più che la trama, in The French Dispatch quello che spicca veramente è proprio l’originalità con cui è stato realizzato. In particolare, vengono utilizzate ed alternate diverse tecniche cinematografiche. Un chiaro esempio si ritrova già nella scelta dei colori: alla pellicola prevalentemente in bianco e nero, si alternano delle scene cruciali, che si tratti di flashbacks o altro, con i classici colori brillanti andersoniani.

Inoltre, è anche molto curiosa la struttura stessa del film. Il tutto si presenta con un filo logico legato dalla singola edizione del giornale. In poche parole, è come se lo spettatore stesse sfogliando il The French Dispatch!

Da notare è anche la scelta del sottofondo musicale. La musica molto spesso influisce su come il film viene percepito in totale dallo spettatore, ed in questo caso bisogna sicuramente applaudire la bravura del compositore due volte Premio Oscar, Alexandre Desplat.

Due scene del film in bianco e nero ed a colori

Una cosa bisogna proprio dirla: Wes Anderson non smentisce mai il suo stile, e porta sul grande schermo una certa vivacità unica nel suo genere. Ma questa volta c’è anche di più: una dedica al Newyorker, e forse un po’ a tutti i giornalisti.

Mi sono dilungata troppo, ma direi che posso seguire il consiglio chiave dello stesso Arthur Howitzer Jr., ovvero…

“Just try to make it sound like you wrote it that way on purpose”

Ilaria Denaro

Coda – I segni del cuore meritava di vincere gli Oscar?

Un film che parla della disabilità, proiettando allo spettatore ciò che provano i sordomuti. Voto UVM: 4/5

La notte degli Oscar si è conclusa qualche giorno fa: una serata magica tra abiti da sogno e “scene epiche”. Tutti erano incollati davanti alla televisione per assistere alle premiazioni, tra chi si è addormentato prima del finale, e chi è rimasto sveglio per vedere uno degli eventi mondani più attesi dell’anno.

L’Oscar per il miglior film e quello per “miglior sceneggiatura non originale” sono stati vinti da CODA – I segni del cuore, diretto dalla regista Sian Heder, arrivato nei nostri cinema ieri, 31 marzo, e disponibile su NOW e Sky Tv.

Un momento storico: è il primo film che trionfa con un cast composto da ben tre sordomuti, tra cui Troy Kotsur, che si è portato a casa la statuetta di “miglior attore non protagonista”, divenendo il primo attore sordomuto a vincere l’ambito premio.

Il cast di “CODA” sul palco degli Oscar. Fonte:StyleCorriere

Di cosa parla?

“Non posso restare con voi per il resto della mia vita!”

Nella cittadina di Gloucester, nel Massachusetts, troviamo la famiglia Rossi, un nucleo familiare abbastanza particolare,  composto da tre persone sordomute: il padre Frank (Troy Kotusur), la madre Jackie (Marlee Matlin) e il fratello maggiore Leo (Daniel Durant), mentre l’unica udente è la figlia Ruby (Emilia Jones) .

Ruby fin da piccola ha sempre aiutato la sua famiglia con la pesca e facendo loro da “uditrice”. Terminato il liceo, Ruby ha già deciso che svolgerà l’attività dei suoi familiari in modo permanente, perché non vuole lasciarli soli, perché sa che dipendono da lei in quanto l’unica udente.

La protagonista però ha una passione: quella del canto. Già a inizio film possiamo ascoltare la sua voce, mentre aiuta suo padre e suo fratello a lavoro. Nessuno dei due può sentirla, sono lì soli e attorno a loro c’è solo silenzio: i rumori delle onde del mare, i versi dei gabbiani non sanno cosa sono, così come la voce di Ruby. La ragazza sogna una carriera canora e perciò entra a far parte del coro della scuola dove incontra il maestro Bernardo (Eugenio Derbez). Quest’ultimo vedrà in Ruby qualcosa di magico, la aiuterà a migliorare nel canto e la spingerà verso questo mondo. Ma davanti alla protagonista si porranno due domande: abbandonare la famiglia? O proseguire verso un futuro diverso, lontano da loro?

Meritava l’Oscar?

A mio parere no. Coda – I segni del cuore ha vinto l’Oscar per un semplice motivo: perché emoziona. Guardando il film però non notiamo una trama completamente originale, ma ci vengono spesso riproposti i tipici stereotipi americani. Come quello della classica ragazza bullizzata da tutti che poi avrà la sua rivincita. La fotografia dai toni sdolcinati fa perdere punti all’opera, divenendo sinonimo di “banalità”: a primo impatto le scene sembrano uscite da qualche telenovela strappalacrime.

Il film ha funzionato per via del cast eccezionale: il lavoro svolto da Troy Kotsur è a dir poco sublime, mi sono commossa e divertita a guardare il suo personaggio, entrando in empatia con lui.

Ha funzionato perché la regista ha portato una storia di una disabilità, che ancora non comprendiamo del tutto perché spesso ci dimentichiamo che le persone che la vivono si sentono diverse dagli altri. Il paradosso in questo film è che sono proprio Frank, Jackie e Leo ad ascoltare e osservare tutti, mentre loro sono isolati.

C’è una scena in cui le musiche, i suoni e le voci scompaiono, e lo spettatore quasi si chiede se ci sia qualche problema con le casse o se il volume si sia abbassato da solo, ma non è così! La regista infatti abbassa i suoni di proposito, per far sentire la paura che può provocare il silenzio, mentre intorno a te tutti sorridono e parlano.

Da sinistra: Leo, Jackie e Frank mentre guardano Ruby cantare al concerto del coro della scuola. Fonte: Eagle Pictures

Nonostante alcuni cliché, il film mi ha fatto ridere e versare qualche lacrima. «Ogni famiglia ha il suo linguaggio» e il mio applauso va con la scrittura e nel linguaggio dei segni a questa famiglia.

Alessia Orsa