Elezioni in Ungheria e Serbia: confermati i governi filo-Putin di Orban e Vucic

Il 3 aprile è stato un giorno particolarmente significativo per lo scenario politico europeo. Si sono svolte quasi in contemporanea le elezioni parlamentari in Ungheria e l’elezioni presidenziali in Serbia. Ed in momenti particolarmente concitati come quelli che stiamo vivendo il popolo tende a ricercare stabilità e sicurezza. Lo testimoniano le scelte dei cittadini in entrambe le nazioni: in Ungheria sarà il quarto mandato per Viktor Orban, in Serbia viene riconfermato il presidente uscente Aleksandar Vučić.

La guerra Russia-Ucraina domina il dibattito politico

Pace e stabilità“, questo lo slogan di Vucic. Scelta propagandistica vincente dato che gli ha permesso di ottenere un consenso del 58,56%. La campagna elettorale del presidente serbo tuttavia era partita con presupposti diversi: lotta alla criminalità – molto diffusa nella nazione – difesa ambientale e rafforzamento dei diritti civili. Temi che hanno inevitabilmente ceduto il passo al conflitto tra Russia e Ucraina. Il collocamento geografico dei territori balcanici non permette alla Serbia di “dormire sonni tranquilli” e la paura che le mire espansionistiche di Putin finiscano con il coinvolgerla diviene sempre più presente nella mente dei cittadini.

«Per il futuro la cosa più importante è mantenere pace e stabilità e garantire la prosecuzione del progresso economico»

Queste le parole del neo-eletto presidente che punta a collocare la nazione in uno stato mediano: se da una parte condanna il conflitto e invoca la pace, dall’altra cerca di mantenere attivo il canale commerciale con il Cremlino. La Serbia infatti non ha aderito alle sanzioni nei confronti della Russia così da mantenere intatte le forniture energetiche e i prezzi scontati su di esse. Chiaro però che permane la possibilità che, alla lunga, questa mancata presa di posizione possa arrivare ad incrinare i rapporti – già non del tutto idilliaci – con l’UE.

Aleksandar Vučić, Presidente serbo. Fonte: ilfattoquotidiano.it

Viktor Orban vince ancora, l’Ungheria lo conferma per la quarta volta

«E’ una vittoria così grande che si vede dalla Luna e di certo da Bruxelles»

Traspare molto entusiasmo dalle dichiarazioni del riconfermato presidente dell’Ungheria Viktor Orban. Non manca inoltre il riferimento all’Unione Europea che sicuramente non è entusiasta di vederlo trionfare per l’ennesima volta. Chi invece non ha esitato a congratularsi con lui tramite Twitter è l’ex ministro degli interni Matteo Salvini.

Tra gli oppositori di Orban troviamo inoltre Zelensky. Il presidente dell’Ucraina nei giorni scorsi aveva speso parole di forte disappunto nei confronti dell’ungherese accusato di essere l’«unico in Europa a sostenere apertamente Putin». Di fatto se Vucic, pur mantenendo saldi i rapporti commerciali con Putin, ha in qualche modo condannato il conflitto, Orban ha manifestato la totale neutralità dichiarando:

«Questa non è la nostra guerra, dobbiamo restarne fuori»

così facendo ovviamente si assicura un trattamento economico di favoreggiamento per ciò che riguarda l’importazione di gas e petroli russi. Resta il fatto che mostrare indifferenza nei confronti di una situazione così oscura e delicata potrebbe non giovare all’immagine del presidente dell’Ungheria. Tuttavia il consenso ottenuto è inopinabile. Infatti nonostante per la prima volta dal 2006 l’opposizione si era riuscita a coalizzare e a formare un alleanza, il partito Fidesz ha comunque vinto assicurandosi una percentuale di consenso pari al 54,6%. Il leader dell’opposizione Peter Marki-Zay ha dichiarato:

«In questo sistema ingiusto e disonesto non potevamo fare di più»

parole che fanno riferimento al presunto controllo esercitato da Orban sui mezzi di comunicazione. Purtroppo è ormai da tempo che si considerano le votazioni in Ungheria «libere ma controllate».

Viktor Orbán, presidente dell’Ungheria. Fonte: europa.today.it

Non solo vittorie per Orban

Nello stesso giorno delle elezioni parlamentari in Ungheria si è andati al voto per l’approvazione della legge che vieta la “promozione dell’omosessualità” ai minori. La consultazione non ha raggiunto il quorum. Ciò si tramuta in una sconfitta per il presidente ungherese che puntava molto sulla conferma di tale legge. Festeggiano invece le associazioni per i diritti umani come Amnesty Ungheria. Il portavoce dell’organizzazione, Áron Demeter, pochi giorni prima del referendum aveva dichiarato:

«Credo ci siano buone possibilità che il referendum sia invalidato, l’Ungheria è molto più progressista di quanto possa apparire in superficie»

Non solo le associazioni per i diritti umani ma anche Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, aveva definito tale legge «vergognosa».

Dopo le elezioni del 3 Aprile lo scenario politico europeo rimane invariato ed il fatto che molte nazioni ancora facciano fatica a “schierarsi” contro Putin per paura di perdere canali di commercio è nient’altro che l’ennesima dimostrazione di quanto potere economico e contrattuale detenga la Russia in questo momento.

Francesco Pullella

 

 

Ungheria: 17 Paesi della Ue contro la legge anti Lgbt+. Ecco le dichiarazioni

A seguito del discusso caso dell’illuminazione dello stadio di Monaco, 17 paesi dell’Unione Europea hanno stipulato un documento contro l’Ungheria e le sue politiche a sfavore della comunità Lgbt+.

Ungheria contro la legge Lgbt+ –Fonte:iodonna.it

Il 22 giugno i rappresentanti degli Stati membri dell’Ue hanno disapprovato la nuova legge ungherese che vieta di affrontare temi legati all’omosessualità in ambienti pubblici frequentati dai minori. Questi hanno perciò chiesto alla Commissione di agire contro l’Ungheria portandola in Corte di Giustizia per le misure adottate. La norma criticata anche dall’Italia è stata definita come “un’evidente forma di discriminazione”.

L’origine della disapprovazione

La disposizione rientra in una procedura disciplinare intrapresa nell’ambito dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona, circa 3 anni fa. Esso permette di punire chiunque violi l’articolo 2 volto a tutelare il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e dei diritti umani. Risulta perciò applicabile contro il Primo Ministro ungherese Viktor Orbàn che durante il suo mandato autoritario ha fortemente limitato lo stato di diritto, che è uno dei valori fondamentali su cui si basa l’Unione Europea.

I Paesi Ue firmano una dichiarazione di denuncia –Fonte:repubblica.it

Martedì scorso è così sopraggiunta la firma contro la legge anti Lgbt+ da Paesi come Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Spagna, Svezia, Austria, Cipro e Grecia. Il Portogallo non appone la firma per ragioni istituzionali, poiché è la Nazione detentrice della presidenza di turno, ma rende nota la sua posizione di appoggiare la censura contro l’Ungheria. Nonostante i primi tentennamenti dell’Italia, data dall’attesa di “chiarimenti” dall’Ungheria, si è aggiunta in un secondo momento agli altri Stati firmatari. Nella dichiarazione si esprime

“profonda preoccupazione per l’adozione da parte del Parlamento ungherese di emendamenti che discriminano le persone Lgbtq+ e violano il diritto alla libertà di espressione con il pretesto di proteggere i bambini.”

La legge ungherese

La norma presentata da Fidesz, partito di Orbàn, ha come focus quello di contrastare la pedofilia, equiparandola all’omosessualità e al cambio di genere. Gli emendamenti invece contengono una verità diversa, nel testo si legge

“Al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini, la pornografia e i contenuti che raffigurano la sessualità fine a se stessa o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni.”

Ungheria, il Parlamento cambia la Costituzione –Fonte:repubblica.it

I provvedimenti discussi, sono stati approvati dal legislativo ungherese la scorsa settimana con 157 voti a favore, raccogliendo la condanna immediata di diverse organizzazioni per la violazione dei diritti Lgbt+, tra cui Amnestry International.

Nel documento si precisa che le lezioni di educazione sessuale “non dovrebbero essere finalizzate a promuovere la segregazione di genere, il cambiamento di genere o l’omosessualità”. Si censurano così libri e film che facciano riferimento a costumi sessuali diversi dall’eterosessualità ai giovani e ai bambini, includendo titoli come “Il diario di Bridget Jones”, “Harry Potter” e “Billy Elliot”. La normativa limita anche le pubblicità che mostrano persone omosessuali o transgender come facenti parte della società normale.

La politica discriminatoria di Orbàn

Nonostante le posizioni retrograde e discriminatorie attuate già nella politica di azione di Orbàn, come il blocco all’unione omosessuale e all’adozione alle coppie dello stesso sesso, in molti sostengono che la norma discussa contenga dentro se un principio di svolta. Le proteste di migliaia di persone radunatesi davanti alla sede dal Parlamento a Budapest, perciò non sono valse all’eliminazione del provvedimento legislativo.

Ungheria, le coppie omosessuali non possono adottare figli –Fonte:rollingstone.it

Le dichiarazioni rilasciate dalla ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga, appoggiano le misure disposte nel documento, sostenendo che serviranno principalmente alla protezione dei diritti dei bambini, senza che vengano lesi i diritti di alcun membro della società. Risulta chiaro il fine volto a vietare la “propaganda” gay.

La risposta da Bruxelles

Lo scontro frontale tra Budapest e Bruxelles, si attua in guerra aperta con le istituzioni europee e con gli Stati membri. Lo strappo interno all’Unione è divenuto talmente incisivo da imporre una modifica all’agenda dei lavori dei Capi di Stato e di Governo, durante le giornate del 24 e 25 del mese corrente.

Si preannuncia un tavolo rovente che vede da un lato chi difende i Paesi dell’est e dall’altro chi li condanna. Tale situazione pone la Commissione tra due fuochi sotto l’occhio vigile del Parlamento europeo, pronto a deferire i provvedimenti da attuare alla Corte di Giustizia dell’Unione.

Non sono mancate le pressioni del Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, rivolte alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sottoscrivendo in una lettera la necessità di reazione da parte della Commissione nei tempi segnati dai trattati.

Von der Leyen –Fonte:ilfattoquotidiano.it

Ancor prima delle sollecitazioni ricevute, Ursula von der Leyen ha pubblicamente bollato l’iniziativa legislativa ungherese considerandola come una “vergogna”.

“Va contro la dignità umana, l’uguaglianza e i diritti umani. Siamo pronti ad usare tutti i poteri per garantire che i diritti di tutti i cittadini dell’UE siano garantiti, chiunque siano e dovunque vivano all’interno dell’Unione Europea.”

La risposta dell’Ungheria

Non sono mancate le accuse dell’Ungheria riguardo il processo politico applicato dalla Ue per rivendicare le legittimità giuridico e valoriale, nonostante questa agisca richiamando la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Si rifà in particolare all’articolo volto alla tutela della libertà di fondare istituti di istruzione nel rispetto dei principi democratici e il diritto dei genitori di assicurare l’educazione e l’insegnamento dei propri figli in conformità con le proprie convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, in conformità con le leggi nazionali che disciplinano l’esercizio di tale libertà e giusto.

Al vertice del Consiglio Europeo, il Presidente Charles Michel ha deciso di inserire il tema che ha riscosso un “polverone mediatico”, in modo da poter ottenere un faccia a faccia con Orbàn che con il suo comunicato di Governo ha come obiettivo quello di tenere sotto scacco l’Unione.

Legge contro i diritti Lgbt* -Fonte:euractiv.it

Nel trambusto dei mass media, la capitale dell’Ue ha deciso di colorarsi di arcobaleno. Il Parlamento europeo ha issato, presso gli edifici istituzionali, le bandiere simbolo della comunità Lgbt, invitando le sedi di rappresentanza nelle 27 capitali di fare lo stesso, per far fronte in modo unanime alla tutela di diritti fondamentali dell’uomo.

Giovanna Sgarlata

In Europa verrà istituita per la prima volta un’università cinese

Che l’influenza cinese sia divenuta, nel corso degli ultimi anni, un fattore rilevante non solo a livello economico ma anche a livello cultura è impossibile negarlo. Mai come in questo periodo  il baricentro degli interessi globali combacia in tutto o in parte con le coordinate della capitale Pechino. Qui il governo di Xi Jingping, al potere dal 2013, ha dedicato gran parte dei propri sforzi per riabilitare agli occhi del mondo l’idea di Cina investendo ingenti somme, oltre che in progetti destinati a ridisegnare il panorama degli equilibri economici e geopolitici mondiali (vedi la cosiddetta “Nuova Via della Seta”), anche nella diffusione del modello culturale cinese.

E’ in quest’ottica che dobbiamo analizzare la notizia di questi giorni circa l’apertura di una sede distaccata dell’Università Fudan a Budapest.

il Presidente cinese Xi Jingping, fonte: cfr.org

 

Un campus per 6 mila studenti nel 2024

L’Università Fudan ha sede a Shanghai ed è una delle più prestigiose università cinesi. Nel QS World University Rankings, una classifica delle migliori università mondiali, è stata posizionata al 34° posto ed è considerata sinonimo di eccellenza nel Paese orientale. La sede, secondo quanto previsto nell’accordo stipulato lo scorso mese dal governo ungherese, verrà aperta a Budapest nel 2024. Per la costruzione del campus è già stata autorizzata una donazione pari a 2,2 milioni di euro. Il progetto è di quelli ambiziosi e dovrebbe arrivare a regime ad ospitare circa 6 mila studenti ripartiti in diversi corsi di studi quali relazioni internazionali, medicina ed economia.

Sede di Shangai dell’Università Fudan, fonte: ChinaAdmissions

 

Un Ungheria più vicina alla Cina che all’Europa

Sarà la prima università cinese ad aprire in un paese dell’Unione Europea, e l’annuncio non può che mettere in evidenza i legami sempre più stretti, sia in campo economico che diplomatico, tra l’Ungheria di Viktor Orbán e la Cina di Xi Jingping. Le relazioni tra i due paesi si sono progressivamente approfondite nel corso degli ultimi anni, con una brusca accelerazione da quando alla guida dell’esecutivo ungherese si è insediato il suo attuale premier. La politica di Orbán, che si è caratterizzata per un governo di tipo autoritario, è sempre più lontana da quella dell’Unione Europea (nonostante continui a sfruttarne i fondi).

Solo l’anno scorso l’Ungheria ha accettato un prestito di quasi 2 miliardi di euro da Pechino per la costruzione di una ferrovia che unisse Budapest e Belgrado. Il tutto avvenuto con la successiva secretazione della documentazione e dei contratti stipulati. Infine, è di pochi giorni l’annuncio da parte del governo ungherese di essere vicino a un accordo per una fornitura di vaccino contro il coronavirus con la casa farmaceutica cinese Sinopharm. Sarebbe l’unico paese dell’Unione Europea a rifornirsi del vaccino cinese.

 

il Presidente Orbàn, fonte: Askanews

Il pericolo di un educazione non libera

L’annuncio dell’apertura della nuova sede dell’Università Fudan non è certamente stato accolto senza critiche. In particolare in un momento in cui la maggior parte dei paesi occidentali, tra Europa e Stati Uniti, inizia a guardare con sfavore le istituzioni accademiche cinesi. Queste ultime sono infatti tacciate di un eccessiva compromissione con il regime che governa il Paese. Molti centri culturali, che presentano varie sedi in diversi paesi, sembra fossero alle dirette dipendenze del governo di Pechino. Non mancano accuse di propaganda a favore del regime cinese e, in alcuni casi, perfino di spionaggio. É il motivo per cui negli Stati Uniti, per esempio, sono stati chiusi alcuni Istituti Confucio, istituzioni per la diffusione all’estero della lingua e cultura cinese.

La stessa Università Fudàn nel 2019 ha eliminato dai suoi regolamenti l’impegno a rispettare la “libertà di pensiero” inserendo contestualmente una clausola secondo cui la stessa “aderisce alla leadership del Partito comunista cinese e realizzerà appieno la politica educativa del Partito”.

 

Per un’Università che dai c’è un’Università che togli

Infine, è curioso come l’istituzione della sede distacca dell’Università Fudan arrivi un anno dopo la chiusura della sede di Budapest della Central European University (CEU). L’università, che al momento della decisione del governo era la migliore dell’Ungheria secondo le classifiche internazionali, era stata fondata dal finanziere e filantropo George Soros, un convinto sostenitore dell’europeismo. La chiusura è sta dovuta all’approvazione di una legge che, in teoria, puniva le università che operavano senza le dovute licenze, ma che in realtà mirava quasi esclusivamente a colpire la CEU. Questa legge, lo scorso ottobre, è stata dichiarata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea come incompatibile con il diritto comunitario.

Filippo Giletto

Ungheria, elezioni 2022: nasce l’opposizione a Orbán

L’Ungheria quest’anno si è resa protagonista di un “esperimento” particolare e a tratti surreale. A causa della pandemia mondiale, l’esecutivo ungherese ha stabilito che, per rendere più veloce ed efficace l’azione del governo contro il COVID-19, era necessario dare pieni poteri al Primo ministro Viktor Orbán. Si tratta di un nazionalpopulista ultraconservatore che ricopre la carica dal 2010. Fa parte del partito Fidesz, l’ “Unione Civica Ungherese”, di cui è anche il leader.

Il Primo ministro Viktor Orbán. Fonte: la Repubblica.

La situazione di Budapest

Il decreto di cui Orbán si è servito per esercitare i pieni poteri aveva un inizio (la fine di marzo) ma non una data certa di fine. Il 15 maggio Orbán ha dichiarato che lo stato di emergenza poteva considerarsi concluso perché l’ondata stava scemando. Il 20 giugno afferma che è pronto a restituire i poteri al parlamento ungherese ma, nel frattempo, emana decreti con cui accresce il ruolo delle contee (N.d.A. l’equivalente delle nostre province) a discapito delle città. Non si sa esattamente il perché di questa scelta, fatto sta che la maggior parte delle contee sono in mano ad esponenti del partito Fidesz mentre le città no.

Lo spostamento delle responsabilità dalle città alle province causa anche problematiche non indifferenti. La capitale Budapest, zona rossa, non è nelle mani del Fidesz e il suo sindaco progressista, Gergely Karácsony, afferma di avere le mani bloccate perché i fondi sono in mano della contea di appartenenza della città. Ciò permette la diffusione del virus perché non si è in grado di prendere immediatamente le misure necessarie a contrastarlo.

Il sindaco di Budapest Gergely Karácsony – fonte: budapestbeacon.com

Al momento la capitale è in bancarotta: il governo ungherese è pronto ad alzare la tassa annuale che Budapest e i più importanti centri urbani del paese versano allo stato poiché in questo modo si tassa i ricchi per dare ai poveri. In realtà sono i grandi centri urbani a soffrire maggiormente in questo periodo, eppure non si ha intenzione di modificare questo aumento.

Orbán e l’Unione europea

Con l’acquisizione dei pieni poteri, Orbán ha deciso di vietare il cambio sesso e non solo. Lo Stato si dichiara irremovibile per quanto riguarda la difesa dei valori cristiani e, grazie al suo governo ultraconservatore, garantisce il diritto di adottare bambini solo alle coppie spostate ed eterosessuali. Le associazioni LGBTQ+ ungheresi fanno sapere che al momento la situazione per le persone non etero è equivalente a “quella del Medioevo“. È in questo scenario che spicca l’ex eurodeputato e fondatore del Fidesz Jozsef Szajer, arrestato mentre stava fuggendo da un festino di sesso i cui partecipanti erano solo uomini.

Orbán ha inoltre inasprito le multe per coloro che diffondono fake news riguardo la situazione ungherese nel periodo pandemia.

La Commissione europea si trova invece con le mani legate: non ha gli estremi per perseguire il primo ministro e guarda da lontano la situazione in Ungheria. Il leader d’altra parte non sembra temere l’Unione europea e si avvicina sempre di più a figure contorte come il presidente serbo Aleksandar Vucic oppure a stati come Russia e Cina. Come il presidente serbo, Orbán pare interessato solo ai soldi europei, non ai suoi ideali democratici o ai valori liberali.

Jozsef Szajer, l’ex eurodeputato coinvolto in uno scandalo sessuale. Fonte: il Fatto Quotidiano.

La nascita dell’opposizione

In questo scenario conservatore, brilla però la speranza di un’Ungheria migliore. Ci si prepara alle elezioni politiche dell’aprile 2022 a cui anche Orbán ed il suo partito Fidesz sono intenzionati a concorrere. Sono contrastati da tutta l’opposizione democratica ungherese che per la prima volta decide di fare fronte comune. Sei partiti hanno deciso di unirsi e hanno siglato un accordo a riguardo. Questi partiti comprendono Momentum (liberali), Jobbik (nazionalisti), MSZP (socialisti), Dialogue (verdi) e MDF (democratici).

L’unione di questi partiti così diversi prevede la nascita di una lista nazionale comune e la presentazione di un solo candidato in ogni circoscrizione uninominale. Ci sarà un solo ed unico candidato premier che si troverà in una serie di elezioni preliminari. Al momento, i sondaggi danno l’opposizione come favorita: la lista comune ha 41%, il Fidesz 39% e gli astensionisti sono in discesa. Ciò che accomuna questi sei partiti è l’obiettivo di porre fine al governo corrotto dei conservatori e ristabilire le libertà e le indipendenze da loro tolte.

Fonte: Askanews

Sarah Tandurella

D’Arrigo su Viktor Orbàn: “Le manovre a tempo indeterminato non sono nel novero dei principi comunitari”

Già Direttore Generale dell’Agenzia Nazionale dei Giovani (2013-2018), classe 1976 di Nizza di Sicilia, Giacomo D’Arrigo, fondatore nel 2007 di ANCI Giovane, la rete degli amministratori under 35 dei Comuni italiani, dalla seconda metà del 2019 è presidente della Fondazione Erasmo, il cui scopo è condividere e valorizzare i diritti alla mobilità su scala continentale e le politiche pubbliche europee. Ci ha concesso una chiacchierata per chiarire la questione ungherese, nel contesto dell’emergenza sanitaria da COVID-19 in Europa.

In Ungheria si è deciso democraticamente di attribuire pieni poteri al primo ministro Viktor Orbàn, sotto controllo del parlamento ma senza specificare alcun limite temporale. Se il mezzo utilizzato è democratico, il risultato lo è altrettanto?

Mi sembra evidente come questa decisione sia in contrasto con quelli che sono i principi fondativi dell’Europa. Il respiro dell’Unione rimanda a concetti quali la libertà, il pluralismo e soprattutto la supremazia dello stato di diritto. Quindi non vedo come manovre a tempo indeterminato possano stare nel novero dei principi comunitari. Non a caso, proprio la scorsa settimana sui temi che riguardano il rispetto di regole e principi, la Corte di Giustizia Europea ha condannato Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca rispetto all’utilizzo improprio dei fondi per i migranti. Sia il presidente del parlamento europeo David Sassoli, sia altri esponenti politici di tutto lo spettro dei partiti presenti al Parlamento di Strasburgo hanno chiesto ad Orbàn di chiarire e rivedere questa decisione; ben 12 partititi nazionali aderenti al suo stesso gruppo parlamentare europeo ne ha chiesto l’espulsione. 

Pensi che Orbàn avesse premeditato questa mossa così radicale, oppure si è semplicemente limitato a cogliere la giusta occasione ?

Questo è sempre difficile da capire; credo un insieme delle due cose. Secondo me c’era già una predisposizione, ed è riuscito a prendere il palla al balzo sfruttando la situazione creatasi con l’emergenza sanitaria.
 
Concretamente, che mezzi ha l’Europa per opporsi ad una deriva come questa? Pensi abbia intenzione di farlo?
 
Me lo auguro vivamente. Spero e penso che ci saranno dei provvedimenti. l primi segnali sono andati in questa direzione. Il fatto che siano intervenuti il presidente del parlamento europeo ed i vertici dei vari partiti fa ben sperare. Ha ragione il presidente Prodi quando dice che questa è una situazione in cui l’Europa può sfruttare l’occasione per fare un salto in avanti e rafforzare la sua dimensione comunitaria la forza rispetto alla deviazione manifestata da Stati membri.
 
Ospite d’onore sul palco di Atreju, invitato da Fratelli d’Italia, Viktor Orbàn ha detto di Giorgia Meloni: <<In Ungheria sarebbe considerata “di centro”, io sono più a destra>>. Come giudichi le reazioni dei suoi alleati italiani dopo questa presa di potere? E quelle del resto della classe politica italiana?
 
I sovranisti hanno questo limite: è difficile spiegare perché gli ungheresi non debbano dire “prima gli ungheresi” quando il meccanismo è identico a quello adottato in Italia. Non è un caso che i problemi principali nella dimensione Europea provengano dai leader sovranisti e dai partiti che esprimono una forte presenza sovranista, non soltanto ora nell’epidemia ma anche ma anche in altre crisi come ad esempio quella dei migranti. Rispetto alla presa di distanza da Orbàn mi aspetto che Salvini e la Meloni dicano parole chiare su questo. Non prendere una posizione significherebbe legittimare di ungheresi contro l’Italia.
 
La pandemia di COVID-19 ha messo in evidenza tutte le lacune del Sistema Europa con una enfasi che mai ci saremmo aspettati. Siamo forse di fronte alla crisi terminale dell’Unione Europea ?
 
La pandemia ha fatto emergere la stessa confusione che viene fatta da troppi anni ossia: confondere l’Unione Europea con gli Stati che compongono l’Europa. Seppur in maniera lenta e macchinosa l’Unione Europea ha risposto: la BCE dopo lo scivolone della Lagarde sta comprando il debito di tutti i Paesi; la Commissione Europea ha sospeso il Patto di stabilità; è stata varata la Cassa Integrazione europea da Gentiloni; è stata fatta la centrale unica degli acquisti sanitari a livello europeo; è stata implementata la ricerca sanitaria per il vaccino; sono tutt’ora in corso manovre per rimpatriare i cittadini europei che sono fuori dai confini a spese dell’Unione. Quindi ripeto l’Unione Europea, tolta la prima settimana di incertezza, ha poi risposto; a non fare altrettanto sono invece gli stati membri.
 
Questa è la crisi più grande che l’Europa abbia mai affrontato nei suoi 70 anni di vita, e arriva in quest’ultimo decennio in cui l’UE ha già affrontato altre crisi quali: la crisi terroristica degli attacchi terroristici diffusi, la crisi dei migranti, la Brexit e la crisi sanitaria da COVID-19. Oggi l’Europa ha l’occasione di fare un salto in avanti per strutturare meglio la dimensione comunitaria, altrimenti rimanere così come si è: qualcosa in più di un conglomerato di Stati ma non una dimensione politica completa. Di fatto in questo modo siamo in balia della disponibilità e degli aiuti di altri grandi potenze come la Cina, gli Stati Uniti e la Russia. Tutte queste crisi, ultima la pandemia, ci dimostrano come nel mondo ci siano problemi talmente grandi da non poter essere affrontati singolarmente da nessuno Stato europeo ma insieme.
 
Allora come immagini l’Europa post COVID-19?
 
Non è più tempo di un generico richiamo all’unità, sarebbe limitativo. Sicuramente va maggiormente responsabilizzata la Commissione Europea, assegnando risorse e governance di politiche pubbliche (che oggi sono in mano ai singoli Stati), e certamente va intrapresa una armonizzazione fiscale per uniformare e dare forza centrale. Se l’Europa vuole essere un soggetto realmente competitivo su scala globale deve avere un profilo politico, di governance e di organizzazione degno di questa dimensione.
 
Alessio Gugliotta
 

L’UE preoccupata per la deriva autoritaria di Orbán in Ungheria

Il Parlamento Ungherese ha approvato, con 137 voti favorevoli e 53 contrari, una legge che attribuisce al Primo Ministro Viktor Orbán poteri eccezionali per un tempo indeterminato al fine di fronteggiare la minaccia rappresentata dal Covid-19.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sta monitorando la situazione ungherese poichè si è detta molto preoccupata che queste misure vadano oltre e, in tal caso, l’UE dovrà agire. A seguire ben 14 Paesi – Italia inclusa –  in una lettera firmata hanno sottolineato e ribadito il rischio di una violazione dei principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali.

Perché?

Una doverosa premessa: anche in altre esperienze europee, compresa quella italiana, è costituzionalmente previsto il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo come metodo per fronteggiare situazioni eccezionali che possono arrecare un pregiudizio allo Stato. A tali poteri – che devono essere proporzionali alla minaccia e temporalmente limitati – devono essere contrapposti gli adeguati strumenti di supervisione da parte dell’organo preposto a rappresentare i cittadini: il Parlamento.

Nel caso dell’Ungheria il discorso è diverso dato che la legge recentemente approvata riconosce in capo al Primo Ministro poteri sostanzialmente illimitati controbilanciati da meccanismi parlamentari di difficilissima attuazione. Il tutto va analizzato tenendo in considerazione come fin dal 2010, anno della sua nomina a Primo Ministro, Viktor Orbán abbia progressivamente attuato un piano di svuotamento di alcuni diritti e libertà fondamentali per rafforzare la propria leadership e la maggioranza del suo partito, Fidesz, all’interno del Parlamento Ungherese.

I leader di 14 partiti nazionali inseriti nel Partito Popolare Europeo hanno chiesto con una lettera a Donald Tusk l’espulsione del Fidesz di Viktor Orbàn dalla più grande politica dell’Ue. Si legge nel testo della lettera:

Il virus non può essere usato come pretesto per estendere indefinitamente lo Stato d’emergenza. Temiamo che il primo ministro Orbàn userà i suoi nuovi poteri per estendere il controllo del governo sulla società civile”.

La prima “vittima” dei nuovi poteri del premier è la comunità LGBT: da ieri le autorità ungheresi non potranno più registrare sui documenti di identità il nuovo gender di qualsiasi persona che si sia sottoposta al cambio di sesso escludendo di fatto tali individui all’accesso a ogni beneficio per le famiglie. Ciò rappresenta una misura discriminatoria in assoluta controtendenza con lo spirito innovatore delle pronunce della CEDU degli ultimi anni e sottolinea maggiormente come, quella del Covid-19, non fosse null’altro che un pretesto per promulgare leggi figlie di una mentalità tutt’altro che attuale.

Si tratta dell’ennesimo smacco nei confronti di Bruxelles da parte di uno dei Paesi che maggiormente ha beneficiato dei finanziamenti provenienti dall’Unione Europea fin dalla sua adesione nel 2004 in concomitanza con quelle di Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Insieme a quest’ultime costituisce, infatti, il cosiddetto Gruppo di Visegrad, divenuto nel corso degli ultimi anni punto di riferimento delle politiche euroscettiche e volutamente ostruzionistiche verso l’UE. Basti ricordare la ferma opposizione nei confronti delle decisioni, risalenti al settembre 2015, concernenti il ricollocamento delle quote dei migranti che al tempo non trovarono seguito e che sono state oggetto della recente sentenza della Corte di Giustizia Europea.

Ciò che accade in Ungheria deve essere un campanello di allarme poiché costituisce la prima svolta autoritaria all’interno dell’Unione Europea. Sebbene, infatti, l’entrata all’interno dell’Unione sia possibile solamente con il superamento di controlli molto rigidi e il rispetto di precisi criteri di democraticità, trasparenza e libertà, l’incapacità della stessa di prevenire o bloccare sul nascere svolte autoritarie successive. Attualmente il TUE (Trattato sull’Unione Europea) prevede unicamente la sospensione del diritto di voto per quegli Stati che violano in maniera grave e persistente i valori dell’Unione ma per azionare questo meccanismo “sanzionatorio” si rende necessaria l’assenza in seno al Consiglio Europeo del minimo sostegno per lo Stato membro sotto accusa. Cosa, come abbiamo visto, difficile data la vicinanza dei Paesi di Visegrad.

La questione si inserisce tristemente in un contesto politico-comunitario che vede l’incapacità dei paesi europei di elaborare una strategia comune nonostante la gravità del momento che si concretizza in politiche completamente in controtendenza da paese a paese. Non ultima la decisione della Svezia che – contrariamente all’Ungheria – ha rinunciato per ora ad ogni misura di restringimento delle libertà personali e ha deciso di lasciare che i suoi cittadini siano liberi di riprendere le loro attività quotidiane con solamente alcune limitazioni.

Il tutto, dunque, deve fare riflettere sull’endemica debolezza dell’Unione Europa di garantire quei diritti e valori di cui vuole e deve essere garante.

Filippo Giletto