Omicron, la nuova variante proveniente dal Sudafrica che spaventa il mondo

È stata ribattezzata Omicron la variante del Covid 19 proveniente dal Sudafrica e che da un paio di giorni ha su di se l’attenzione degli esperti dell’Oms. Secondo i primi dati sarebbe capace di molte mutazioni e per questo si teme essere resistente agli anticorpi e ai vaccini. L’Europa già si blinda in via precauzionale: l’Italia, come altre, ha chiuso le frontiere con sette stati africani.

Dal Sudafrica: è una grave minaccia

Nel giro delle sole 24 ore di mercoledì il numero di infezioni in Sudafrica ha raggiunto quota 1.200 rispetto alle 106 di inizio mese. Finora nota semplicemente come B.1.1.529, è stata immediatamente indicata dalle autorità sudafricane come una «seria preoccupazione» e potenzialmente «una grave minaccia». Già prima del rilevamento della nuova variante era stato previsto l’arrivo nel paese sudafricano di una quarta ondata in concomitanza delle festività natalizie. L’allarme è stato diramato dall’Istituto nazionale per le malattie trasmissibili (NICD) che ha affermato che il numero di casi rilevati e l’indice di positività sono aumentati rapidamente, specialmente nella provincia di Gauteng dove si trovano la capitale economica Johannesburg e quella amministrativa Pretoria.

Attenzione massima su sette paesi sudafricani

L’allarme, proveniente dagli scienziati africani, non è caduto nel vuoto. Tra i primi ad annunciare immediate contromisure vi è stato il Regno Unito. Il segretario della salute britannico Sajid Javid ha annunciato che dalle 12 di giorno 26 novembre sono stati sospesi tutti i voli proveniente da: Sudafrica, Namibia, Lesotho, Eswatini, Zimbabwe e Botswana. Una scelta, questa, che è stata definita dal ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor come “affrettata”. «La nostra preoccupazione immediata è il danno che questa decisione causerà sia alle industrie del turismo, sia alle imprese di entrambi i paesi», ha dichiarato il ministro degli Esteri, chiedendo alle autorità britanniche di riconsiderare la loro decisione.

La medesima linea è stata però adottata da altri paesi dell’eurozona e non solo. La Germania ha disposto la sospensione dei voli dal Sudafrica con l’unica eccezione di quelli che riporteranno in patria i cittadini tedeschi. Anche l‘Italia, come detto sopra, ha chiuso le frontiere. Rafforzamento dei controlli anche da parte di Giappone, India, Singapore, Australia e Nuova Zelanda.

Intanto su Twitter la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato «in stretto coordinamento con gli Stati membri, di interrompere i voli dalla regione dell’Africa meridionale a causa della variante B.1.1.529».

Primi casi in Belgio e in Israele

Mentre la notizia della serietà della minaccia rappresentata dalla nuova variante inizia a diffondersi, la sua presenza in Europa è già stata resa nota. I media belgi hanno confermato il primo caso nel vecchio continente: si tratta di una giovane adulta, non vaccinata e non infettata in passato, che ha sviluppato i sintomi 11 giorni dopo aver viaggiato in Egitto attraverso la Turchia. Non sembra essere stata in contatto diretto con il Sudafrica o con qualsiasi altro paese del sud del continente africano. A far scattare l’allarme dei medici la presenza di una carica virale elevata al momento della diagnosi.

Notizie di contagi provengono anche da Israele. Il premier israeliano Naftali Bennet, in conferenza stampa alla fine della riunione di governo, ha informato che «Abbiamo un caso accertato, un cittadino proveniente dal Malawi, 3 sospetti e forse ce ne sono altri».

 

Le caratteristiche della nuova variante

A preoccupare particolarmente della variante Omicron è il numero di mutazione. Già l’anno scorso, sempre in Sudafrica, era emersa la variante Beta del virus che venne però presto soppiantata per trasmissibilità dalla variante Delta di origine indiana. Secondo gli scienziati, Omicron possiede almeno 32 mutazioni rispetto alle due della variante Delta e alle tre della Beta. La vera domanda è quindi se, in forza delle differenze con le precedenti varianti, i vaccini attualmente presenti continueranno ad essere efficaci e a tutelare contro i possibili nuovi effetti negativi.

Filippo Giletto

 

 

Una decisione storica dell’Onu sulla legalizzazione della cannabis

fonte: il fatto quotidiano- la cannabis esce dalla tabella Onu degli stupefacenti.
La cannabis tolta dalla tabella Onu degli stupefacenti (fonte: ilfattoquotidiano.it)

La Commissione delle Nazioni Unite sugli stupefacenti, ieri, 2 dicembre, ha preso una decisione storica. Ha riconosciuto ufficialmente le proprietà terapeutiche della cannabis, attraverso un voto tenutosi a Vienna. Secondo l’agenda, ci si doveva esprimere con il voto su 6 raccomandazioni che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha adottato anni fa e con le quali si vuole ricollocare la cannabis all’interno delle quattro tabelle che, dal 1961, al loro interno contengono una classificazione di piante e derivati psicoattivi in base alla loro pericolosità.

Le antiche origini della cannabis

La Cannabis ha una storia molto antica alle sue spalle. Nel corso del tempo, l’uomo ha imparato ad utilizzarla in vari modi e per diverse finalità. Grazie alle molteplici peculiarità delle diverse varietà, siamo passati dalla realizzazione di corde, permessa dalle fibre resistenti che contraddistinguono le varietà dal fusto lungo, all’utilizzo nella carta stampata – si pensi a Gutenberg, ideatore della stampa a caratteri mobili, che stampò le prime copie della Bibbia proprio su carta di canapa. Non solo, già secoli fa, il popolo cinese utilizzava gli estratti di canapa come analgesici contro dolori  mestruali e reumatismi, a dimostrazione delle proprietà terapeutiche delle piante, sfruttate anche in occidente fino alle fine dell’800.

Cannabis, sì o cannabis, no?

Nel corso degli anni, sono stati diversi e contrastanti i pareri riguardo la cannabis. Per prima, la California ha legalizzato la medical marijuana, cioé l’uso della pianta per scopi medici. Fu seguita da oltre 30 Stati, alcuni dei quali ne permisero la prescrizione terapeutica, mentre altri l’hanno legalizzata completamente, dunque anche per scopo ricreativo. La cannabis utilizzata per entrambi gli scopi interessa al momento pochi Paesi come il Canada, Uruguay, Bangladesh. Quest’ultimo è sprovvisto di una legge, una regolamentazione, al riguardo, per cui viene considerato legale sia la produzione che la vendita. In Europa si procede molto più lentamente. In Italia, il consumo ricreativo è stato soggetto a forti depenalizzazioni, ma restando illegale, mentre è consentito il consumo medico con prescrizione. C’è da sottolineare, comunque, che in diversi Paesi del mondo, l’uso della cannabis resta illegale e non reperibile, se non nel mercato nero. Ad esempio, in Belgio l’uso di cannabis rimane illegale in tutte le sue forme.

(fonte: associazionelucacoscioni.it)

La cannabis viene tolta dalla tabella 4

Con la decisione di ieri, la cannabis viene tolta dalla tabella 4, ovvero quella in cui sono collocate le sostanze ritenute più pericolose come eroina e cocaina. L’Unione europea si è espressa all’unanimità – ad eccezione della sola Ungheria – nella decisione presa, schierandosi a favore della declassificazione della sostanza dalla tabella e riconoscendone il valore terapeutico a beneficio della cura del morbo di Parkinson, della sclerosi, dell’epilessia, del dolore cronico e del cancro. Anche gli Stati delle Americhe si sono espressi favorevoli, mentre i Paesi asiatici e africani si sono dimostrati contrari. Marco Perduca, dell’Associazione Luca Coscioni, attiva a livello internazionale a tutela del diritto alla scienza e alla salute, il quale coordina la campagna “Legalizziamo!” ha dichiarato:

“La decisione di oggi toglie gli ostacoli del controllo internazionale, imposti dal 1961 dalla Convenzione unica sulle sostanze narcotiche, alla produzione della cannabis per fini medico-scientifici

 

Il caso di Walter De Benedetto e l’appello al Presidente Mattarella

(fonte: associazionelucacoscioni.it)

Come detto, nel nostro Paese è consentito l’utilizzo di cannabis a scopi terapeutici per pazienti sopra i 13 anni, sotto prescrizione medica. Capita, però, che il bisogno del farmaco è superiore alla sua produzione o importazione. Il difficile reperimento da parte dei pazienti ha portato ad alcune conseguenze come la diffusione dell’autoproduzione. Tra i casi più celebri abbiamo quello di Walter De Benedetto, affetto da una malattia neurodegenerativa, indagato per coltivazione di sostanza stupefacente in concorso. Walter è stato indirettamente indotto, suo malgrado, a procurarsi il farmaco da solo, proprio da quel sistema che ora lo accusa. Comunque, grazie all’aiuto della campagna “Meglio Legale”, si è appellato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, chiedendo che venga rispettato il diritto alla cura stabilito dall’articolo 32 della nostra Costituzione.

Eleonora Genovese

Trump vuole ritirare gli USA dall’OMS nel 2021. Ma i dem dicono no

Viva Trump che toglie la paghetta all'Oms filocinese - Giovanni ...

Con la notifica formale al Congresso, e al Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, il presidente Usa Donald Trump ha ufficialmente ritirato gli Usa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, accusata dal tycoon di inefficienza e di appiattimento sulle posizioni della Cina durante la pandemia di Covid-19. La data di uscita, al termine della procedura prevista, è il 6 luglio 2021, nel frattempo gli Stati Uniti dovranno rispettare impegni e obblighi finanziari. Il bilancio annuale dell’OMS è di circa 6 miliardi di dollari, che provengono dai paesi membri di tutto il mondo. Nel 2019 gli Stati Uniti hanno contribuito con più di 400 milioni di dollari, circa il 10 per cento dei finanziamenti totali. Una sospensione potrebbe dunque avere conseguenze molto pesanti. Oggi, l’amministrazione Trump ha formalmente inviato un avviso al Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, ha detto un portavoce del Dipartimento di Stato. Il ritiro sarà effettivo tra un anno e Joe Biden, il probabile avversario democratico di Trump alle presidenziali del 3 novembre prossimo (vedi il nostro precedente articolo), è praticamente certo di scongiurarlo e di rimanere nell’OMS se vincerà le elezioni di novembre.

 

https://www.facebook.com/joebiden/posts/10157194265531104

 

I parlamentari Dem hanno accusato Trump di aver cercato di distogliere le critiche dalla sua gestione della pandemia negli Stati Uniti, che ha subito di gran lunga il più alto numero di morti di qualsiasi nazione. “Chiamare la risposta di Trump al coronavirus caotica e incoerente non le rende giustizia“, ha detto il senatore Robert Menendez, il massimo esponente democratico della commissione per le relazioni estere. “Questo non proteggerà le vite o gli interessi americani – lascia gli americani malati e l’America da sola“, ha scritto su Twitter.
(Fonte Rai News)

 

 

Le accuse di Trump all’OMS proseguono da tempo: il 14 aprile il presidente degli Stati Uniti aveva annunciato di voler sospendere temporaneamente i finanziamenti all’Organizzazione mondiale della sanità, in attesa di un’indagine che ne verificasse «il ruolo nella cattiva gestione e insabbiamento della diffusione del coronavirus». La principale accusa del presidente americano era poi che pur essendo in gran parte finanziata dagli Stati Uniti l’organizzazione avesse avuto un’attenzione particolare per la Cina. A maggio era tornato a minacciare l’interruzione dei rapporti dicendo che l’OMS non aveva saputo affrontare adeguatamente l’emergenza coronavirus perché sotto il «totale controllo» della Cina.
(Fonte Il Post)

Dunque non ci resta che aspettare le prossime elezioni per capire se realmente il tycoon riuscirà a estromettere gli Stati Uniti dall’OMS che nel 1948 aveva contribuito a fondare.

 

Santoro Mangeruca

Lo sviluppo cognitivo in quarantena: i videogames

Come ormai sappiamo tutti, l’economia italiana sta affrontando un periodo inaspettato e mai vissuto prima.

Quasi tutte le piccole e grandi industrie sono messe alle corde e cercano una soluzione per uscire anche economicamente da questo tunnel.

Tuttavia, una delle poche economie che tende a non fermarsi, in Italia come nel resto del mondo, è quella legata ai videogiochi.

In Cina, in cui il peggio sembra essere ormai passato, c’è stato un incremento del 39% nel solo mese di febbraio riguardanti i download di app dedicate al mondo dei videogiochi per smartphone e dispositivi portatili. L’app store si è visto aumentare del 62% il traffico da scaricamento per giochi mobile.

La quarantena obbliga tutti a restare in casa ed i videogiochi vengono visti come un ottimo passatempo.

Inoltre, come spiega Ray Chambers, Ambasciatore dell’Oms per la strategia globale“L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo in risalto l’efficace potere terapeutico dei videogiochi in questo periodo”, spiegando che essi, in particolar modo quelli con accesso online, permettono alle persone di distrarsi e di restare a contatto nonostante la quarantena.

#PlayApartTogether è l’hashtag lanciato dall’OMS in collaborazione con le maggiori industrie di giochi.

 

E’ stato riscontrato scientificamente che i videogiochi fanno molto bene al nostro cervello.

I videogiocatori infatti sono in grado di ottimizzare l’utilizzo delle proprie risorse mentali (percezione, attenzione e memoria) per risolvere problemi o prendere decisioni in tempi rapidi.

Questi miglioramenti si hanno in quanto spesso nelle realtà virtuali si è soggetti a dover compiere più azioni nello stesso lasso di tempo o in una rapida successione.

Molti gamers possiedono una capacità elevata nell’identificare rapidamente un singolo oggetto, in un contesto estremamente popolato di fonti di distrazione, e di seguirlo con lo sguardo anche in presenza di elementi visivamente molto simili.

Anche sul piano lavorativo i videogiochi possono portare dei vantaggi, soprattutto in ambiti in cui è richiesto un alto livello di attenzione, una buona coordinazione mano-occhio, un’ottima memoria operativa e processi decisionali accelerati.

A proposito di ciò, due ricerche hanno rivelato che la gran parte dei giovani chirurghi con un passato o presente da giocatori seriali mostrano abilità superiori rispetto ai colleghi che non hanno esperienze virtuali.

I videogiochi sono uno strumento terapeutico per il trattamento di molti disturbi legati alle abilità visive e cognitive.

Uno studio effettuato nel 2010, dimostra che l’attività videoludica può rivelarsi un mezzo molto efficace nel trattamento dell’ambliopia (occhio pigro).

Molti dei pazienti coinvolti in questa sperimentazione sono stati sottoposti ad una terapia a base di action game ad alto tasso di dinamismo, ottenendo benefici eccezionali e raggiungendo, in alcuni casi, il recupero completo delle funzionalità compromesse dalla malattia.

Un altro studio eseguito dall’esperto in psicobiologia, Sandro Franceschini, ha addirittura confermato che i videogiochi possono essere usati efficacemente nel trattamento della dislessia mettendo in risalto come i bambini coinvolti nell’esperimento dimostrassero miglioramenti più importanti rispetto a quelli ottenuti con le metodiche di base.

L’intrattenimento digitale può offrire un importante contributo anche nel limitare il declino mentale causato dall’invecchiamento.

È stato dimostrato che l’attività videoludica può contribuire al mantenimento di flessibilità cognitiva, livello d’attenzione, memoria operativa e ragionamento astratto, andando quindi ad influire positivamente sulla qualità di vita degli anziani.

I giovani giocatori, invece, sono dotati di migliori capacità di concentrazione, buona memoria, analisi e giudizio ragionato. Senza dimenticarci che essendo usati da grande parte dei ragazzi, essi rappresentano un importantissimo fattore di inclusione.

L’altra faccia della medaglia: i Gaming Disorders

Ovviamente tutti questi vantaggi si raggiungono se si gioca responsabilmente e senza esagerare. Se, invece, si passano intere giornate davanti al mondo virtuale, subentrano numerosi svantaggi fino a parlare di Gaming Disorder (dipendenza da videogiochi).

Nonostante ad oggi, vista la situazione causata dal Covid-19, è stato fatto un piccolo passo indietro, l’OMS ha inserito il Gaming Disorder tra i disturbi mentali riconosciuti dall’ente internazionale.

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la dipendenza dal gioco consiste in comportamenti continui e ricorrenti che prendono il sopravvento su altri interessi della vita, in quanto si tende a dare priorità al gioco.

Tutto ciò ovviamente può portare disagi sia in famiglia sia a livello professionale.

L’obiettivo dell’OMS è quello di trovare terapie adeguate per la cura di questa dipendenza. Ovviamente quando si arriva a parlare di ciò, ci si riferisce a casi veramente molto gravi.

In conclusione non si può non dire che collegarsi virtualmente un paio di ore al giorno può rivelarsi un toccasana per chiunque.

In questo periodo così difficile, oltre ai gamers, molti di noi si stanno ritrovando a dissotterrare quella Nintendo o quella Playstation piena di polvere, rivivendo emozioni rinchiuse nei giochi virtuali che preferivamo da bambini.

Roberto Cali’

Bibliografia:

https://www.everyeye.it/articoli/speciale-i-videogiochi-fanno-dannatamente-bene-vostro-cervello-dice-scienza-39847.html

https://www.journalofplay.org/sites/www.journalofplay.org/files/pdf-articles/7-1-article-video-games.pdf

https://www.semanticscholar.org/paper/The-impact-of-video-games-on-training-surgeons-in-Rosser-Lynch/c4fed15b73fc12cb8e71a7f8400568416ff90e07

https://openarchive.ki.se/xmlui/handle/10616/44614

https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.1001135

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0960982213000791

https://icd.who.int/dev11/l-m/en#/http%3a%2f%2fid.who.int%2ficd%2fentity%2f1448597234

Coronavirus: per l’OMS è pandemia. Cosa cambia per l’Italia

A causa dell’elevata diffusione del Coronavirus SARS-CoV-2, l’OMS (Organizzazione Mondiale Della Sanità) ha annunciato lo stato di pandemia. Ecco qual è il significato e quali sono le differenze tra focolaio, epidemia e pandemia.

CHE COS’E’ UN FOCOLAIO?

Quando una condizione patologica su base infettiva comporta un certo numero di contagi all’interno di una comunità, di una regione o di una stagione circoscritta, si parla di focolaio. Un tipico esempio è fornito dai focolai di Brucellosi (zoonosi associata ai batteri appartenenti al genere Brucella) in alcune città siciliane. In questi casi vengono effettuate indagini epidemiologiche, vengono tracciate mappe sugli spostamenti delle persone colpite, come è accaduto nei giorni scorsi nel Nord Italia.

CHE COS’E’ UN’EPIDEMIA?

Quando una patologia infettiva è caratterizzata da una manifestazione frequente, localizzata e di durata limitata nel tempo si parla di epidemia. E’ questo il caso dell’influenza, riscontrata stagionalmente, in cui non vi è un vero e proprio focolaio ma una trasmissione diffusa, contrastata da programmi di prevenzione (vaccinazioni). 

CHE COS’E’ UNA PANDEMIA?

Quando una patologia infettiva si propaga in molti Paesi o continenti, minacciando gran parte della popolazione mondiale si parla di pandemia (dal greco “pan-demos” ovvero “tutto il popolo”). La classificazione in 6 classi che descriveva progressivamente le varie fasi del processo infettivo (periodo intrapandemico con fase 1 e fase 2, periodo di allerta pandemica con fase 3, 4 e 5 e periodo pandemico con fase 6), precedentemente utilizzate per analizzare la diffusione della patologia infettiva, non sono più prese in considerazione. Una revisione effettuata nel febbraio 2009 sulla definizione e dichiarazione di pandemia, definisce le condizioni che oggi l’OMS deve riconoscere affinché si possa parlare di una vera e propria pandemia. Esse sono:

  1. La comparsa di un nuovo agente patogeno;
  2. La capacità di tale agente di colpire gli esseri umani;
  3. La capacità di tale agente si diffondersi rapidamente per contagio.

In seguito agli ultimi dati riguardanti l’infezione da Coronavirus SARS-CoV-2 (118mila casi segnalati  a livello globale in 114 paesi), il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità , Tedros Adhanom Ghebreyesus, ieri ha dichiarato: “Abbiamo valutato che il Covid-19 può essere definito come una pandemia. Non abbiamo mai visto una pandemia di un Coronavirus, questa è la prima, ma non abbiamo mai visto nemmeno una pandemia che può, allo stesso tempo, essere controllata”. Walter Ricciardi dell’OMS, anche Consigliere per il Coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali del ministro della Salute italiano Roberto Speranza, ha dichiarato: “Con la dichiarazione dello stato pandemico l’OMS può mandare i suoi operatori in loco, come fanno i caschi blu dell’ONU e chiedere ai singoli Paesi di adottare misure di mitigamento, come il fermo di alcune attività o dei trasporti anche via terra“. Ha sottolineato l’esperto: “Il non rispetto delle disposizioni equivarrebbe alla mancata applicazione di norme internazionali, che implica l’applicazione di sanzioni“.

COSA CAMBIERA’ PER L’ITALIA?

Lo stato di pandemia rappresenta una nuova dura prova per la penisola italiana (interamente dichiarata “zona protetta”), al fine di contrastare la diffusione del virus sono state attuate delle misure ancora più restrittive, queste ultime riguardano la sospensione su tutto il territorio nazionale delle attività commerciali al dettaglio (fatta eccezione per i beni di prima necessità), delle attività dei servizi di ristorazione e delle attività inerenti i servizi alla persona. Al fine di contenere l’emergenza sanitaria, come specificato dall’esperto Ricciardi, il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro della Salute può disporre la programmazione con riduzione e soppressione dei servizi automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, areo e marittimo.

LE PANDEMIE DEL VENTESIMO SECOLO

Date le nuove direttive dell’OMS, possiamo affermare di vivere una nuova pagina di storia, una nuova pandemia del ventunesimo secolo, ma quali sono state le pandemie dello scorso secolo? E cosa possiamo apprendere da esse?

Nel ventesimo secolo hanno letteralmente scritto la storia della Medicina tre pandemie influenzali:

LA SPAGNOLA: è associata al Virus Influenzale A (sottotipo antigenico H1N1), nel 1918  un terzo della popolazione mondiale fu colpito dall’infezione, contraddistinta da una letalità maggiore del 2,5%, tale virus riemerse nel 1977 causando un’epidemia negli Stati Uniti. Dal 1995, a partire da materiale autoptico conservato, furono isolati e sequenziati frammenti di RNA virale del virus della pandemia del 1918, così come fu descritta la completa sequenza genomica di un virus e quella parziale di altri 4. Tramite questi studi emerse che il virus è l’antenato dei ceppi suini A/H1N1 e A/H3N2.

-L’ASIATICA: è associata al Virus Influenzale A (sottotipo antigenico H2N2), gli studi si basarono sui test di fissazione del complemento e sul test dell’emagglutinina virale e furono confermati dalla neuraminidasi. Il sottotipo del virus dell’Asiatica del 1957, che fu  identificato come un virus A/H2N2, scomparve dopo 11 anni.

L’INFLUENZA HONG KONG: è associata al Virus Influenzale A (sottotipo antigenico H3N2), tale virus differisce dall’antecedente (H2N2) per l’antigene emagglutinina ma aveva lo stesso antigene neuraminidasi.

LO STATO DI PANDEMIA SI PUO’ DEFINIRE UNA SCONFITTA?

Ghebreyesus ha dichiaro: Pandemia non è una parola da usare con leggerezza o negligenza, è una parola che, se usata in modo improprio, può causare paura irragionevole o accettazione ingiustificata che la lotta sia finita, portando a sofferenze e morte inutili”. L’esperto ha voluto, pertanto, sottolineare il costante impegno dell’OMS ai fini del contenimento di questa patologia che sta destando preoccupazione in tutto il mondo.

Caterina Andaloro

BIBLIOGRAFIA:

https://www.bag.admin.ch/bag/it/home/krankheiten/ausbrueche-epidemien-pandemien.html

https://www.epicentro.iss.it/passi/storiePandemia

 

 

Coronarovirus: cosa può fare il Governo nel caso di un’epidemia

Le recenti notizie circa la scoperta di nuovi casi di individui portatori di sintomi ricollegabili al virus “2019-nCoV” anche al di fuori della Cina, luogo di origine del ceppo, sono state per la comunità internazionale un campanello di allarme e, soprattutto, fonte di allarmismo e disinformazione.
La possibilità di un’epidemia globale è divenuta col passare dei giorni oggetto di approfondimento e discussione e la recente riunione di emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità svoltasi giorno 22 gennaio a Ginevra, ha confermato che, sebbene la quasi totalità dei contagi e dei decessi si siano verificati in Cina, la minaccia globale rappresenta uno scenario tutt’altro che improbabile.

Al fine di contenere la minaccia sanitaria, la Cina ha istituito tre zone di quarantena e la Russia ha confermato che fino al 7 febbraio saranno terrà chiusi ben nove valichi di frontiera.
A livello nazionale le nostre autorità hanno reagito con cautala alle notizie dei primi giorni provenienti dall’Asia: il Ministero della Salute ha disposto l’affissione nell’Aeroporto di Roma Capitale di alcuni cartelli di sensibilizzazione rivolti ai viaggiatori provenienti da/diretti verso la città cinese di Wuhan. I voli provenienti dalla Cina sono stati dirottati presso gli aeroporti di Milano Malpensa e Roma Fiumicino e sono stati inoltre previsti screening accessori, corsie di sicurezza e controlli per i passeggeri che possono essere entrati in contatto con i luoghi sottoposti al contagio.

Gli italiani residenti a Wuhan sono stati rimpatriati e trascorreranno due settimane in isolamento, con misure preventive ad altissima sicurezza: non potranno avere nessun contatto con l’esterno, saranno visitati giornalmente da personale medico attrezzato con maschere e tute di sicurezza, tutti i rifiuti, compresi il cibo avanzato, saranno trattati come rifiuti di tipo speciale.

Mentre ricercatori e scienziati portano avanti nei rispettivi ambiti studi e ricerche per eviscerare l’esatta natura e pericolosità del Coronavirus, è innegabile che in una società interconnessa come quella dei nostri giorni gli Stati e le Organizzazioni internazionali siano chiamate a collaborare per garantire la salute e la sicurezza dei cittadini.
Il problema, di conseguenza, deve essere affrontato secondo un modello a doppio binario: su un livello locale mediante l’azione degli Stati, attori principali ed enti esponenziali degli interessi dei relativi abitanti, nonché dotati degli strumenti maggiormente efficaci per intervenire in maniera diretta, e su un piano transnazionale nelle assemblee e nei comitati di quelle Agenzie e Organismi internazionali dove vengono disegnati piani di intervento comune.

Quali strumenti ha a disposizione il nostro Stato per affrontare un’eventuale minaccia sanitaria?

La tutela della salute dei cittadini rientra tra i doveri che lo Stato Italiano è tenuto a perseguire entro i limiti del rispetto del principio di autodeterminazione dell’individuo: la libertà personale è inviolabile e nessuno può infatti essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la propria volontà a meno che questi non siano previsti espressamente dalla legge, esempio classico sono i vaccini i quali, sebbene oggetto di dibattito tra la comunità scientifica e politica hanno contribuito sensibilmente al miglioramento della qualità della vita nello scorso secolo.
Possiamo dunque vedere come tale limite non sia invalicabile e può essere ragionevolmente superato nel momento in cui si persegue un interesse della collettività.
Nella sventurata ipotesi in cui un’epidemia dovesse minacciare la salvaguardia della popolazione, lo Stato potrebbe legittimamente prevedere l’istituzione di zone di quarantena al fine di contenere il pericolo di diffusione o di contagio, sacrificando dunque una libertà fondamentale del cittadino qual è quella del libero spostamento sul territorio nazionale.

Altre misure adottabili da parte dello Stato sono la previsione di controlli sanitari obbligatori, agevolazioni nella somministrazione di farmaci e requisizione di merci sospette o pericolose dal mercato con relative sanzioni patrimoniali nei confronti di coloro i quali dovessero astenersi dal collaborare.

Per potere intervenire immediatamente nell’attuazione delle misure di sicurezza necessarie la Costituzione riconosce in capo al Governo il diritto di emanare, in casi di necessità e d’urgenza, dei decreti legge, aggirando le lungaggini del dibattito parlamentare.

Lo strumento del Decreto legge venne adoperato per la prima volta proprio in occasione del Terremoto di Messina del 1908 per dichiarare lo stato d’emergenza.

L’Italia e la comunità internazionale.

L’Italia è per sua storica vocazione aperta alla collaborazione e al dialogo con altri attori internazionale. Diversi trattati internazionali, firmati dal nostro Parlamento, vincolano il nostro Paese a partecipare attivamente nel processo di formazione di una volontà da parte della comunità internazionale. In uno scenario di emergenza sanitaria internazionale le Nazioni Unite (il cui trattato a oggi è ratificato da 193 paesi su 196 riconosciuti sovrani) e altre agenzie internazionali, quali per esempio l’Organizzazione Mondiale della Sanità o il World Food Programme, agirebbero però col grande limite del “principio di non ingerenza negli affari interni”, presente all’interno dello stesso Statuto delle Nazioni Unite e che vieta di interferire nei procedimenti decisori dei singoli Stati.

Essi avrebbero innanzitutto il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica, attirando l’attenzione degli Stati e invitarli a politicizzare le questioni richiedenti un pronto intervento facendo leva su disegni di politica comune ragionevoli approvati in seno alle Agenzie dai rappresentanti degli stessi Stati.

Non ci resta dunque che sperare che tutti, autorità, medici e scienziati, adempiano ai propri doveri con senso di responsabilità e collaborazione.

Filippo Giletto

Scoperto farmaco contro il Coronavirus: i prossimi passi verso l’ufficialità

A pochi giorni dall’isolamento del Coronavirus (genere 2019-nCoV) ad opera del team di ricerca coordinato da Maria Rosaria Capobianchi dell’Ospedale Spallanzani di Roma, giungono altre buone notizie, questa volta dagli Stati Uniti, California. E’ un comunicato stampa dell’azienda biofarmaceutica Gilead Sciences a offrire nuove speranze nella lotta al coronavirus di Wuhan. In coordinamento con le autorità mediche cinesi è infatti stato possibile somministrare ad un piccolo numero di pazienti un farmaco antivirale sperimentale, il remdesivir. I risultati ottenuti sono promettenti.

Molecola di remdesivir

Il remdesivir aveva già mostrato attività in cavie animali infettate dai differenti generi di coronavirus responsabili delle epidemie di inizio millennio. Tra queste la SARS (sindrome respiratoria acuta grave) nel 2002 e la MERS (sindrome respiratoria mediorientale) nel 2012. Si tratta di un analogo nucleotidico: i nucleotidi sono le unità elementari che costituiscono il DNA. Il remdesivir viene incorporato nella catena di DNA virale al posto di un normale nucleotide e ne provoca il blocco della sintesi.

Il farmaco ha mostrato in vitro attività inibitoria sulla replicazione del virus 2019-nCoV ed in vivo ha ridotto la sintomatologia nei pazienti contagiati. Ne è stato autorizzato l’utilizzo compassionevole negli Stati Uniti. Tuttavia è necessaria una rapida programmazione di studi clinici (randomizzati controllati) per determinare la reale efficacia ed il profilo di sicurezza del farmaco. A tale scopo, al Friendship Hospital di Pechino sarà avviato uno studio placebo vs remdesivir su 270 pazienti con polmonite causata dal virus.

In questi attimi nei laboratori di tutto il mondo si sta studiando l’attività di numerosi tipi di molecole sulla replicazione del virus. E’ notizia di oggi (5 febbraio) che un gruppo di ricercatori cinesi guidati dalla professoressa Li Lanjuan della Zhejian University avrebbero identificato ulteriori due farmaci antivirali particolarmente efficaci contro 2019-nCoV: l’Abidol e il Duranavir. Si tratta però di sperimentazioni in vitro e pertanto le molecole necessitano di essere inserite in protocolli di ricerca di più lunga durata per valutare i reali effetti sui pazienti e scongiurare il rischio di reazioni collaterali. L’OMS infatti allarma: <<Non ci sono ancora terapie efficaci riconosciute contro 2019-nCoV>>.

Alla luce di queste considerazioni riveste ancora più importanza l’isolamento del virus allo Spallanzani di Roma. Difatti era già stato isolato il 10 gennaio a Wuhan, ma è di fondamentale importanza comprendere come il coronavirus si modifichi nel tempo per mettere in atto un’altra strategia nella lotta al patogeno: la formulazione di un vaccino.

Conoscendo la struttura del virus possiamo infatti individuare le proteine che lo costituiscono, comprendere se si adattano o si modificano nel tempo; sulla base di queste conoscenze identificare le proteine immunogene e disegnare su queste un vaccino. Piccole parti totalmente innocue di virus sono in grado di scatenare la risposta immunitaria dell’organismo umano.

Se in un secondo momento l’organismo entra in contatto col virus, il sistema immunitario sarà in grado di riconoscere quelle piccole proteine, attaccarle, neutralizzare il virus e prevenire l’infezione. Tuttavia anche in questo caso la formulazione di un vaccino sicuro richiederà mesi.

In attesa che la potenza tecnica della scienza porti alla luce un farmaco efficace, è auspicabile che i protocolli di igiene attuati dal OMS a livello globale favoriscano la riduzione dei contagi e, come conseguenza diretta, la circoscrizione ed il controllo dell’epidemia.

Mattia Porcino

La Terra chiede aiuto

Uno studio dell’autorevole “Lancet” dice che per impedire il collasso del pianeta dovremo cambiare radicalmente dieta e sistemi di produzione alimentari, riducendo drasticamente i consumi di carne.

Salvare il pianeta si può.

Il consumo globale di frutta, verdura, noci e legumi dovrà raddoppiare, mentre il consumo di prodotti alimentari come la carne rossa e lo zucchero dovrà essere ridotto di oltre il 50 per cento.

Ad affermarlo è uno dei più corposi studi scientifici mai realizzati e pubblicato dalla commissione Eat-Lancet su cibo, pianeta e salute.

La commissione, che riunisce 37 esperti provenienti da 16 paesi con competenze in materia di salute, nutrizione e sostenibilità ambientale, ha pubblicato la “Planetary Health Diet”, ovvero una dieta che, se applicata, porterebbe a ridurre le emissioni di gas serra a livelli compatibili con l’accordo di Parigi e a migliorare la salute dei 10 miliardi di persone che popoleranno il pianeta nel 2050.

Il rapporto per la prima volta fornisce i target scientifici da perseguire per giungere ad un sistema di produzione alimentare sostenibile e ad una dieta sana per noi e per il nostro pianeta.

In questo senso lo studio fornisce quello che dovrebbe essere il regime alimentare giornaliero: il 35 per cento delle calorie dovrebbe provenire da cereali e tuberi; per quanto riguarda le fonti proteiche, queste dovrebbero essere principalmente vegetali, riscoprendo per esempio il consumo dei legumi.

“Questo rapporto non fa altro che confermare ciò che avevamo già indicato con l’Oms.

Questa commissione ha rianalizzato i dati disponibili sul rapporto tra dieta e salute e conferma che una dieta a base di carboidrati, legumi, grassi insaturi è associata ad una minore mortalità, causata da malattie cardiovascolari e tumori”, afferma il dottor Francesco Branca, direttore del dipartimento della nutrizione per la salute e lo sviluppo dell’Oms.

“Anzi si conferma che, se questa dieta venisse adottata a livello globale, si potrebbero salvare oltre 10 milioni di vite l’anno”.

Una dieta equilibrata, molto simile a quella dei nostri nonni e genitori e praticata oggi in paesi come India, Indonesia o Centro America.

“La novità di questo rapporto è indubbiamente il legame tra questo schema alimentare e l’impatto sull’ambiente. Le attuali tendenze di consumo non sono più sostenibili. Bisogna cambiarle”, continua Branca.

“Solo con un cambiamento dei nostri stili di vita potremmo affrontare il cambiamento climatico e le sfide ad esso legate”.

Lo studio non evoca un vegetarianesimo estremo.

Piuttosto “richiama all’importanza di un riequilibrio dei consumi animali.

Lo scopo di questo rapporto è proprio di aprire un dibattito pubblico su questioni fondamentali”, conclude Branca.

L’uomo ha oggi il dovere di ascoltare le grida della “Terra”.

Se così non facciamo correremo il rischio di rimanere senza casa.

La natura, madre della vita, merita rispetto.

Antonio Mulone