Samir e il mare

Samir non era più Erik da qualche mese ormai. La primavera precedente, infatti, aveva avviato le procedure per il cambio di nome. Avrebbe descritto quel momento come l’istante in cui si era concesso una vita nuova.
La verità, però, era che di quel fatto non parlava. Era un uomo senza passato, come coloro che lo accompagnavano in quella che era ormai diventata la sua quotidianità.

Le giornate si susseguivano celeri e il sudore si mischiava alla salsedine del mare.
Samir voleva fare questo da tutta la vita. Da bambino aveva visto un documentario sui pescatori del mare del Nord e da allora quell’immagine era rimasta nella sua mente. Quegli uomini gli apparivano come qualcuno da imitare. Ne vedeva la forza di coloro che vanno contro la natura.
Crescendo, però, aveva preferito scegliere la sicurezza di una vita normale. Aveva studiato col solo obiettivo di trovare un buon lavoro e avviare una famiglia. Si era innamorato e sposato.
Ben presto, però, si era accorto che qualcosa non andava. Lui e sua moglie litigavano in continuazione e, passato appena un semestre, si guardavano già l’un l’altro con noia.
Dopo il secondo anno fu il silenzio. Non avevano più voglia di addentrarsi nella mente dell’altro, quindi si parlava solo della normale amministrazione della vita familiare.
Nei mesi successivi perse il lavoro e sua moglie.
Lei abbandonò la sua vita in seguito a un divorzio consensuale. Erano ancora giovani e non aveva senso combattere per qualcosa che non funzionava.
La ditta per cui lavorava fallì qualche tempo dopo lasciando che lui e gli altri dipendenti perdessero l’unica sicurezza che avevano.
Iniziò il periodo incerto del lancio del curriculum, ma dopo qualche mese questo non era stato afferrato da nessuno.
Fu in quei giorni che passando dalla via del mare si diresse verso il molo a guardare le onde della tempesta. Si accorse di aver perso qualcosa: in lui non c’era più l’oceano. Non vi era più un tumulto che riuscisse a scuoterlo. Sarebbe andata bene anche una piccola scintilla negli occhi a causa di un gabbiano che gli volava accanto. Il vuoto, invece, sembrava ricoprirlo.
Un moto di rabbia si diramò nel suo corpo. Dove aveva sbagliato? Quando esattamente si era autosomministrato la pillola che lo aveva reso un’ombra vivente?
Rimase sul molo fin al tramonto e decise di ricominciare dal mare.
Abbandonò quel poco che gli era rimasto della sua squallida esistenza e divenne il nuovo membro di un peschereccio.
Credeva di aver dato la svolta definitiva alla sua vita. A distanza di qualche mese dal giorno dell’assunzione, invece, si pentiva di nuovo di una sua scelta.

Sulla nave non vi era una netta distinzione tra giorno e notte. Si lavorava quando si doveva e nelle poche ore rimaste ci si abbandonava a un sonno galleggiante e tumultuoso.
Vi erano giorni in cui Samir sentiva gli occhi ardere e guardandosi allo specchio vedeva come questi lo osservavano rossi e pieni di vene. In compenso, però, non soffriva più la nausea.
La prima volta che aveva messo piede su quella nave non si aspettava che quel continuo oscillare gli avrebbe dato chissà quanto fastidio. Era bastata qualche ora e il primo maleodorante pescato perché si ricredesse. Lo avevano mandato nella stiva a pulire le interiora di quanto raccolto. I suoi colleghi erano svelti: un taglio netto, una mano nelle budella e il pesce risultava già pulito. Lui aveva provato a imitarli e per un po’ di tempo era anche andata bene. Il problema più grande era l’olezzo che si levava da quella massa di cadaveri squartati. Dopo appena un quarto d’ora aveva chiesto che gli fossero concessi cinque minuti fuori, all’aria aperta, e mai aveva respirato con così tanta gratitudine.
Adesso si sentiva solo stanco, i ricordi infantili dei pescatori del Nord erano persi.
Con le mani insanguinate e puzzolenti si chiedeva se fosse questa la vita che desiderava; tirando le reti con tutta la forza che aveva in corpo si diceva di non poter accettare di aver sbagliato ancora.
“Mettete in sicurezza la stiva e la cabina di comando” urlò il capitano dell’imbarcazione. Samir guardò di fronte a sé, pronto ad osservare il cielo scuro e il mare agitato. Gli ordini del comandante, infatti, erano quelli da mettere in atto in caso di bufera. In ciò che osservava, però, non ve ne era traccia. A parte qualche nuvola sembrava una bella giornata.
“Deve aver sentito qualcosa nel vento” pensò e si adoperò a fare quanto gli era stato detto. La nave tornò indietro, verso il porto.
Nella loro calma frettolosa stavano cercando di fare tutto e al meglio. Samir mal sopportava l’ansia di quel cielo che di minuto in minuto si chiudeva ai raggi del sole. Il mare iniziava a gonfiarsi. Di contro assaporava rapido la sua adrenalina. Questa sensazione nuova lo inebriava, era una prova concreta della sua esistenza.
Giunsero alla terra ferma quando quell’ammasso d’onde cominciava a diventare insaziabile e, borbottando, divorava il cielo a morsi d’acqua e sale.
Ormeggiarono la barca in un posto diverso da quello della loro partenza e balzarono via a toccare di nuovo terra.
Al sicuro, con solo la pioggia a bagnarli, osservarono la loro nave combattere contro quel gigantesco mostro. Ogni onda che la colpiva era uno schiaffo che la spostava da un lato. Galleggiava, lasciandosi avvolgere a tratti dall’acqua, eppure rimaneva intatta. Proprio quando sembrava che l’onda l’avrebbe inghiottita la nave la divideva: una parte gli passava sotto, mentre l’altra la copriva. Lei rimaneva quasi integra, al centro della tormenta.
“Siamo stati fortunati a trovare un posto dove attraccare, ma in futuro capiterà di dover affrontare il maltempo in mare aperto” disse il capitano a Samir, unico novizio dell’equipaggio.
Samir si chiedeva se fosse questa la fortuna. In quei giorni non avevano pescato praticamente nulla ed era un miracolo che la nave non fosse ancora affondata mentre loro inermi la guardavano. I soldi del carburante sprecato, gli stipendi di tutta la truppa e le riparazioni che adesso andavano fatte sembravano impossibili da sostenere.
Passò circa un’ora e il cielo si riaprì in un processo inverso al precedente, il mare si acquietò, come se avesse finito l’ira che prima lo scuoteva. Tornarono a casa.

Quando la nave tornò a squarciare le onde Samir osservò come l’acqua rifletteva il sole, il vento gli scuoteva i capelli. Avrebbero raccolto un buon pescato, ne era certo. Nei suoi occhi c’era la speranza che avrebbero raccolto pesce a sufficienza anche per ripagare i danni della volta precedente.
Adesso le domande sul suo futuro erano sparite. Rimanevano lui e il mare a osservarsi da vicino, a specchiarsi l’uno nell’altro. Doveva guadagnarsi questa nuova giornata e prepararsi alla prossima tempesta.

Alessia Sturniolo

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia*

Può una chiamata provocare un tumore?

Recentemente un dipendente di Telecom si è ammalato di neurinoma, un tipo di tumore benigno a carico del sistema nervoso. Purtroppo una volta sottopostosi all’asportazione del nervo acustico, è diventato sordo. La persona in questione ha visto riconosciuto il danno professionale e ottenuto un risarcimento, in quanto il tribunale di Ivrea ha ritenuto plausibile il collegamento tra l’uso intenso del cellulare per lavoro e l’insorgere del tumore. Pochi giorni dopo il tribunale di Firenze è arrivata a simile conclusione per un altro lavoratore. In passato c’è stata un’altra sentenza simile risalente al 2009 a Brescia.

Innanzitutto c’è da dire che una sentenza di tribunale non è un riconoscimento scientifico: dopo queste sentenze non abbiamo nessun elemento in più per valutare se esista o meno una correlazione tra l’uso dei cellulari e i tumori. I giudici decidono con criteri differenti da quelli scientifici, la domanda a cui devono rispondere è se la persona danneggiata dal tumore abbia o meno diritto ad un indennizzo, o all’invalidità professionale, cosa che dipende solo parzialmente dalle nostre conoscenze sul legame causale.

Il principale lavoro di rassegna sull’argomento è quello svolto dall’IARC, che, nel 2013, ha classificato le esposizioni alle onde radio dei telefoni cellulari come “possibili cancerogeni” (categoria 2b). L’articolo analizza in dettaglio tutti gli studi disponibili, sia epidemiologici sia su animali che in vitro, trovando una debole evidenza relativa a due tipi di tumori, il glioma e, appunto, il neurinoma acustico.

Su quasi un centinaio di studi analizzati dall’IARC, metà dei quali scartati per scarsa qualità, solo pochissimi mostrano un aumento dell’incidenza di tumori. Questi sono stati svolti indipendentemente e il gruppo di ricercatori ha ottenuto gli stessi risultati solo in alcuni dei lavori. Gli studi in vitro non mostrano in generale effetti, se non a potenze molto elevate, in grado di produrre un riscaldamento apprezzabile dei tessuti.

C’è da aggiungere che non esiste alcun effetto fisico noto che possa giustificare un’azione delle onde radio, alle frequenze alle quali siamo più esposti, sui tessuti viventi e sul DNA, che dovrebbe essere alla base dei risultati osservati nei pochi studi che ne evidenziano.

Per tutte queste ragioni l’IARC ha ritenuto che gli studi in vitro o su animali non forniscano evidenze utilizzabili per valutare la cancerogenicità delle onde radio, e si è focalizzata sugli studi epidemiologici. Di questi, i soli che hanno mostrato alcuni effetti, sono relativi al neurinoma e al glioma.

In sintesi il centro di ricerca ha constatato che esiste una possibilità che il cellulare causi un neurinoma (o un glioma), ma è improbabile che questa possibilità sia reale. Nelle conclusioni si sottolinea inoltre che la decisione sulla classificazione come “possibile” (ma non “probabile”) cancerogeno è stata presa a maggioranza, con una consistente minoranza che optava per una classificazione in categoria 3, “cancerogenicità non valutabile”. Questi ricercatori sottolineavano come tutti gli studi di popolazione mostrano che tutti i tumori considerati, inclusi i neurinomi, non sono assolutamente aumentati nel tempo, nonostante la rapida diffusione dell’uso dei cellulari.

Va sottolineato come la valutazione dell’IARC si riferisca solo al collegamento tra uso intenso del cellulare e alcuni tumori cerebrali, in pratica solo il glioma e il neurinoma. Sono esclusi gli effetti dovuti a wireless, wifi, ripetitori, bluetooth, e anche l’uso normale del cellulare, e tutti i tumori differenti da quelli esplicitamente indicati. Ovviamente questo non ci deve in alcun modo far arrivare a conclusione che tali onde causino tumori cerebrali.

In generale non vi è alcuna  conoscenza sui possibili effetti, al nostro organismo, causati da questa enorme mole di nuove tecnologie. Queste si stanno diffondendo molto velocemente e sempre di più le utilizziamo quotidianamente. Unico modo per poter evitare un’eccessiva esposizione è la presa di alcuni accorgimenti: utilizzare il cellulare attraverso gli auricolari e utilizzarlo in ambienti in cui il segnale sia alto, così da minimizzare le onde rilasciate dallo strumento. Infine non fa di certo male smettere di utilizzarlo in continuazione: a pranzo, al cinema, durante una passeggiata, al bar, al mare…ogni tanto cercate di dimenticarlo.

Francesco Calò